domenica 28 ottobre 2018

La Nascita del Vangelo — Testimonianza Relativa

L'Ordito e la Trama Simbolici 

CAPITOLO CINQUE

TESTIMONIANZA RELATIVA 

1. ISRAELE IL FIGLIO DI DIO 

1. Il Pensiero Più Antico

 Al portale della storia ebraica (Esodo 4:22) si trova questo nobile pilastro della fede e della speranza di un popolo: “Dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito” (B'ni B'kori Israel). Allo stesso modo leggiamo nel salmo 89:27, “Io inoltre lo costituirò mio primogenito”, e nel capitolo generoso di Geremia, “sono diventato un padre per Israele, ed Efraim è il mio primogenito” (31:9). La nozione è espressa indirettamente un centinaio di volte, sebbene difficilmente con meno enfasi. Si potrebbe davvero dire che regna sia nella Letteratura che nella Vita di Giacobbe. Col passare del tempo, riecheggiò di anima in anima e ispirò lo spirito ebraico ai suoi più alti e ampi voli di fantasia, alle sue azioni più audaci di eroismo e di avventura, e soprattutto alla sua trionfale pazienza e fortezza sotto le persecuzioni di circa 3000 anni.
Abbiamo già notato e citato più di una volta il famoso oracolo di Osea: “Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d'Egitto” (11:1), così come il sentimento sorprendente nei Salmi di Salomone, “La tua correzione su di noi è come si corregge un figlio primogenito unigenito” (18:4), dove l'espressione è rafforzata dall'inserimento di unico — ad un certo costo logico, poiché un Figlio Unigenito sarebbe naturalmente il primogenito. È interessante notare che la stessa aggiunta, “Tuo primogenito, Tuo unigenito, si trova in 4 Esdra — sarà discussa in seguito — dimostrando in tal modo quanto ancor più profondamente la concezione stesse ardendo nel cuore e nella mente della Nazione. In effetti, possiamo dire con sicurezza che senza la continua e attiva presenza di questa Idea, l'intera storia della Razza ebraica diventerebbe un mistero, un enigma insolubile, anzi di più, sarebbe stata inconcepibile.
Compreso così tanto, ci chiediamo: agli ebrei di quel giorno o secolo, il primo della nostra era, era possibile pensare e parlare abitualmente del Figlio di Dio, il “Figlio del Suo amore”, senza pensare allo stesso tempo ad Israele, Unico Figlio di Dio, Primogenito? Infatti ricorda, secondo il Nuovo Testamento e specialmente secondo la raffigurazione greca, i Discepoli erano nazionalisti entusiasti e patrioti religiosi. Il “Regno dei Cieli”, qualunque altra cosa potesse significare, certamente implicava nelle loro menti la restaurazione (apokatastasis) di tutte le cose (Atti 3:21) e la glorificazione della vita nazionale degli ebrei. Le affermazioni di essere il Messia (il Cristo) e l'Ingresso trionfante a Gerusalemme implicano entrambi uno splendido Stato Messianico ebraico — così tanto come minimo.
Inoltre, la domanda contenuta in Atti 1:6 è esplicita ed impossibile da fraintendere: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”. Con ciò non si afferma che ciascuno di quei presunti episodi sia strettamente storico. Siamo interessati solo al fatto indubitabile che essi certamente manifestano la mente e il temperamento dei primi Discepoli, che è l'unica cosa in esame al momento. Potremmo ad esempio approfondire gli inni e i discorsi di Luca 1 e 2, così come vaste parti dell'Apocalisse. Così, nell'inno di Maria in Luca, “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre” (1:14). Allo stesso modo l'angelo annunciante: “Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (1:32) — di cui tutto è una personalizzazione del ristabilimento dello Stato di Israele. Parimenti, la profezia di Zaccaria, “Benedetto il Signore Dio d'Israele, ... perché ha visitato e redento il suo popolo, ... e ha suscitato per noi una salvezza potente ... nella casa di Davide, suo servo, ... salvezza dai nostri nemici, ecc.” (1:68, 71, ecc.). Ancora una volta, l'Inno degli Angeli, “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra tra gli uomini [1] che egli ama(2:14). La frase in corsivo non può significare altro che israeliti; per secoli solo loro erano stati gli “uomini che Dio ama”.
Chiediamo, quindi, ancora: quelli israeliti zelanti, ardenti di passione per “la gloria del Tuo popolo Israele” (Luca 2:32), possono aver parlato abitualmente del Figlio di Dio senza ricordare che “Mio Figlio, il mio Primogenito è Israele?”
Questo non è tutto, comunque. La Divina Figliolanza d'Israele, intesa nel senso indicato, non era solo un tropos poetico ammissibile, familiare al discorso e al pensiero del Popolo eletto, ma in quasi ogni altro senso la locuzione “Figlio di Dio” avrebbe potuto trovare poco favore presso il pio ebreo monoteista, avrebbe saputo troppo fortemente dell'odiato politeismo che lo circondava. Come è noto, la solidarietà della Razza, la continuità di una generazione con un'altra, era un caro articolo dell'antico credo ebraico. I genitori si sentivano come prolungamenti di antenati lontani e come se passassero senza interruzione nei loro lontani discendenti — una sorta di filosofia cosmica inconscia, che difficilmente si può leggere l'Antico Testamento, in particolare nei Salmi, senza avvertirla. Parlare di questa infinita Unità Razziale — in effetti, la specie Homo theosebes (che riverisce Dio) in una allegoria come l'“Unico Figlio di Dio” non sembrava stravagante e non suggeriva alcuna perversione pagana. Ma parlare di un individuo come Unico Figlio di Dio, non importa quanto possa essere onorato o quanto possa meraviglioso, sembrerebbe una parolaccia, una blasfemia difficilmente possibile a un ebreo genuinamente religioso. Certamente non dovremmo attribuire questo linguaggio ad un pio ebreo, a meno che non sia sotto la coercizione di prove irresistibili. Esistono prove del genere? La risposta è diretta e inequivocabile: Non ve n'è traccia alcuna. 

2. La Visione Successiva (Vangeli)

Qualcuno dice che la frase “figlio unigenito” è usata in un doppio senso? Non è questo piuttosto un sotterfugio arbitrario? O che ci sia qualche unione mistica di tutti i credenti nell'unico Cristo? Concesso — Ma questo non può mai spiegare l'identità dei credenti con una singola persona Gesù il Cristo; molto meglio però se il Cristo è una Collettività i cui costituenti sono i Credenti. Considera questo semplice sillogismo: Gesù il Cristo era ed è il SOLO Figlio (o Figliolo) unigenito di Dio; ma anche OGNI vero credente è un figliolo unigenito di Dio; Il Concetto Collettivo del Cristo non dispensa questo sillogismo del suo paradosso imbarazzante? Esattamente questa relazione è ciò che vale tra Israele l'Unico Figlio di Dio e i singoli israeliti. Se poi ci fosse qualche virtù nella logica, sembra che il Cristo l'Unigenito del Padre sia lo stesso Israele il Primogenito, l'Unico Figlio di Dio. L'unica differenza risiede nella mente di Salathiel chiamato Ezra e dell'evangelista cosiddetto Giovanni, cioè: quest'ultimo ha ampliato ed eterealizzato il concetto di Israele in un Israele di fede piuttosto che di lignaggio e di Legge.
A dire il vero, nel simbolismo biografico del Nuovo Testamento, in particolare del vangelo, Gesù il Cristo è presentato come un individuo e tuttavia come il Figlio di Dio — testimonia la notevole confessione di Simon Pietro a Cesarea di Filippo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16:18, altrimenti in Marco e in Luca); ma tutto questo (come già così ampiamente esposto) è solo una questione di forma didattica popolare.
Ora lascia che il lettore consideri quanto sia assolutamente impossibile come Storia reale l'episodio di Cesarea, almeno le parole attribuite a Simone (solo in Matteo). Pensa ad un ebreo nutrito quotidianamente dallo Shema (Deuteronomio 6:4) — “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo — pensa alla sua proclamazione di un rabbino errante come il “Figlio di Dio”, pur sapendo che “Mio figlio, il Mio Primogenito, è Israele”! Chi può immaginarlo?
D'altra parte, non appena affrontiamo onestamente la situazione storica di quel giorno, riconoscendo che solo Israele era conosciuto da mille anni come il Figlio di Dio e il suo Unto, il suo Cristo, la cui santa missione era “illuminare i gentili”, riscattare e salvare il mondo, subire le più crudeli persecuzioni fino alla morte, e infine essere esaltato spiritualmente al Trono del giudizio universale e del dominio — riconoscendo anche che tutto ciò era familiare ai primi cristiani, assieme con l'impellente bisogno di una personificazione illustrata per catturare l'immaginazione pagana nell'insegnamento — non appena intravvediamo pienamente e chiaramente tutta la situazione degli Apostoli e dei Missionari del Monoteismo, ecco! ogni cosa rientra al suo posto nell'ordine naturale, e noi assistiamo ad un lucido,  razionale, auto-coerente, tuttavia notevole,  Tutto Allegorico. 

