mercoledì 3 ottobre 2018

Il Mito di Cristo — IL GESÙ CRISTIANO (II): Il Gesù dei Vangeli (“Le Obiezioni contro una Negazione della Storicità del Gesù Sinottico”)


IL GESÙ CRISTIANO

II

IL GESÙ DEI VANGELI

(b) LE OBIEZIONI CONTRO UNA NEGAZIONE DELLA STORICITÀ DEL GESÙ SINOTTICO. 

Lì finisce la questione: non sappiamo nulla di Gesù, di una personalità storica con quel nome a cui si riferiscono gli eventi e i discorsi ricordati nei vangeli. “In mancanza di ogni certezza storica il nome di Gesù è diventato per la teologia protestante un recipiente vuoto, in cui la teologia riversa il contenuto delle sue proprie meditazioni”. [41] E se c'è qualche scusa per questo, è che quel nome in ogni tempo non è mai stato altro che un vuoto recipiente: Gesù, il Cristo, il Liberatore, il Salvatore, il Medico delle anime oppresse, è stato dall'inizio alla fine una figura presa in prestito dal mito, a cui il desiderio di redenzione e la fede ingenua dei popoli mediorientali hanno trasferito tutte le loro concezioni della salvezza dell'anima. La “Storia” di questo Gesù nelle sue caratteristiche generali erano state determinate ancor prima del Gesù evangelico. Anche Weinel, uno dei più zelanti ed entusiasti seguaci dell'adorazione moderna di Gesù, confessa che “la cristologia fu quasi completata prima che Gesù venisse sulla terra”. [42]
Non era, tuttavia, solo la struttura e le linee generali della “Storia” di Gesù ad essere stata determinata nella fede del Messia, nell'idea di uno spirito divino inviato da Dio, del “Figlio dell'uomo” di Daniele e dell'Apocalittica ebraica, ecc., non era solo questa vaga idea ad essere stata riempita di un nuovo contenuto tramite il culto del Redentore dei circostanti popoli pagani. Oltre a questo, molti dei tratti individuali della figura di Gesù erano presenti, alcuni nella mitologia pagana, alcuni nell'Antico Testamento; e furono presi di là ed elaborati nella rappresentazione evangelica. C'è, per esempio, la storia del Gesù dodicenne nel Tempio. “Chi avrebbe inventato questa storia?” chiede Jeremias. “Tuttavia” egli pensa che sia “probabile” che in questo Luca stesse pensando alla descrizione di Filone della vita di Mosè; richiama alla mente che Plutarco ci dà una dichiarazione abbastanza simile riguardo ad Alessandro, la cui vita venne consapevolmente decorata da tutti i tratti del Re-redentore orientale. [43] Forse, però, il racconto proviene da un'origine buddhista. Il racconto della tentazione di Gesù suona moltissimo simile a sua volta alla tentazione di Buddha, nella misura in cui non sia derivato dalla tentazione di Zoroastro da parte di Ahriman [44] oppure dalla tentazione di Mosè da parte del diavolo, di cui raccontavano i rabbini, [45] mentre è detto che Gesù aveva esordito nella sua predicazione al suo trentesimo anno, [46] perché a quell'età il levita era adatto alla sua funzione sacra. [47] Fino ad allora (cioè fino al suo battesimo) non apprendiamo nulla della vita di Gesù. Allo stesso modo Isaia 53:2, salta dalla prima giovinezza del Servo di Dio (“È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza, è disprezzato e reietto dagli uomini”) direttamente alla sua passione e morte; mentre i vangeli tentano di riempire l'intervallo dal battesimo di Gesù fino alla sua passione disegnandovi ulteriori passi cosiddetti messianici dall'Antico Testamento e Parole di Gesù. Noi sappiamo quanto ai primi cristiani piaceva riscoprire la loro fede nelle Scritture e vederla predetta, e con quale zelo essi di conseguenza studiarono l'Antico Testamento e alterarono la “storia” del loro Gesù per farla concordate con quelle predizioni, rendendola così preziosa come corroborazione delle loro stesse idee. A questo proposito è stato mostrato in precedenza come la “cavalcata del senza barba” abbia influenzato la raccolta del tributo e il suo attacco diretto ai venditori e cambiavalute nel racconto evangelico dell'irruzione di Gesù al Tempio di Gerusalemme. [48] Ma lo sviluppo più dettagliato di questa scena è determinato da Zaccaria 9:9, Malachia 3:1-3, ed Isaia 1:10 seq., e le parole poste in bocca a Gesù in questa occasione sono attinte da Isaia 56:7 e da Geremia 7:1 seq., così che questo evento “importantissimo” nella vita di Gesù non può avanzare nessuna pretesa alla realtà storica. [49
E di nuovo il racconto del tradimento, dei trenta pezzi d'argento, e della morte di Giuda, hanno la loro fonte nell'Antico Testamento, vale a dire, nel tradimento e nella morte di Achitofel. [50] In quale misura in particolare le figure di Mosè, con riferimento a Deuteronomio 18:15 e 34:10, di Giosuè, di Elia e di Eliseo, influenzarono il ritratto del Gesù evangelico è stato realizzato anche dal partito teologico. [51] Gesù deve cominciare le sue attività attraverso il battesimo nel Giordano, perché Mosè aveva iniziato la sua guida di Israele con il passaggio attraverso il Mar Rosso e Giosuè al tempo della Pasqua condusse il popolo attraverso il Giordano, e questo passaggio (del sole attraverso le regioni acquatiche del cielo) era considerato come un battesimo. [52] Egli deve camminare sulle acque, proprio come Mosè, Giosuè, ed Elia camminarono a piedi asciutti nonostante l'acqua. Deve resuscitare i morti, al pari di Elia; [53] circondarsi di dodici o settanta discepoli e apostoli, proprio come Mosè si era circondato di dodici capi del popolo e settanta anziani, e come Giosuè aveva scelto dodici assistenti al passaggio del Giordano; [54] egli deve essere trasfigurato, [55] e ascendere in cielo al pari di Mosè [56] ed Elia. [57] Elia (Eli-scha) e Jeho-schua (Giosuè, Gesù) concordano perfino nei loro nomi, così  che su questa base soltanto non sarebbe stato strano se il Profeta dell'Antico Testamento fosse servito da prototipo del suo omonimo evangelico. [58] Ora Gesù si colloca in molti modi al di sopra della Legge mosaica, specialmente al di sopra delle prescrizioni circa il cibo, [59] e almeno in questo si potrebbe trovare un tratto corrispondente alla realtà. Ma negli scritti rabbinici troviamo: “È scritto, [60] il Signore scioglie ciò che è legato; infatti ogni creatura che passa per impura in questo mondo, il Signore pronuncerà pura nel prossimo”. [61] Così che allo stesso modo l'inosservanza della Legge appartiene alle caratteristiche generali del Messia, e non può essere un aspetto storico di Gesù, perché se lo fosse l'atteggiamento dei giudeocristiani con Paolo a causa della sua inosservanza della Legge sarebbe incomprensibile. [62] L'atteggiamento contrario, che è parimenti rappresentato da Gesù, [63] era già predetto nell'attesa messianica. Infatti mentre alcuni speravano in un alleggerimento e cambiamento della Legge da parte del Messia, altri pensavano al suo aggravamento e completamento. In Michea 4:5 il Messia doveva esercitare la sua attività, non solo tra gli ebrei, ma anche tra i gentili, e la salvezza del regno del Messia doveva estendersi anche a quest'ultimi. Secondo Isaia 60 e Zaccaria 14, al contrario, i gentili dovevano essere sottomessi e ridotti al nulla, e solo gli ebrei erano degni di partecipare al regno di Dio. Per quella ragione Gesù doveva dichiararsi con pari determinazione per entrambe le concezioni, [64] senza alcun tentativo di riconciliare la contraddizione contenuta in questo. [65] Che i genitori di Gesù si chiamassero Giuseppe e Maria, e che suo padre fosse un “falegname”, era determinato dalla tradizione, proprio come il nome del suo luogo di nascita, Nazaret, fu originato dal nome di una setta (Nazaraios = Protettore), oppure dal fatto che una setta onorava il Messia come un “ramo della radice di Iesse” (nazar Isai). [66] Era una tradizione messianica che egli iniziasse la sua attività in Galilea e andasse in giro come Medico, Salvatore, Redentore, e Profeta, come mediatore dell'unione di Israele, e come colui che recasse la luce ai Gentili, non come un impetuoso oppressore pieno di forza sconsiderata, ma come colui che mostrasse una tenerezza amorevole per i deboli e i disperati. [67] Egli guarisce i malati, consola gli afflitti e proclama ai poveri il vangelo della vicinanza del regno di Dio. Questo è legato al vagare del sole