venerdì 26 ottobre 2018

La Nascita del Vangelo — L'Ordito e la Trama Simbolici


CAPITOLO QUATTRO

L'ORDITO E LA TRAMA SIMBOLICI 

 1. FUSI NELLO STAMPO DELLA SCRITTURA 

Se la Missione Eterna di Israele per la Redenzione dell'Umanità doveva essere immaginata e riflessa nella coscienza dei gentili come la vita terrena di un Uomo Divino, perché fu scelta questa particolare carriera piuttosto che un'altra? Che cos'era che determinò la scelta e il corso dei suoi eventi rappresentati, il suo inizio e la sua fine? Non doveva esserci qualche modello o schema umano a portata di mano, a guidare il suo sviluppo, a dargli una dimensione e un colore definiti? Questa è una domanda ragionevole, e la risposta non deve indugiare: non esisteva alcun prototipo individuale personale o esemplare di sorta. La fantasia del Predicatore era libera di vagabondare svincolata da qualsiasi dato biografico personale nel caso. Era libera di fare qualunque rappresentazione potesse piacergli di più [1] e servire al suo scopo di edificare i suoi pagani convertiti. Da qui accade che  vistose contraddizioni abbondano nei vangeli, persino nei sinottici. Alcuni esempi possono essere sufficienti per mostrare l'ampia licenza della fantasia degli evangelisti.
Certamente la nascita dell'Eroe evangelico sembrerebbe degna di ogni attenzione. Sia Luca che Matteo sembrano aver pensato così e di conseguenza hanno dato resoconti minuti, ma ognuno, ahinoi! in totale disprezzo e in completa contraddizione dell'altro! Inoltre i loro scopi erano tanto diversi quanto avrebbero potuto esserlo: Matteo modellò e colorò il suo racconto in modo da renderlo da capo a capo una replica dei racconti dell'Antico Testamento — accadde tutto così e non altrimenti, “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta” (1:22, 2:5, 6, 14, 15, 17, 28); Luca, d'altra parte, si preoccupa principalmente di superare i mitologi pagani sul loro stesso terreno, nelle loro teogonie, per presentare una nascita e una giovinezza molto più degne e meravigliose di quanto avrebbe potuto offrire la letteratura pagana, e nel perseguimento di questo egli permette alla sua immaginazione di sbizzarrirsi in ogni forma di prodigio e di incredulità storica. Marco, tuttavia, e Giovanni (chiunque fossero) apparentemente hanno preso un'altra prospettiva: ignorarono completamente la Nascita, come se ritenessero che qualcosa del genere fosse del tutto irrilevante, indegna del Dio-Salvatore, che introducono sul palcoscenico senza preliminari, in piena maturità e divinità, annunciato in effetti da Giovanni il Battista ma solo per realizzare certe antiche Scritture ebraiche (che, naturalmente, non possedevano il riferimento più remoto al primo secolo della nostra era).
 Tralasciando tutte le contraddizioni minori, notiamo poi che le concezioni generali dei tre sinottici da una parte e del quarto vangelo o vangelo giovanneo dall'altra sono tanto dissimili quanto possono esserlo. Gli innumerevoli tentativi di quasi duemila anni per “armonizzare” le due rappresentazioni sono falliti assolutamente, e il problema è ora generalmente abbandonato come definitivamente insolubile. Nelle parole rassicuranti di Weymouth (Traduzione, 248), “Il Cristo giovanneo non deve essere pressato nello stampo sinottico”. Non soltanto in prospettiva generale le due concezioni non sono unificabili, ma in molti dettagli specifici sono contradditorie apertamente e ad ogni  apparenza. Così il racconto giovanneo fa della Tragedia di Gerusalemme il miracolo supremo della resurrezione di Lazzaro (12:9,11): ma questo Lazzaro (o qualsiasi altro fratello delle sorelle Marta e Maria) è totalmente sconosciuto ai sinottici, dato che la parola (che significa  “Alcun Aiuto”, Isaia 30:5) appare solo come il nome simbolico del Mendicante nella parabola lucana (che, in particolare, non è nemmeno posto sulle labbra di Gesù! Luca 16:19-31).
