lunedì 24 settembre 2018

Il Mito di Cristo — IL GESÙ PRECRISTIANO (V): La Nascita del Messia. Il Battesimo

Le Sofferenze del Messia 
IL GESÙ PRECRISTIANO

V

LA NASCITA DEL MESSIA. IL BATTESIMO

Non è soltanto l'idea del giusto sofferente, del Messia che muore sul patibolo, come “Re dei Giudei” e un criminale, e il suo risorgere di nuovo, che appartiene ai secoli prima di Cristo. Anche le storie che riportano la nascita miracolosa di Gesù e i suoi primi successi risalgono a questo tempo. Così nell'Apocalisse di Giovanni [1] incontriamo l'idea mitica ovviamente molto antica della nascita di un bambino divino, che è a malapena portato nel mondo prima di essere minacciato dal Drago dell'Oscurità, ma è preservato in tempo nel cielo dal suo persecutore; al che l'Arcangelo Michele neutralizza il mostro. Gunkel pensa che questa concezione si deve far risalire ad un antico mito babilonese. [2] Altri, come Dupuis [3] e Dieterich, hanno richiamato l'attenzione alla sua rassomiglianza col mito greco di Leto, [4] la quale, prima della nascita del dio della Luce Apollo, essendo perseguitata dal drago terrestre Pitone, venne trasportata dal dio del Vento Borea da Poseidone, e fu portata in sicurezza da quest'ultimo nell'sola di Ortigia, dove fu in grado di dare alla luce suo figlio non minacciata dal mostro ostile. Altri di nuovo, come Bousset, hanno paragonato il mito egizio di Hathor, secondo il quale Hathor oppure Iside mandò il suo giovane figlio, il dio della Luce Horus, in fuga dall'Egitto su un asino a causa della persecuzione di suo zio Set o Tifone. Affreschi di Pompei rappresentano quest'episodio in tale maniera da ricordare aspetto per aspetto le rappresentazioni cristiane della fuga di Maria col bambino Gesù in Egitto; e monete col ritratto di Leto in fuga provano quanto diffuso dev'essere stato questo mito per l'intero medioriente. Anche del principe assiro Sargon, essendo perseguitato da suo zio, è detto che era stato abbandonato sull'Eufrate in una cesta fatta di canne, che era stato ritrovato da un portatore d'acqua, e che era stato allevato da lui — una storia che gli ebrei hanno intrecciato nel racconto della vita del loro favoloso Mosè. [5] E storie davvero simili sono riportate sia in Oriente che in Occidente, in tempi antichi e in tempi posteriori, di altri dèi, distinti eroi e sovrani, figli degli dèi, di Zeus, Attis, Dioniso, Edipo, Perseo, Romolo e Remo, Augusto e altri. Come è ben risaputo, si suppone che il Dio-uomo indiano Krishna, un'incarnazione di Visnù, era stato perseguitato immediatamente dopo la sua nascita da suo zio, il re Kansa, che aveva messo a morte tutti i bimbi maschi della stessa età nella sua regione, col bambino che fu salvato da un simile fato soltanto prendendo rifugio da un povero mandriano. [6] Questo ricorda la storia di Erodoto di Ciro, [7] secondo la quale Astiage, il nonno di Ciro, essendo ammonito da un sogno, ordinò che venisse esposto suo nipote venisse, quest'ultimo essendo stato salvato dalla morte, comunque, grazie al suo ritrovamento da un povero mandriano e venendo allevato nella sua casa. Ora in persiano la parola per figlio è Ciro (Khoro, [8] in greco Kyros), e Kyris o Kiris è il nome di Adone a Cipro. [9] Così appare che la storia della nascita di Ciro venne in esistenza attraverso il trasferimento su re Ciro di uno dei miti riguardanti il Dio-Sole, col Dio che in questa maniera veniva confuso con un individuo umano. Ora dal momento che Ciro, come è stato detto, fu agli occhi degli ebrei un tipo di Messia e fu glorificato da loro come tale, possiamo comprendere come il pericolo attraverso cui si suppose che passò il bambino messianico trovò un posto nei vangeli. Di nuovo, una storia simile di un re che, essendo stato ammonito da un sogno oppure da un oracolo, ordina la morte del bambino nato entro un tempo specificato, si ritrova nelle “Antichità” di Flavio Giuseppe [10] in riferimento alla storia dell'infanzia di Mosè. Mosè, comunque, passò come Ciro per un tipo di precursore e anticipatore di Cristo; e Cristo fu considerato come una riapparizione di Mosè. [11] Di nuovo è detto che Ioab, il generale di Davide, avesse ucciso ogni maschio di Edom; il giovane principe Hadad, comunque, sfuggì al massacro fuggendo in Egitto. Qui egli crebbe e sposò la sorella del re, e dopo la morte del suo nemico re Davide ritornò alla sua casa. [12] Ma Hadad è, al pari di Ciro, (Kyrus) un nome del siriano Adone.
