sabato 16 marzo 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsPrefazione


Il Dio di Coincidenza 

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?

(Kent Murphy)

All'errore preferire si deve l'ignoranza.
Meno distante dal vero è colui che in nulla crede
di colui che crede il falso.

(Thomas Jefferson)
L'unico Gesù di cui Paolo mostra qualche conoscenza è un essere celeste, non un uomo terreno. Il Gesù di Paolo è sempre e solo nei cieli.
(Richard Carrier, On the Historicity of Jesus: Why We might have Reason to Doubt, Sheffield: Sheffield Phoenix, 2014, pag. 515, mia traduzione, enfasi originale) 
La setta dei nazirei esisteva prima di Cristo, e non conosceva Cristo.
(il folle apologeta proto-cattolico Epifanio, Contro le eresie 29.6.1)
È difficile distinguere il fatto reale dalla leggenda, e dopo parecchia considerazione io ho deciso che non importa. Ho parlato con studiosi, con specialisti e con ricercatori, e non ho riscontrato unanimità su cosa sia fatto: dipende dai punti di vista. La cosa interessante è che la leggenda — che per definizione è distorta — dà una versione degli eventi di gran lunga più accettabile. Tutti si trovano d'accordo sulla leggenda, ma nessuno si trova d'accordo sul fatto. Così io ripeto semplicemente quel che ho sentito, senza nessun abbellimento, ma con due precauzioni.

La storia che sto cercando di dire è sostanzialmente vera.

La mia storia prende luogo circa 2000 anni fa, in una terra che si poteva definire, allora come ora, il cesso del mondo, per le guerre che avrebbe scatenato il suo mero possesso, e che scatenerà ancora e ancora. Secondo la leggenda, un esorcismo vi aveva appena preso luogo. L'uomo che sarebbe stato guarito…
 ...se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati.
(Marco 5:20)
Così dice la leggenda. Ma la leggenda mente. Quell'uomo, così come lo intendeva la leggenda, non solo non aveva mai visto Gesù in vita sua, ma non riportò niente di niente delle cose che Gesù avrebbe fatto in terra di Galilea, seppure si fosse recato veramente a proclamare il “vangelo di Gesù Cristo”, in lungo e in largo, per l'intero bacino del mediterraneo orientale. Quell'uomo diventò famoso, circa mezzo secolo dopo la sua morte, sotto il nome di Paolo

Quell'uomo è l'unico che siamo in grado di poter interrogare su come andarono veramente i fatti. Più precisamente, su come andò il fatto reale dell'origine della religione mondiale nota come “cristianesimo”.

La verità intorno a tale fatto, indipendentemente dal fatto che sia assoluta o relativa e che molti di noi ne sono alla continua ricerca, alla fine per i più rimane comunque occulta. In genere per necessità, se non per riguardo verso coloro che non capirebbero in ogni caso. La verità non è coperta da alcun diritto di accesso comune. Abbiamo un problema pratico che dobbiamo risolvere, e non c'è nulla di più difficile.

Io vedo qualche migliaio di lettori che stanno leggendo le mie parole ora, ed è gratificante vederli così interessati a ciò che sto per scrivere. 

Tu stai leggendo, anche.

Fisserò dunque delle regole per inquadrare il mio discorso intorno ad un metodo che sia il più preciso possibile, date le circostanze. 

REGOLA NUMERO 1: Tutte le storie sono scritte da un narratore.

