L'epistola agli Ebrei
Tutti concordano oggi nel riconoscere che l'epistola agli Ebrei non è dell'apostolo Paolo: gli stessi cattolici confessano la loro esitazione. Ma non c'è più la stessa unità, quando si tratta di fissare la data e l'origine del testo, certamente rimaneggiato.
Ciò che lo rende interessante, è che contiene parecchie allusioni alle cerimonie ebraiche celebrate nel tempio (di Gerusalemme): si può concludere che il testo sia anteriore alla distruzione del tempio nel 70. Loisy e Alfaric [5] credono che si tratti di un'opera alessandrina, e la attribuiscono con una certa probabilità ad Apollo, il concorrente di Paolo. In ogni caso, si tratta di uno scritto del I° secolo. [6]
Non vi si trova (tranne alcune ovvie interpolazioni) nessuna allusione ad una vita terrena di Gesù, nessuna menzione della crocifissione. Il Cristo vi è assimilato a Melchisedec, personaggio della Genesi, di cui l'epistola ricorda che egli è «senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fine di vita». [7] Si può meglio riconoscere che si tratta di un personaggio soprannaturale, e non di un uomo che aveva vissuto sulla terra?
Un'interpolazione ulteriore, [8] ricordando che «il Signore è sorto da Giuda» (che ogni buon ebreo sapeva in anticipo), non è sufficiente a cancellare l'impressione che l'autore ignori la vita di Gesù e non abbia sentito parlare della crocifissione. Il suo Cristo resta un mito celeste.
NOTE
[5] ALFARIC: «A l'école de la raison», pag. 166.
[6] Tertulliano l'attribuiva a Barnaba. Di quell'avviso era Renan (L'Antéchrist, pag. 17).
[7] Ebrei 7:3. L'espressione sembra ispirata al Salmo 110.
[8] Ebrei 7:14.
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