3. La Sfumatura Gnostica (Colossesi ed Efesini) 

In conclusione, un singolo esempio della luce si diffonde così anche su regioni così lontane come l'epistola ai Colossesi: “ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, ecc.” (1:12-15).
È noto che questa stupefacente Epistola abbia confuso i commentari per 1700 anni. Certamente è gnostica e mistica, ma cos'è “il mistero che è stato nascosto per tutti i secoli e per tutte le generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi” (1:26), questo mistero di cui lo scrittore ha così tanto ancor più di misterioso da dire? Possiamo solo mirare all'enigma, ma anche uno sguardo potrebbe dirci molto. Nell'epistola parallela agli Efesini leggiamo, “voi (non circoncisi) eravate in quel tempo senza Cristo, estranei dalla cittadinanza d'Israele ... Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini ...” (2:12). Osserva che Cristo e la cittadinanza di Israele sono qui usati come equivalenti, e ora si ritorni al passo di Colossesi: Qui viene descritta la stessa Conversione dei gentili — “il Padre ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce”. Qui i “Santi” sono il Popolo Eletto di Israele come ovunque nella Sacra Scrittura, che brulica letteralmente anche di “eredità” e dei suoi termini affini, come in Geremia 12:14: “l'eredità da me data in possesso al mio popolo Israele”.
Con l'evangelizzazione (o il proselitismo) ai gentili si fa prendere parte all'eredità di Israele; con ciò vengono portati nella “luce”, “liberati dal potere dell'oscurità (idolatria pagana) e trasferiti nel Regno del Figlio del suo amore”, cioè, nella “cittadinanza del (nuovo spirituale) Israele”, che è qui chiamato “il Figlio del suo amore”. Un'espressione sorprendente, ma ora perfettamente chiara. Israele (come abbiamo visto) è il Figlio Unico di Dio, e come tale è l'oggetto particolare del Suo amore unico ed eterno; l'Antico Testamento semplicemente trabocca di questa idea; dice Gunkel (già citato), “la splendida glorificazione di Israele, che è l'obiettivo finale dell'amore di Dio”.
Questa locuzione “Figlio del suo amore” non consentirà altre interpretazioni. Assumere qualsiasi riferimento ad un immaginario rabbino di Galilea è psicologicamente fuori questione. Dove nei vangeli, perfino nel quarto, Dio mostra qualche amore insuperabile per il Gesù? Dove c'è, in verità, qualche amore? No, è soltanto nella Storia di Israele (come in così tanti salmi, 89, 103, 105, 136, ecc.), di un Israele sostenuto attraverso secoli di calamità e infine trasfigurato, glorificato come il Portatore della Fiaccola di YHVH per i gentili, soltanto là Dio rivela il suo amore per suo Figlio, “il Figlio del suo amore”. Si noti inoltre (Colossesi 1:15) che questo Figlio è l'Immagine del Dio Invisibile (come anche in 4 Esdra 8:44), un'altra idea che pervade la letteratura ebraica, che riconosce Israele come la più alta, se non l'unica, forma di umanità vera e propria, e quindi come l'Immagine speciale di Dio.
Neanche questo è ancora tutto. Il Figlio è “il Primogenito di tutta la Creazione” — un altro predicato di Israele, come in “Tuo primogenito, Tuo unigenito” di Quarto Esdra, “era per noi che avevi creato questa prima età”, “Così è anche la parte di Israele. Infatti è per loro che ho fatto il mondo” (6:58, 55, 7:11); testimonia anche l'Apocalisse di Baruc (14:19), e in particolare l'Assunzione di Mosè (1:12): “Perché ha davvero creato il mondo per il bene del suo Popolo, ma quello stesso (Popolo), la Primizia della Creazione (eam inceptionem creaturae), ecc.”, dove, circa all'inizio della nostra era, troviamo quasi esattamente la frase di Colossesi applicata al Popolo d'Israele.
Col passare del tempo, naturalmente, le rivendicazioni del Popolo Eletto divennero sempre più grandi e più elevate: in un primo momento la loro “eredità” includeva solo Canaan con forse un margine di sicurezza nelle terre vicine; di là si diffuse nell'immaginazione profetica e ancor più nell'immaginazione apocalittica su tutta la terra. La “primizia della creazione” o “il primogenito di tutta la Creazione” è solo un gradino più alto in una scala elevata.
Il lettore naturalmente non dimenticherà che l'Israele delineato così maestosamente benchè misticamente in quelle due epistole gnostiche non è affatto il minuscolo Israele di Giudea o Palestina o persino della Diaspora. Come ripetuto così spesso, ma non troppo spesso, è l'Ideale Israele, l'Israele dell'entusiasmo religioso, personificato e universalizzato come il Cristo Salvatore, il Figlio dell'Uomo, il Figlio di Dio, “raffigurato” come sacrificato sulla Croce romana, non solo per espiare i peccati di tutta l'umanità, ma ancora di più per abbattere tutte le barriere, come la Legge mosaica, tra le Razze e unire tutta l'Umanità nell'unica Cittadinanza d'Israele, nell'unico Cristo il Capo ma anche il Corpo.
Si è visto che l'immaginazione degli scrittori di epistole ha corso davvero riottosamente lontano, ma le redini guida del pensiero tradizionale dell'Antico Testamento non sono state completamente distese a mani libere sul collo dei cavalli. Anche un passo del genere come Colossesi 2:11, forse il più difficile del Nuovo Testamento, può ora essere trovato in grado di fornire qualche significato comprensibile: “avendo quindi spogliato [2] da sé stesso le potestà e i principati, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro in essa” (la Croce). Lo scrittore avrebbe caratterizzato la rinuncia (“avendo quindi spogliato”) di tutte le ambizioni materiali e delle speranze politiche di Israele, di tutte le pretese alla signoria fisica del mondo, ai suoi “principati” e ai suoi “poteri” (come promesso nel salmo 2:8: “io ti darò le nazioni come tua eredità e le estremità della terra per tua possessione. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai”). A tutto ciò il Cristo, l'Israele Spirituale, il Figlio dell'Amore di Dio, rinunciò apertamente — tale è il pensiero del testo — accettando invece l'onore molto più elevato della Crocifissione (nella carne) per mani romane (la Morte dello Stato di Israele)  assieme alla Guida religiosa di tutta l'umanità — una luce per illuminare tutti i luoghi oscuri della terra.

 2. QUARTO ESDRA E IL FIGLIO DI DIO

 1. Introduzione 

L'opera nota come Quarto Ezra (a volte come Secondo Esdra) è una delle più franche e più sane nonché una delle produzioni più poetiche del pensiero apocalittico — si potrebbe anche dire del pensiero ebraico. Consiste di sedici capitoli, di cui i primi due e gli ultimi due possono essere ignorati come aggiunte — il primo certamente e l'ultimo probabilmente da mani cristiane. Scritta in ebraico, sembra essere stata tradotta in greco e più tardi in latino e in altre lingue “barbare” come siriano, arabo, armeno, etiope, ecc. Sfortunatamente sia la versione ebraica che quella greca sono scomparse. Le guerre romane, in particolare i disastri dell'anno 135 E.C., furono seguite da una reazione molto forte nella Sinagoga — l'unica restante dimora dell'Anima Razziale — contro tutte le Apocalissi (così totalmente screditate dagli eventi), e di conseguenza l'originale in ebraico scomparve; una reazione non solo, tuttavia, contro l'Apocalittica, ma anche contro l'ellenismo come nemico dell'ebraismo autentico, e così la traduzione greca svanì a sua volta. Ma la comunione cristiana ricevette le Apocalissi a braccia aperte e con il cuore, modificandole qua e là per adattarle alle proprie nozioni e scopi. Tuttavia la vicina teologia greca divenne ostile, poiché non vi annusava la filosofia ellenica che tanto amava, ma piuttosto la mitologia orientale che essa aborriva. Quindi le Apocalissi scomparvero in una certa misura dal linguaggio culturale dei greci, sebbene persistettero nelle altre traduzioni sopra menzionate (Gunkel).