Nondimeno a dispetto di questa comprovata indipendenza reciproca degli evangelisti, rimane comunque che le loro concordanze sono molto più degne di nota delle loro discordanze, sì, sono davvero così tante e così precise che una certa comunità di origine è universalmente riconosciuta e appare alquanto fuori discussione. È, naturalmente, impossibile entrare qui sulle infinite dispute riguardanti il Proto-Marco (Ur-Markus) e il documento Q (la Quelle o Fonte dei Detti), e altre questioni simili. È sufficiente che vi erano ovviamente molte forme frammentarie leggermente varianti della “tradizione”; il racconto della Vita venne in essere molto gradualmente, [2] durante almeno due o tre generazioni, assunse forse un centinaio o un migliaio di sfumature più o meno transitorie e forme divergenti, di cui quasi tutte sono state perse nel naufragio e nel crepuscolo del tempo, solo queste essendo state salvate siccome garantivano (nonostante le acute contraddizioni interne) in larga misura l'approvazione generale dell'antica Coscienza cristiana. Perciò possiamo e dobbiamo considerare quei vangeli come l'immagine o il riflesso della Mente dell'antica Chiesa cristiana, il suo modo di considerare il suo proprio sé, la sua origine, la sua dottrina, le sue lotte, le sue speranze e le sue paure. Sempre più i critici più abili e più onesti (come Loisy, ad esempio) tra gli storicisti stessi stanno arrivando a considerare i vangeli come la Storia non così tanto del Cristo quanto della Chiesa cristiana. [3]
Ma qualcuno potrebbe ancora insistere sulla domanda, Perché furono scelti tali e tali episodi e gli altri respinti? Quale principio determinò ciò che avrebbe dovuto essere preso e ciò che avrebbe dovuto essere lasciato? Ancora una volta la domanda è razionale e, una volta di nuovo, la risposta in generale è facile: la storia della Vita, essendo la Storia idealizzata di Israele Personificato, fu derivata nei suoi elementi essenziali dall'Antico Testamento; gli episodi furono incorniciati per illustrare o adempiere i testi dell'Antico Testamento. Ognuno dei quattro vangeli fornisce degli esempi copiosi in merito. Più di venti volte in Matteo l'adempimento della profezia è dichiarato la ragione o la spiegazione di questo o quell'evento, e molte volte lo stesso motivo è chiaramente presente senza tale ammissione. Così, l'aceto è dato a Gesù sulla Croce per adempiere la parola del salmista (69:21), che rappresenta Israele: “nella mia sete mi dettero da bere l'aceto”. Questo motivo manifesto non viene menzionato dai sinottici, ma è esposto da Giovanni (19:28), “per adempiere la Scrittura”.
A volte la decisa risoluzione nel convertire la Carriera negli stampi esatti dell'Antico Testamento conduce a risultati inaspettati o addirittura ridicoli. Così, Isaia aveva proclamato (62:11) con grande audacia la vicina redenzione di Gerusalemme: 
“Ecco ciò che il Signore fa sentire all'estremità della terra:
Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore; [4]
ecco, ha con sé la sua mercede, la sua ricompensa è davanti a lui”. 
Zaccaria aveva cercato di ravvivare il verso del suo profeta più antico in un quadro realistico (9:9):
“Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina”.