Un altro nome di Adone o Tammuz è Dôd, Dodo, Daud, o Davide. Questo significa “il Diletto” e indica “il figlio diletto” del padre celeste, che si offre per l'umanità, oppure “il Prediletto” della Regina del cielo (Atargatis, Mylitta, Istar). [13] Come è ben risaputo, anche re Davide venne chiamato “l'uomo secondo il cuore di Dio”, e non c'è alcun dubbio che caratteristiche del Redentore e del Salvatore divino dallo stesso nome siano state intrecciate nella storia di Davide nella stessa maniera come in quella di Ciro. [14] Secondo Geremia 30:8 ed Ezechiele 34:22 seq. e 37:21, era Davide stesso che sarebbe apparso come il Messia e avrebbe ristabilito Israele nella sua gloria antica. In effetti, questa sembra essere stata anche la concezione originaria del Messia. Il Messia Davide sembra essere stato modificato in un discendente di Davide solo col progresso della concezione monoteista di Dio, sotto l'influenza della dottrina persiana riguardante Saoshyant, l'uomo “del seme di Zoroastro”. Ora si suppose che Davide fosse nato a Betlemme. Ma a Betlemme c'era, come ci informa Girolamo, [15] un antico sepolcro e santuario del siriano Adone, e come lamenta lo stesso Girolamo lo stesso luogo dove il Salvatore vide per prima la luce risuonava dei lamenti per Tammuz. [16] A Betlemme, la precedente Efrata (ossia, Luogo di Cenere), si dice che Rachele avesse dato alla luce il più giovane dei dodici figli-mesi di Giacobbe. Lei stessa l'aveva battezzato Benoni, figlio del lamento doloroso. Egli era chiamato di solito, comunque, Beniamino, il Signore o Possessore della Luce. Nella Benedizione di Mosè egli è chiamato anche “un beniamino del Signore”, e suo padre Giacobbe lo amò particolarmente. [17] Egli è il Dio dell'anno nuovo nato dalle ceneri del passato, alla cui apparizione lamento e gioia si fondono l'un con l'altra; e così egli è solo una forma di Tammuz (Hadad) che richiama in mente il Redentore cristiano nel fatto che egli presiedeva sul mese dell'Ariete. [18]
Ora comprendiamo la profezia del profeta Michea: “E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti”. [19] Ora, pure la storia della strage dei bambini di Betlemme ha il suo retroterra nella storia religiosa. È detto in Matteo 2:18, con riferimento a Geremia 31:15, “Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più”. È il lamento delle donne sull'assassinato Adone a levarsi ogni anno a Betlemme. Questo venne trasformato dagli evangelisti nel lamento sull'assassinio dei bambini che avvenne alla nascita di Hadad il quale fu onorato a Betlemme. [20]
Hadad-Adone è un Dio della Vegetazione, un Dio della linfa risorgente della vita e dell'abbondanza; ma, com'era il caso con tutti gli Dèi di una natura simile, il pensiero del fato del sole, che muore in inverno e rinasce di nuovo nella primavera, giocò la sua parte nella concezione di questo dio mediorientale della stagione. Qualcosa di questo tipo potrebbe proprio essere passato per la mente di Isaia, quando egli predisse la gloria futura del popolo di Dio sotto l'immagine di una nuova nascita del sole a partire dall'oscurità della notte, con quelle parole “profetiche”: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. ... Le ricchezze del mare si riverseranno su di te, verranno a te i beni dei popoli. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”. [21]
Come è ben risaputo, generazioni successive stavano definendo continuamente quest'idea in una forma ancor più esuberante. L'immaginazione degli ebrei schiavizzati e impoveriti gioiva al pensiero che le nazioni e i loro principi avrebbero prestato omaggio al Messia con doni, mentre ingenti tesori si sarebbero riversati nel tempio di Gerusalemme: “Prìncipi verranno dall'Egitto, l'Etiopia s'affretterà a tender le mani verso Dio.  O regni della terra, cantate a Dio”. [22] Questo è il fondamento della storia evangelica dei “Magi”, che pongono i loro tesori ai piedi del neonato Cristo e della sua “vergine madre”. Ma che stiamo trattando qui in realtà la nuova nascita del sole al tempo del solstizio d'inverno appare dal legame tra i magi, o re, e le stelle. Poichè quei Magi non sono nient'altro che tre stelle nella cintura della spada di Orione, che al solstizio d'inverno nell'Occidente sono di fronte alla costellazione della Vergine nell'Oriente; stelle che secondo idee persiane di questo tempo cercano il figlio della Regina del Cielo — cioè, il successivo sole ringiovanito, Mitra. [23] Ora, come è stato detto, anche Hadad è un nome del Dio-Sole, e l'Hadad dell'Antico Testamento ritorna alla sua dimora originaria dall'Egitto, dove era fuggito da Davide. Così possiamo comprendere come Osea 11:1, “Dall'Egitto ho chiamato mio figlio”, avrebbe potuto riferirsi al Messia e come la storia che Gesù passò la sua prima giovinezza in Egitto fu derivata da ciò. [24]    
Ci si potrebbe onestamente domandarsi com'era possibile che il sole venisse ad essere onorato così dalla gente dell'Asia Occidentale, con un lamento alla sua morte e con un giubilo alla sua nuova nascita. Poichè l'inverno, il tempo della “morte” del sole, in quelle regioni meridionali offriva a malapena qualche motivo per un lamento. Era precisamente la parte migliore dell'anno. Anche la notte, dovendo considerare la sua frescura dopo il calore del giorno, non dava alcun motivo per desiderare la nuova nascita del sole nel giorno.