2. Dialoghi con la Divinità 

Il quarto Ezra (cosiddetto) condivise la sorte del suo gruppo, pur meritandosi un destino più gentile. Le varie versioni hanno attirato l'attenzione degli studiosi più abili e hanno provocato non pochi tentativi ingegnosi di restaurare, almeno in parte, la resa greca e persino la sua base ebraica. Con questa splendida mostra di apprendimento, abbiamo qui poco o niente a che fare. Basta per noi ora che il libro si apre (capitolo 3) con l'autore “Salathiel chiamato anche Ezra” (che suggerisce fortemente una revisione o una combinazione) in Babilonia (Roma), sdraiato sul suo letto in angoscia alla vista (o pensiero) di Sion in rovina, con la popolazione di Babilonia che si diletta nelle ricchezze; e nella sua angoscia prega seriamente, con veemenza e senza stravaganza, all'Altissimo, posando davanti a Lui, con molte suggestioni di Giobbe, il Paradosso della Storia: il Benessere dei Corrotti, la Sofferenza dei Santi — questi ultimi naturalmente gli ebrei. “Forse che Babilonia si comporta meglio di Sion? O Ti ha conosciuto un altro popolo, oltre a Israele?”, “soppesa sulla bilancia le nostre empietà e quelle di coloro che abitano il mondo, e si vedrà da quale parte essa inclina”, “Troverai sì dei singoli uomini che li abbiano osservati, ma certo non dei popoli!” (6:31, 34, 36).
Tale la denuncia patetica ed eloquente della sua Ragione; la risposta proviene, naturalmente, dal suo stesso sé religioso, ma sotto il nome di un Angelo Uriel inviato da Dio dal cielo. “Con l'animo così turbato per questo mondo, vorresti comprendere i disegni dell'Altissimo?” (4:11). Ci viene in mente Faust: “Tu somigli allo spirito che tu comprendi, non a me”. Chiaramente è di nuovo il racconto di Giobbe, ma in quei capitoli è dichiaratamente la Passione di Israele che lacera il cuore dello scrittore, l'apparente assurdità di un Dio che sceglie un Popolo da tutta l'eternità come Suo, che crea il mondo per amore di Israele Suo Figlio, che onora il suo Popolo unico con la conoscenza unica di Sé Stesso e della Sua Legge — e poi abbandona tutti loro alla mercé dei senza Dio e alla persecuzione degli empi pagani! Nessuna meraviglia che esclami: “Perché, o signore? E perché allora sono nato, e perché il grembo di mia madre non è diventato per me un sepolcro, in modo che non vedessi la fatica di Giacobbe, e la stanchezza della stirpe di Israele?” (5:35). Notiamo di passaggio e dobbiamo rammentare che Esdra è completamente assorbito nel suo Popolo e parla per loro. Come così spesso nei Salmi, l'“Io” è “collettivo” e rappresenta Israele. Allo stesso modo, nelle risposte di Uriel, “Tu” significa la Razza di Giacobbe.
Di nuovo l'Angelo, che rappresenta l'Altissimo e parla per Dio Stesso, è al suo fianco per aiutarlo, per assicurargli l'infinito amore di Dio per Israele come Sua propria cura suprema, eterna e quasi esclusiva. Così procede la dialettica, con il graduale dispiegarsi di una teodicea, di un tentativo sincerissimo per “giustificare le vie di Dio all'uomo”. I dettagli si potrebbero tralasciare, specialmente perché lo schema non riesce a soddisfare neppure lo stesso veggente, ma si deve notare che la Fine deve essere preceduta da innumerevoli “segni” incredibili, e tuttavia, con la sua soluzione dell'enigma della Storia, è quasi alle porte, e anche che la pietà del Veggente a volte supera i confini di Israele e lambisce le schiere dei pagani (apparentemente un'influenza di Isaia o cristiana). “Il cuore degli abitanti della terra verrà cambiato, e sarà mutato in un altro spirito;  infatti il male verrà distrutto, e la frode si estinguerà, mentre la fedeltà fiorirà, la corruzione sarà vinta, ed apparirà la verità, che era rimasta senza frutto per tanto tempo” (6:26-28) — che potrebbe benissimo riferirsi al trionfo mondiale del monoteismo.
Ma nella “terza visione” il Veggente riprende la protesta: “Tu hai detto che era per noi che avevi creato questa prima età, he invece le altre genti, nate da Adamo, non contavano niente, e che erano come uno sputo (LXX), e la loro quantità l'hai paragonata ad una goccia che stilla da un vaso (Isaia 40:15). Ma ora, o Signore, ecco che queste genti che erano considerate nulla ci dominano e ci calpestano, mentre noi, il Tuo popolo, che Tu hai chiamato Tuo primogenito, Tuo unigenito, pieno di zelo per Te, il Tuo più caro - siamo consegnati nelle loro mani! Se questa età è stata creata per noi, perché questa nostra età non la possediamo in eredità? Fino a quando durerà tutto ciò?” (6:55-59).
Qui la Coscienza di Israele si rivela con una luminosità accecante. E quale risposta ha l'Angelo? “C'è una città costruita e posta in luogo incolto, ma piena di ogni bene. Il suo ingresso, però, è stretto, e posto in un dirupo tale che a destra c'è fuoco, e a sinistra acqua profonda. Tra di essi, cioè fra il fuoco e l'acqua, è collocata una strada sola, tale da poter contenere, quella strada, soltanto un'orma umana alla volta. Ma se questa città venisse data a qualcuno in eredità, come potrà l'erede ricevere la sua eredità, se non sarà passato attraverso il pericolo posto dinanzi a lui? ... Così è anche la parte di Israele. Infatti è per loro che ho fatto il mondo, ma quando Adamo trasgredì i miei comandamenti, quel che era stato fatto venne giudicato, e gli ingressi per questo mondo vennero creati angusti, dolenti e faticosi, pochi e cattivi, pieni di pericoli e irti di grandi difficoltà; ma gli ingressi del mondo più grande sono ampi e sicuri, e danno frutto di immortalità. ... Perché non ti sei preso a cuore quel che dovrà accadere, piuttosto che ciò che sta accadendo ora?” (7:6-16).
Ecco, quindi, la dottrina delle Due Vie, esposta in Matteo (7:13) e l'Insegnamento (1:1-2), e molto prima da Prodico (circa 480 A.E.C.) in Eracle al bivio ma ora camuffata al di là di riconoscimento! Naturalmente, la parabola non è convincente per Esdra, a cui si fa rispondere: “Perciò i giusti sopporteranno ciò che è stretto sperando in ciò che è largo, mentre quelli che si sono comportati male hanno dovuto sopportare ciò che è stretto, ma ciò che è largo non lo vedranno” (7:18). Chiaramente non è Esdra che parla — l'Esdra dei capitoli e delle citazioni precedenti, anzi l'Anima dell'ortodossia che lotta come in tempi moderni, e altrettanto invano — ma nota la svolta nel pensiero: Non è più il fato di Israele, ma degli Empi, dei persecutori pagani di Israele, che irrita l'anima di Esdra!! Sicuramente un pretenzioso! L'Angelo risponde: “Non sei certo un giudice migliore del Signore, tu non sei più saggio dell'Altissimo. Perciò, periscano pure i molti che ora sono vivi, piuttosto che venga trascurata la legge prescritta da Dio. Dio infatti, a coloro che venivano alla vita, ordinò esattamente, quando vi venivano, cosa fare per vivere, e cosa osservare per non essere puniti; ma loro non se ne convinsero, e non gli dettero ascolto, e per sé concepirono vani pensieri, proponendosi inganni delittuosi (idoli), ed affermando per di più che l'Altissimo non esisteva; non riconobbero le Sue vie, disprezzarono la Sua legge, negarono i Suoi patti, non credettero ai Suoi precetti, e non portarono a compimento le Sue opere. È per questo, Ezra, che il vuoto è per chi è vuoto, e il pieno per chi è pieno!” (7:19-25).
È possibile leggere tali parole e non ricordare l'Apostolo in Romani (3:4), “Resti invece fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore” ? La denuncia che “tutti sono sottoposti al peccato”, con la lunga citazione dalle scritture (3:10-18)? Così come il paradosso insensibile senza cuore: “poiché a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Marco 4:25)?  In questo settimo capitolo non stiamo respirando un'altra aria? Non c'è l'atmosfera del proto-cristianesimo intorno a noi? Su questo, tuttavia, non è necessario insistere, ma potremmo continuare con il Discorso dell'Angelo: “Ecco infatti che arriverà il tempo, e sarà quando verranno i segni che ti ho detto prima, la città ora nascosta apparirà, si mostrerà la terra che ora rimane celata, e tutti quelli che siano stati liberati dai mali che ti ho detto prima vedranno i miei prodigi. Infatti si rivelerà il mio figlio il Messia assieme a coloro che sono con lui, e farà gioire per quattrocento anni coloro che saranno rimasti. E dopo questi anni accadrà che muoia il mio figlio il Messia, e tutti coloro in cui è respiro d'uomo; il mondo tornerà al suo antico silenzio per sette giorni come all'inizio primordiale, in modo che nessuno venga dimenticato, e dopo sette giorni accadrà che l'età non ancora sveglia si desterà, e perirà quella corruttibile (1 Corinzi 15:54); la terra restituirà coloro che ora dormono in essa, la polvere coloro che vi abitano in silenzio, i depositi le anime che sono state loro affidate, e si rivelerà l'Altissimo sul trono del giudizio, ecc.” (7:26-35).
Ancora una volta è l'aria del Nuovo Testamento, dell'Apocalisse in effetti, che soffia su di noi: se o in quale misura questo settimo capitolo si estendeva alla lunghezza eccessiva di 140 versi, se o in quale misura sia interpolazione, non abbiamo né spazio né necessità di discutere, ma i versi messianici (28) richiedono una segnalazione. Se questo è Esdra che parla, allora l'interesse del passo è intenso, poichè di colpo l'interrogativo si solleva, chi è questo “Christus”? La risposta difficilmente può indugiare, perché egli è chiamato “Mio Figlio”, e già in 6:58 abbiamo letto, “mentre noi, il Tuo popolo, che Tu hai chiamato Tuo primogenito, Tuo unigenito, pieno di zelo per Te, il Tuo più caro” — Sembra impossibile che, dopo questa inequivocabile definizione del Figlio Unico di Dio, egli dovesse introdurre, proprio 29 versi più tardi, senza alcun preannuncio o avvertimento, un altro “Figlio”, l'Unto (Messia) , di cui a malapena si dice un'altra parola! Inoltre, l'unica cosa che fa questo “Figlio il Cristo”, regnare 400 anni, è esattamente la sorte tanto agognata di Israele il Popolo. Infatti leggiamo in Genesi 15:13: “Il Signore disse ad Abramo: Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro: saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni”; e ancora, nel salmo 90:15 Rallegraci in proporzione dei giorni che ci hai afflitti. Da qui la nozione di Israele che regna per 400 anni. “Coloro che sono con lui” sono ovviamente l'armata celeste, e abbiamo visto che l'altro sé di Israele o fravashi, o Angelo guardiano è descritto come il Principe l'Angelo Michele (Daniele 12:1 e specialmente Daniele 10:18-21, dove la Grecia e la Persia hanno anche i loro principi o guardie spirituali). Nell'Enoc slavo (33:2), che risale a prima del 50 E.C., troviamo un periodo speciale o giorno mondiale di 1000 anni, come anche in Apocalisse 20:2, dove l'antico Serpente-Diavolo Satana è prigioniero per 1000 anni, durante il quale le anime di coloro “decapitati per la testimonianza di Gesù”, “regnarono con Cristo per mille anni” (20:4) — evidentemente una cristianizzazione dello stesso pensiero del regno di Israele. Non sembra ragionevole allora dubitare che questo passo straordinario  — se sia di Esdra — debba confermare l'interpretazione del Cristo (Messia) come essenzialmente identico a Israele — nel caso estremo, solo il Secondo Sé celeste o Principe o Angelo guardiano del Popolo.
 Se il passo è interpolato, potrebbe sembrare che perda qualche interesse, ma la testimonianza rimane indiscussa; l'interpolatore ha ancora in mente il senso dell'Esdra (di Israele come Figlio Unico di Dio, 6:58) e si limita a conferirgli una leggera sfumatura cristiana, che rappresenta stranamente Israele-Cristo come morente all'inizio del Nuovo Eone! Ciò potrebbe far trasalire in quanto impossibile  qualsiasi cristiano di oggi, ma — per non parlare delle analogie pagane — ha affinità strette e distinte anche in 1 Corinzi 15:28 : “anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti”. Non è strano che nel Compimento, nel nuovo Eone, “la restaurazione di tutte le cose” (Atti 3:21),  il Popolo di Israele dovesse morire — essere riassorbito nel Padre, Creatore di tutto. A dire il vero, una filosofia o un'escatologia molto inadeguata, eppure non senza qualche barlume di verità.
Dobbiamo tralasciare molto altro di interesse in questo strano capitolo, semplicemente dando un'occhiata alla sorprendente esclamazione del Veggente: “Cos'hai partorito, o terra! Se la Ragione (Nus, Mente) è stata creata dalla polvere con le altre creature!”. Quei versi sembrano troppo importanti da omettere, anche se a malapena sul nostro argomento. Sembra quasi di sentire la voce di alcuni olisti o Emergentisti del passato, alcuni neo-darwiniani prima di Darwin.
 La dottrina della Pena in sette modi e della Gioia in sette modi non ha bisogno di trattenerci, né il lamento del Veggente: “Cos'hai fatto, Adamo!” (7:48), né la petizione a Dio — contro la Dannazione — nel nome dei Suoi sette Epiteti di Misericordia (7:132-139) — una petizione che deve dare la pausa fondamentalista — con la terribile risposta: “L'Altissimo ha fatto questa età per molti, ma quella futura per pochi”, in confronto a “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti” (Matteo 22:14). Ma dobbiamo ancora una volta elogiare la genuina voce di protesta di Esdra (8:15): “di tutti gli uomini Tu conosci assai più di me, ma è per il Tuo popolo che io soffro, è per la Tua eredità che io mi dolgo; è per Israele che sono triste, della discendenza di Giacobbe che mi preoccupo”. Segue la meravigliosa preghiera di Esdra per il suo popolo (8:20-30) — che è dura da omettere — e la severa risposta di Uriel che paragona l'Uomo al seme seminato dall'agricoltore, con l'esortazione di Esdra a Dio: “Ma il figliol dell'uomo, che è stato plasmato dalle Tue mani, ed è stato fatto somigliante alla Tua immagine, per il quale Tu hai creato tutto, anche lui lo hai fatto simile al seme del contadino?! Non fare così, o Signore sopra di noi, ma perdona al Tuo popolo, ed abbi misericordia della Tua eredità, perché sarà della Tua stessa creazione che la avrai!” (8:45).
In questa impareggiabile supplica, per chi è la petizione? Il “Figliol dell'Uomo” [3] suona come tutta l'Umanità, ma osserva la reiterata affermazione del Veggente che era Israele “per il quale Tu hai creato tutto”, e i versi finali bandiscono ogni dubbio: “perdona al Tuo popolo, ed abbi misericordia della Tua eredità!” — quelle parole si possono applicare a Israele e a Israele soltanto. L'Angelo (Dio) replica: “Le cose presenti per coloro che sono ora, e quelle future per coloro che saranno! Ti manca molto, infatti, perché tu possa amare la mia creazione più di me” (8:46). Gunkel riferisce magnanimamente questo “balsamo meraviglioso” all'“Amore e solo Amore” che Dio sente per il “mondo intero”, ma nessun'idea del genere è nel testo. Troviamo quasi un parallelo esatto in 5:40: “così non potrai scoprire il mio giudizio, o il fine dell'amore che ho promesso al mio popolo” — e questo, Gunkel interpreta giustamente così: “Cioè, la gloriosa trasfigurazione di Israele, che è l'obiettivo finale dell'amore di Dio”. Tale, allora, è il significato — a meno che una mano cristiana non abbia alterato il testo e introdotto il termine “Creazione”, per includere il mondo gentile. L'intero spirito del testo di Esdra richiede il riferimento a Israele, ma naturalmente era l'intera tendenza del Movimento cristiano (il Prolungamento del Proselitismo), ad allargare il termine “Popolo di Dio”, per abbracciare tutti i pagani convertiti.
I “Segni della fine” sono ben noti; risalgono almeno a Babilonia, non hanno bisogno di farci riflettere sopra (9:1-13), ma è importante notare il verso 22 nella risposta dell'Angelo alla fine della terza Visione: “Perisca, perciò, la moltitudine che è nata senza motivo, ma si salvino il mio acino e la mia pianta, che ho portato a termine con tanta fatica”. Suona questo come “Amore e Amore soltanto ... per tutto il mondo”? Il caso è chiaro come mezzogiorno, che Gunkel (insieme agli interpolatori) ha involontariamente universalizzato il Veggente.