attraverso i dodici segni dello zodiaco (Galil = cerchio), ed è basato su Isaia 35:5 seq., 42:1-7, 49:9 seq., nonché su Isaia 61:1, un passo con la cui spiegazione Gesù stesso, secondo Luca 4:16 seq., cominciò il suo insegnamento a Nazaret. [68] Egli doveva incontrare opposizione alla sua opera di salvezza, e tuttavia sopportare pazientemente, a causa di Isaia 1:5. Naturalmente Gesù, dietro la cui natura umana era celato un Dio, e a cui corrispondeva il “Salvatore” itinerante Giasone, [69] era obbligato a rivelare la sua vera natura per via della guarigione miracolosa, e non avrebbe potuto prendere un posto subordinato in questo senso tra gli affini Dèi-redentori pagani. Al massimo potremmo chiederci se anche in questo l'Antico Testamento non avesse figurato [70] da modello, e se gli atti di Gesù non superino mai quelli che i pagani lodano nei loro dèi ed eroi, ad esempio, Asclepio. In effetti, secondo Tacito anche l'imperatore Vespasiano compì questi miracoli ad Alessandria, dove, per essere insistentemente sollecitato dalla gente, egli guarì sia uno zoppo che un cieco, e questo quasi allo stesso modo di Gesù, inumidendo con sputi i loro occhi e guance; le cui informazioni sono corroborate anche da Svetonio [71] e da Dione Cassio. Ma la cosa meravigliosa è che i miracoli di Gesù sono stati trovati degni di menzione dalla teologia critica, e che ci sia un'ardente ricerca per un “nucleo storico”, il quale potrebbe probabilmente “sottostimarli”.
Tutte le caratteristiche individuali citate sopra sono, tuttavia, irrilevanti rispetto al racconto dell'Ultima Cena, della Passione, della morte (sulla croce) e della resurrezione di Gesù. Eppure ciò che ci viene presentato su quei punti sono abbastanza certamente non storici; quelle parti dei vangeli devono la loro origine, come abbiamo detto, semplicemente al simbolismo del culto e al mito del Salvatore divino che muore e risorge delle religioni mediorientali. Nessun “genio” era necessario per la loro invenzione, in quanto tutto era fornito: la derisione, [72] la flagellazione, entrambi i ladri, il grido sulla croce, la spugna imbevuta di aceto (Salmo 69:22), la ferita con una lancia, [73] i soldati che tirano a sorte per le vesti del condannato, perfino le donne al luogo dell'esecuzione e al sepolcro, il sepolcro in una roccia, si trovano proprio nella stessa forma nel culto di Adone, di Attis, di Mitra e di Osiride. Anche il Salvatore che porta la sua croce è copiato da Ercole (Simone di Cirene), [74] che recò le colonne a forma di croce, come pure dalla storia di Isacco, che portò il suo legno all'altare sul quale doveva essere sacrificato. [75] Ma dove gli autori dei vangeli hanno davvero trovato qualcosa di nuovo, ad esempio, nel racconto del processo di Gesù, della procedura ebraica e romana, l'hanno elaborato in una maniera talmente ignorante, e per chi ne sa qualcosa tradiscono in maniera così significativa la natura puramente fittizia del loro racconto, che qui davvero non c'è nulla da meravigliarsi tranne forse della ingenuità di quelli che ancora considerano storico quel racconto, e si inorgogliscono un po' della loro “esattezza storica” e del loro “metodo scientifico”. [76]
Non ha forse ragione Robertson, dopotutto, nel prendere in considerazione l'intera tesi secondo cui il fato finale di Gesù sia la riscrittura di una sacra rappresentazione drammatica, che tra i cristiani gentili delle grandi città seguiva il pasto sacramentale del giorno di Pasqua? Sappiamo quale grande ruolo era giocato dalle rappresentazioni drammatiche in numerosi culti dell'antichità, e in che modo sono venuti in uso speciale in relazione alla venerazione degli Dèi-redentori che soffrono e risorgono. Così in Egitto la passione, la morte, e la resurrezione di Osiride e la nascita di Horus; ad Eleusi la ricerca e il lamento di Demetra per la perduta Persefone e la nascita di Iacco; a Lerna in Argolide e in molti altri luoghi il fato di Dioniso (Zagreo); a Sicione la sofferenza di Adrasto, che si gettò sulla pira funebre di suo padre Ercole; ad Amykles il decadimento della natura e la sua nuova vita nel fato di Giacinto: quei miti furono celebrati in rievocazioni festose e in rappresentazioni sceniche, per non parlare delle feste della morte e della risurrezione di Mitra, di Attis, e di Adone. Certamente il racconto di Matteo 20-28 (ad eccezione dei versi 11-15 nell'ultimo capitolo), con la sua sequenza relativa di eventi, che non potevano forse essersi succeduti l'un l'altro come questa sequenza ― Cena, Getsemani, tradimento, passione, negazione di Pietro, crocifissione, sepoltura, e resurrezione ― offre in tutto l'impressione di una catena di scene drammatiche isolate. E la conclusione del vangelo concorda molto bene con questa concezione, poiché le parole di congedo e le esortazioni di Gesù alla sua gente costituiscono un finale molto adatto a un dramma. [77]
Se permettiamo questo, viene fornita una spiegazione della “chiarezza” che è così generalmente elogiata nello stile dei vangeli dai teologi e dal loro seguito, e che molti ritengono sufficiente da sola a provare la natura storica della rappresentazione sinottica di Gesù.
Naturalmente, Wrede ci ha già avvertito “di non affrettarci a considerare la chiarezza un segno di verità storica. Uno scritto potrebbe avere una natura molto secondaria, persino una natura apocrifa, eppure mostra molta chiarezza. Il problema è sempre come questa sia stata ottenuta”. [78] Wernle e Wrede sono abbastanza d'accordo sul fatto che almeno nella produzione di Marco la chiarezza non ha assolutamente alcun valore, mentre la chiarezza negli altri vangeli si trova proprio in quelle parti che certamente appartengono alla sfera della leggenda. E quanto chiaramente e concretamente i nostri autori delle varie “Vite di Gesù”, per non parlare di Renan, o dei nostri ministri nei pulpiti, non descrivono gli eventi dei vangeli, con quanti tratti piccoli e attraenti non decorano quelli eventi, pur di dover procurare un effetto maggiore sui loro ascoltatori! Questo tipo di chiarezza e di impronta personale non è altro che una questione di abilità letteraria e di immaginazione degli autori in questione. Gli scritti dell'Antico Testamento, e non semplicemente gli scritti storici, sono anche ricolmi di una chiarissima capacità di narrazione e di caratteristiche particolarissime, che dimostrano quanto parecchio ne sapessero di questo aspetto dell'attività letteraria gli scrittori ebrei di Palestina. Oppure è assente qualcosa alla chiarezza e alla caratterizzazione individuale, a cui anche Kalthoff ha accennato, della storia commovente di Rut; dell'immagine del profeta Giona, di Giuditta, Ester, Giobbe, ecc.? E allora le storie dei patriarchi ― il pio Abramo, il buon Esaù limitato di mente, l'astuto Giacobbe, e le loro rispettive mogli ― oppure, per fare un esempio, quanto non sia chiaro l'incontro del servo di Abramo con Rebecca al pozzo! [79] Oppure consideriamo Mosè, Elia, Sansone ― grandi figure che nei loro tratti più essenziali appartengono in modo evidente al mito e alla favola religiosa! Se nella predicazione i nostri ministri possono scendere così vividamente nei dettagli della storia del Salvatore, al punto che si aprono sorgenti di poesia e vi scaturiscono dalle loro labbra chiari racconti della bontà di cuore di Gesù, della sua eroica grandezza, e della sua disponibilità al sacrificio, quanto assai più questo sarebbe stato così all'inizio nella comunità cristiana, quando la nuova religione era ancora nella sua giovinezza, quando la fede nel Messia non era ancora indebolita da dubbi scettici, e quando il cuore dell'uomo era ancora ricolmo del desiderio di un riscatto immediato e finale? E anche se siamo confrontati da una serie di tratti minori, che non si possono altrettanto facilmente giustificare mediante motivazioni religiose e immaginazione poetica, devono tutti riferirsi alla stessa reale personalità ? Non potrebbero basarsi su eventi che sono lontanissimi dall'essere necessariamente esperienze del Gesù storico della teologia liberale? Anche Edward v. Hartmann, che è generalmente soddisfatto di aderire al Gesù storico, suggerisce la possibilità “che diversi personaggi storici, che vissero in tempi abbastanza diversi, hanno contribuito a fornire caratteristiche individuali concrete all'immagine di Gesù”. [80]