Siamo indotti a supporre che nel caso di tutti gli dèi di questa natura l'idea dell'estinguersi della vegetazione durante il calore dell'anno e l'idea della sua rinascita erano diventate intrecciate e fuse con quella della forza del sole che declina e rivive. Così, da questa fusione di due distinte linee di pensiero, dobbiamo spiegare le variazioni della  natura duplice degli dèi del Sole e degli dèi della Vegetazione dell'Asia occidentale. [25] È ovvio, comunque, che il sole si può considerare da un simile tragico punto di vista soltanto in una terra dove, e nei miti di un popolo per il quale, esso possiede in realtà un significato così decisivo che ci sono ragioni per lamentarsi della sua assenza o della sua mancanza di forza durante l'inverno e per una attesa febbrile del suo ritorno e della sua rinascita. [26] Ma è principalmente negli altopiani dell'Iran e nell'entroterra montagnoso dell'Asia Minore che questo è il caso a tale misura da rendere quest'idea uno dei punti centrali del credo religioso. Perfino qui punta ad un tempo remoto quando la gente interessata aveva ancora il suo luogo di dimora assieme alle affini tribù ariane in una località molto più settentrionale. [27] Così Mitra, il “Sol invictus” dei romani, combattendo vittoriosamente attraverso notte ed oscurità, è un eroe solare, che deve esser penetrato in Persia dal nord. Questo è dimostrato, tra altre cose, dal suo compleanno che era celebrato il 25 dicembre, il giorno del solstizio d'inverno. Di nuovo, la nascita del piccolo Dioniso, che era associata così da vicino agli Dèi mediorientali della stagione, soleva venir celebrata come la festa della nuova nascita del sole all'incirca lo stesso tempo, col Dio che era allora onorato come Liknites, come “il bambino nella culla” (il ventilabro). Gli egizi celebravano la nascita di Osiride il 6 gennaio, alla cui occasione i sacerdoti producevano la figura di un bambino dal santuario, e la mostravano al popolo come un ritratto del Dio neonato. [28] Che il frigio Attis giunse là con gli ariani che penetrarono dalla Tracia in Asia Minore, e deve aver avuto la sua dimora originariamente in Europa Settentrionale, appare di colpo dalla rassomiglianza sorprendente del mito che lo riguarda con quello del mito nordico di Baldr. Non può esserci alcun dubbio che la storia in Erodoto di Atis, figlio di Creso, che durante una caccia al cinghiale trovò accidentalmente la sua morte per la lancia del suo amico, fornisce solo un'altra versione del mito di Attis. Questa storia, comunque, rassomiglia così da vicino a quella della morte di Baldr, data nell'Edda, che l'ipotesi di un legame tra loro si impone inevitabilmente nella mente di ognuno. Nell'Edda la moglie di Baldr  si chiama Nanna. Ma Nanna (ossia, “madre”) era secondo Arnobio, [29] il nome della madre del frigio Attis.  
Ora il Dio del Sole e dell'Estate Baldr è soltanto una forma di Odino, il Padre del Cielo, con più sommi attributi, ed è detto anche che egli, al pari di Attis, di Adone e di Osiride, ha incontrato la sua morte per colpa di un cinghiale selvaggio. Proprio come anemoni si originano dal sangue dell'ucciso Adone e violette da quello di Attis, così anche è detto che il sangue dell'assassinato Odino (Hackelbernd) è stato cambiato in fiori primaverili. [30] Alla grande festa di Attis a marzo un piccolo albero o tronco di pino addobbato di violette, su cui il ritratto del Dio veniva appeso, soleva formare il punto centrale del rito. Questo serviva a rammentare la maniera in cui in tempi remoti il rappresentante umano del Dio passava dalla vita alla morte, così da far rivivere col sacrificio una natura sfinita. Secondo i versi dell'Hávamál eddico, Odino dice di sé:
“Io so che pendetti da un albero scosso dal vento
per nove notti intere,
da una lancia ferito e consacrato a Odino,
io stesso a me stesso.”
[31]
Mediante questo sacrificio di sé, e le agonie da lui sopportate, pure il Dio settentrionale otteneva nuova forza e vita. Poichè in questa occasione egli non solo scopriva le Rune del potere magico, la cui conoscenza lo rese signore sulla natura, ma ottenne un possesso allo stesso tempo dell'idromele poetico che gli fornì immortalità ed elevò il Dio della Natura ad un Dio del potere spirituale creativo e della civiltà. Quesa è ovviamente la stessa idea che si ritrova di nuovo nel culto di Attis e nel credo nella morte del Dio. La relazione di tutte quelle visioni diverse sembra ancor più sacrificale nel fatto che un rito sacrificale risiede anche alla radice del mito di Baldr. Questo mito è solo, così per dire, il testo di un dramma religioso che veniva eseguito ogni anno per il beneficio della natura morente — un dramma in cui un uomo che rappresentava il Dio veniva consegnato alla morte. [32] Siccome tutto questo si riferisce al fato di un Dio del Sole, che muore in inverno per risorgere di nuovo a primavera, la stessa idea dev'essere stata associata in origine all'adorazione degli dèi mediorientali della vegetazione e dell'abbondanza e quest'idea fu alterata solo sotto la modifica di condizioni climatiche in quella della morte e resurrezione del mondo vegetale, senza, comunque, perdere nella sua nuova forma il suo legame originario con il sole e l'inverno.