Naturalmente, quei detti dei profeti devono fornire l'occasione per la storia dell'Ingresso di Gesù a Gerusalemme. La Tradizione di Marco, seguita da Luca e da Giovanni, si limitava ad osservare il senso delle frasi e ad identificare l'asino con l'asino, il puledro figlio d'asina (in senso stretto, “di una bestia da soma”): da qui menzionano solo un asino trovato dai due discepoli, sciolto e portato a Gesù, e i mantelli distesi su “quello” (Marco 11:1-11, Luca 19:29-38, Giovanni 12:14-16), e solo Giovanni nota che è un adempimento della profezia.
Non così, tuttavia, il primo evangelista, Matteo; egli ha letto leggermente le righe di Zaccaria, e le adempie alla lettera. Comprende il greco kai della Septuaginta, che rappresenta l'ebraico vav, non come intensive, a significare , ma come additive, a significare e. Quindi egli fa dire a Gesù rivolto ai due discepoli: “troverete legata un'asina, e un asino con lei”, e loro “condussero l'asina e l'asino a Gesù, gettarono su loro i loro mantelli ed egli montò sopra loro(epanō autōn), 21:1-7. L'assurdità di far cavalcare Gesù sull'asina e sull'asino, è stata una dura prova per i traduttori, che hanno cercato di mascherare la dichiarazione del testo nella resa, “essi vi posero su” o “egli vi si sedette”, permettendo al lettore di riferire “vi” alle vesti, non alle due bestie. Sfortunatamente, tuttavia, le vesti erano stese “su loro, su entrambi gli animali, il che era insensato, a meno che egli non dovesse montare o cavalcare su entrambi.
Certamente, questo era impossibile, ma non più impossibile di molte altre meraviglie in cui abbonda questo maestoso vangelo; la ripetuta menzione di asina e asino — mentre la Fonte di Marco menziona solo l'asino — e l'insistenza sul plurale mostrano chiaramente che l'evangelista ha preso il profeta in parola, che egli intende adempiere esattamente e ad ogni costo. Avrebbe potuto esserci una prova più semplice del fatto che l'episodio è interamente fittizio, concepito unicamente nell'interesse dogmatico di rappresentare la realizzazione di idee dell'Antico Testamento (riguardanti Israele) in una singola vita individuale? Il quarto evangelista Giovanni sembra dare ai suoi lettori un suggerimento sottile del fatto che la storia era una finzione simbolica edulcorata dall'immaginazione successiva dei discepoli, perché dice (12:14-16): “Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d'asina. Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto”. Non abbiamo qui una confessione del fatto che una biografia di Gesù era un retro-pensiero, che era concepita e inventata allo scopo di concentrare e realizzare quante più Scritture possibili in una singola vita individuale?
Ma “Scrittura” per gli scrittori evangelisti non deve essere equiparata ad “Antico Testamento” per il cristiano moderno. Ciò è stato ben attestato dalle citazioni che abbiamo già fatto da Enoc. Anche altri scritti possedevano un'autorità scritturale nella loro mente. Sorprendentemente, la descrizione di Matteo delle sofferenze del Cristo è presa direttamente dalla Sapienza di Salomone 2:13-20, che descrive in dettaglio i malevoli rimproveri scagliati al Giusto (Israele) dai suoi calunniatori: “Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara Servo di Dio. ... e si vanta di aver Dio per padre. Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, ... Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà”. Il lettore non può non ricordare i passi paralleli del vangelo (Matteo 26:53, 27:39-44, ecc.), Le rassomiglianze sono troppo vicine e troppo numerose per essere accidentali. Naturalmente, c'erano una moltitudine di fonti, tutte “scritturali”, utilizzate nell'immaginare la sofferenza di Israele.
Qui, allora, sembriamo toccare il nervo di tutta la questione. Come già dichiarato, si ritenne necessario nella prima predicazione dell'Unico e Solo Dio-Salvatore, Gesù, ai gentili, fare una concessione molto importante alla durezza del loro cuore pagano: non potevano afferrare prontamente la grande concezione isaianica di una guida israeliana idealizzata, avevano bisogno di una Oggettivazione Personale del pensiero meraviglioso, e ciò fu loro fornito in una bellissima finzione, la storia della Vita dell'Uomo Divino, Gesù, il Salvatore, il Nazareno. Non tutto in una volta, in alcun modo! — ma molto gradualmente, pezzo per pezzo, detto per detto, episodio per episodio la storia fu costruita dalla generale Coscienza Cristiana che si esprimeva attraverso innumerevoli individui in innumerevoli maniere che concordavano nel complesso, sebbene spesso in maniera leggera e talvolta largamente discordante. La Norma fondamentale che guidava quelle immaginazioni creative era l'Antico Testamento; la Vita fu abilmente composta dai Detti e dagli Atti trovati nelle Scritture ebraiche (generalmente come già tradotti in greco), così da diventare nel suo completamento il “mosaico” più raffinato e importante che si potesse trovare in tutta la letteratura.
Nel valutare la necessità di questa “Oggettivazione Personale” dell'Idea isaianica, il lettore difficilmente eviterà di pensare a San Nicola al tempo presente. Qualunque sia l'origine mitica o leggendaria di questo Santo, per noi simboleggia lo spirito di comunione generale, di gentilezza universale e di allegria, di amicizia, di ricordo e di affetto. Come “adulti” riconosciamo tutto questo e siamo abbastanza contenti di classificare “Babbo Natale” per quel che è realmente, un 'immaginazione di buon umore, non percependo che egli soffre ogni umiliazione o svalutazione in tal modo. Ma per i bambini il caso è percepito in maniera diversa. Non sono a loro agio con lo “spirito” e con concetti, estensioni e principi “universali” di vasta portata. Hanno bisogno tanto del Benefattore quanto della benevolenza; hanno bisogno della slitta, della renna e dei campanellini tintinnanti, del mistero e perfino del miracolo — Così, allora noi stiamo ancora affrontando l'antico problema del bisogno di cibo solido per gli uomini, ma di latte per i bambini. 