C'è un gran parlare di “non-inventabile” nella rappresentazione evangelica. Von. Soden va così lontano da basare perfino la sua principale dimostrazione dell'esistenza storica di Gesù su questa personalità che non può essere stata inventata. [81]  Come se esistesse qualcosa che non possa essere stata inventato per gli uomini con l'immaginazione! E come se tutti i dettagli significativi della vita di Gesù non fossero stati inventati sulla falsariga dei cosiddetti passi messianici nell'Antico Testamento, nella mitologia pagana e nelle concezioni importate del Messia! La parte che è apparentemente “non-inventabile” si rimpicciola continuamente più la critica si impegna assiduamente sui vangeli; e la parola può applicarsi attualmente solo a problemi collaterali e a questioni di nessuna importanza. Siamo davvero di fronte allo strano fatto, che tutta la parte essenziale dei vangeli, tutto ciò che è importante per la fede religiosa, come in particolare la passione, la morte e la resurrezione di Gesù, è dimostrabilmente inventato e mitico; ma proprio queste parti che possono al massimo essere storiche soltanto a causa della loro presunta natura “non-inventabile” non sono di nessuna importanza per la natura della rappresentazione evangelica!
Ora, è stato mostrato che il ritratto evangelico di Gesù non è privo di difetti. Potremo osservare una dimostrazione [82] della natura storica degli eventi allusi in piccoli tratti, come, per esempio, la temporanea incapacità di Gesù di eseguire miracoli, [83] la circostanza che egli non è rappresentato come onnisciente, [84] il comportamento dei suoi parenti con lui. [85] Così il teologo Schmiedel espose prima cinque e poi nove passi come “chiaramente credibili”, e li dichiara la base di una conoscenza realmente scientifica di Gesù. I passo sono Marco 10:17 seq. (Perchè mi chiami buono?), Matteo 12:31 seq. (il peccato contro lo Spirito non sarà perdonato), Marco 3:21 (È fuori di sè), Marco 13:32 (Ma quel giorno o quell'ora, nessuno li conosce), Marco 15:24 (Mio Dio, perchè mi hai abbandonato?), Marco 6:5 (Nessun segno sarà offerto a questa generazione), Marco 8:14-21 (il rimprovero dei discepoli in occasione della mancanza di pane), Matteo 11:5 (I ciechi vedono, gli storpi camminano). Tutte quelle “basi” evidentemente hanno un fermo sostegno solo sulla supposizione che i vangeli siano intesi a raffigurare un ideale immacolato, un Dio, che non siano al più che una concezione, come, forse, è stato sostenuto da Bruno Bauer. Ma sono inutili dal punto di vista inteso, come descrizione di un uomo. Se, comunque, l'intenzione degli evangelisti fosse di raffigurare il Cristo celeste dell'Apostolo Paolo, il Dio-uomo, l'astratto essere spirituale, per collocarlo sul terreno della realtà storica, e così per trattare seriamente l'“idea” di Paolo dell'umanità, essi erano obbligati a fornirgli anche caratteristiche umane. E quelle avrebbero potuto essere o inventate da capo oppure attinte dalla vita reale di onorati maestri, in cui è riconosciuto il fatto che, perfino per il più nobile e il migliore degli uomini, ci sono momenti di disperazione e di angoscia, che il profeta sia di nessun valore nella sua stessa patria, oppure sia ignoto perfino ai suoi parenti più prossimi. Perfino del profeta Elia, il precursore veterotestamentario del Messia, che in molti modi ha influenzato il ritratto di Gesù, è detto che avesse avuto momenti di disperazione in cui desiderò morire, finchè Dio non lo rafforzò di nuovo per il compimento della sua missione. [86] Inoltre, Marco 10:17 era un luogo comune in tutta la filosofia antica dal tempo di Platone, e acquisì quella forma con una modifica del testo originale (A. Pott, “Der Text des Neuen Testaments nach seiner gesch. Entwicklung” in “Aus Natur und Geisteswelt”, 1906, pag. 63, seq.); Marco 14:24 è preso dal 22° Salmo, che ha determinato anche sotto altri aspetti i dettagli del racconto della crocifissione. Marco 3:21 è, come ha mostrato Schleiermacher e come Strauss ha confermato, una pura invenzione dell'evangelista, dato che le parole dei farisei sono state messe sulle loro labbra, come loro opinione, al fine di spiegare la risposta di Gesù con l'asserzione della sua parentela (Strauss, “Leben Jesu”, 1 pag. 692, si veda anche il Salmo 59:1: “Sono diventato un estraneo ai miei fratelli, uno straniero per i figli di mia madre”). Matteo 11:5 è basato su Isaia 35:5, 42:7, 49:9, 61:1, che recita nella Septuaginta: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; e predicare un anno di grazia del Signore, e il giorno di vendetta del nostro Dio; a confortare tutti coloro che piangono”. [87] I nove “fondamenti” di Schmiedel di conseguenza sono al massimo testimonianza di una “gloria perduta”; ma la costruzione di una vita di Gesù “veramente scientifica” non può nascere da loro. [88]
La chiarezza dell'esposizione, allora, non può mai permettere una prova della natura storica della materia in questione. E quanto facilmente questa chiarezza non è importata da noi nelle informazioni evangeliche! Siamo cresciuti nell'atmosfera di questi racconti, abituati a portarci dietro, sotto l'influenza del cristianesimo circostante, un loro quadro immaginario, che noi introduciamo involontariamente nella nostra lettura dei vangeli. E quanto sia soggettiva e dipendente dal “gusto” del lettore l'impressione della chiarezza fornita dal ritratto evangelico di Gesù, a quale grande misura arrivano le predilezioni personali, è evidenziato da questo fatto, che un Vollers non ha potuto scoprire nei vangeli alcun uomo reale in carne e ossa, ma solo un'“immagine oscura”, che egli ha analizzato da una prospettiva taumaturgica (l'operatore di miracoli) e soteriologica (il Salvatore). [89]  In opposizione agli sforzi della teologia storica per dare a Gesù una posizione “unica” al di sopra di quella di tutti gli altri fondatori di religioni, Vollers giustamente osserva quanto debba essere difficile per il trattamento puramente storico riconoscere queste e simili asserzioni. “L'improbabilità, per non dire impossibilità, del ritratto soteriologico è troppo ovvia. In fondo questa immagine della teologia critica non è altro che la trasformazione contemporanea dell'uomo ideale di Schleiermacher; cosa deve essere apparso comprensibile cent'anni fa come il prodotto di un raffinato Moravianismo, nell'atmosfera di Fichte, di Schelling e di Hegel, è al giorno d'oggi una semplice omissione di un'analisi aperta e onorevole dal punto di vista che prevalga al di fuori della teologia, e che sia conosciuta principalmente nelle sfere della Natura e della Storia. Chi negherebbe che il tono del catechismo e del pulpito, quelle parole dal suono pieno di molti significati, perfino l'occultamento e la dissimulazione di ammissioni spiacevoli, non recitino una parte in questo campo come non avrebbero mai potuto averla recitata in qualsiasi altra scienza?”
 Siamo quindi ridotti ai detti individuali e ai sermoni di Gesù. Quelli devono essere provati comprensibili soltanto come le esperienze e i pensieri personali di un individuo supremo. Sfortunatamente proprio questo, come è già stato provato, sembra particolarmente dubbio. Per quanto riguarda i sermoni di Gesù, abbiamo già capito da Wernle che non furono ricevuti in ogni caso da Gesù nella forma in cui ci sono stati tramandati, ma furono successivamente redatti dagli evangelisti a partire da suoi detti isolati e occasionali. [90] Si suppone che quelle singole frasi ed espressioni occasionali di Gesù siano state prese in ultima istanza in parte dalla tradizione orale, in parte dalla collezione aramaica — quella “grande fonte” di Wernle — che venne tradotta in greco dai vangeli. L'esistenza di questa fonte è stata stabilita solo molto indirettamente, e non sappiamo assolutamente nulla di più. Ma è evidente che anche nella traduzione di una lingua in un'altra molto dell'originalità di quelle “parole del Signore” dev'essere stata persa; e, come si può vedere, i diversi evangelisti hanno “tradotto” le stesse parole in modo completamente diverso. Se sarà possibile ricostruire l'opera originale, come la teologia critica si sforza di fare, dal materiale dinanzi a noi, sembra molto discutibile. E non ci viene data nessuna garanzia del fatto che abbiamo a che fare con le reali “parole del Signore” come erano contenuti nella collezione aramaica.