Allo stesso tempo il mito del Dio del Sole non ci porta alla stessa base a al nucleo reale delle storie della nascita del bambino divino. La religione persiana non era così tanto una religione della Luce e del Sole quanto del Fuoco, la cui manifestazione più importante e considerevole era naturalmente il sole. Anche Dioniso, al pari di tutti gli dèi del calore vitale, della linfa vitale delle piante e della fertilità, era nella sua natura più profonda un Dio del Fuoco. Nella Religione del Fuoco, comunque, la nascita del Dio forma il centro di tutte le idee religiose; e la sua forma era fissata più esattamente attraverso gli atti peculiari tramite cui il sacerdote riaccendeva il fuoco sacro.
Per la maniera in cui questo accadeva abbiamo la più antica testimonianza autentica nei documenti religiosi degli indiani ariani. Qui Agni, come indica in effetti il suo noe (ignis, fuoco), passò per il rappresentante divino dell'Elemento del Fuoco. La sua nascita mistica veniva cantata in innumerevoli passi negli inni dei Rigveda. All'alba, non appena la luminosa stella del mattino nell'oriente annunciava il levarsi del sole, il sacerdote chiamava i suoi assistenti assieme e accendeva il fuoco su un monte della terra sfregando assieme due bastoni (aranî) in cui si supponeva fosse nascosto il Dio. Non appena la scintilla splendeva nel “seno materiale”, la soffice parte interna del legno, veniva trattato come un “bambino piccolo”. Veniva collocata accuratamente su un piccolo mucchio di paglia, che di colpo vi prendeva fuoco da esso. Su un lato risiede la “vacca” sacra — cioè, il secchio di latte e un recipiente pieno di burro, come allegorie di ogni nutrimento animale — sull'altro il sorso del sacro Soma, rappresentante la linfa delle piante, il simbolo della vita. Un sacerdote sventolava la scintilla con un piccolo ventaglio a forma di stendardo, sollevando il fuoco. Il “bambino” veniva poi sollevato sull'altare. I sacerdoti appiccavano il fuoco con cucchiai a manico lungo, versando sulle fiamme burro fuso (ghrita) assieme al calice di Soma. Da questo momento “Agni” veniva chiamato “l'unto” (Akta). Il fuoco tremolava alto. Il Dio stava dispiegando la sua maestà. Con le sue fiamme egli terrorizzava i demoni dell'oscurità, e illuminava le ombre circostanti. Tutte le creature erano invitate a venire e ad assistere al meraviglioso spettacolo. Allora con doni gli dèi (re) si affrettavano dal cielo e i mandriani dai campi, si prostravano a terra in profonda riverenza di fronte al neonato, pregandolo e candando inni in sua lode. Esso cresceva visibilmente di fronte ai loro occhi. Il neonato Agni era già diventato “il maestro” di ogni creatura vivente, “il più saggio dei saggi”, rivelando all'umanità i segreti dell'esistenza. Allora, mentre ogni cosa attorno a lui cresceva luminosa e il sole si alzava all'orizzonte, il Dio, avvolto in una nuvola di fumo, con il rumore di fiamme guizzanti, ascendeva al cielo, e si ricongiungeva con lui la luce celeste. [33]
Così nell'antica India il fuoco sacro veniva acceso di nuovo ogni mattina, e onorato con osservanze ritualistiche (Agnihotra). Questo avveniva, comunque, con una cerimonia speciale al tempo del solstizio d'inverno, quando i giorni cominciavano nuovamente ad allungarsi (Agnistoma). Celebravano allora la fine del tempo “di oscurità”, il Pitryana, o tempo dei Mânes, durante cui l'adorazione degli dèi era stata ad un punto morto. Poi gli Angiras, i cantori sacerdotali, invitavano gli dèi ad essere presenti, salutando con un forte canto il principio della stagione “sacra”, i Devayana, con cui sorgeva la nuova luce. Agni e gli altri dèi ritornavano di nuovo agli uomini, e i sacerdoti annunciavano al popolo la “gioiosa novella” (Evangelium) che il Dio della Luce era rinato di nuovo. Come ha mostrato Hillebrand, questa festività indica anche la memoria di una dimora più antica nel Nord da dove le tribù ariane erano migrate, dal momento che in India, dove i giorni più corti e più lunghi differivano solo di circa quattro ore, non esiste nessuna ragione per celebrare il “ritorno” della luce. [34] In effetti, sembra che qui abbiamo a che fare con un rito che risale indietro alle stesse origini di tutta la civiltà umana, e preserva la memoria della scoperta del fuoco in mezzo agli orrori dell'Età della Pietra.