A prima vista, questa regola potrebbe apparire non soltanto paradossale, ma decisamente stupida, tuttavia è più profonda di quanto sembri. Per anni siamo stati indotti a credere che quando si legge una storia — una qualunque storia densa di significati reconditi e oscuri e tuttavia che chiama prepotentemente in causa la nostra stessa identità — non ci sia nessuno ad assicurarci sulla sua fondamentale verità. Col risultato che la storia si presenta di fronte a noi nella sua sconcertante nudità, come la vita stessa. Attraverso questo processo, si ha come la sensazione di accedere ad un mondo parallelo, che attende solo la nostra fatale decisione ad entrarvi, per prendere così vita e diventare il nostro mondo. Niente può essere più falso e più lontano dalla verità. Se c'è un fatto che ho imparato a disprezzare, è la perfida codardia di quelli autori — nel caso specifico, di quelli anonimi “evangelisti” — che hanno tentato impunemente di nascondersi dietro le loro parole, come se niente dei loro reali sé riuscisse a trapelare, loro malgrado, nelle loro frasi e nella loro storia. Scrittori simili sono alacremente intenti ad annebbiarci e a confonderci con le loro ipocrite overdosi di presunta obiettività letteraria. Ovviamente io non sono il primo, nè sarò l'ultimo, a smascherare questo giochino ingannevole, ma voglio chiarire almeno una cosa: mi fa schifo, profondamente schifo, il metodo impiegato da questi ignoti propagandisti nei loro sforzi di coprire le tracce di quello che stavano veramente facendo. Perchè, in definitiva, quello che stavano veramente facendo, a forza di metafore e di allegorie, di miti e di finzioni orientali riciclate, è rimettere fatalmente ad altri la decisione ultima sulla verità del nucleo fondamentale di ciò che scrissero. 

Prima di tutto la decisione fatidica sulla storicità del protagonista delle loro storie.     

Con buona (o cattiva) pace dei folli apologeti cristiani e dei loro lacchè insediati nell'accademia (come costui), non saranno quelli anonimi “evangelisti” a convincerci che un Gesù storico era esistito. Sembra che ciò non fosse neppure la loro vera intenzione. 

Per le ragioni esposte sopra, dovrei anche chiarire che sono io, Giuseppe Ferri, l'autore di queste parole. Ma chi sono io, in realtà? Forse potresti farti un'idea dal tenore generale, che mai non mente, delle mie parole. Ma cos'altro sai, a parte quello? A detta di qualcuno, io potrei essere addirittura un demone. Nondimeno, spero che tu non pensi che io sia così presuntuoso da tediarti rivelandoti chi sono. Quella non è mai stata la mia intenzione, e come tanti altri hanno fatto prima di me, io spero semplicemente di portare alla tua attenzione le profonde ragioni che stanno alla base della negazione dell'esistenza storica di Gesù “che fu chiamato il Cristo”. Per un colpo di fortuna, o del caso, o del fato, o di dio — qualunque cosa ti pare — io sono venuto a conoscenza di quelle “profonde ragioni”. E voglio mettere te, o lettore (o lettrice), al corrente della loro natura. Così ora il mio solo scopo è ottenere la tua fiducia. Così, se io esisto o non esisto non ha alcuna importanza. Nè importa davvero se mi sto spacciando per qualcuno che la sa di gran lunga più di te. Non importa neppure se io sia sincero o meno. Come disse quel tale (non ricordo chi), non c'è miglior suggeritore del diavolo.

REGOLA NUMERO 2: Tutti i narratori offrono una sola verità. 

La riassumo con inevitabile secchezza: noi siamo ciò che noi vediamo. 

Primo corollario: la verità è relativa. 

Secondo corollario: una storia non ha alcun significato indipendente dai propri lettori. La presenza di un Gesù storico nei vangeli è, allora, solo un fatto relativo ad una determinata interpretazione.  La verità è soltanto la mia verità. Nessuno ha l'autorità di dichiarare la sua verità superiore a quella di qualsiasi altro. Amen.

REGOLA NUMERO 3: Ogni narratore possiede un motivo per narrare la sua storia.

Di questa terza regola non ce n'era bisogno, ma tant'è. Nel caso specifico, questa regola dichiara che se i vangeli non sbucano dal nulla, è perchè qualcuno ha deliberatamente voluto che accadesse così (e soltanto così). Se ogni narrazione ha un autore (per la REGOLA NUMERO 1), e se quest'autore possiede una sua esclusiva verità (per la REGOLA NUMERO 2), allora deve esistere un preciso movente dietro la sua volontà di comunicarci una storia. A differenza del “grande libro della natura”, i libri sono sempre scritti con un motivo, e quei motivi possono essere spesso piuttosto meschini. Ovvero: più imbarazzanti della storia stessa.