3. Visioni Simboliche

Per brevità dobbiamo passare al Leone apocalittico che nella quinta visione di Esdra travolge l'Aquila di Roma dalle molte ali, a tre teste: “Ecco che qualcosa come un leone si levò da una foresta, ruggendo, e udii come emise una voce umana in direzione dell'aquila, dicendo: Ascolta, tu, e ti parlerò. L'Altissimo ti dice: Non sei rimasta tu, dei quattro animali che avevo fatto regnare sul mio mondo, in modo che la fine dei tempi venisse per mano loro? Tu, venendo per quarta, hai vinto tutti gli animali che sono passati; hai tenuto il potere sul mondo fra grandi pene, e tutta la terra fra tremendi dolori, ... Perciò tu dovrai ben disparire, o aquila, tu e le tue orribili ali, ... in modo che tutta la terra torni a ristorarsi, liberata dalla tua violenza, e possa sperare nel giudizio e nella misericordia di Colui che l'ha fatta” (11:36-46). Quindi l'ultima delle tre teste dell'Aquila svanì, ecc.
Ma il Leone? “È il Messia, che l'Altissimo ha conservato per la fine dei giorni, che è uscito dalla discendenza di Davide, e che verrà a parlare con loro, li accuserà per le loro empietà, e introdurrà loro davanti le loro trasgressioni. Infatti deciderà prima di sottoporli da vivi al Suo giudizio, e poi, una volta accusati, li annienterà; ma il resto del mio popolo lo libererà con misericordia, quelli che si sono salvati restando entro i miei confini, e li rallegrerà finché non verrà la fine, nel giorno del giudizio del quale ti ho parlato fin da principio” (12:32-34).
Qui c'è un'apparente distinzione tra il Leone o il Cristo e “Il mio popolo”, ma è solo apparente, come nella ballata popolare, 
“Lo zio Sam è abbastanza ricco ... Per dare a tutti noi una fattoria”,
dove lo “Zio Sam” e “noi” sono uguali nonostante la distinzione. [4] Il “Leone che è della tribù di Giuda” (Apocalisse 5:5) è la stessa tribù di Giuda (il Popolo d'Israele) personificato come un Leone. Dice Giacobbe in Genesi 49:9, “Giuda è un giovane leone”. Quindi l'influenza di Israele dovrebbe essere raffigurata come un leone dalla voce umana, sotto il quale il singolo Popolo viene redento dall'oppressione e benedetto dalla gioia. Certamente non è implicato che non dovrebbero avere una guida (come Giuda Maccabeo); a dire il vero potrebbero averlo, ma ogni cosa avrebbe un significato solo nel rappresentare il Popolo nel suo complesso. È questo Popolo (se sulla terra o nel suo Secondo Sé, il suo fravashi, in cielo) che è il Cristo, preservato attraverso tutte le epoche, per essere rivelato nella gloria alla fine, se della carne o dello spirito o di entrambi. Tale è il pensiero coerente dell'autore dappertutto. Supporre che stia pensando ad una “persona soprannaturale” estranea a Israele (se non come un Sovrano imposto da fuori), l'Israele che è il fulcro di tutto il suo pensiero, equivale a supporre una pura impossibilità per il nostro autore come un uomo intelligente.
Così tanto per la famosa Quinta Visione. La sesta segue immediatamente — un altro Sogno — ed ecco! una possente tempesta in mare, e tutte le sue ondate scatenate. E la tempesta si eleva dal fondo del mare come se fosse un UOMO, ed ecco che volò sulle nubi del cielo (proprio come in Daniele 7:13). Ogni cosa tremava al suo sguardo, sì, tutte le cose si scioglievano appena udivano la sua voce, come cera al contatto del fuoco. “Dopo di ciò guardai ancora ed ecco che si riuniva una moltitudine di uomini, senza numero, dai quattro venti del cielo, per lottare contro quell'UOMO che era salito dal mare; guardai, ed ecco che lui si scolpì una grande montagna, e vi volò sopra; io cercai di vedere la zona o il luogo da dove il monte era stato scolpito, ma senza riuscirvi. Dopodiché guardai, ed ecco che tutti coloro che si erano riuniti per combatterlo avevano gran paura, ma osavano ugualmente combattere. Ed ecco che, quando vide l'assalto di quella moltitudine che veniva, non alzò la mano, non teneva la spada né alcuno strumento di guerra, ma vidi soltanto che emise dalla sua bocca come un flutto di fuoco, e dalle sue labbra un soffio di fiamma, e dalla sua lingua scintille di tempesta; tutte queste cose si mescolarono, il flutto di fuoco, il soffio di fiamma e la grande tempesta, e ricaddero sopra l'assalto della moltitudine che era pronta a combattere, ardendo tutti, tanto che d'improvviso di quella innumerevole moltitudine non si vide più nulla se non polvere di cenere e odore di fumo soltanto. Io vidi e rimasi sbalordito. Dopo di ciò vidi quell'UOMO discendere dal monte (Matteo 8:1), chiamare a sé un'altra moltitudine pacifica, e avvicinarsi a lui figure di molti uomini, alcuni dei quali gioiosi, altri tristi, altri legati, e altri che portavano di quelli che dovevano essere offerti (proseliti). Allora io, dalla gran paura, mi svegliai” (13:1-13).
L'interpretazione! “L'Uomo che saliva dal profondo del mare, egli è colui che l'Altissimo riserva da tanto tempo, attraverso il quale Egli darà la libertà a ciò che ha creato, mentre sarà Lui stesso a dare il nuovo ordine a coloro che sono rimasti. Dato che hai visto uscire dalla sua bocca soffio, fuoco e tempesta (letteralmente il tempo), e che non teneva né spada né altri strumenti di guerra, ma che annullò l'assalto di quella moltitudine che era venuta a combattere con lui, l'interpretazione è questa: ecco, verranno i giorni in cui l'Altissimo dovrà liberare quelli che sono sulla terra, e coloro che abitano la terra usciranno di senno: penseranno di farsi guerra gli uni contro gli altri, città contro città, terra contro terra, popolo contro popolo, regno contro regno (confronta Isaia 19:2, 2 Cronache 15:5, Matteo 24:7); ed accadrà che, quando avverranno queste cose e giungeranno i segni che ti ho mostrato prima, allora si rivelerà il mio servo, che hai visto in quell'UOMO che saliva; ed accadrà che, quando tutti i popoli udranno la sua voce (Diaspora, Proselitismo), ciascuno lascerà la sua terra, e la guerra che si stavano facendo l'un l'altro; una moltitudine innumerevole, come hai visto, si raccoglierà insieme (Harmagedon? Apocalisse 16:16), desiderando venire a combatterlo, ma lui si ergerà sulla vetta del monte Sion. Ma Sion verrà, e si rivelerà a tutti, approntata e costruita come quel monte che hai visto venire scolpito senza mani (Daniele 2:34,45). Quanto a lui, il mio servo, accuserà della loro empietà i popoli che si sono raccolti - e questo è quello che è simile alla tempesta; gli disporrà davanti i loro malvagi pensieri, e le torture con le quali dovranno essere tormentati — e queste sono da paragonare alle fiamme; e li annienterà senza fatica con la legge — e questo è da paragonare al fuoco.  
E dato che lo hai visto raccogliere a sé un'altra moltitudine pacifica: quelle sono le nove tribù e mezzo d'Israele che sono state condotte via prigioniere dalla loro terra al tempo di re Osea, catturate da Salmanasar, re di Assiria; egli le trasferì al di là del Fiume
(Eufrate), e furono deportate in un'altra terra. Loro però avevano divisato per sé di abbandonare la moltitudine dei popoli e proseguire per una regione più distante, dove non aveva mai abitato il genere umano, in modo da conservare almeno là le loro leggi, come non avevano fatto nella loro terra. Passarono per le strette entrate del fiume Eufrate; infatti l'Altissimo fece loro dei miracoli, ed arrestò la corrente del fiume finché non furono passati (Giosuè 3:16). Per quella regione, però, passa una lunga via, di un anno e mezzo, e quella terra si chiama Arzareth (altra-terra, Deuteronomio 29:28). Allora abitarono là, e vi resteranno fino alla fine; e quando dovranno venire di nuovo, di nuovo l'Altissimo arresterà la corrente del fiume, in modo che possano passare; è per questo che hai visto quella moltitudine raccolta in pace. Ma ci saranno anche coloro che, del tuo popolo, saranno rimasti, che saranno trovati entro i miei santi confini. Accadrà perciò che, quando Egli dovrà distruggere la moltitudine dei popoli che sono stati raccolti, proteggerà quello che sarà sopravvissuto, e allora mostrerà molti prodigi”.