Non c'è alcun dubbio che abbiamo di fronte a noi nel culto vedico di Agni la fonte originale di tutte le storie della nascita degli dèi del Fuoco e degli dèi del Sole. Questi Dèi di solito entrano in vita nell'oscurità e nel nascondimento. Così  lo Zeus cretese era nato in una grotta, Mitra, Dioniso ed Ermes in una tetra grotta, Horus nella “stalla” (tempio) della vacca sacra (Iside) — anche Gesù era nato nel cuore della notte in un'umile “stalla” [35] a Betlemme. Il motivo originario per questo consiste nel fatto che Agni, nella forma di una scintilla, viene in esistenza nell'incavo oscuro del foro praticato nel bastone. Gli Inni dei Rigveda spesso parlano di questa “nascita segreta” e del “nascondimento” di Agni. Essi descrivono gli Dèi al momento in cui si accingono a cercare il piccolo. Lo fanno scoprire agli Angiras “mentre risiede di nascosto” e cresce in incognito. [36] Ma anche l'idea del Dio del Fuoco che nasceva in una “stalla” è adombrata nei Rigveda. Poichè non solo sono pronti i recipienti di latte e di burro per l'unzione rispetto alle mucche, ma anche Ushas, la Dèa dell'Alba, che è presente alla nascita, è chiamata una rossa mucca da latte, e degli uomini è detto che essi fluirono “come mucche ad una stalla calda” per vedere Agni, che sua madre teneva amorevolmente sul suo grembo. [37]         
 È un aspetto fondamentale comune a tutte le religioni della Natura il fatto che distinguono tra il particolare e il generale, tra eventi terreni e celesti, tra atti umani ed eventi naturali tanto poco quanto distinguono tra lo spirituale e il naturale.  Il Culto di Agni mostra, come lo fa la religione vedica in generale, questa interazione del mondo terreno e del mondo celeste, dell'individuo del microcosmo e del macrocosmo. L'accensione del fuoco sulla terra allo stesso tempo indicava il levarsi della grande luce dei cieli, il sole. Il fuoco sull'altare non rappresentava semplicemente ma era realmente il sole, l'Agni tereno e l'Agni celeste erano un'unica cosa. Così accadde che le nazioni dell'antichità erano in grado di pensare il trasferimento di eventi terreni nel cielo, e viceversa erano in grado di leggere eventi terreni in eventi celesti come per esempio le relazioni delle stelle l'un con l'altra. Era su questo che si basava l'astrologia. Anche l'antica Adorazione del Fuoco sembra in tempi antichissimi che sia stata trasformata in astrologia, e quel che era al principio un semplice atto di adorazione fu generalizzato dai sacerdoti in un senso macroscopico e venne trasferito ai cieli stellari come un presagio. Così l'altare o il luogo del sacrificio su cui veniva acceso il fuoco sacro era allargato nella Volta delle Sfere o Grotta dei Pianeti. Attraverso di questo il sole completava il suo viaggio annuale tra i dodici segni dello Zodiaco, e nel fare così assumeva successivamente la forma e realizzava le funzioni di quella costellazione nella quale  entrava in relazioni astronomiche. Il nome metaforico di “stalla” per il luogo del sacrificio ricava un nuovo significato dal fatto che il sole durante una certa epoca del mondo (in qualche punto tra il 3000 e l'800 A.E.C.) al principio di primavera passava attraverso la costellazione del Toro, e allo stesso tempo del solstizio d'inverno cominciava il suo corso tra il Bue (Toro) e l'Orsa Maggiore, che anticamente veniva anche chiamata l'Asino. [38] È detto che la nascita del Dio era accaduta in segreto perchè avvenne di notte. Sua madre è una “vergine” dal momento che a mezzanotte del solstizio d'inverno la costellazione della Vergine è sull'orizzonte orientale. [39] Subito dopo Draco, il Drago (il serpente Pitone), si evela su Libra, la Bilancia, e sembra perseguitare la Vergine. Da questo proviene la storia del Drago d'Inverno che minaccia Leto, o Apollo; oppure, come si trova anche nel Mito di Osiride e nell'Apocalisse di Giovanni, la storia della persecuzione del figlio della luce da un principio ostile (Astiage, Erode, ecc.). [40] Il figlio cresce sconosciuto e in nascondimento. Questo si riferisce al corso del sole siccome esso figura ancora basso nei cieli. Oppure al pari di Sargon, Dioniso, o Mosè è deposto in una cesta sulle acque di qualche grande fiume o del mare, dal momento che il sole nelle sue peregrinazioni per lo Zodiaco è prossimo a passare attraverso la cosiddetta regione acquatica, i segni dell'Acquario e dei Pesci, la stagione piovosa dell'inverno. Così può essere letto nei cieli il fato del neonato. I sacerdoti (Magi) presagiscono il suo oroscopo come quello di ogni altro bambino. Essi salutano la sua nascita con grande giubilo, recandogli mirra, incenso e doni costosi, profetizzandogli nel contempo un futuro glorioso. Il terreno Agni è completamente assorbito nell'Agni celeste; e nello studio dei grandi eventi che sono descritti nel cielo, il semplice atto di un'adorazione sacrificale, che aveva fornito in origine l'opportunità per quest'intera gamma di idee, cadde gradualmente nell'oblio. [41]