Terzo corollario: tuttavia, non dare per scontato che sia facile scoprire quei motivi. Tantomeno i miei. La ricerca scientifica diventa più complicata nella misura in cui nessuno vuole prendersi carico di dire la pura e semplice verità, ma tutti cercano di scaricarsi dall'onere — il pesante onere — di riferirla per quella che è. Se tu qualche anno fa mi avessi domandato se Gesù esistette davvero nella Storia reale, ti avrei risposto di sì senza esitazione. Ora è vero piuttosto il contrario: ti dico che Gesù non è mai esistito storicamente. Il Gesù dei vangeli non fu il Gesù originale, ma un malcelato avatar letterario del Gesù mitico dei primi cristiani  – un arcangelo del pantheon ebraico  –, che divenne storicizzato in maniera così persuasiva  all'inizio del secondo secolo dell'era comune, che quasi tutti gli studiosi, ancora oggi, pensano che egli esistette. Se tu sei disposto ad accettare la sfida, allora tieni bene a mente quale si tratta il preciso Gesù la cui esistenza storica io intendo negare. Non certo il Gesù taumaturgo itinerante che predicava per la Galilea e la Giudea con qualche dozzina di seguaci al seguito: quel Gesù è già negato logicamente dalle lettere di Paolo, dove non è riportato neppure un detto o un miracolo fatto da un Gesù di tal fatta quando sarebbe stato vivo. No, il Gesù che intendo negare è questo Gesù:
Non era un maestro o neppure un capo di qualche sorta. Se salì a Gerusalemme con alcuni altri, credenti come lui in un imminente Regno di Dio — forse un gruppo di seguaci di Giovanni il Battista —, egli non fu il capo del gruppo. Una volta a Gerusalemme potrebbe aver fatto o detto qualcosa che lo fece distinguere dagli altri e che gli costò la crocifissione. Questa sarebbe stata la fine della storia. Sennonché un altro membro del gruppo ebbe una visione di lui risorto, e la interpretò a significare che il Regno di Dio era più vicino che mai. In tal modo, Gesù cominciò ad assumere un'importanza del tutto sproporzionata rispetto al suo reale status di assoluta insignificanza. Gli accrescimenti cominciarono. E le scuse per cui nessuno ne aveva avuto notizia prima di allora.
Perché Gesù? Perché non una visione di un membro più significativo del gruppo? Perché non la visione di un Giovanni il Battista risorto? Non lo so. Forse Giovanni era ancora vivo in quel momento. Forse a Gesù capitò per puro caso di essere il primo membro del gruppo ad incontrare una fine violenta. Difficile da sapere.

(Roger Parvus, mia libera traduzione da qui)
Intanto, fin d'ora puoi già realizzare il punto vulnerabile della ricostruzione di cui sopra:
“Una volta a Gerusalemme potrebbe aver fatto o detto qualcosa che lo fece distinguere dagli altri e che gli costò la crocifissione”.
Quel “qualcosa”, quell'unico, rarissimo guizzo di presunta originalità che fece la differenza tra lui e gli altri — e osservato a posteriori, quale abissale differenza! —, per un puro colpo di fortuna, per il solo fatto di aver costituito l'atto giusto al momento giusto, non è mai menzionato nelle lettere autentiche di Paolo. Mai da nessuna parte l'apostolo accenna a quel “qualcosa” che, nel linguaggio mistico/misterico di Paolo, mosse dei demoni ad uccidere un essere divino sotto mentite spoglie di uomo. Si ha l'impressione che solo per essere diventato passivamente “in somiglianza di uomini” (così l'inno ai Filippesi) quell'essere divino sia stato ritenuto dai demoni degno della loro azione sanguinosa contro di lui. Questo non suona affatto come storicità. Ma come nient'altro che un mito.  

 
 LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ

di
ARTHUR DREWS, Ph.D.