Anche se si immagina che l'evangelista abbia espresso il significato originale, cosa deve assicurarci che questa frase fu pronunciata da Gesù proprio in questo modo, e non in altre connessioni, se perfino le frasi fossero state dimenticate non appena pronunciate? Ma si suppone generalmente che questo non sia dovuto accadere fino a dopo la morte di Gesù, dopo che il suo significato messianico venne chiaramente riconosciuto, e dopo che le persone stavano facendo sforzi per risalire alla memoria della figura del Maestro e preservare dei suoi detti tutto ciò che fosse stato utile. Bousset, in effetti, nel suo lavoro, “Was wissen wir von Jesus?” — che era diretto contro Kalthoff — ha accennato alla “buona memoria orientale dei discepoli”. Tutti quelli che conoscono l'Oriente per esperienza personale concordano abbastanza su un punto, vale a dire, quanto poco un Orientale sia in grado di ripetere ciò che ha sentito o esperito in una maniera vera e oggettiva. Di conseguenza non esiste in Oriente nessuna tradizione storica nel nostro senso della parola, ma tutti gli eventi importanti sono decorati come un romanzo, e sono cambiati secondo le necessità del momento. Detti del genere, infatti, come “Ama i tuoi nemici”, “offrire è più benedetto che ricevere”, “Nessuno tranne Dio è buono”, “Beati i poveri”, “Tu sei la luce del mondo”, “Dai a Cesare quel che è di Cesare”, ecc., una volta ascoltati potrebbe essere “non dimenticati facilmente”, come recita la frase teologica. Ma anch'essi non sono di un genere tale da rendere necessario il Gesù della teologia liberale per la loro invenzione.
Non abbiamo bisogno qui di prendere in considerazione quante espressioni di Gesù potrebbero essere state importate nei vangeli dal dramma misterico, con la cui esistenza noi dobbiamo nondimeno fare i conti, e le cui  frasi potrebbero essere state modificate in detti del Gesù “storico”. Passi oscuri e pomposi del tipo come, per esempio, Matteo 10:32 seq.; 11:15-30, 26:64 e 28:18, danno l'impressione di provenire dalla bocca del rappresentante di Dio sulla scena; e questa probabilità è ulteriormente accresciuta quando incontriamo espressioni abbastanza simili, come quelle del “fardello leggero” e del “giogo facile” nei Misteri di Mitra o di Iside. [91] Bousset ammette che tutte le singole parole che ci sono state tramandate come espressioni di Gesù sono “mediate dalla tradizione di una comunità, e sono passate attraverso molte mani”. [92] Sono, come ha osservato Strauss, simili a ciottoli che le onde della tradizione hanno rotolato e lucidato, spostandoli qua e là e unendoli a questa e a quella collezione. “Siamo assolutamente certi che nessuna singola parola dei vangeli”, osserva Steck, “fu pronunciata da Gesù proprio in questa maniera e non in altra”. [93] “Sarebbe molto difficile”, pensa Vollers, “riferire  con certezza storica a Gesù di Nazaret una sola espressione, una parabola, un atto di quest'uomo ideale, diciamo con la stessa certezza con cui attribuiamo la Lettera ai Galati all'Apostolo Paolo, oppure spieghiamo il Logos giovanneo come il prodotto della filosofia greca”. [94] Perfino uno dei capi dell'ortodossia protestante, il Professore Kähler, di Halle, ha ammesso, come è stato affermato nel “Kirchliche Monatsblatt für Rheinland und Westfalen”, in una conferenza teologica tenutasi a Dortmund, che noi non possediamo “nessuna singola parola autentica” di Gesù. Qualsiasi tentativo, come ha fatto Chamberlain, di raccogliere dalla tradizione un certo nucleo di “parole di Gesù” di conseguenza è sbagliato; e se niente deve essere un criterio se non i propri sentimenti personali, sarebbe meglio confessare da subito che qui non si può parlare di alcun tipo di decisione.
È stabilito, quindi, che non possiamo con certezza far risalire ad un Gesù storico alcuna delle espressioni del “Signore” che è giunta fino a noi. Anche l'autorità più antica, la collezione aramaica, potrebbe aver contenuto semplicemente la tradizione di una comunità. Se si deriva l'unica possibile conclusione dal risultato della critica dei vangeli, e si contesta l'esistenza in qualsiasi tempo di un Gesù storico, possiamo allora pensare che i sostenitori di un Gesù “storico” hanno ragione nel trattare quella conclusione come niente più che un “rozzo peccato contro tutti i metodi storici”, come la cosa più mostruosa e non scientifica ? Dopo tutto, potrebbe esserci stata questa collezione di “parole del Signore” nelle più antiche comunità cristiane; ma dobbiamo intendere con questo parole di un preciso essere umano? Non potrebbero essere state piuttosto parole che possedevano un'accettazione autorevole e canonica nella comunità, essendo ad essa particolarmente importanti o congeniali, e che erano per questa ragione attribuite al “Signore” — cioè, all'eroe dell'associazione o del culto, Gesù? È stato generalmente accettato che questo era il caso, per esempio, con le prescrizioni per quanto riguarda la condotta in caso di litigi tra i membri della comunità [95] e in relazione al divorzio. [96] Si rammentino le “parole del Signore” nelle altre associazioni religiose dell'antichità, l'αὐτὸς ἔφα dei Pitagorici. E quanti detti particolarmente popolari, impressionanti, e favoriti erano correnti nell'antichità che recavano i nomi di uno dei “Sette Sapienti”, senza che nessuno si sia sognato di attribuire loro un significato storico! Come allora può essere tutto fuorché affrettato e acritico presentare “le parole del Signore” nella collezione, che sono la base dei sermoni di Gesù nei vangeli, come detti di un preciso Rabbì — cioè, del Gesù “storico”? Si potrebbe avere un'opinione delle parole di Gesù tanto alta quanto si vuole: l'interrogativo è se Gesù, perfino il Gesù della teologia liberale, sia il loro padre spirituale, oppure se non siano dopotutto sullo stesso piano dei salmi o dei detti dell'Antico Testamento che passano sotto i nomi di Davide e di Salomone, e di cui sappiamo abbastanza positivamente che i loro autori non erano né l'uno né l'altro.
Ma forse quei detti e quei sermoni di Gesù sono di una tale natura che avrebbero potuto nascere solamente dal “Gesù storico”? Di un gran numero sia di dichiarazioni isolate che di parabole di Gesù — e tra quelle parabole effettivamente le più belle e le più ammirate, per esempio, la parabola del buon Samaritano, il cui contenuto morale coincide con Deuteronomio 29:1-4, del Figliol Prodigo, [97] dell'uomo che ha seminato — sappiamo che furono copiate in parte dalla filosofia ebraica, in parte dalla tradizione orale del Talmud e in parte da altre fonti. In ogni caso non possiedono nessuna pretesa originalità! [98]
Ciò vale anche per il Discorso della Montaagna, il quale, come è stato dimostrato in particolare dagli studiosi ebrei, e come ha dimostrato una volta di più Robertson, è un semplice miscuglio attinto dall'antica letteratura ebraica e, assieme alla preghiera del Padre Nostro, non contiene un solo pensiero che non abbia il suo prototipo nell'Antico Testamento e nelle antiche massime filosofiche del popolo ebraico. [99] Inoltre, le parti rimanenti, la cui genesi da qualche altro ambiente è almeno ancora non dimostrata, non sono affatto di una tale natura da poter essere sorte soltanto nella mente di una personalità come il teologico Gesù di Nazaret.