È stato spesso mantenuto che le influenze indiane hanno operato sullo sviluppo della storia dell'infanzia di Gesù, e a questo proposito siamo soliti pensare al buddhismo. Ora, come materia di fatto, le rassomiglianze tra le leggende cristiane e buddhiste sono così vicine che possiamo a malapena immaginarla una mera coincidenza. È detto di entrambi Gesù e Buddha che sono nati da una “pura vergine”, onorati da spiriti celesti alla loro nascita, adorati da re e provvisti di doni. “Felice è il mondo intero”, cantano gli dèi sotto la forma di giovani bramini alla nascita del bambino — come ci viene detto nella Lalita Vistara, la leggendaria biografia del Buddha, che risale a prima di Cristo, “poichè è veramente nato colui che reca la salvezza e stabilirà il mondo in beatitudine. È nato colui che oscurerà il sole e la luna con lo splendore dei suoi meriti e farà dileguare ogni oscurità. I ciechi vedono, i sordi odono, i folli sono riportati alla ragione. Nessun crimine naturale ci affligge più a lungo, poichè sulla terra gli uomini sono diventati giusti. Dèi e uomini possono avvicinarsi in futuro l'un l'altro senza ostilità, dal momento che sarà la guida del loro pellegrinaggio”. [42] Proprio come il significato di Gesù venne annunciato in anticipo da Simeone, allo stesso modo secondo la leggenda buddhista, il Veggente Asita predice nella sua mente la grandezza del bambino e scoppia in lacrime dal momento egli non lo vedrà nello splendore della sua maturità e non avrà alcuna parte nella sua opera di redenzione. Di nuovo, proprio come Gesù [43] perfino nella sua prima giovinezza meravigliò gli eruditi con la sua sapienza, così il principe Siddharta (Buddha) fece vergognare tutti i suoi maestri a scuola con la sua conoscenza superiore, e così via. La stessa leggenda buddhista, comunque, risale ad una forma ancor più antica, che è il Culto vedico di Agni. Tutti i suoi vari aspetti sono qui preservati nella loro forma più semplice e nella loro relazione originale al culto sacrificale del Dio del Fuoco. Questa era la sorgente naturale delle leggende indiane e cristane, ed era l'originale di quei miti che l'evangelista elaborò per i suo propri obiettivi, che secondo Pfleiderer apparteneva “alla comune proprietà tribale delle saghe nazionali del medioriente”. [44] Di nuovo, avrebbe potuto riapparire più facilmente nella versione degli evangelisti della storia dell'infanzia di Gesù, dal momento che l'atto sacrificale era stato reinterpretato mitologicamente, e i miti corrispondenti erano stati trasformati in astrologia, e, per così dire, scritti con lettere astrali nel cielo, dove avrebbero potuto essere letti senza problemi dai più distanti popoli dell'antichità.
Il mito di Krishna offre un esempio caratteristico della maniera in cui in India un culto sacrificale è alterato in un mito. Al pari di Astiage e di Erode, al fine di prevenire il pericolo che sorge dal figlio di sua sorella, di cui era stato avvisato da un oracolo, re Kansa ordinò che sua sorella e suo marito Vasudewa fossero rinchiusi in prigione. Qui, nell'oscurità di una prigione, Krishna viene al mondo come fece Gesù nella stalla a Betlemme. Più vicina si avvicina l'ora della nascita più bella diventa la madre. Cori di giubilo risuonano nell'aria, le acque dei fiumi e ruscelli emettono una musica dolce. Gli dèi discendono dal cielo e spiriti benevoli danzano e cantano di gioia. A mezzanotte sua madre Dewaki (ossia, la divina) porta il bambino al mondo, al principio di una nuova epoca. I genitori stessi si inginocchiano di fronte a lui e pregano, ma una voce dal cielo li ammonisce di preservarlo dalle macchinazioni del tiranno a Gokala, la terra della vacca, e di scambiarlo per la figlia del mandriano Nanda. Immediatamente le catene cadono dalle mani del padre, le porte della prigione si aprono, ed egli esce in libertà. Un altro Cristoforo, egli porta il bambino sulle sue spalle attraverso il fiume Yamuna, le cui acque si ritraggono in riverenza di fronte al figlio di Dio, ed egli scambia Krishna per la neonata figlia di Nanda. Egli ritorna poi alla prigione, dove le catene si attaccano di nuovo immediatamente alle sue membra. Kansa ora percorre la sua strada verso la prigione. Invano Dewaki supplica suo fratello a lasciarle il bambino. Egli è sul punto di strapparlo con la forza dalle sue mani quando scompare di fronte ai suoi occhi, e Kansa dà l'ordine che tutti i bimbi neonati nella sua regione sotto l'età di due anni saranno uccisi.
