giovedì 31 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — La leggenda umana di Gesù (XX): L'UMANIZZAZIONE DI GESÙ

(segue da qui)

PARTE QUINTA

LA LEGGENDA UMANA DI GESÙ

L'UMANIZZAZIONE DI GESÙ

Nella persecuzione legale e continua, i cristiani del secondo secolo si sono purificati, fortificati. Essere trattati da criminali quando si è virtuosi, quale forza! Hanno sperimentato una sublime conformità tra la loro fede e la loro vita. Gesù si avvicina tragicamente a loro. Paolo aveva raccomandato ai Filippesi di imitare l'umiltà di Cristo Gesù, il quale essendo Dio si è fatto obbediente fino a prendere forma di schiavo al fine di morire in croce. Ora i fedeli imitano più da vicino il Dio suppliziato, loro che sono repressi nei tormenti. Il Dio salvatore diventa per loro il prototipo del martire. Per il loro sangue costantemente offerto, l'avvicinamento a Gesù proseguirà, deificando il martire, umanizzando Gesù.
Ne abbiamo la chiave nella Epistola agli Ebrei, l'opera di un istruttore ispirato che su dei punti importanti modifica la dottrina di Paolo. Egli si rivolge ai cristiani di origine ebraica di una grande chiesa (apparentemente quella di Antiochia) che sembra aver raccolto molti sacerdoti sacrificatori, indifesi e abbandonati dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme (V. Burch.) Per questo uditorio d'elitè l'autore presenta una immagine nuova di Gesù, dove si fondono in una sintesi l'Agnello immolato di Giovanni e il Crocifisso di Paolo. Gesù è sia la Vittima divina che il Sommo Sacerdote che offre il suo sangue nel santuario eterno. La crocifissione è la preparazione dell'atto redentore. Questo si realizza tramite l'entrata di Gesù nel Tempio celeste, secondo la figura del sommo sacerdote ebreo che penetra, il giorno dell'Espiazione, nel Santo dei Santi per aspergere di sangue il piatto sacrale. L'umanità ha ora il suo Sommo Sacerdote permanente. Presenta il suo proprio sangue in espiazione. Il suo sacerdozio eterno, annunciato misteriosamente da Melchisedec, abroga il sacerdozio levitico. Gesù, nostro Sommo Sacerdote misericordioso, nostro perpetuo intercessore, è alla pietà cristiana un'immagine più vicina e più dolce rispetto all'Agnello terribile dell'Apocalisse, rispetto al Crocifisso stesso di Paolo, che si fa beffe dei suoi carnefici demoniaci.
In Paolo, la morte redentrice di Gesù è nell'atemporale. È un atto divino costantemente continuato fino alla Manifestazione prossima di Gesù. Nell'Epistola agli Ebrei ha avuto luogo, al contrario, nel tempo,  una sola volta per tutte (hapax). Non si ripeterà mai. L'autore esige, con tutta la sua grande anima severa, che gli apostati che, per vigliaccheria, hanno rinunciato alla redenzione che devono al sangue di Cristo, non possono più essere redenti. È nel rigore intransigente dei primi giorni di persecuzione. Con questa decisione di interesse penitenziale, la Redenzione degli uomini diventa un fatto realizzato. Si esprime all'aoristo, il tempo storico. Questo è di grande conseguenza per l'origine dei vangeli. Dove fissare nella Storia la morte-resurrezione di Gesù? Era naturale collocarla alla fine dei tempi, poco prima delle cristofanie accordate a Pietro, ai Dodici, ai cinquecento fratelli di Gerusalemme. Sarà difficile ora mantenerla al di sopra della terra. Perché non avrebbe avuto luogo sulla terra? L'autore di Ebrei, idealista se mai vi fosse stato uno, non arriva affatto fino a questa conclusione. Per lui, il sacrificio sacerdotale di Gesù, per quanto sia temporale, non è affatto un avvenimento di questo mondo. Ha avuto luogo fuori dal mondo e i cristiani devono uscire dal mondo se vogliono incontrare il Crocifisso: “Gesù patì fuori della porta della città per santificare il popolo. Usciamo dunque anche noi fuori dal campo per andare verso di lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città duratura (13:12). Presto una pietà più realista conoscerà in questo mondo inferiore il luogo preciso che ha inumidito il sangue del Redentore.