In fondo, in effetti, egli non disse né insegnò nulla al di là della più pura moralità dell'ebraismo contemporaneo — per non dire nulla degli Stoici e degli altri maestri etici dell'antichità, in particolare quelli degli Indiani. Il più serio sospetto della loro novità e originalità è suscitato dall'enfasi evangelica sulla novità e sul significato dei detti di Gesù con l'espressione “gli antichi dicevano”“ma io vi dico”; tentando in tal modo di creare una contraddizione artificiale con il precedente punto di vista spirituale e morale dell'ebraismo, anche su punti dove solo uno sguardo all'Antico Testamento è necessario per convincerci che una contraddizione del genere non esiste, come, per esempio, nel caso dell'amore di Dio e del prossimo. [100] Inoltre, la nostra abituale riverenza per Gesù e la travolgente glorificazione di tutto ciò che è a lui legato ha circondato molte delle “parole del Signore” di un'aureola di importanza che non figura in nessuna relazione col loro valore reale, e che non avrebbero mai ottenuto se ci fossero state consegnate in un'altra circostanza oppure sotto qualche altro nome.
Pensiamo solo a quanto che di per sé è abbastanza banale e insignificante sia stato elevato ad un'importanza piuttosto ingiustificabile semplicemente attraverso l'uso del pulpito e la consacrazione del servizio divino. Anche se i nostri teologi non si siano già stancati di esaltare l'“unicità”, l'incomparabilità e la maestà delle parole e parabole di Gesù, potrebbero comunque nondimento considerare solo per una volta quanto sia di poco valore, fin quanto sia sbagliato, spiritualmente insignificante e moralmente insufficiente, addirittura assolutamente discutibile, nella predicazione di Gesù. [101] A questo proposito l'abitudine è sempre stata di scusare la tradizione riferendosi all'inesattezza oppure andare contro ogni genuino metodo storico tramite delucidazioni tortuose dei passi in questione, per via di riferimenti non specificati ai limiti temporali e culturali perfino del “superuomo”, e mediante una soppressione delle parti sgradevoli.
Quanto parecchio fastidio non si siano presi i nostri teologi, e non lo prendono nemmeno ora, per mostrare anche un singolo punto nelle dottrine di Gesù che possa giustificare la loro dichiarazione in buona fede della sua “unicità” nel senso da loro inteso, e possa giustificare la loro elevazione del Gesù puramente umano quanto più alto possibile al di sopra della sua epoca! A nemmeno uno di tutti i passi citati a tal fine è stato consentito di rimanere in piedi. Il Gesù sinottico non insegnò né una morale nuova e più elevata, né una “nuova mansuetudine”, e neppure una coscienza più profonda di Dio; né l'“indistruttibile valore delle anime individuali degli uomini” nel senso individualistico odierno, e nemmeno la libertà  contro la Legge ebraica, né l'immanenza del regno di Dio, né qualcos'altro, che superasse la capacità di un altro uomo intellettualmente distinto della sua epoca. Perfino l'amore, l'amore generale, del proprio prossimo, la cui predicazione costituisce presso la maggiore parte dei laici la rivendicazione principale della venerazione posseduta dal Gesù storico, nei sinottici non recita nessun ruolo veramente importante nella concezione morale gesuana dell'esistenza; dato che l'amore non governa nessuna sfera più ampia di quanto gli fosse già stato concesso nell'Antico Testamento! [102] E se l'eloquenza del pulpito di millenovecento anni ha tentato nondimeno di sottolineare questo punto, è perché conta sulla inconsapevolezza nei fedeli della differenza tra i vangeli, e sul loro permettere pacificamente che il vangelo di Giovanni, l'unico e solo “vangelo dell'amore”, il quale, tuttavia, non è supposto “storico”, si sostituisca ai vangeli sinottici. E così attualmente constatiamo che la glorificazione delle dottrine di Gesù che, qualche tempo fa, fiorì in maniera così lussureggiante, appare di recente in termini sempre più moderati. [103]
Così per qualche tempo era consueto in teologia, sotto l'influenza di Holtzmann e di Harnack, considerare la profondità etica e la restituzione dell'“amore paterno” di Dio come il punto essenzialmente nuovo e significativo nella “buona novella” di Gesù, e scrivere frasi adulatorie al riguardo. Recentemente, anche questo sembra essere stato abbandonato, in quanto, per esempio, Wrede confessa apertamente, rispetto alla “filiazione a Dio”, che questa concezione esisteva nell'ebraismo molto prima di Cristo; inoltre che Gesù non predicò specialmente Dio come il “Padre” amorevole di ciascuno individuo, che in verità egli nemmeno una volta collocò in primo piano il nome di Dio come il Padre. [104] Ma così tanto più decisamente si fa riferimento agli “effetti enormi” che capitarono all'apparizione di Gesù, e si fa il tentativo di dimostrare tramite loro la sua insuperabile grandezza, “unicità” e realtà storica. Come se Zoroastro, Buddha e Maometto avessero raggiunto meno, come se gli effetti che siano provocati da una persona debbano figurare in una certa relazione con il suo significato umano, e come se quegli effetti dovessero essere attribuiti al Gesù “storico” e non invece al Gesù mitico — cioè, all'idea del Dio che si sacrifica per l'umanità! Come materia di fatto, la sua fede nell'immediata prossimità del Regno di Dio messianico, e l'esigenza di un cambiamento della vita basato su questo, che è realmente “unico” nel Gesù tradizionale, è sprovvisto di ogni significato religioso ed etico per noi, ed è al massimo di interesse per la storia della civiltà. D'altro canto, questa parte del suo insegnamento nella misura in cui è ancora importante per noi non è “unica”, e ha la reputazione di essere così soltanto perché siamo stati abituati da un'educazione teologica a trattarla alla luce della metafisica dogmatica cristiana della redenzione. Platone, Seneca, Epitteto, Lao Tse o Buddha nelle loro opinioni etiche non figurano dietro Gesù con la sua egoistica pseudo-morale, il suo basare l'azione morale sull'aspettativa di una ricompensa e di una punizione nel futuro, il suo gretto nazionalismo, che i teologi invano tentano di eludere e di celare; e il suo oscuro misticismo, che si sforza di raggiungere un'importanza speciale per le sue massime tramite riferimenti misteriosi al suo “Padre celeste”. [105] E per quanto riguarda la “grande impressione” che si immagina che Gesù avesse fatto sulla sua gente e sull'età successiva, e senza di cui si immagina che la storia del cristianesimo sia inspiegabile, Kalthoff ha dimostrato con giustizia che i vangeli non  riflettono in alcun modo l'impressione prodotta da una persona, ma solamente l'impressione che, come racconti della personalità di Gesù, avrebbero fatto sui membri della comunità cristiana. “Persino l'impressione più forte non prova nulla per quanto riguarda la verità storica di quei racconti. Perfino un racconto di un personaggio fittizio potrebbe produrre l'impressione più profonda su una comunità se è fornito in termini storici. Quale impressione ha prodotto il ‘Werther’ di Goethe, anche se il mondo intero sapeva che si trattava solo di un romanzo! Eppure ha suscitato innumerevoli discepoli ed imitatori”. [106]
In questo abbiamo allo stesso tempo una confutazione dell'obiezione popolare che negare l'esistenza storica di Gesù equivale a fraintendere “il significato della personalità nella vita storica dei popoli e delle religioni”. Certamente, come dice Mehlhorn, soprattutto una devozione attiva si accende per persone in cui questa personalità ci colpisce in una maniera evidente, ispirando ed animando. [107] Ma per accendere la devozione e la fede in Gesù Cristo bastava la personalità ispiratrice di un Paolo, se egli fosse stato o meno l'autore delle lettere correnti sotto il suo nome; era abbastanza l'attività missionaria degli apostoli, che lavoravano, al pari di lui, al servizio del credo di Gesù, dal momento che si muovevano di luogo in luogo, e, spesso subendo grande sacrificio personale e privazione, con pericolo per le loro stesse vite, richiedevano l'adorazione del nuovo Dio. Coloro in necessità di redenzione non avrebbero mai potuto trovare alcun reale sostegno religioso al di fuori della fede in un redentore divino, non avrebbero mai potuto trovare soddisfazione e liberazione se non nell'idea di Dio che si sacrifica per l'umanità — il Dio il cui potere redentore e la cui netta superiorità rispetto alle altre divinità misteriche gli apostoli potevano ritrarre in una maniera così vivace e sorprendente. Che un'idea possa essere efficace e fruttuosa soltanto per