Professore di filosofia all'Università di Karlsruhe
(autore di “Il Mito di Cristo”, ecc.)


Tradotto da GIUSEPPE FERRI


“Guai a voi, esperti di religione! Perché avete tolto la chiave della conoscenza. Voi stessi non siete entrati e a chi voleva entrare l'avete impedito”.
LUCA 11:52.


PREFAZIONE

Il presente lavoro è una versione abbreviata e corretta, per lettori inglesi, del volume che l'autore ha pubblicato di recente come la seconda parte di Il Mito di Cristo (traduzione inglese, 1910, Fisher Unwin). L'autore ha descritto questa parte “una risposta ai suoi avversari, con riferimento speciale a metodi teologici”, e ha trattato nella sua prima parte i critici teologici che avevano assalito i risultati e i metodi da lui adottati. Sarà visto che l'errore di metodo è interamente dal lato degli avversari, e che i teologi possono mantenere la realtà storica di Gesù su argomenti metodologici solo quando i loro metodi sono predisposti per condurre a quel risultato. Non è l'intenzione dell'autore omettere totalmente i punti di questa controversia, siccome da questa prospettiva non c'è nessuna differenza tra i teologi di Germania e quelli di altre nazioni. Lo scopo principale dell'opera, comunque, è collezionare, esaminare, e confutare gli argomenti che sono avanzati dalla parte teologica a favore della storicità di Gesù. A dispetto del loro comportamento arrogante, i teologi tedeschi non sono stati capaci di produrre una singola ragione decisiva per la storicità di Gesù. Rimane da vedersi se le autorità inglesi possano addurre una dimostrazione migliore della validità della fede cristiana rispetto a quella che hanno fatto i loro colleghi tedeschi. Oltre a fare questo necessario lavoro critico, si spera che il libro possa anche fornire una spiegazione migliore della nascita della religione cristiana di quanto la teologia storica, come è chiamata, ha finora offerto. A questo proposito l'autore è indebitato ai lavori davvero stimolanti e informativi del signor J. M. Robertson (Christianity and Mythology, Pagan Christs, e A Short History of Christianity), e allo scrittore americano Professor W. B. Smith, i cui lavori, Der vorchristliche Jesus ed Ecce Deus, dovrebbero essere nelle mani di ogni studente della religione cristiana.

Il problema della storicità di Gesù è un problema puramente storico, e, come tale, deve essere affrontato con le risorse della ricerca storica. Questa procedura è, tuttavia, in vista della stretta connessione della materia con elementi emotivi e religiosi, non incoerente col fatto che la decisione finale appartiene ad una provincia interamente differente, quella della filosofia, che a sua volta controlla il sentimento soggettivo. In questo senso, la questione se Gesù fu un personaggio storico coincide con la questione del significato della personalità nell'ordine generale del mondo, e delle radici e dei motivi della vita religiosa interiore in generale. 

La controversia riguardo il mito di Cristo è allo stesso tempo una lotta per la libertà e l'indipendenza del pensiero moderno, e della scienza e filosofia. Non ci sia nessun equivoco intorno a ciò: tanto a lungo in cui il credo in un Gesù storico sopravvive noi non avremo successo nello sbarazzarci del giogo di un presunto fatto storico che è ritenuto aver preso luogo duemila anni fa, tuttavia ha profondamente influenzato la scienza e la filosofia d'Europa. Quale situazione è quella in cui i pensieri più profondi del pensiero moderno devono essere misurati dall'insegnamento di Gesù, e riferiti ad un mondo di idee che non ha nulla per raccomandarlo se non l'antichità delle sue tradizioni e l'apprezzamento affettatamente ostentato di ogni cosa legata a esso!