2. CONVERSIONI, NON CURE

 Insieme a tutto questo sfruttamento dell'Antico Testamento, vi corre dappertutto, come già indicato, un simbolismo abbondante, che riguarda principalmente la cacciata dei demoni, cioè degli dèi pagani, con la Sua parola, cioè, col culto monoteista. Si consideri ad esempio, l'Indemoniato di Gerasa (un nome apparentemente simbolico dalla radice G-R-S, che significa “espulso”, come notato dal dottor E.A. Abbott) l'uomo posseduto da una compagnia di Demoni, il cui nome era Legione. Chiaramente egli non è un individuo, è l'Umanità Pagana (nota la singola parola di Marco, anthropos, Uomo, 5:2), la moltitudine di Demoni sono gli Idoli, i Falsi Dèi, del culto pagano (la descrizione dell'Uomo è tratta dalle descrizioni dell'Antico Testamento del culto idolatrico — confronta Marco 5:8-11 con 1 Re 18:28, Isaia 65:3-4); questi sono scacciati dalla parola di “Gesù”, cioè dalla predicazione dell'“Eterno Vangelo” (Apocalisse 14:7, “Temete Dio e dategli gloria”), e l'Uomo è restituito alla sua mente retta (Marco 5:11), l'Umanità Pagana è redenta. Come simbolo del rovesciamento mondiale dell'idolatria mediante la proclamazione del monoteismo, la storia è fiera, vivida e quasi sublime: come un letterale episodio storico sarebbe infantile e impossibile.
La nozione alternativa secondo cui i Demoni figurano per ogni tipo di disturbo mentale e fisico è a stento ammissibile. Nessuno contesta che tali disturbi fossero invero occasionalmente attribuiti alla presenza o alla possessione di tali spiriti malvagi, sebbene la prevalenza di tali idee di malattia sia fortemente esagerata nei lavori di studiosi che dovrebbero conoscere molto meglio. Le allusioni a tale possesso demoniaco sono eccessivamente scarse nella letteratura profana; è nella letteratura cristiana che abbondano. Ma proprio lì hanno poco o nessun valore probatorio, perché sorge spontanea la domanda, Lo scrittore cristiano sta parlando di malattie fisiche quotidiane, oppure sta usando frasi religiose e si riferisce segretamente alla malattia dell'Idolatria
A dire il vero, ci devono essere stati alcuni casi di presunta possessione demoniaca, altrimenti i primi cristiani non avrebbero simboleggiato l'Idolatria in quanto tale, ma che essi intesero col termine una comune malattia mentale o fisica in generale non ne segue in alcun modo. Infatti ricorda che l'esorcismo, o la cacciata dei demoni, era il dovere e il lavoro principale del Predicatore Primitivo. Si afferma in particolare che Gesù diede ai suoi discepoli il potere di scacciare i demoni e di curare tutte le malattie (Matteo 10:1, Marco 16:17, Luca 9:1). Quando i 70 ritornano esultanti dichiarano: “Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome” (Luca 10:17). Sicuramente nessuno mette in dubbio che questa missione dei 70 rappresenta l'appello generale contro il paganesimo, e che la caduta di Satana rappresenta specificamente il rovesciamento dell'Idolatria. Altrimenti non si dovrebbe solo pensare che i Discepoli di quei 70 fossero stati inviati a guarire una malattia fisica, ma anche supporre che Paolo, Barnaba e Apollo avessero frequentato le sinagoghe, le aule e i piani alti, in una continua battaglia verbale con gli ebrei sulle Scritture, in cerca di opportunità per mostrare le loro abilità mediche nella guarigione di pazzi, di paranoici e di altri deficienti.
No! Mille volte no! Se tale fosse stato il contenuto originale della Missione cristiana, avremmo dovuto sentirne parlare qualcosa negli Atti, nelle epistole e altrove. Così com'è, regna un silenzio ininterrotto. L'apostolo non appare mai come uno scroccone, né è mai accennato al fatto che Luca, il “caro medico”, continuasse la sua pratica dopo la sua conversione. Tutti i documenti mostrano quelli uomini e i loro immediati successori impegnati come maestri e non come guaritori; la loro preoccupazione principale è con la dottrina, per illuminare la mente, non per curare né per vezzeggiare la carne.