mezzo di una grande  personalità è una formula vuota. [108] Nel pensare di poter sostenere con questa argomentazione la loro fede in un Gesù storico i teologi liberali di Gesù si avvalgono di un pezzetino irrilevante di moderna filosofia da strada senza accorgersi che nel loro caso ciò non prova nulla. Dove c'è, allora, la “grande personalità” che diede al Mitraismo una tale efficacia che nel primo secolo della nostra esso era in grado di conquistare dall'Oriente quasi tutto l'Occidente e di far dubitare per qualche tempo se il mondo dovesse essere mitraico oppure cristiano? In religioni influenti come quelle di Dioniso e di Osiride, o addirittura nel Brahmanesimo, non possiamo parlare di grandi personalità come loro “fondatori”; e in quanto a Zarathustra, il preteso fondatore della religione persiana, e a Mosè, il fondatore della religione israelita, essi non sono personaggi storici; mentre le opinioni di diversi investigatori differiscono per quanto riguarda l'esistenza storica del famoso fondatore del Buddhismo. Certo, anche nelle religioni sopra menzionate le idee particolari sarebbero state divulgate da individui brillanti, e i movimenti che dipendevano da loro sarebbero stati organizzati per prima e resi efficaci da uomini dotati di energia e di uno scopo. Ma la domanda è se personaggi di questo tipo siano necessariamente “grandi”, perfino “unici”, nel senso della teologia liberale, perchè abbiano successo. Cosicchè mettere da parte Paolo, la cui personalità ispiratrice dotata di un genio per l'organizzazione la conosciamo dalle sue epistole — metterlo da parte a favore di un Gesù immaginario,  basare l'importanza della religione cristiana sull'“unicità” del suo presunto fondatore, e basare questa unicità a sua volta sull'importanza del movimento religioso che ne è derivato, equivale ad abbandonare il punto di vista critico e abbandonarsi a ragionamenti circolari. “È un'asserzione vuota”, afferma Lützelberger, “priva di alcun reale fondamento, che l'invenzione di un tale personaggio come quello che i vangeli ci offrono nel loro Gesù sarebbe stata molto impossibile, siccome troviamo in lui una precisa personalità così particolare e nitida che l'immaginazione non sarebbe mai stata capace di inventarla e di aderirvi. Infatti la personalità che incontriamo nei vangeli non è affatto una che è raffigurata nitidamente e fedele a sé stessa; ma il racconto ci mostra invece un uomo che da propensioni mentali abbastanza diverse si pronunciava ora in un modo e ora in un altro, ed è perfettamente diverso nel primo e nel quarto vangelo. Solo con la più grande difficoltà si può formare un insieme omogeneo e coerente dalle descrizioni nei vangeli. Così che abbiamo assolutamente torto nel concludere dall'originalità della persona di Cristo nei vangeli la loro credibilità storica”. È molto più giustificabile la conclusione che se un personaggio del genere con una tale storia di vita e con tale discorso fosse figurato all'inizio della chiesa cristiana, la storia del suo sviluppo dev'essere stata piuttosto diversa, proprio come la storia dell'ebraismo sarebbe stata diversa se fosse figurato alla sua origine un Mosè con la sua Legge. [109]
E ora se paragoniamo le lodi del Buddha nel Lalita Vistara con la descrizione della personalità di Gesù offerta nel Nuovo Testamento, saremo convinti in quale simile maniera — anche se escludiamo l'ipotesi di un'infuenza diretta — e sotto quali simili condizioni la religione affine prese forma: “Nel mondo delle creature, che fu a lungo afflitto dai mali della corruzione naturale, sei apparso, re dei guaritori, che ci redime da tutti i mali. Al tuo ingresso, o guida, scompaiono i disordini e gli Dèi e gli uomini sono ricolmi di salute. Tu sei il protettore, il solido fondamento, il capo, la guida del mondo, con la tua disposizione gentile e benevola. Tu sei il migliore dei guaritori, che porti il perfetto mezzo di salvezza e la sofferenza più sana. Distinto dalla tua compassione e dalla tua simpatia, tu governi le cose del mondo. Distinto dalla forza della tua mente e dalle buone opere, completamente puro, hai raggiunto la perfezione, e, tu stesso riscattato, vuoi, come il profeta delle quattro verità, riscattare anche altre creature. Il potere del Maligno è stato superato dalla sapienza, dal coraggio e dall'umiltà. Tu hai realizzato la gloria suprema e immortale. Ti salutiamo come il conquistatore dell'esercito dell'Ingannatore. Tu la cui parola è senza colpa, che liberi dall'errore e dalla passione, hai percorso la via della vita eterna; tu meriti in cielo e sulla terra onore e omaggi ineguagliabili. Tu vivifichi gli Dèi e gli uomini con le tue parole chiare. Dai raggi che escono da te sei il conquistatore di questo universo, il Maestro degli Dèi e degli uomini. Sei apparso, Luce della Legge, distruttore della miseria e dell'ignoranza, completamente pieno di umiltà e maestà. Sole, luna e fuoco non brillano più davanti a te e alla tua pienezza di gloria imperitura. Tu che ci insegni a conoscere la verità dalla menzogna, guida spirituale con la voce più dolce, il cui spirito è calmo, le cui passioni sono controllate, il cui cuore è perfettamente a riposo, che insegna ciò che dovrebbe essere insegnato, che fai conoscere l'unione di Dèi e uomini: ti saluto, Sakhyamuni, come il più grande degli uomini, come lo stupore dei tremila mondi, che merita onore e omaggio in cielo e in terra, dagli Dèi e dagli uomini!”. Dov'è, allora, l'“unicità” di Gesù, in cui la divinità futura del redentore del Mondo è scomparsa per la moderna teologia critica, ed in cui si è sforzata di importare tutte le considerazioni sentimentali che una volta appartenevano al “Dio-uomo” nel senso del dogma ecclesiastico? “Non c'è niente di più negativo del risultato della ricerca sulla vita di Gesù. Il Gesù di Nazareth che si presentò come messia, annunciò il regno di Dio e morì per dare alla propria opera la consacrazione, non è mai esistito. Si tratta di una figura che il razionalismo ha costruito, il liberalismo ha ravvivato e la teologia moderna ha rivestito storicamente”. Si potrebbe dire che la presente inchiesta è d'accordo con quelle parole del teologo Schweitzer [110].
In realtà, nei vangeli non abbiamo niente se non l'espressione della coscienza di una comunità. Da questa prospettiva la tesi sostenuta da Kalthoff è completamente giusta. La vita di Gesù, come raffigurata dai sinottici, porta semplicemente ad un'espressione in una veste storica delle idee metafisiche, delle speranze religiose, delle esperienze esteriori ed interiori della comunità che aveva Gesù per suo dio del culto. Le sue opinioni, dichiarazioni, e parabole riflettono soltanto le concezioni etico-religiose, i sentimenti temporanei, l'abbattimento e la gioia della vittoria, l'odio e l'amore, i giudizi e i pregiudizi dei membri della comunità, e le differenze e contraddizioni dei vangeli si rivelano il materiale di sviluppo della concezione del Messia in diverse comunità e in tempi diversi. Nelle fratellanze social-religiose che da lui prendono il nome Cristo assume proprio lo stesso posto che Attis assume nelle associazioni religiose frigie, Adone in quelle siriane, Osiride in quelle egiziane, Dioniso, Ercole, Ermes, Asclepio, ecc., in quelle greche. Egli non è che un'altra forma di quelle divinità misteriche o patroni di comunità, e il culto a lui dedicato manifesta nei suoi aspetti essenziali le stesse forme di quelli dedicati alle divinità sopra menzionate. Il luogo del sacrificio espiatorio di sangue dei credenti in Attis, dove loro si sottoponevano ad un “battesimo di sangue” nella loro festa annuale di Marzo, e dove ottenevano il perdono dei loro peccati ed erano “rinati” ad una nuova vita, era a Roma il Colle Vaticano. Di fatto, proprio il luogo su cui in tempi cristiani la Chiesa di Pietro crebbe sopra la cosiddetta tomba dell'apostolo. Era in fondo semplicemente un cambiamento del nome, non del contenuto, quando il Sommo Sacerdote di Attis univa il suo ruolo con quello del Sommo Sacerdote di Cristo, e il culto di Cristo si diffuse da questo nuovo punto ben oltre le altre parti dell'Impero Romano.  

