domenica 29 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Vita di Paolo»

(segue da qui)

Vita di Paolo

Quello che sappiamo di lui è scarsissimo. Sarebbe nato a Tarso (città di Cilicia, vicino alla Siria), intorno all'anno 10.

Secondo le sue stesse affermazioni, in delle epistole molto rimaneggiate in seguito, si tratterebbe di un ebreo che avrebbe posseduto (non si sa come) lo status di cittadino romano. Non è strettamente impossibile, ma è poco probabile, e si vorrebbero maggiori dettagli. Così i critici hanno messo in dubbio che Paolo fosse stato di razza ebrea; non vedono in lui che un proselita, di origine romana [2] e spiegano così perché egli si mostra così indifferente ai riti e alle tradizioni del popolo ebraico e perché predica solo in terra greca. Siccome il racconto degli «Atti» è molto romanzato, è impossibile ricavare la verità.

In ogni caso, anche se è ebreo, Paolo non può aver ricevuto alcuna missione di repressione da parte del Sinedrio. Il ruolo che gli si fa recitare nelle prime persecuzioni contro i cristiani è immaginario così come quelle persecuzioni stesse. [3] Più esattamente, non si sa nulla di Paolo prima della sua conversione a Damasco. [4]

Convertitosi alla nuova religione, in delle circostanze alle quali tornerò più tardi, avrebbe fatto parte della comunità di Antiochia prima di andare, a nome di quella comunità, a fondare delle succursali in ambiente pagano. Sebbene certe divergenze non abbiano tardato a manifestarsi tra la gente di Antiochia e lui, Paolo non presenta mai sé stesso come il fondatore di una nuova religione; il suo ruolo è quello di predicare un Cristo, di cui si fa un'idea molto personale, ma che conosce solo per una visione mistica piuttosto imprecisa. Altri, contemporaneamente a lui, predicano «un altro Cristo», e le relazioni di questi diversi miti tra loro costituiscono tutta la difficoltà del problema paolino.

E in ogni caso, Paolo non viene da Gerusalemme, e ignora che vi sia accaduto un avvenimento particolare. Racconta che, quattordici anni dopo l'inizio delle sue missioni, si sarebbe recato a Gerusalemme per incontrare i tre capi di una comunità con cui è in disaccordo. L'incontro sembra essere stato burrascoso, e questo è ciò che ci fa pensare che abbia avuto luogo realmente. Vedremo che Paolo, che si rifiuta di inchinarsi, non vi ha incontrato alcun testimone di Gesù. 

Sembra che Paolo abbia viaggiato molto, anche se i suoi itinerari non siano facili da stabilire. I suoi successi furono senza dubbio molto scarsi: tutt'al più riuscì a riunire, di qua e di là, alcuni discepoli di modesta origine, reclutati tra gli analfabeti. Efeso probabilmente ricevette la sua visita, ma si può pensare che ne fu espulso; in ogni caso, quando intorno al 95, l'autore dell'Apocalisse rivolgerà alla comunità di Efeso una lettera molto diversa dalle epistole paoline, non ci si ricorderà più né del suo passaggio né del suo messaggio.
 

E poi, gli «Atti degli Apostoli» ci raccontano del suo arresto, della sua detenzione e del suo trasferimento a Roma, il tutto impreziosito da così tanti miracoli che non si può dare il minimo credito a questo racconto. Se Paolo è andato a Roma, è ben certo che non vi sia morto: come avrebbe potuto l'autore degli «Atti», alla fine del II° secolo, interrompere il suo racconto senza raccontarci la fine? Secondo una tradizione, conosciuta da Clemente (il Romano), si sarebbe recato a finire i suoi giorni «al confine dell'occidente», vale a dire probabilmente in Spagna.

Da questa breve e incerta biografia, vi chiedo di ricordare soprattutto i nomi delle città: Damasco, Antiochia, ambedue in Siria; Tarso, vicino alla Siria.

NOTE

[2] Il nome Paulus è latino, e Saulo non sarebbe un nome ebraico, ma un soprannome greco «Saulos» (colui che cammina a piccoli passi), allusione alle infermità di cui Paolo soffriva (si veda Galati 4:14). Si veda A. RAGOT: «Paul de Tarse», Cahier du Cercle E. Renan, 4° trim. 1963.

[
3] Dopo la sua conversione, disse lui stesso che le chiese della Giudea non lo conoscevano di persona (Galati 1:22).

[4] A. RAGOT (studio citato alla nota 2) vede nell'incidente di Damasco una «una caratteristica crisi di apoplessia. Vi sono tutti i segni: abbagliamento, aura luminosa e sonora, caduta, coma, cecità e afasia che sono diminuite nei giorni successivi, paralisi che si è progressivamente migliorata lasciando tuttavia conseguenze emiplegiche definitive»

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