Si conclude, quindi, con certezza che le guarigioni del Nuovo Testamento sono spirituali e apparentemente spirituali soltanto, e in particolare che la cacciata dei demoni simboleggia il rovesciamento dell'Idolatria, la disfatta degli dèi pagani. Una conferma sorprendente di questa interpretazione si trova nell'osservazione che nei vangeli non incontriamo nessun indemoniato in Giudea, sebbene in Galilea fossero “numerosi come foglie autunnali che cospargono i ruscelli a Vallombrosa”. La ragione sembra ovvia. La Galilea era pagana almeno per metà ed è l'emblema del paganesimo, “Galilea dei Gentili”, in cui “il popolo dimorava in terra e ombra di morte” (Matteo 4:15 da Isaia 9:1-2); ma la Giudea era la dimora del monoteismo, la terra dell'Unico Dio YHVH. Se i demoni avessero figurato solo per le cause delle malattie fisiche, non per gli dèi pagani, ci sarebbe stata ogni ragione per trovarli in Giudea tanto frequentemente quanto in Galilea, e per espellerli in massa.
Non meno che un pensatore come T. H. Huxley scrive così del principale miracolo sinottico: “Quando una storia come quella sui maiali gadareni si pone davanti a noi, l'importanza della decisione, che sia accettata o respinta, non può essere sopravvalutata”. Si noti che è con lui solo un problema di accettazione o di rifiuto; la questione del significato del prodigio non viene sollevata. [5]
Ma non appena riconosciamo la natura parabolica della storia, ogni discussione sull'accettazione o sul rifiuto cadono fuori considerazione. Abbiamo a che fare con idee, non con fatti biografici. Come pure parlare di un'accettazione o di un rifiuto della parabola del Figliol Prodigo.
Ancora di più, se i demoni simboleggiano divinità pagane, allora nel vangelo il rovesciamento di quei dèi, la redenzione dell'umanità dal loro dominio, si rappresenta come l'attività principale del Salvatore Gesù e il compito principale per i suoi Discepoli, la preoccupazione principale di tutta la sua missione — che sembra precisamente come dovrebbe essere e soddisfa ogni richiesta di buon senso. Ma se i demoni non rappresentano falsi dèi ma sono meri nomi di presunte cause spirituali di malattie e anomalie familiari, allora il vangelo è libero da ogni allusione all'Idolatria, di gran lunga il peccato supremo dell'Epoca, ma a cui la missione del Salvatore dal Peccato non fa alcun riferimento di sorta! Questo sembra bizzarro e del tutto assurdo. Il Vangelo della Salvezza dal Peccato deve aver alluso al Peccato principale, cioè, all'Idolatria: quindi i suoi demoni devono significare falsi dèi o idoli.
Ancora un'altra testimonianza eloquente del vero significato dei demoni si trova nel quarto vangelo — che li ignora completamente! Spiccano per la loro assenza. La spiegazione non è lontana da cercare. Come tutti sanno, questo vangelo tende a favorire i gentili ovunque sia possibile. Parlare di divinità pagane come demoni significherebbe tracciare una linea di distinzione estremamente complementare all'ebreo, e questo l'autore (che potremmo chiamare Giovanni) era indisposto a fare. Da qui egli evita ogni riferimento ai demoni o all'esorcismo, sebbene quelli fossero il tema dei sinottici! Sarebbe molto difficile da capire se quei demoni figurassero semplicemente per influenze invisibili che causavano malattie corporee, e se il loro esorcismo significasse semplicemente la guarigione di tali malattie, senza alcuna allusione alle divinità pagane; laddove tutto si spiega da sé riconoscendo i demoni come simboli degli dèi oppure degli idoli e il loro esorcismo come il rovesciamento del politeismo pagano.