NOTE

[41] Kalthoff, “Christusproblem”, pag. 17.

[42] Weinel, “Jesus im 19 Jahrhundert”, 1907, pag. 68.

[43] “Babylonisches im Neuen Testament”, pag. 109 seq.

[44] “Zerduscht Nameh”, capitolo 26.

[45] Gfrörer, “Jahrhundert des Heils”, Parte 2, pag. 380 seq.

[46] Luca 3:23.

[47] Numeri 4:3.

[48] Matteo 21:12 seq.

[49] Zaccaria 14:21 recita nella traduzione del Targum: “Ogni pentola in Gerusalemme sarà consacrata al Signore, ecc.; e a quel tempo non ci saranno più mercanti nella Casa del Signore”. In questo potrebbe esserci stato un ulteriore incentivo per gli evangelisti a dichiarare che Gesù caccia i mercanti dal Tempio.

[50] 2 Samuele 17:23; si veda anche Zacaria 11:12 seq.; Salmo 41:10.

[51] Gförer, “Jahr. d. Heils”, 2. pag. 318 seq.

[52] Si veda 1 Corinzi 10:1 seq.

[53] 2 Re 4:19 seq.

[54] Numeri 1:44; Giosuè 3:12; 4:1 seq. Si veda “Petrus-legende”, pag. 51 seq.

[55] Si veda pag. 127, nota.

[56] Flavio Giuseppe, “Antichità”, 4:8,48; Filone, “Vita Mos.”, 3.

[57] 2 Re 2:11.

[58] Ad esempio anche il racconto dell'arresto di Gesù (Matteo 26:51 seq.) si veda 2 Re 6:10-22.

[59] Matteo 9:11 seq., 12:8 seq., 15:1 seq., 11 e 20, 28:18.

[60] Salmo 146:7.

[61] Bereshith Rabba zu Gen. 41:1.

[62] Si veda specialmente Atti 11:2.

[63] Matteo 5:17 seq.

[64] Id. 8:11 seq., 10:5, 23:34 seq., 28:19 seq.

[65] Si veda Lützelberger, “Jesus, was er war und wolite”, 1842, pag. 16 seq.

[66] Si veda sopra, pag. 59 seq.

[67] Si dà come una ragione della sua iniziale apparizione in Galilea il fatto che i galilei furono per prima condotti in esilio, e così dovrebbero per prima venire confortati, siccome ogni azione divina si conforma alla legge del contraccambio (Gfrörer, “Jahr. d. Heils”, pag. 230 seq. Si veda anche Isaia 8:23).

[68] Si veda sopra, pag. 173 seq.

[69] Si veda sopra, pag. 171.

[70] Esodo 16:17 seq.; Numeri 21:1 seq.; Esodo 7:17 seq., 1 Re 17:5 seq.

[71] “Hist.”, 4:81.

[72] Isaia l:6 seq.

[73] Zaccaria 12:10.

[74] Si veda “Petruslegende”, pag. 24.

[75] Genesi 26:6; si veda anche Tertulliano, “Adv. Jud.”, pag. 10.

[76] Si veda per questo “Die Evangelische Geschichte” di Brandt, specialmente pag. 53 seq. Perfino un investigatore così cauto come Gfrörer confessa che, dopo la sua indagine di ricerca del contesto storico dei sinottici, egli è obbligato a concludere “con la triste ammissione” che la loro testimonianza non offre un'assicurazione sufficiente a permetterci di pronunciare che qualcosa che contengono, nella misura in cui sono interessati, sia vero con una buona coscienza storica. “In questo non si asserisce in alcun modo che molti non potrebbero ritenere corrette le loro opinioni, ma solo che non possiamo basarci su di loro in maniera sufficiente per basare una dimostrazione tecnicamente corretta su di loro soltanto. Essi ci raccontano fin troppe cose che sono puramente leggendarie, e fin troppe altre che sono quantomeno sospette, perché uno storico prudente si senta giustificato in una costruzione basata soltanto sulla loro parola. Questa ammissione potrebbe essere sgradevole — è spiacevole anche per me — ma è sincera, ed è richiesta dalle regole che valgono ovunque di fronte ad un buon tribunale, e nella sfera della Storia” (“Die hl. Sage”, 1838, 2, pag. 243).

[77] Questo è il caso con il racconto corrispondente di Marco, mentre in Luca la presentazione drammatica sembra essere aver più funzionato, e la coerenza, tramite l'introduzione di descrizioni ed episodi (discepoli di Emmaus) reca di più la natura di una semplice narrazione. Si veda Robertson, “Pagan Christs”, pag. 186 seq.; “A Short History”, pag. 87 seq. Il fatto che in quasi tutte le rappresentazioni di questo genere sia la scena al Getsemani che le parole pronunciate da Gesù servano di solito come segni della sua personalità (ad esempio, anche “Jesus” di Bousset — “Rel. Volksb.”, 1904, pag. 56), mostra cosa dobbiamo pensare del valore storico dei racconti della vita di Gesù; specialmente quando consideriamo che di certo non vi era nessun testimone, e Gesù non può aver comunicato lui stesso la sua esperienza ai suoi discepoli, in quanto si suppone che l'arresto abbia preso luogo sul posto.

[78] “Messiasgeheinmis”, 143.

[79] Genesi 24.

[80] E. V. Hartmann, “Das Christentum des Neuen Testaments”, 1905, pag. 22.

[81] Op. cit.

[82] Si veda H. Jordan, “Jesus und die modernen Jesusbilder, Bibl. Zeit-u. Streitfragen”, 1909, pag. 38.

[83] Marco 6:1 seq.

[84] Marco 13:32.

[85] Marco 3:20.

[86] 1 Re 19; si veda anche Isaia 42:4.

[87] Si veda Brandt, op. cit., pag. 553 seq.

[88] Hertlein tratta di quei Fondamenti di Schmiedel nel “Prot. Monatsheften”, 1906, pag. 386 seq.; si veda anche la risposta di Schmiedel.

[89] Op. cit., pag. 141.

[90] Bousset concorda con questo nel suo libro “War wissen wir von Jesus?” (1901). “I discorsi di Gesù sono per la maggior parte creazioni delle comunità, messi assieme dalla comunità a partire da parole isolate di Gesù”. “In questo, a parte da tutto il resto, ci fu un'alterazione potente e decisa dei discorsi” (pag. 47 seq.).

[91] Si veda Robertson, “Christianity and Mythology”, pag. 424 seq., pag. 429.

