venerdì 20 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'Apocalisse»

(segue da qui)

L'Apocalisse

Definita oscura dalla Chiesa che imbarazza, quest'opera è molto importante per l'origine del mito di Cristo. Le ho dedicato uno studio speciale, [1] di cui riassumo qui l'essenziale per quanto riguarda il mito di Gesù.

L'opera contiene due elementi giustapposti:

1°) I primi tre capitoli e la conclusione sono di un autore cristiano, che non è evidentemente l'apostolo Giovanni, ma che scriveva verso la fine del I° secolo. Secondo Eusebio, citando Ireneo, l'opera sarebbe stata scritta verso la fine del regno di Domiziano, ossia verso il 95, e (tranne Turmel) tutti accettano approssimativamente quella data, vista l'antichità del contenuto. L'autore non conosceva, in effetti, che sette comunità cristiane in Asia Minore, e rivolge loro dei rimproveri su delle questioni insignificanti. Si vedono quelle comunità in preda a polemiche: i Nicolaiti specialmente le disturbano. Ora Nicola (che gli «Atti degli Apostoli» in 6:5 hanno cercato di annettere come «proselito di Antiochia») non è più cristiano di Simone il Mago (egualmente annesso): tutti e due sono degli Gnostici siriani, [2] che predicavano un altro Salvatore celeste, che sarà assimilato a Gesù solo nel II° secolo in Egitto. È per lottare contro l'influenza degli apostoli «bugiardi» (2:2) che lo pseudo-Giovanni rivolge alle sette comunità l'annuncio della futura venuta del Messia trionfante. Ma egli ignora le epistole e persino l'esistenza di Paolo, il quale tuttavia ha predicato a Efeso più di trenta anni prima; egli non fa alcuna allusione al Cristo paolino, e non conosce che il Messia dell'Antico Testamento, il «Figlio dell'uomo» di Daniele, la cui venuta e il cui trionfo sono annunciati nell'opera.

2°) A partire dal capitolo 4, e salvo alcune interpolazioni minori, si tratta di un'opera interamente ebraica, scritta nel corso della guerra contro i Romani. La speranza della vittoria che vi esprime l'autore, le allusioni al tempio ancora in piedi (fu incendiato nel 70), tutto concorre a situare l'opera ebraica nel 69, così come l'aveva compreso Renan. Un'allusione chiarissima alla morte (e forse alla leggenda del ritorno) di Nerone (17:10) conferma questa data con precisione.

L'opera è impregnata di un odio feroce contro i Romani; è di ispirazione manifestamente zelota, benché si hanno potuto discernervi alcune influenze essene. Ci sorprende per i suoi appelli al massacro, per l'annuncio di un gigantesco sterminio. Si tratta infatti di vendicare il sangue dei martiri della Resistenza ebraica, come loro stessi lo reclamano nel cielo (6:10). Così il Messia annunciato differisce in tutto dal Gesù dei vangeli: non solo egli è un feroce combattente, destinato a distruggere la potenza romana (e ben lontano dal pagare il tributo a Cesare), ma soprattutto — tanto nell'opera ebraica del 69 che nelle aggiunte cristiane del 95 — egli è ancora atteso, egli non ha ancora vissuto sulla terra.

NOTE

[1] G. FAU: «L'Apocalypse de Jean», Cahier du Cercle E. Renan, 4° trim. 1962.

[2] Si veda IRENEO 1:26-3-3:11-12. Io ritornerò sui Nicolaiti. ALFARIC (Origines sociales du christianisme, pag. 245) pensa che, nell'Apocalisse essi designerebbero i discepoli di Paolo; ma Ireneo ed Epifanio ne fanno una setta gnostica ben distinta.

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