3. EVENTI SIMBOLICI 

Lo stesso si potrebbe dire degli altri miracoli. Sono simboli della Salvezza dal paganesimo, operata tramite la promulgazione della religione monoteista di Gesù. In quanto tali sono eloquenti, impressionanti e talvolta belli; come fatti di una Biografia personale, sarebbero assurdità impossibili. La Conversione [6] dei gentili è il tema dei vangeli dal primo all'ultimo, non  solo nei Miracoli, ma anche nei Detti, nelle Parabole e negli Episodi. Molto spesso troviamo contrapposti l'ebreo e il gentile, come (Luca 10:38-42) nell'episodio delle due sorelle, Marta (l'ebrea), Maria (la gentile), nella parabola del Figliol Prodigo (che è palesemente paganesimo, mentre il Figlio Anziano è l'ebraismo, come in effetti i Padri percepirono e ammisero — Luca 15:11-32), nel Detto “molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi” (Marco 10:31 e paralleli), nella parabola del Ricco (Israele , l'ebreo, ricco del favore e dei doni di Dio) e del Mendicante (Lazzaro, disprezzato paganesimo — Luca 16:19-31). La più squisita di tutte è forse la storia (Luca 7:36-50) della Donna Peccatrice con la sua ampolla d'alabastro di unguento prezioso, che chiaramente simboleggia il Paganesimo Pentito. (Nella profezia dell'Antico Testamento l'Idolatria e l'Adulterio sono termini quasi intercambiabili). Accettare questo racconto così com'è, equivale ad oltraggiare il buon senso e a spingere il puro letteralismo moderno oltre l'orlo dell'assurdo. Nella narrazione evangelica l'antica e altamente poetica immaginazione cristiana ha costruito un tempio splendente e imponente di  Verità puramente Simbolica.
 La necessità di questa interpretazione simbolica dei vangeli fu esposta pienamente  per la prima volta ed enfatizzata in Ecce Deus (1911) [7] benché riconosciuta dallo scrittore in Der vorchristliche Jesus (1906) e persino alcuni anni prima. È un merito principale dei lavori successivi di Loisy insistere fortemente su di essa. Gli antichi stessi percepivano chiaramente che un significato allegorico era presente e costituiva il significato principale dei vangeli — come potremmo dimostrare con abbondanti citazioni dai Padri — ma non percepivano o almeno non riconoscevano l'ovvio corollario, che ammettere il contenuto simbolico equivaleva a rigettare il contenuto storico; perché sarebbe abbastanza ridicolo supporre (ad esempio) che una Donna Peccatrice fosse realmente passata per tutte quelle azioni, al fine di simboleggiare il Paganesimo Convertito! Altrettanto si può dire di ogni singolo elemento emblematico dei vangeli. È la creazione cosciente e deliberata di una fantasia poetica che avrebbe presentato la Lieta Novella, l'Eterno Vangelo, il Grande Messaggio del cristianesimo primitivo, in una veste vivida e pittoresca, impressionante ed edificante soprattutto per l'immaginazione orientale. 