Paolo infine, guidato e ossessionato dalla sua grande antitesi tra la carne e lo spirito, riconosce in Gesù un corpo piuttosto che una carne. Dio ha mandato suo Figlio “in forma rassomigliante a carne del peccato” (Romani 8:3) perché in questa falsa rassomiglianza di carne il peccato fosse annientato. Il corpo stesso di Gesù, quello che è assiso alla destra del Padre, che viene distribuito ai fedeli nell'Eucaristia, che è costituito in pieno dalla massa degli eletti, è di spirito e di gloria, non di carne. Spirituale ma non carnale, celeste non terreno, sarà il corpo della nostra resurrezione: “Carne e sangue non possono ereditare il Regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità” (1 Corinzi 15:20). Ma ora che i martiri soffrono nel profondo della carne ferite e torture, che sostengono nella carne il combattimento mortale, non sembra più giusto che la loro carne sia annientata. Le chiese rivendicano, contro l'insegnamento di Paolo, la resurrezione della carne. E se Gesù è il modello supremo dei martiri, conviene (questa piccola parola conviene, da dove la teologia intera può scaturire) conviene che Gesù abbia avuto, nella sua morte e nella sua resurrezione, una vera e propria carne. Per poter compatire le nostre infermità, per divenir solidale con noi, conviene che sia stato sottomesso alle stesse prove e tentazioni, agli stessi tormenti dei martiri. Il salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?...” che ha garantito a Paolo la visione della Crocifissione, ha ispirato di più al successore di Paolo quella di un'agonia di angoscia: “Egli (il Figlio di Dio) nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì” (5:7). Gli evangelisti seguiranno la via così aperta. Essi non avranno paura di sottomettere il Figlio di Dio a delle tentazioni, di mostrare in lui le sofferenze della carne per accrescere la vittoria dello spirito. In lui si uniranno la divinità e la carne (“il Verbo si è fatto carne”). Anche a questo proposito l'Epistola agli Ebrei si colloca al centro del percorso che va da Paolo ai vangeli.
La novità radicale dei Vangeli sarà quella di considerare la morte-resurrezione di Gesù come un avvenimento umano, che termina nel supplizio e nella gloria un passaggio del Figlio di Dio sulla terra. Questa concezione che gli evangelisti ci hanno così fortemente imposto, nessun profeta o maestro prima di loro l'ha avuta. Questa non è una tradizione storica. Questa è una prospettiva nuova della fede. È una rivelazione dello Spirito. Dal momento che si insisteva sulla carne di Gesù e che la sua morte permanente, relegata sullo sfondo, non serviva più che a rendere conto dell'Eucaristia, era inevitabile che la sua crocifissione, trattata da avvenimento della Storia, fosse imputata non più agli Arconti invisibili, ma ai Romani, persecutori del nome cristiano, e i soli a praticare questo atroce supplizio. Flavio Giuseppe aveva raccontato la durezza del procuratore romano Ponzio Pilato. Il più antico testo datato dove il nome di Cristo è congiunto a quello di Ponzio Pilato è l'allusione di Tacito, nei suoi Annali scritti a Roma prima del 118, un'allusione quasi certamente ricavata dagli interrogatori dei cristiani.  Qualche anno prima, nel 112, Plinio, in Asia Minore, non era informato che di un culto reso a Cristo in quanto Dio. Nel Nuovo Testamento, a parte i vangeli, Ponzio Pilato è nominato una sola volta, in 1 Timoteo 6:13: “Cristo Gesù, che testimoniò da martire (marturêsas) la sua bella confessione davanti a Ponzio Pilato”, che è verosimilmente del primo quarto del secondo secolo. “Ha sofferto sotto Ponzio Pilato” si trova a metà del secondo secolo nel credo comune della fede. Sappiamo da Giustino che questo articolo del Credo è stato omologato e sancito dall'autorità sovrana dello Spirito: “Molti dei nostri, cioè dei cristiani, hanno guarito, e tuttora guariscono, tanti indemoniati, in tutto il mondo e nella nostra stessa città, esorcizzandoli nel nome di Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato, fiaccando e cacciando i demoni che li possiedono, mentre tutti gli altri esorcisti, incantatori e somministratori di filtri, non erano riusciti a guarirli” (2 Apologia 6). Così i miracoli operati dallo Spirito Santo sotto il regno di Antonino hanno attestato alla coscienza cristiana che il Figlio di Dio era stato veramente un uomo storico, crocifisso centoventi anni prima sotto Ponzio Pilato.

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