“Io dissi: O signore e padrone, mostrami questo: per quale motivo ho visto un UOMO che saliva dal profondo del mare? Mi disse: Come nessuno può scrutare né sapere quello che sta nel profondo del mare, così nessuno sulla terra potrà vedere il mio figlio, o coloro che sono con lui (Angeli), se non quando verrà questo giorno” (13:25-52) .
Fin qui questo famoso Sogno e la sua spiegazione! Sembra difficile per ognuno leggere i capitoli precedenti e non percepire l'ampia voragine di pensiero e di stile che li separa da questa “interpretazione”. I critici (come Gunkel) rilevano la divergenza e ci dicono “quelle spiegazioni (verso 37) non si adattano bene” e “questa proposizione sembra essere un'aggiunta successiva” (fino al verso 48). Altre osservazioni simili si potrebbero fare. Sembra essere per la maggior parte un'appendice noiosa o forse un'infelice rielaborazione di qualche originale che non può essere restaurato. Tutto ciò, tuttavia, ha un significato relativamente basso. Il punto fondamentale è questo: come ogni lettore attento degli estratti precedenti (molto più, della stessa Apocalisse) deve percepire, il grande cuore dell'autore è interamente assorbito dal problema di Israele, il “Primogenito l'Unico Figlio” di Dio, per il quale furono fatti il  mondo e tutto ciò che vi era dentro. Alcuni potrebbero sorridere e definirlo una straordinaria presunzione di Esdra — che in effetti rappresentava bene la sua razza. Ma questo fa poca differenza. La sua onestà e la sua sincerità sono trasparenti e il suo schema cosmico è altrettanto razionale di quello dei suoi più severi critici. A meno di non supporre che questo profondo pensatore ed eloquente patrocinante abbia perso i sensi in questo tredicesimo capitolo, egli deve in qualche modo rivelare l'umore mentale ed emotivo che lo ha influenzato fin qui e lo ha ispirato nei suoi dialoghi brillanti con l'Altissimo. Deve preservare le sue idee e i suoi significati essenziali; non deve gettarli da parte senza preavviso e indossare interamente altre nozioni nella loro veste familiare.
Ora è certo che per lui fino ad ora Israele è stato il “Figlio Unigenito” di Dio (6:58); non può quindi in 13:32-37 significare qualcosa di completamente diverso, anzi, deve significare essenzialmente lo stesso essere, anche se naturalmente un cambiamento retorico nella raffigurazione è ammissibile e naturale — Inoltre, l'alto scopo, la Redenzione della Creazione (13:26), è difficilmente in armonia con il pensiero di Esdra. La sua preoccupazione era  la Redenzione di Israele dai persecutori pagani, come la principale di tutte le avversità. È vero, quest'ultima avrebbe potuto essere estesa e fu persino estesa ed esaltata in una Redenzione spirituale dell'Universo, almeno di tutta l'umanità, e negli scritti cristiani questa sublimazione fu realmente compiuta nella Grande Trasfigurazione della Propaganda messianica. Ma questo non figurava sicuramente nel pensiero di Esdra più che in quello di Daniele o di Enoc o degli autori di Matteo 25:41 e dell'invito dell'angelo agli uccelli a partecipare al “gran banchetto di Dio” (Apocalisse 19:17-21). Anzi, è la più spaventosa parodia possibile di una Redenzione della Creazione che esplode istantaneamente nella polvere e nella nebbia l'intera assemblea dell'Umanità da tutti e quattro i venti del cielo (13:5, 11, 37). [5]
 Appare, quindi, chiaro come il giorno che questa “Interpretazione” sia stata rielaborata e cristianizzata, fino a che punto nessuno lo può dire. L'UOMO dal cuore del Mare sembra ovviamente corrispondente all'Aquila dal Mare; egli rappresenta il Popolo o l'Anima d'Israele, come l'Aquila figurava per lo Stato romano. Come in Daniele, anche la Cittadinanza di Israele è allegorizzata dal Monte “scolpito”. Quelle fasi diverse della stessa Realtà sono fuse con qualche sforzo maldestro nel testo: l'Uomo scolpisce il Monte e vola su di esso! — percorre anche le vette di Sion. Tali incoerenze nelle immagini non hanno bisogno di sorprenderci nella poesia orientale; sono molto più miti delle metafore miste che incontriamo nei romanzi, nelle dediche e persino nella letteratura di oggi. Da un Uomo del genere così straordinario ci si potrebbe aspettare qualcosa di più di un soffio distruttore, ma là la storia sembra terminare. Eppure nessuna meraviglia. Poichè quasi l'unico interesse dell'autore è la rivendicazione e la glorificazione del Popolo d'Israele — e fatto ciò, che cosa di più? Ma ciò è fatto quando l'Uomo sorge dal Cuore del Mare e dissipa ogni opposizione col soffio ardente della sua bocca. Che altro rimane da fare? Solo il Ritorno delle Dieci Tribù che 500 anni prima erano svanite dalla storia! La mancanza di funzione per l'Uomo nato dal mare, dopo l'estinzione del paganesimo, mostra chiaramente che il Veggente aveva in mente solo il Trionfo di Israele, l'Incoronazione di Sion.
4. Conclusioni da Quarto Ezra

 Non importa, allora, se o fino a quanto questo libro di Esdra sia interpolato — almeno, non per l'argomento in discussione. Se non è interpolato, allora sicuramente dobbiamo comprendere tutti i riferimenti al Figlio d Dio nello stesso senso, come definito in 6:58: Israele il “Figlio primogenito e unigenito” di Dio; sicuramente richiederebbe una dimostrazione esplicita e inequivocabile dimostrare che Esdra riconobbe due Esseri distinti, ciascuno dei quali il solo Figlio di Dio!! Stabilito questo, il passo successivo è facile, poiché “Mio Figlio” è identificato in 13:32 con l'“Uomo che sorge” dal mare, mentre in 7:28 lo stesso “Mio Figlio” è identificato due volte con “il Cristo” (il Messia, l'Unto), e infine in 12:31 “il Cristo” è esplicitamente identificato con il Leone che sbuca ruggente dalla foresta. Dall'inizio alla fine questa rappresentazione o personificazione simbolica appare abbastanza coerente come può esserlo una vivida poesia del genere.
D'altra parte, se i capitoli sono davvero più o meno interpolati e cristianizzati, allora il caso diventa ancora più forte; perché allora non avremo semplicemente un fariseo che rappresenta il popolo di Israele come il Cristo l'Unico Figlio di Dio, la Fine e lo Scopo di tutta la Creazione, ma anche un cristiano (o dei cristiani) ad aver adottato la sua concezione generale e cambiato le sue frasi, se non del tutto, non abbastanza da disturbare le identificazioni precedenti necessariamente implicate nel testo così come ora esiste. In altre parole, non abbiamo solo la visione ebraica di Israele come il Cristo il “Figlio primogenito e unigenito” di Dio, ma anche l'approvazione pratica di questa visione da parte del Revisore cristiano (o dei Revisori cristiani).
La cristianizzazione di questa Apocalisse di Quarto Esdra sarebbe quindi consistita quasi se non esclusivamente nell'introduzione in vari punti di alcuni sentimenti più umani, più in sintonia con i pagani — in realtà, proprio tale mitigazione del Particolarismo palestinese come lo incontriamo nella lettera ai Romani, in parti dell'Apocalisse, a volte nei vangeli, e persino in Isaia, Giona, Michea e altri — la mitigazione, in verità, che alla fine convertì il Proselitismo ebraico in Propaganda cristiana.
Guardalo come vuoi, il Quarto libro di Esdra è un baluardo inespugnabile per la tesi centrale di questo volume.