[92] Op. cit., pag. 43.

[93] Op. cit., pag. 43.

[94] “Protest. Monatshefte”, 1903, Märzheit.

[95] Matteo 18:15 seq.

[96] Id. 29:3 seq.

[97] Si veda Pfleiderer, “Urchristentum”, 1 pag. 447 seq.; van den Bergh van Eysinga, op. cit., pag. 57 seq.

[98] Smith, op. cit., pag. 107 seq.

[99] Si veda Nork, “Rabbinische Quellen und Parallelen zu neutestamentlichen Schriftstellen”, 1839.

[100] Si veda v. Hartmann, op. cit., pag. 131-143. Sarà sempre un argomento illuminante contro la natura storica dei detti di Gesù il fatto che Paolo non sembra saper nulla di loro, che egli non si riferisce mai esattamente a loro; e che perfino all'inizio del secondo secolo, ad eccezione di poche osservazioni di Clemente e di Policarpo, gli Apostoli e i Padri in tutte le loro ammonizioni, consolazioni, e reprimende, non fanno mai uso dei detti di Gesù per dare forza maggiore alle loro proprie parole.

[101] V. Hartmann, op. cit., pag. 44 seq.

[102] Ascoltiamo ciò che dice Clement contro questo: “Nella sua riduzione della Legge al Comandamento dell'amore, nonostante questo fosse già prominente nell'Antico Testamento [!] e perfino prima ancora fosse già stato qua e là [!] caratterizzato come il Comandamento principale, il cristianesimo è completamente originale [!]. E per Gesù la subordinazione dei doveri religiosi ai doveri morali era la conseguenza di questo, sebbene da questa prospettiva egli sarebbe stato parimenti influenzato dai profeti dell'Antico Testamento” (op. cit., pag. 135 seq.).

[103] “Dobbiamo prestare (per quanto riguarda gli ideali morali di Gesù) proprio altrettanta attenzione a ciò di cui egli non tratta, a ciò che pone da parte, quanto a ciò a cui egli si sofferma, in effetti, ponendo in opposizione a tutto il resto. Almeno questa selezione meravigliosamente sicura appartiene a Gesù. Potremmo produrre analogie per ogni singola cosa, ma l'intero è unico e non può essere inventato” (v. Soden, op. cit., pag. 51 seq.). Questo metodo, praticato dalla teologia liberale, di esaltare il loro Gesù contro tutti gli altri mortali, e di elevarlo ad una “unicità” nel senso assoluto, non può fare in effetti che una minuscola impressione alle persone imparziali.

[104] Wrede, “Paulus”, pag. 91.

[105] Ammettiamo che oltre alla fondazione escatologica delle sue esigenze morali, Gesù faccia anche uso a volte di espressioni che vanno al di là dell'idea di ricompensa. Ma sono abbastanza isolati — come, ad esempio, Matteo 5:48, “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”, una frase che è, peraltro, in linea con Levitico 11:44 e 19:3 — e priva di ogni significato fondamentale. In generale, e in particolare perfino nel Discorso della Montagna, quel “Diamante nella Corona dell'etica di Gesù”, l'idea di ricompensa e di punizione è prevalente (Matteo 5:12 e 46; 6:1, 4, 6, 14, 18; 5:20; 6:15; 7:1, ecc.). Le opinioni potrebbero ancora differire quanto al fatto se sia storicamente corretto stimare, come gradirebbe fare Weinel, l'etica di Gesù a questo proposito per i pochi detti che vanno oltre quell'idea. (Si veda v. Hartmann, op. cit., pag. 116-124.) La dichiarazione prediletta, comunque, è abbastanza non-storica, secondo la quale Gesù fu il primo ad introdurre nel mondo il principio dell'amore attivo; e che gli Stoici, come rappresenta Weinel, insegnarono solo a farla finita con le nostre passioni, anche quella dell'amore; oppure che in verità Gesù, che desiderò la salvezza solo a beneficio degli ebrei, che proibì al suo popolo di camminare nelle vie dei gentili, e che esitò a soddisfare la preghiera della donna cananea, “elevò al grado più alto di sincerità” l'“ideale altruistico”, e che in teoria egli infranse i confini tra i popoli e i credi con il suo “Ama il tuo nemico”, (Weinel, op. cit., pag. 55, 57). Per una confutazione di questo si veda il seguente passo da Seneca: “Tutto ciò che dobbiamo fare ed evitare potrebbe essere ridotto a questa breve formula dell'obbligo umano: noi siamo membri di un corpo possente. La natura ci ha reso affini, avendoci prodotti dalla medesima materia e per gli stessi fini. Ha impiantato in noi un amore reciproco e l'ha organizzato socialmente. Ha fondato il diritto e l'equità. A causa dei suoi comandi fare il male è peggio che soffrire il male. Mani pronte ad aiutare si levano alla sua chiamata. Che questo verso sia nelle nostre labbra e nei nostri cuori: io sono un uomo, nulla di umano disprezzo. La vita umana consiste nel benessere e nell'impegno. Sarò cementato in una società di aiuti generali non dalla paura ma dall'amore reciproco. Qual è l'anima giustamente costituita, buona e risoluta, se non un Dio che vive come ospite in un corpo umano? Uno spirito simile può trovarsi sia in un cavaliere romano, che in un liberto o in uno schiavo. È possibile arrivare al cielo anche da un cantuccio. Fai questa la tua regola, trattare le classi inferiori proprio come vorresti che le più alte ti trattassero. Anche se siamo schiavi, potremmo essere ancora liberi nello spirito. Gli schiavi sono uomini, parenti inferiori, amici; anzi, nostri compagni di schiavitù in una pari sottomissione alla tirannia del fato. Esiste un'amicizia basata sulla virtù tra l'uomo buono e Dio, sì, più che un'amicizia, una parentela e una somiglianza; poiché l'uomo buono è in realtà il suo allievo, imitatore e rampollo, che differisce da Dio solo per la continuità del tempo. Colui che il maestoso padre solleva, un po'  severamente, come è abitudine del padre severo. Dio nutre un affetto paterno verso l'uomo buono e lo ama teneramente. Se desideri imitare gli dei, dai anche all'ingrato; perché il sole sorge anche sugli empi e il mare è aperto anche al pirata, il vento soffia non solo a favore del bene, e la pioggia cade anche sui campi degli ingiusti. Vuoi propiziarti gli dèi? Sii buono. Imitarli è un atto di venerazione sufficiente”. Si veda anche Epitteto: “Preoccupati, sollevando gli occhi verso Dio, di dire, D'ora in poi serviti di me per quale fine vuoi! Io acconsento, io sono tuo, io non mi tiro indietro da nulla che propone la tua volontà. Guidami dovunque vuoi! Perché io ritengo che la volontà di Dio sia migliore della mia”. (Si veda anche Matteo 26:39).

[106] Kautsky, “Ursprung des Christentums”, pag. 17.

[107] Op. cit., pag. 8.

[108] “Com'è concepibile”, si chiede anche Pfleiderer, “che la nuova comunità dovesse essersi formata dal caos del materiale senza qualche fatto preciso, qualche evento fondativo che potesse formare il nucleo per la genesi delle nuove idee? Dovunque nel caso di un nuovo sviluppo storico i poteri e gli impulsi che sono presenti nella massa sono diretti prima ad un fine preciso e fissati in un organismo che possa sopravvivere mediante l'azione direttrice di personalità eroiche. E così l'impulso per la formazione della comunità cristiana deve essersi originato da qualche punto preciso, il quale, dalla testimonianza dell'Apostolo Paolo e dei vangeli più antichi, noi possiamo solo individuare nella vita e nella morte di Gesù” (“Entstchung des Chr.”, pag. 11). Ma che la “testimonianza” per un Gesù storico non sia una testimonianza, e che il “fatto preciso”, l'“evento fondativo” si deve guardare, se da qualche parte, in Paolo stesso e da nessun'altra parte — questo è il punto centrale di tutta questa analisi.

[109] Op. cit., pag. 61 seq.

[110] “Von Reimarus bis Wrede”, pag. 396.

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