A Mathura in Gokala Krishna cresce sconosciuto tra poveri mandriani. Mentre ancora nella sua culla egli aveva tradito la sua origine divina strangolando, come Ercole, un terribile serpente che incombeva su di lui. Egli fa meravigliare ognuno con la sua precocità ed elevata sapienza. Alla sua crescita egli diventa il beniamino dei pastori e compagno di Gopias, la mungitrice; egli esegue i miracoli più impressionanti. Quando, comunque, era giunto il tempo egli si levò e uccise Kansa. Egli poi combattè il terribile “Serpente del Tempio” Kaliyanaga, dalle migliaia di teste (l'idra nel mito di Ercole, il Pitone in quello di Apollo), che avvelenava l'aria circostante col suo respiro pestilenziale; ed egli si atteggiò in parole e in atti come un protettore dei poveri e proclamatore dell'insegnamento più perfetto. Il suo atto più grande, comunque, era la sua discesa negli Inferi. Qui egli travolge Yama, l'oscuro Dio della morte, ottenne da lui un riconoscimento del suo potere divino, e riconduce i morti con lui ad una nuova vita. Così egli fu un benefattore dell'umanità con la sua forza eroica e il suo potere miracoloso, conducendo l'esistenza più pura, guarando i malati, riportando i morti alla vita, rivelando i segreti del mondo, e con umiltà condiscendente lava i piedi dei bramini. Infine Krishna morì per la ferita di una freccia che egli riportò accidentalmente e in una maniera imprevista sul suo tallone — la sola parte vulnerabile del suo corpo (si veda Achille, Baldr, Adone, e Osiride). Durante la sua agonia egli consegnò la profezia che trentasei anni dopo la sua morte la quarta Epoca del Mondo, Caliyuga, l'Età del Ferro, sarebbe cominciata, nella quale gli uomini sarebbero diventati sia infelici che corrotti. Ma secondo la dottrina dei bramini Krishna ritornerà alla fine di ogni tempo, quando un bisogno fisico e morale avrà raggiunto il suo picco più alto sulla terra. Sulle nubi del cielo egli apparirà sul suo bianco destriero. Con una cometa nella sua mano destra come una spada infuocata egli distruggerà la vecchia terra col fuoco, fondando una nuova terra e un nuovo cielo, e stabilendo un'età dell'oro di purezza e di perfezione nella quale non ci sarà nient'altro che pura gioia e beatitudine.
Questo ci rammenta fortemente l'Escatologia persiana, di Mitra e di Saoshyant, e l'Apocalittica ebraica. Ma seguendo l'antico poema sacro, il Barta Chastram, la concezione precedente come pure la dottrina del Messia si basa su una profezia secondo la quale Vishnu Jesudu (!) doveva nascere da bramino nella città di Skambelam. Egli doveva avere relazioni con gli uomini come un Dio, purificare la terra dal peccato, rendendola la dimora di giustizia e di verità, e offrire un sacrificio (sacrificio di sé?). Ma ancora più impressionante sono le rassomiglianze del mito di Krishna con i vangeli. Esiste qualche legame tra i due? La domanda è difficile da rispondere perchè, a causa dell'incertezza in ogni citazione indiana di date, l'età della storia di Krishna non si può definire. Nella più antica letteratura indiana, i Veda, Krishna sembra essere il nome di un Demone. Nel Mahâbbhârata, il grande poema epico indiano, egli gioca in effetti una parte prominente, ed è qui sul punto di assumere il posto del Dio Indra. L'età del poema, comunque, è dibattuta, sebbene sia probabilmente di origine pre-buddhista. La fonte principale del mito di Krishna è il Puranas, specialmente il Bhagavat Purana e il Vishnu Parana. Ma dal momento che anche l'antichità di quelle fonti è incerta, e le loro porzioni più moderne appartengono plausibilmente solo all'ottavo o nono secolo dell'era cristiana, si può arrivare ad una decisione riguardo la data dell'apparizione del mito di Krisna solamente a partire da prove interne.