4. DOGMA DRAMMATIZZATO

Il vangelo, infatti, nella sua forma storico-personale, l'intero vangelo biografico, era una concessione alla debolezza della natura umana e in particolare di quella pagana; era fatto per i gentili a causa della loro durezza di cuore, della loro ottusità di comprensione di una tale Verità spirituale; era eccellente “latte per bambini in Cristo”, che non avrebbero potuto sopportare del solido cibo, la carne per uomini, come dice l'Apostolo, dopo aver dichiarato che aveva “ritenuto infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1 Corinzi 2:2, 3:1-2): “Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido”. E in tutto questo, cosa c'era da meravigliarsi? Niente di niente. L'idea di Israele Idealizzato, Spiritualizzato, Universalizzato, del Genio Individualizzato di una Razza, del “Giusto servo di Jahvè”, condannato a morte e umiliato, ordinato alla Resurrezione e alla gloria celeste, l'offerta di colpa per i peccati di tutto il mondo, il portatore di torcia per Dio stesso, la Sua Luce per illuminare i gentili — tutto questo era stato afferrato e impresso sulle pagine della profezia dal genio di un Secondo Isaia ben cinque secoli prima. Eppure rimase  ciò nonostante una concezione superlativamente audace e difficile, su cui l'intelligenza comune di quel tempo e di quel clima doveva certamente vacillare e inciampare.
Inoltre, anche la resurrezione puramente spirituale di Israele e la sua glorificazione come Capo Religioso di tutta l'Umanità era una dottrina estremamente facile da fraintendere e pervertire nella presunzione di qualche esaltazione materiale e politica degli ebrei come Capi delle nazioni, come i dominatori degli uomini — una presunzione aberrante per i pagani e da non tollerare per un solo istante. Era necessario, quindi, se il meraviglioso messaggio di Salvezza doveva essere predicato con successo in un mondo perduto e rovinato, presentarlo in una Forma semplificata, semplice, comprensibile, dinanzi a cui la mente pagana non si sarebbe ritratta o ribellata, ma che avrebbe ardentemente afferrato e gioito. C'era uno e un solo espediente in grado di soddisfare la necessità della situazione e allo stesso tempo stare a portata di mano: e quell'espediente era seguire il precedente di Isaia, così nativo e familiare per la mente ebraica, così attraente per la fantasia orientale, e presentare il Servo Giusto, il portatore della Torcia, la Luce per i Gentili, come un Uomo, un figlio sofferente della terra, “lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Ebrei 4:15).
Tale (come crediamo sarà visto in maniera sempre più convincente in futuro) appare essere l'Origine e l'Oggetto del racconto evangelico, un'origine perfettamente naturale e un degno oggetto religioso, un espediente che era quasi obbligatorio sotto le condizioni reali. Che i missionari, gli stessi Apostoli, lo riconoscessero come un semplice mezzo, un espediente temporaneo, è evidente da espressioni come “latte per bambini”, già citata, e altre dal significato simile. Ora alla fine, a quanto pare, è giunto il momento di “smettere le cose da bambino” (1 Corinzi 13:11). Sicuramente il mondo cristiano non deve rimanere sempre un bambino che sbatte le palpebre alla luce e portato in giro indifeso tra le braccia di preti ignoranti e dignitari ecclesiastici addobbati in maniera principesca. Inoltre, come il “Giusto Servo” doveva essere il portatore di torcia di Jahvè, la Sua Luce per illuminare i gentili, per insegnare loro le verità supreme del monoteismo e il culto e la morale monoteista, di necessità Gesù, che impersona quella “luce vera che illumina ogni uomo che viene nel mondo”, fu raffigurato preminentemente come il grande Maestro, e sulle sue labbra fu posta tutta la più elevata Sapienza che si sarebbe potuta raccogliere non solo dalla Legge, dai Profeti, dai Testi, e persino dai Detti dei Padri, ma anche dalla filosofia greca, che rivestiva d'argento l'intera nube oscura della vita sensuale che si estendeva attorno alle rive del Mar Mediterraneo.
Se quei  miracoli e quei detti entreranno a far parte di una biografia, spesso un episodio deve essere fabbricato semplicemente come cornice o contesto per il miracolo o per il detto — una pratica in grande favore anche oggi. 