3. APOCALISSE

Uno spirito notoriamente affine al quarto Evangelista, e tuttavia di gran lunga diverso si manifesta attraverso l'Apocalisse o Rivelazione, un documento ebraico rielaborato per essere completamente cristianizzato sebbene in maniera molto imperfetta. Naturalmente, qui non si può fare alcun tentativo per penetrare i suoi misteri in profondità, ma si possono notare alcune caratteristiche eccezionali. La prima di tutte è l'intera assenza di qualsiasi traccia o allusione storica. “Da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto. Sì, Amen!” (1:5-7). Questo è il riferimento più personale, eppure non avanza di un millimetro oltre i limiti del dogma e della fede simbolica, non dice nulla di alcuna Storia o di alcuna Vita. La frase “viene sulle nubi” mostra che è il popolo Israele, il danielico Figlio dell'Uomo, che figura nella fantasia dello scrittore, assieme alle parole estremamente oscure di Zaccaria (12:10) troviamo una figura straordinaria “del vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli” (della resuscitata “Cittadinanza di Israele”), un terrificante simbolismo senza la più remota suggestione di una personalità storica.
Nel quinto capitolo troviamo “il Leone che è della tribù di Giuda”, identificato con “l'Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato”, “l'Agnello che è stato ucciso fin dalla fondazione del mondo” (13:8). Quest'ultimo tratto sembra identificare l'Agnello (to arnion) con l'“Agnello che è condotto al macello” di Isaia (53:7), il “Giusto Servo” Israele, di cui si sarebbe potuto dire giustamente, che fu “immolato dalla fondazione del mondo”, dall'inizio della Storia. Che questa fosse l'idea dell'autore dell'Apocalisse si può prendere per certo; questo e solo questo è l'Agnello dell'Apocalisse. Non c'è nessuna traccia di alcun falegname di Nazaret. L'Agnello qui è lo stesso Leone e non meno formidabile e terrificante per essere un agnello. Ciò che leggiamo in questa Apocalisse è manifestamente una glorificazione (cristianizzata) del Popolo Eletto. Quando le nazioni della terra gridano alle rocce e alle montagne, “Cadete sopra di noi e nascondeteci ... dall'ira dell'Agnello”, sembra tanto chiaro quanto può esserla ogni “rivelazione” del genere che è la  vendetta a lungo ritardata del Popolo afflitto sui suoi persecutori che si ha in mente, “il grande giorno dell'ira” di YHVH e di Suo Figlio contro il mondo pagano. Se questo non è così, allora il tentativo di un'interpretazione biblica è perso.
Vi segue (capitolo settimo) il sigillo di tutto Israele (12 Tribù) e degli innumerevoli Proseliti (cristiani) “davanti all'Agnello”. Non c'è qui più incoerenza che in Isaia e in altrove. È l'antica storia dei Molti e dell'Uno. L'Agnello, il Giusto Servo, il Figlio dell'Uomo, il Figlio di Dio, il Cristo, tutti quelli stanno per il Popolo considerato come un'Unità, il quale fatto non nega la Molteplicità dello stesso Popolo. Non dobbiamo riflettere troppo sulla misurazione (Preservazione) del tempio e dell'altare e gli adoratori presenti o i due testimoni, ma solo sulla dichiarazione straordinaria (11:8): “la grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il nostro Signore fu crocifisso — Un riferimento storico! Ma anche un'evidente interpolazione. Che l'autore dei versi 1, 2, per il quale Gerusalemme era “la città santa”, che sperava nella preservazione del suo sacro cuore (verso 1), dovesse tuttavia parlarne come di “Sodoma ed Egitto”, termini della designazione più vile, sembra del tutto impossibile. Le parole in corsivo sono una glossa cristiana su un originale ebraico il cui spirito sembra chiaro nel verso 15: “I regni del mondo sono divenuti il regno del nostro Signore (YHWH) e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli”, dove il Suo Cristo è il suo Unico Eletto Israele.
Tralasciamo l'astrologia del capitolo 12, notando tuttavia che il figlio maschio del verso 5, che deve “governare tutte le nazioni con uno scettro di ferro (Salmo 2:9), è chiaramente il Popolo Israele oppure il suo rappresentante il Messia, e la nota danielica si ode chiaramente  nel verso 10: “Ora è giunta la salvezza, la potenza e il regno del nostro Dio e la potestà del suo Cristo” (la Nazione Eletta). La stessa nota suona altrettanto distinta nelle Guerre dei Santi (Israele) con le Bestie che sorgono dal Mare (paganesimo). Nota anche che l'Agnello “stava in piedi sul monte di Sion” (14:1), una chiara identificazione con Israele. Ma la cosa più importante di tutte è la Missione ai pagani proclamata in 14:6-8: “Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo e che aveva il vangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo, e diceva a gran voce: «Temete Dio e dategli gloria, perché l'ora del suo giudizio è venuta; adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque»”. Sembra il più chiaro possibile, una chiamata mondiale al Monoteismo, all'adorazione dell'Unico Dio, e giustamente proclamata come il contenuto del “Vangelo Eterno”. C'è qualcosa di più luminoso o di più significativo nel Nuovo Testamento? Si noti l'assoluta assenza di qualsiasi allusione biografica.
Il “secondo angelo” conferma il messaggio del primo dicendo: “È caduta, è caduta Babilonia, la grande città che ha dato da bere a tutte le nazioni il vino dell'ira della sua fornicazione”. Naturalmente, questa Babilonia è Roma, sede dell'Idolatria, il centro del culto pagano — entrambe regolarmente rappresentate come adulterio dalla religione ebraica, sia nell'Antico Testamento che nel Nuovo. Roma viene nuovamente denunciata in termini molto simili nel capitolo 17, come “ebbra del sangue dei santi” (israeliti) [6]  — a cui l'interpolatore cristiano aggiunge “e del sangue dei martiri di Gesù” — e il suo destino è predetto. La voce di Daniele si ode chiaramente in 14:14: “ed ecco sulla nuvola stava seduto uno simile a un Figlio d'uomo”. La “falce affilata” di questo verso e del seguente è tratta da Gioele 3:13: “Mettete mano alla falce, perché la mèsse è matura”, “tutte le nazioni erano radunate” dinanzi a YHVH per il giudizio. “Il gran tino dell'ira di Dio” (sui pagani) è “pigiato fuori della città” (Gerusalemme), fatto che indica con tutta la chiarezza desiderabile la natura strettamente ebraica di quelle predizioni. I dieci re che “combattono contro l'Agnello” sono evidentemente le autorità romane che combattono con Israele, che Israele l'Agnello deve travolgere, “perché è il Signore dei signori e il Re dei re”. Qualunque riferimento a tale data a “Gesù il Nazareno” è impossibile.
La vittoria immaginata di Israele su Roma viene salutata con un coro di alleluia in 19:1-8. La cena di matrimonio dell'Agnello (19.9) è qui intercalata in attesa del resoconto completo nel capitolo 21. Quest'ultimo è derivato dai profeti, come Isaia 54:4-8: “Poiché tuo sposo è il tuo creatore ... Come una donna abbandonata e con l'animo afflitto, ti ha il Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù?”... 61:10: “Io (Israele) gioisco pienamente nel Signore, … e come una sposa che si adorna di gioielli”. Di conseguenza in questa visione di “un nuovo cielo e una nuova terra”, “la città santa, la Nuova Gerusalemme”, discende “dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. Nel pensiero profetico il marito è Dio, e Sion o Gerusalemme è solo un altro nome per “la cittadinanza di Israele” — nella frase cristiana, la Chiesa, “il Corpo di Cristo” — nel linguaggio dell'Apocalisse, l'Agnello. Ma il successivo Revisore cristiano non era soddisfatto di questa rappresentazione (21:1-8), non era abbastanza esplicito nel suo cristianesimo. Di conseguenza ha aggiunto i versi 9-27: “Poi venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene delle ultime sette piaghe, e parlò con me, dicendo: «Vieni, ti mostrerò la sposa, la moglie dell'Agnello». E mi trasportò in spirito su di un grande ed alto monte, e mi mostrò la grande città, la santa Gerusalemme, ecc.”. Venendo dopo i versi precedenti, questa descrizione appare inutile e superflua, una mera esibizione da parte dell'Editore. Eppure è interessante che i nomi alle 12 porte siano quelli “delle 12 tribù dei figli d'Israele” (verso 12), il che implicherebbe che la città sia il Popolo Israele. La confusione del pensiero dell'autore, nel suo sforzo di distinguere la Città dall'Agnello, sebbene entrambi rappresentino Israele, e di rappresentare la Città come la sposa dell'Agnello, sebbene nel più profondo pensiero profetico lei sia la Sposa di YHVH stesso, è mostrato nel verso 22: “Non vidi in essa alcun tempio, perché il Signore Dio onnipotente e l'Agnello sono il suo tempio”. L'Agnello è il marito della Città, e anche il suo tempio! Non un compito facile de-giudaizzare un documento completamente ebraico.
Ritornando al capitolo 19, troviamo (11-21) una visione particolarmente bellicosa e più che danielica o enochica del Cavaliere sul cavallo bianco, Fedele e Verace, chiamato anche La Parola di Dio, e anche Re dei Re e Signore dei Signori (già identificato con Israele, 17:14), seguito dagli eserciti del cielo, che calpesta il torchio della ferocia dell'ira di Dio, e che governa le nazioni con una verga di ferro — o piuttosto le uccide con la spada della sua bocca e dà loro agli uccelli del cielo per preda. Sembrerebbe difficile trovare in questo vivido schizzo qualche somiglianza con il mite e umile figlio di Maria; se l'autore ha mai sentito parlare di un bambino del genere, ha sicuramente dimenticato tutto su di esso. Il “governare con scettro di ferro” non lascia dubbi sul fatto che il Cavaliere sia il Popolo Eletto o il Messia che li impersona (Salmo 2:9). Gli 11 versi sono animati dalla più viva coscienza della guida e della missione divina della Razza Eletta, assieme al più feroce rancore immaginabile contro l'intero mondo pagano.
Il ventesimo capitolo, come è noto, è ispirato al Libro slavo di Enoc. Il regno con il Cristo per 1000 anni [7] non è altro che il regno di Israele per un millennio su tutta la terra, il Sabato della Storia. La natura del capitolo è abbastanza in linea con quella del precedente. Sembra incredibile che qualcuno possa trovare qualche indizio di Religione dove tutto è Politica. Il ventiduesimo capitolo, con il suo Fiume della Vita, allude a Ezechiele 47, ma l'Editore cristiano ha migliorato la frase originale “e le foglie serviranno come medicina” (47:12) scrivendo “e le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni” (i gentili) — sebbene abbastanza in armonia con Ezechiele (47:22). La severa natura ebraica è intravista nelle parole del verso 9: “È Dio che devi adorare” — il messaggio essenziale di tutta l'Apocalisse. Il carattere nazionale del Gesù che parla è presentato nell'espressione “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino” (16), che descrive il popolo Israele o il suo Rappresentante autorizzato.
Appare, quindi, che in questa Apocalisse, un messaggio in maniera profetica da Gesù alla Chiesa (o alle chiese), non c'è assolutamente nulla che suggerisca il rabbino galileo, ma una miriade di riferimenti che convergono tutti sul Popolo Israele o sui suoi Simboli e Personificazioni riconosciuti. La natura di certi capitoli è strettamente politica, e i loro passi bellicosi sono più che danielici. Il Popolo Eletto e il Messia che lo impersona sono simbolicamente identici senza la più remota allusione ad una personalità storica.

4. FILI SMARRITI

1. Giacomo 

A parte il vangelo di Giovanni, i restanti libri del Nuovo Testamento richiedono solo una breve segnalazione. L'epistola di Giacomo è particolarmente distinta nella sua testimonianza. Sebbene scritto ai Giudei, alle “dodici tribù che sono disperse nel mondo”, e presumibilmente dal Fratello di Gesù stesso, non contiene l'allusione più remota alla Vita o alla Morte palestinese, non alcuna traccia del vangelo per niente; ma invece la definizione più soddisfacente di religione si trova nella Bibbia (1:27). Come possiamo spiegare l'assenza di tutto ciò che è specificamente cristiano? Moulton ha azzardato l'ipotesi che l'epistola non fosse stata scritta ai cristiani ma ad ebrei non-cristiani, i cui sentimenti sono risparmiati omettendo ogni riferimento a questioni controverse! Certamente uno spirito molto diverso da quello mostrato altrove nel Nuovo Testamento.

2. Timoteo

Restano alcuni passi in cui vi sono alcune deboli segnalazioni apparenti di una vita di Gesù; ma tutte dimostrano di essere solo apparenti oppure sono interpolazioni successive. La più degna di nota è in 1 Timoteo 6:13: “Al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù che rese testimonianza davanti a Ponzio Pilato con quella bella confessione di fede, ti ordino, ecc.”. Quest'epistola pastorale è di una data posteriore, quanto posteriore nessuno lo sa, e in nessun modo rappresenta una primissima forma di cristianesimo; il verso in questione fu scritto difficilmente fino a molti anni dopo che la leggenda di Pilato si fosse stabilita nei circoli cristiani; come direbbe Bultmann, è del tutto “secondario” e non reca nessuna testimonianza indipendente di alcun processo davanti al Procuratore. Inoltre, la clausola stessa, “e di Cristo Gesù ... confessione”, si legge molto come un'interpolazione. È inutile ed apparentemente suggerita da “quella bella confessione” nel verso 12, dove la frase ha pieno significato, mentre nel verso 13 appare artificiale e quasi senza senso. In nessun caso il verso può portare alcuna testimonianza alla “Storicità di Gesù”.