Allo stesso tempo la controversia del mito di Cristo è una lotta sulla religione. La religione è una vita che emana dalle profondità del più interiore sé di ciascuno, un'escrescenza del pensiero e della libertà. Tutto il progresso religioso consiste nel rendere più intima la fede, nel trasferire il centro di gravità dal mondo oggettivo al mondo soggettivo, mediante una resa fiduciosa al Dio dentro di noi. La fede in uno strumento storico di salvezza è un apprezzamento puramente esteriore di fatti oggettivi. Cercare di basare su di essa la vita religiosa equivale a non considerare l'essenza della religione, ma a renderla per sempre dipendente ad una fase di sviluppo mentale che è stata oltrepassata da lungo tempo nella vita interiore. Coloro che si aggrappano ad un Gesù storico per motivi religiosi mostrano semplicemente di non aver mai compreso la reale natura della religione, oppure quello che “fede” significa veramente nel significato religioso del termine. Loro vedono solo l'interesse della loro Chiesa, la quale profitta sicuramente di una confusione della vera fede religiosa, di una resa fiduciosa al Dio dentro di noi con l'accettazione intellettuale di certi fatti di una natura o dogmatica oppure storica; ingannano solo sé stessi e altri quando immaginano di stare promuovendo l'interesse della religione.

La nostra scienza non ha sofferto finora l'indegnità di essere collocata dopo la teologia nella gerarchia del sapere, e così di essere indotta a giustificare i suoi pensieri e i suoi raggiungimenti più profondi dal punto di vista teologico, o di preoccuparsi circa la teologia. La nostra filosofia, comunque, consente alla fede di porsi al di sopra della conoscenza, a dispetto del fatto che la fede è nata dalla sete di conoscenza e consiste in una visione del mondo; in questo modo la teologia viene ad esercitare un controllo sull'intera provincia della conoscenza filosofica. Una filosofia che viene così a confrontarsi con la teologia, una “filosofia perfettamente sicura” che cerca di vivere in pace con la teologia, è indegna del nome. Infatti non è il compito della filosofia quello di preparare semplicemente tesi accademiche, e di trattare cose che non hanno nessun interesse per alcuna persona al di fuori della lettura in aula e dello studio: il suo più grande compito culturale è difendere i diritti della ragione, estendere la sua influenza su ogni dominio del sapere, e razionalizzare la fede. Nelle parole di Hegel, il suo compito è “recare disturbo quanto più è possibile a questi teologi che se ne stanno intenti con il loro zelo di formiche a procurarsi un'impalcatura critica per il consolidamento del loro tempio gotico, rendere il loro compito il più difficile possibile, stanarli da ogni rifugio, finché non vi rimanga nessuno ed essi debbano mostrarsi apertamente alla luce del giorno”. Non è un caso, ma nella natura stessa delle cose, che un filosofo sia venuto così a denunciare la tregua che è stata così lunga e così artificialmente mantenuta con la teologia, e abbia cercato di mostrare l'insostenibilità del suo credo centrale in un Gesù storico.

Nel frattempo possiamo riflettere con conforto sulle parole di Dupuis: “Ci sono un gran numero di uomini di inclinazione così perversa che crederanno a tutto tranne a ciò che è raccomandato da profonda intelligenza e ragione, e retrocedono dalla filosofia proprio come l'idrofobo retrocede dall'acqua. Queste persone non ci leggeranno e non ci riguardano; noi non abbiamo scritto per loro. La loro mente è preda dei sacerdoti, proprio come il loro corpo sarà la preda dei vermi. Abbiamo scritto solo per gli amici dell'umanità e della ragione. Il resto appartiene ad un altro mondo; persino il loro Dio dice loro che il suo regno non è di questo mondo – cioè, non del mondo in cui le persone usano il loro giudizio – e che i semplici sono benedetti perché di loro è il regno dei cieli. Lasciamo, perciò, a loro le loro opinioni, e non invidiamo ai sacerdoti un tale possesso. Andiamo per la nostra strada, senza soffermarci a contare il numero dei creduloni. Quando abbiamo svelato il santuario in cui il sacerdote si chiude, difficilmente possiamo aspettarci che farà pressione sui suoi seguaci per leggerci. Ci accontenteremo di una felice rivoluzione, e vedremo che, per l'onore della ragione, essa è così completa da impedire al clero di fare ulteriori danni all'umanità”. 

  ARTHUR DREWS.

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