5. NESSUN ALTRO SIGNIFICATO NECESSARIO 

Quando a tutto quanto sopra aggiungiamo la forte corrente della speculazione e del misticismo gnostico e filonico che scorre per il quarto vangelo, l'intero contenuto del Grande Quarto Vangelo è posto in ordine ed è spiegato nella sua più ampia struttura. Sembra che non ci sia un solo dettaglio dei quattro vangeli che non diventi ragionevolmente chiaro e comprensibile nella luce e nell'ambientazione dell'esposizione precedente. Viceversa, non c'è un solo episodio o detto evangelico che sia reso più comprensibile tramite l'assunzione di un personale Gesù storico.
Non vi è, allora, un'occasione per applicare il Principio di Parsimonia, il Rasoio di Occam? Vieta l'introduzione di supposizioni o principi di spiegazione non necessari (Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem). Ora sappiamo per certo che alcuni dei resoconti evangelici, in realtà molti, furono inventati per adempiere alle Scritture ebraiche: gli episodi sono incredibili in sé stessi, ed è espressamente dichiarato che essi erano designati per adempiere alcune Scritture antiche — il cui vero riferimento è ad ogni caso completamente e incommensurabilmente un altro. Il principio accettato di Occam, allora, ci comanda di applicare questa forma di interpretazione al maggior numero possibile di racconti evangelici, e ci proibisce di applicare ogni altra modalità di interpretazione (come quella per cui il racconto in questione sarebbe stata la leggenda esagerata di qualche evento reale) fino a quando non sia stabilita l'impossibilità di applicare l'altro metodo — già approvato.

NOTE

[1] Proprio altrettanto sembra essere virtualmente ammesso dal prof F. C. Burkitt (“L'uso di Luca di Marco”, in The Beginnings of Christianity, 2 (1922), pag. 106-120), sebbene in termini estremamente cauti.

[2] Persino Klausner è costretto ad ammettere, “Così la storia crebbe da vangelo a vangelo” (Jesus of Nazareth, 337).

[3] R. Bultmann, un rappresentante del metodo “formgeschichtliche” dello studio del Nuovo Testamento, ha dato un lavoro magistrale su The History of the Synoptic Tradition (Die Geschichte der synoptischen Tradition, 1921). Alcune delle sue frasi possono essere annotate, pag. 227 — “I vangeli sono leggende del culto”.  Sorsero da un sentito bisogno dei pagani convertiti. “Si aveva bisogno di una leggenda del culto per il Signore del culto cristiano”. “Lo schema del mito di Cristo aveva bisogno per il suo vivido avvistamento della congiunzione con la tradizione sulla storia di Gesù”. E così fu congiunto nonostante “la sua mancanza di dati biografici”. Il lavoro del professor Bultmann non comprometterebbe per un solo momento la storicità del Nazareno, eppure inevitabilmente ci vuole un passo molto lungo in quella direzione. Il candido riconoscimento dei vangeli sinottici come composti in misura quasi esclusiva di elementi “formativi”, “secondari”, “leggendari” — in una parola, di elementi puramente fittizi, offre un colpo micidiale a tutte le teorie dei vangeli come documenti storici; di nessun aspetto si può tranquillamente affermare che sia primitivo o storico. Lo stesso Bultmann è capace solamente di “supporre che ci fosse un antico rapporto che raccontava tutto sommariamente dell'arresto, della condanna e della morte. Questo fu adattato in diverse fasi, in parte con storie già a portata di mano, in parte con formazioni appena fabbricate”. (pag. 199). La domanda è inevitabilmente — Anche concedendo questo “antico rapporto”, fu un ricordo di un fatto storico, oppure era l'oggettivazione di una fase precedente della nascente coscienza cristiana?

[4] Osserva qui che l'astratta “Salvezza” è distintamente personalizzata.

[5] Proprio così, Martin Lutero avrebbe gettato IV Ezra nel fiume Elba — perché non poteva accettare le sue rivelazioni alla lettera!! Alcuni dei Padri della Chiesa effettivamente hanno percepito e persino confessato la necessità di un'interpretazione spirituale o allegorica di molte Scritture del Nuovo Testamento, ma i loro profondi giudizi furono graziosamente perdonati dai loro successori come infelici speculazioni.

[6] Lascia che il lettore si fermi un momento e consideri: Quale altra conversione religiosa del Pagano era possibile se non dal politeismo al monoteismo? Quale altra conversione fu effettivamente realizzata? Indubbiamente il miglioramento morale è andato avanti con questa conversione, ma la moralità era sicuramente una considerazione molto secondaria; mai avrebbe potuto ispirare una propaganda religiosa universale.

[7] Il Theologischer Jahresbericht Vol. 31, pag. 340 nel recensire Ecce Deus, dice “Soprattutto è nella dimostrazione dell'originaria natura esoterica del cristianesimo, e quindi della necessità di un'interpretazione simbolica molto più approfondita dei vangeli, che risiede il valore permanente del grande lavoro di Smith”, si veda pag. 132.

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