3. “Andò attorno facendo del bene”.

 Un altro passo deve essere notato. Nel discorso di Pietro (Atti 10:34-48), troviamo detto, “... Gesù di Nazaret; come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza; e com'egli andò attorno facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui ecc.” (38). Questo è un classico esempio di apologia, e un caso più infelice sarebbe difficile da scoprire. L'intero discorso è riconosciuto anche dal prominente storicista, A. Loisy, come una pura invenzione del Redattore, che scrive tre intere generazioni dopo gli episodi in questione: non solo così, ma è un goffo mosaico di frasi dogmatiche e parole d'ordine; è senza speranza nella sua sintassi greca, assolutamente impossibile da analizzare. Le parole principali “andò attorno facendo del bene” sono tenute a descrivere esattamente il ministero galileo. L'equivalente greco è due parole, dielthen euergeton, letteralmente “attraversò beneficiando” — che suona più tecnico. La frase è apparentemente gnostica, favorita da Basilide (attivo alla data di questo passo), usata per descrivere la discesa del Gesù celeste dalla Divinità Centrale, attraverso gli Eoni concentrici fino alla terra e all'uomo nella sua missione di misericordia. Egli non si limitò a passare attraverso, disse lo gnostico, egli “passò attraverso beneficiando”, [8] benedicendo mentre proseguiva: un'espressione comprensibilissima di uno gnosticismo comprensibile (per quanto lo sia lo gnosticismo), ma molto innaturale come una descrizione di un ministero galileo — “attraversò beneficiando!”. Considera anche il prossimo elemento, “e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo”. Questo potrebbe essere accettato come una vivida espressione della funzione del vangelo (logon, 36), che libera tutti i pagani convertiti dal potere di Satana (idolatria), come in Luca 10:18, “Io vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore”; ma può ogni uomo sano di mente, riferendolo letteralmente agli esorcismi, considerarlo come una possibile descrizione della carriera di qualche aspirante Personaggio Messianico? Considera anche le parole “avvenuto per tutta la Giudea”, laddove il racconto evangelico, anche quello di Giovanni, non sa nulla affatto di tali avvenimenti se non a Gerusalemme e forse sulla strada verso e dalla Galilea. Chiaramente, abbiamo a che fare con una finzione perfettamente manifesta, intesa solo a formulare una storia della chiesa corrente nel secondo secolo. 

5. AUTORI POST-APOSTOLICI

1. Didachè

Quando passiamo al di là del Canone nella letteratura sub-apostolica della Chiesa, il caso diventa, se possibile ancora più convincente. Sicuramente se il vangelo fosse originariamente biografico, se il suo contenuto fosse la Nascita, la Vita, la Morte (e la Resurrezione) di una Personalità totalmente senza eguali, un falegname di Nazaret, e se il segreto della sua origine e del suo successo risiedesse nell'impressione totalmente unica e sovrastante di questa Personalità sui suoi immediati discepoli, allora dovremmo aspettarci di trovare dettagli, aneddoti ed esemplificazioni di ogni tipo non solo in abbondanza nella predicazione dei primi cristiani, ma anche mentre filtrano copiosamente nella successiva e nella successiva generazione. Quale, tuttavia, è il caso reale? Esattamente il contrario, tanto completo quanto possa essere! Abbiamo già visto che gli scritti del Nuovo Testamento, dagli Atti all'Apocalisse, sono praticamente privi di qualsiasi allusione oppure conoscenza di una Vita di Gesù, essendo preoccupati unicamente (oltre a problemi di condotta) al Dogma della Morte e della Resurrezione (spirituale) del Cristo (il Genio di Israele), e ora affrontiamo il fatto ulteriore che la più antica letteratura cristiana non canonica è ugualmente priva di ogni conoscenza o allusione del genere. Il caso generale è presentato e discusso estesamente in Ecce Deus, ma non può e non deve essere ripetuto a questo proposito; tuttavia ci sono due documenti molto importanti che richiedono particolare enfasi ed attenzione: il cosiddetto Insegnamento (Didachè) e il Pastore (Poimen, Pastore) di Ermas. Il primo è davvero il più antico Manuale esistente della pratica cristiana. È un manuale composito, con la parte più antica che risale forse al primo secolo, l'ultima che risale forse nel primo quarto del secondo, così che la sua testimonianza è quasi sincrona con quella dei vangeli. Niente di più naturale, sull'ipotesi storica, che questo Insegnamento dovesse traboccare di riferimenti al Gesù, con appelli alla sua autorità, con citazioni dei suoi Detti, con vividi episodi della sua Vita, con allusioni ai suoi discepoli; in verità, è difficile vedere come tutte quelle cose avrebbero potuto essere evitate. Eppure, qual è il fatto? Esattamente il contrario! Il testo è del tutto privo di ognuno di tali elementi. Non conosce nulla della Vita di Gesù, non fa appello alla sua autorità, alla sua personalità o ai suoi discepoli — in effetti, tranne in due o tre frasi interpolate, non fa nemmeno uso del suo nome! Com'è possibile spiegare questo fatto sconcertante in armonia con l'ipotesi della storicità?

2. Pastore di Ermas 

Il caso del Pastore è, se possibile, ancora più impressionante. Quest'opera (edita con erudizione e abilità, nel 1923, da Dibelius come “Supplemento” al Nuovo Testamento) sembra risalire quasi alla fine del primo secolo —  potrebbe essere una generazione dopo — e quindi non è molto lontana dall'età apostolica, non molto più tarda di gran parte del Nuovo Testamento stesso. Era tenuta nella più alta reputazione, essendo particolarmente popolare nella Chiesa antica, in particolare a Roma, che già allora stava cominciando a esercitare una leggera influenza direttiva su altre congregazioni. Fu considerata ispirata dai più grandi Padri e per poco evitò la canonizzazione. Fatto ancora più significativo, era estremamente popolare tra i cristiani del secondo secolo, era molto diffusa come un libro di devozione ed era trattata quasi come un vade mecum. Quale era allora la sua testimonianza di Gesù, della sua Vita, della sua Natura e della sua Opera? La risposta è quasi troppo stupefacente da credere, troppo sorprendente da scrivere. La testimonianza è assolutamente Nil! Il Pastore non sa nulla di nulla del Gesù, non menziona mai il nome, non allude mai a nessun episodio della sua presunta vita! Parla una volta del “Figlio di Dio” che identifica con “la legge di Dio che è data a tutto il mondo”. Sembra inutile elaborare un fatto così sorprendente. Lascia che il lettore si fermi e rifletti su di esso per un momento, se ne sentirà il pieno significato. L'autore, Ermas, sembrerebbe aver preso sulla loro parola l'Apostolo e l'autore dell'epistola agli Ebrei e aver sentito che era giunto il momento di “mettere da parte le cose da bambino”, mettere da parte il latte per bambini e prendere il nutrimento solido per uomini — quindi egli ignora completamente la temporanea improvvisazione “storica” delle storie evangeliche e cerca di esortare i suoi lettori nutrendoli esclusivamente di carne spirituale.
È abbastanza irrilevante per la nostra argomentazione, se questo esperimento fosse ben riuscito e di successo. Il punto è che a Roma, il centro principale della fede, si riconobbe circa alla fine del primo secolo che il giorno del latte per bambini era passato, e che la “Storia” evangelica poteva essere interamente accantonata e una dottrina puramente spirituale esposta e praticata al suo posto. Né si trattava semplicemente della presunzione selvaggia, della fantasia stravagante, di un fanatico o persino di un gruppo semplicemente considerevole. L'ineguagliabile popolarità del Pastore per oltre un secolo attesta chiaramente che questa fu ampiamente riconosciuta come una visione degna e legittima della materia. Persino lo stesso Tertulliano, il nemico più implacabile del Pastore, non si oppose ad esso per nessun motivo storico, ma a causa di un certo presunto lassismo o tolleranza per quanto riguarda le irregolarità sessuali, per cui ovviamente non abbiamo alcun interesse.
Ecco, quindi, la testimonianza di due testimoni molto antichi e inattaccabili. Ai nostri giorni i “documenti storici” sono considerati l'unico fondamento e supporto della Verità, la solida base, la Roccia inamovibile su cui poggia la struttura totale del cristianesimo, senza la quale l'intero tessuto cadrebbe e si sgretolerebbe in polvere, sì, svanirebbe nella nebbia. Ma all'inizio del secondo secolo, nella Chiesa principale, nei circoli più intelligenti, quei “documenti storici” potevano essere e anzi erano completamente ignorati e la cosiddetta “Personalità storica” era passata senza nemmeno una menzione  come se mai esistente! Abbiamo visto che tutto questo diventa abbastanza comprensibile e abbastanza coerente con i precedenti dottrinali del Nuovo Testamento — ma solo sulla teoria delle origini cristiane qui esposta e difesa. Sull'ipotesi tradizionale circa il rabbino di Nazaret, rimane anomalo, un enigma che mai si sbroglierà.

3. Ignazio 

“Ogni questione si deciderà sulla dichiarazione di due o tre testimoni”; e il terzo è ancora più importante di entrambi gli altri due. Le Ignaziane sono un gruppo di 7 epistole indirizzate alle chiese dell'Asia Minore (una di loro a un vescovo), apparentemente scritta da Sant'Ignazio, secondo vescovo della Chiesa di Antiochia, mentre era un prigioniero in rotta per Roma, intorno all'anno 108, per esservi gettato alle fiere, come martire della sua fede cristiana. Con i problemi assai dibattuti riguardanti le due forme del testo (le Recensioni più brevi e le più lunghe), i dettagli dell'interpretazione e l'autenticità del tutto, non siamo ora preoccupati; i nostri avversari, almeno, non contesteranno la genuinità delle Lettere. Siamo interessati principalmente ai seguenti fatti:
Il Vescovo, ergendosi sulla soglia della sua vita terrena, è intensamente e quasi esclusivamente assorbito dall'ortodossia (sia nella fede che nella pratica) delle congregazioni alle quali sta dando l'ultimo congedo; soprattutto, li avrebbe posti e li avrebbe lasciati correttamente nella loro convinzione sulla carriera umana e sulla personalità del loro Divin Salvatore Gesù il Cristo, e in particolare li avrebbe guardati contro il Docetismo, la pericolosa dottrina dei Doceti (o Apparentisti), i quali sostenevano che il corpo di Gesù non era sostanziale, non era fatto di carne e di sangue, ma era solo un corpo apparente, un'Apparenza (qualcosa come un arcobaleno, uno specchio riflesso o un ologramma).Questa eresia dell'Apparizione ci incontra in più di un indizio del Nuovo Testamento. L'episodio del dubbioso Tommaso è un luogo comune (Giovanni 20:20, 24-29): “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente”. Similmente in Luca 24:39, “un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho”. Quelle frecce sembrano sicuramente mirare direttamente al Docetismo. Ignazio (nel capitolo 3, agli abitanti di Smirne) cita il discorso rivolto a Pietro (riferito da San Girolamo al Vangelo dei Nazareni): “Ecco, toccate e vedete che non sono un demone incorporeo”. Girolamo stesso dichiara in un noto passo (Dial. Adv. Lucif., 23) che “mentre gli Apostoli vivevano ancora sulla terra, mentre il sangue di Cristo era ancora fresco in Giudea, il corpo del Signore fu dichiarato un fantasma”. Quanto estremamente improbabile che una simile “eresia” potesse essere nata così presto, nel seno della Chiesa primitiva, proprio a fronte di innumerevoli fatti storico-biografici — se davvero ci fossero stati fatti del genere! E come appare tutto perfettamente naturale dal punto di vista che risiede in quelle pagine! I Doceti rappresentavano semplicemente un'antica Coscienza cristiana (sebbene non la più antica), che rifiutava di montare l'ondata di Letteralismo, di storicizzazione, sulla quale stava cavalcando Ignazio stesso, e ancora si aggrappavano in qualche misura al senso allegorico originale della storia evangelica. Non erano Progressisti, ma piuttosto Reazionari; erano passé. Ci si ricorda di familiari “errori” di parola e di ortografia, che spesso sono solo premature sopravvivenze di forme che si trovavano una volta nella migliore reputazione e nella consuetudine.
Ignazio sembra aver capito il vero stato del caso, perché scrivendo a Policarpo, vescovo di Smirne, non denuncia (come ci si aspetterebbe naturalmente) quelli “erroristi” come innovatori, ma lo esorta semplicemente (capitolo 3) affinché “non ti abbattano coloro che sembrano degni di fede e insegnano l’errore. Sta’ fermo come l’incudine sotto i colpi”. La loro offesa stava insegnando, non una nuova, ma un'altra dottrina — diversa da quella approvata dagli stessi Vescovi. Inoltre, se la dottrina del Vescovo fosse stata realmente radicata nella coscienza storica cristiana e vi si ergeva in balia della testimonianza inequivocabile e della tradizione di numerosi testimoni oculari, quale spazio poteva esserci per una selvaggia fantasia docetica? Come avrebbe potuto essere stato concepito? Com'è nato? Come si è nutrito? Come si è propagato? Che cos'ha da temere se questi illusionisti “ti abbattano” ? Che occasione per esortare — così magnificamente — “Sta’ fermo come l’incudine sotto i colpi”? Se Ignazio non tradisce la debolezza della sua causa, il suo linguaggio sembra stranamente fuorviante.
Poiché il vescovo attribuisce un tale significato supremo al dogma ortodosso di un corpo reale, non semplicemente apparente (docetico) di carne e di sangue, non potremmo magari affidarci su di lui, essendo la personalità forte che era, nel meglio disporsi prima di tutto in sua difesa, nell'esaminare i fatti, nel convocare i suoi testimoni, nel sopraffare gli “altri maestri” sotto un peso schiacciante di testimonianze? Infatti non era lui quasi sub-apostolico, nato forse prima del 40 E.C.? Risalendo quasi alla famosa Pentecoste, da giovane avrebbe potuto conoscere, se non dovuto conoscere, Pietro e Paolo, Barnaba e Marco, conversare con Giacomo e Giovanni, visitare la Palestina e Gerusalemme (era solo una viaggio di dieci giorni là) e imparare tutto ciò che si sarebbe potuto imparare sulla carriera umana del Salvatore. Infatti sicuramente non sarebbe sembrato una guida meno forte e sicura di sé, un vescovo della chiesa che dava il nome cristiano al mondo e inviava i suoi missionari in lungo e in largo. Se avesse esposto un solo singolo fatto in carne e ossa della vita umana, dove così tanti devono aver abbondato a piene mani, nella memoria di migliaia di testimoni oculari, sarebbe stato decisivo una volta per tutte; un singolo figliolo dei molti che Gesù aveva “cullato tra le braccia” avrebbe messo a tacere gli “Apparentisti” all'istante e per sempre. Chi non lo capisce? È possibile che il vescovo, certamente un uomo di intelligenza, la personalità dominante in una chiesa principale e primitiva del cristianesimo, è concepibile che non l'avesse capito?
Anzi, sembra dalla sua stessa dichiarazione (agli abitanti di Filadelfia, 8:2) che egli fosse stato sfidato dai Doceti a produrre alcune prove a sostegno della sua fede. E cosa fece? Le produsse o fece finta di produrle? Non lo fece. Fece qualche sforzo per assicurare una conferma? Nessuno sforzo di sorta. Che cosa fece allora? Come difese la Fede, il Dogma impegnato a suo carico? Lo riaffermò e si ritirò all'interno della cittadella della Scrittura! Rispose: “Gegraptai!”, “È scritto”, la famosa formula di appello all'Antico Testamento. Quella era tutto!
Il lettore chiede un indizio ancora più chiaro della totale incapacità di questo immediato successore degli Apostoli nel presentare qualche confutazione storica o documentale dell'eresia docetica? Se è così, gli si faccia leggere tutte quelle epistole e gli si faccia notare come la visione personale del Santo diverge irrimediabilmente da ogni dato che si trova nel Nuovo Testamento ed è chiaramente un frutto della sua stessa fantasia. Una singola citazione qui potrebbe bastare, dai capitoli 18 e 19 di Ignazio agli Efesini: “Il mio spirito è vittima della croce che è scandalo per gli infedeli e per noi salvezza e vita eterna. Dov'è il saggio? il disputante? la vanità di quelli che si dicono scienziati? Il nostro Dio, Gesù Cristo è stato portato nel seno di Maria, secondo l'economia di Dio, del seme di Davide e dello Spirito Santo. Egli è nato ed è stato battezzato perché l'acqua fosse purificata con la passione. Al principe di questo eone rimase celata la verginità di Maria e il suo parto, similmente la morte del Signore, i tre misteri clamorosi che furono compiuti nel silenzio di Dio. Come furono [9] manifestati ai secoli? Un astro brillò nel cielo sopra tutti gli astri, la sua luce era indicibile, e la sua novità stupì. La altre stelle con il sole e a luna fecero un coro all'astro ed esso più di tutti illuminò. Ci fu stupore. Donde quella novità strana per loro? Apparso Dio in forma umana per una novità di vita eterna si sciolse ogni magia, si ruppe ogni legame di malvagità. Scomparve l'ignoranza, l'antico impero cadde. Aveva inizio ciò che era stato deciso da Dio. Di qui fu sconvolta ogni cosa per preparare l'abolizione della morte”.
Quali riflessioni naturali, quali riflessioni inevitabili sorgono nel leggere quei versi resi così letteralmente ? Sicuramente nessuno può mancare di chiedersi, cos'ha in mente Ignazio? Sta dichiarando fatti storici? O perfino ciò che lui stesso nel suo cuore considera storico? Sta raccontando ciò che accadde pubblicamente in Giudea, conosciuto e osservato da tutti gli uomini, famoso per tutta la Palestina, proclamato da testimoni apostolici per tutto il mondo? Se così fosse, allora difficilmente il suo linguaggio avrebbe potuto essere scelto in maniera più sfortunata. Se così fosse, perché chiama quei tre eventi, concezione, nascita e morte, “tre misteri clamorosi”? Perché dice che “rimasero celati al principe di questo eone”, a Satana, colui che è considerato comunemente un osservatore appassionato, accurato, e aggiornato, specialmente di queste materie, a cui è particolarmente interessato? E che dire della manifestazione celeste e del coro stellato? Se quelli elementi sono intesi come Storia letterale, cosa potrebbe essere inteso come simbolismo poetico? Nota anche i risultati di questa manifestazione. Sono qualcos'altro rispetto al rovesciamento dell'idolatria, con tutto ciò che vi è implicato? Non è una rivoluzione “cosmica”, “escatologica”, a seguire direttamente questa rivelazione, non si tratta della conversione del mondo intero dal paganesimo all'adorazione dell'Unico Dio, del “nostro Dio Gesù il Cristo”? ... Per quanto riguarda i dettagli, potrebbe esserci spazio per le discussioni; riguardo al significato generale non sembra esserci nessuno. Ignazio sembra cosciente di non star trattando materie di esperienza terrena, di una vita umana in Palestina, ma immaginarie vicende celestiali, dottrine spirituali avvolte nelle vesti sensuali di un linguaggio allegorico — Veramente, Ignazio, “il tuo discorso ti tradisce!”

NOTE

[1] Non sembra senza interesse osservare che questa invocazione, “pace tra gli uomini”, si trova esattamente così in Platone, Symposion, I97 C.


[2] A questo punto, apparentemente disperati, i traduttori americani si rifugiano in una falsa traduzione, “spogliato i principati, ecc.”, che è priva di senso e impossibile, e anche Lightfoot avvolge il suo errore nelle vesti della retorica: “Il patibolo del condannato è il carro del vincitore!”


[3] Menschenkind? Il latino è davvero strano (sehr seltsam), hic pater et filius homo — che è senza significato, ma il manoscritto Mazarin dell'undicesimo scorso, ha sic pat (per patitur), “Così soffre”, che renderebbe un precedente greco houtos paschei kai huios anthropos, e quest'ultima frase deve rendere un ebraico ben-Adam (fin qui, Gunkel), Figlio dell'Uomo, e questo ci porta esattamente e sicuramente al barenosh di Daniele 7:13, il Figlio dell'Uomo, i Santi dell'Altissimo, il Popolo Israele. Non si poteva ragionevolmente desiderare una più forte conferma della nostra posizione.


[4] Proprio così in 11:7 l'Aquila “Parla dal suo stesso corpo” alla sua testa e alle sue ali.


[5] Si può ricordare al lettore gentile che questo precedente Esdra prevalse durante l'età oscura ebraica (fino al 18oo); gli inni più patetici (Piyyutim) del libro di preghiere sono Dialoghi tra “Israele che si lamenta del suo destino amaro e Dio che gli assicura la rapida redenzione” (Greenstone, The Messiah Idea in Jewish History, pag. 300).


[6] Denuncia falsa e impossibile quando pronunciata a proposito dei cristiani — prima di ogni notevole persecuzione.


[7] In 4 Esdra solamente 400 anni.


[8] La concezione di Dio come questo Salvatore e Benefattore è una concezione favorita in Filone (circa 42 E.C.) dato che appare enfaticamente molte volte.


[9] Oppure “era Egli”.

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