Ora la Pantanjalis Mahâbhashya, ossia, il “Grande Commentario”, del secondo secolo prima di Cristo, mostra che la storia della morte di Kansa ad opera di Krishna era a quel tempo ben nota in India, e fu anche il soggetto di un dramma religioso. Così la storia della nascita di almeno Krishna, che era già stato elevato per essere un Dio del Culto degli indù, non può essere stata ignota. Le altre porzioni del mito, comunque, appartengono nella loro totalità all'insieme generale delle idee indiane, e sono trasferite soltanto in parte da altri dèi a Krishna. Così, per esempio, la nascita miracolosa del bambino divino nell'oscurità, la sua precocità, la sua educazione tra i pastori, e la sua amicizia con Gopias, ci rammenta di Agni, il Dio del Fuoco e dei Pastori, che è descritto a sua volta nei Rigveda come un “amico e amante delle vergini” (delle Donne Nubi?). La sua lotta con il Serpente del Tempo, da una parte, è copiata dalla lotta di Indra col malvagio drago Vritra o Ahi. Di nuovo, nella sua capacità di purificatore e di liberatore del mondo dal male e dai demoni il dio reca una rassomiglianza così sorprendente ad Ercole, che Megastene, l'ambasciatore di Seleuco presso la corte del re a Pataliputra, nel terzo secolo prima di Cristo, lo identificò semplicemente con quest'ultimo. Nessun critico imparziale della materia può ora dubitare che il mito di Krishna fu in esistenza e fu diffuso assai prima dell'apparizione del cristianesimo nel mondo. La grande importanza, comunque, che il dio possiede nell'India odierna potrebbe essere stata ottenuta solo durante l'era cristiana, e i Purana potrebbero essere stati composti soltanto dopo l'apparizione dei vangeli; poichè la loro stesura successiva non prova nulla contro l'antichità del materiale che contengono. Sembra che anche il buddhismo non ricavò le sue leggende corrispondenti direttamente dai Veda, ma attraverso il canale del mito di Krishna. Dal momento che, comunque, il buddhismo è di certo più antico di almeno quattrocento anni rispetto al cristianesimo, si deve assumere che doveva essere il primo a introdurre il mito di Krishna al cristianesimo e non vice versa, se non dovessimo considerare la religione mandeo-babilonese come l'intermediaria tra Krishna e Cristo. [45]
Per il resto l'ipotesi di influenze indiane nella storia evangelica non è per nulla affatto un'ipotesi improbabile. Si tratta di un puro pregiudizio teologico, che si basa su un'ingnoranza completa delle condizioni della relazione nazionale in tempi antichi, quando si nega, come, per esempio, da parte di Clemen nel suo “Religionsgeschichtlichen Erklarung des Neuen Testaments” (1909), che i vangeli fossero influenzati da idee indiane, oppure quando solo una dipendenza nell'altra direzione è ammessa; [46] e questo sebbene Buddha lasciasse ai suoi discepoli, come uno dei precetti più elevati, la pratica dell'azione missionaria, e sebbene già nel 400 A.E.C. si fa menzione nelle fonti indiane di missionari buddhisti in Battria. Duecento anni più tardi leggiamo di monasteri buddhisti in Persia. In effetti, nell'ultimo secolo anteriore all'era cristiana la missione buddhista in Persia aveva fatto così progresso che Alessandro Poliistore parla realmente di un periodo durante il quale il buddhismo fiorì in quella regione, e reca testimonianza della diffusione degli Ordini Mendicanti nelle parti occidentali della Persia. Il buddhismo raggiunse anche la Siria e l'Egitto a quel tempo con le carovane commerciali; parimenti dobbiamo supporre uno scambio frequente di merci e di idee tra l'India e le regioni del Mediterraneo orientale, specialmente dopo le campagne di Alessandro. Avveniva una comunicazione, non solo via terra attraverso la Persia, ma pure via mare. Il pensiero indiano fece progressi nel medioriente, dove Alessandria, la Londra e Anversa dell'antichità, e un quartier generale di sincretismo ebraico, favoriva lo scambio di idee. Con la riscoperta del Monsone sud-occidentale al principio del primo secolo dopo Cristo la relazione via mare tra l'India e il mondo occidentale assunse dimensioni ancor più grandi. Così Plinio parla di grandi flotte commerciali in partenza annualmente per l'India e di numerosi mercanti indiani che avevano la loro fissa dimora ad Alessandria. Ambasciate indiane giunsero a Roma già nel regno di Augusto. La fama della devozione indiana indusse l'autore del Peregrino Proteo a scegliere il Calano indiano come un esempio di santità. In effetti, così vivo fu l'interesse del mondo occidentale per la vita intellettuale dell'India, che la libreria di Alessandria, già al tempo del geografo Eratostene sotto Tolomeo Evergete (246 A.E.C.), veniva amministrata con un riguardo speciale per gli studi indiani. L'organizzazione monastica degli esseni in Palestina punta davvero probabilmente ad un'influenza buddhista. Di nuovo, sebbene la letteratura Rigveda, che contiene il fondamento di tutte le religioni indiane, potrebbe essere stata ignota nel Medioriente, tuttavia l'Adorazione del Fuoco della religione Mazda ad ogni caso risale al tempo prima della divisione tra gli ariani indiani e persiani. Certe idee fondamentali, perciò, della Religione del Fuoco potrebbero essere state conosciute tramite influenze persiane sul medioriente ai popoli circostanti. [47]      
Come materia di fatto, la religione mandea contiene parecchio che è indiano. Questo è meno strano se si considera che il quartier generale e il centro del mandeismo era nella Babilonia meridionale; e gli antichi insediamenti dei mandei, vicini al Golfo Persico, si raggiungevano facilmente per mare dall'India. Per di più, da tempi antichi il commercio babilonese penetrava fino in India e in Sri Lanka. [48] Di conseguenza non è affatto improbabile che le parecchie somiglianze importanti tra le religioni babilonese e indiana si basano su influenze reciproche. In effetti, in un caso particolare la copiatura di un'idea mandea dall'India si può osservare come abbastanza certo. Il Lalita Vistara comincia con una descrizione della vita pre-esistente di Buddha nel cielo. Egli insegna agli dèi la “legge”, l'eterna verità di salvezza, e annuncia loro la sua intenzione di discendere nel grembo di una donna terrena al fine di recare redenzione all'umanità. Invano gli dèi tentano di trattenerlo e si aggrappano piangendo ai suoi piedi: “Nobile uomo, se tu non rimani più qui, questa dimora del cielo non risplenderà più”. Egli li lascia, comunque, un successore, e lo consacra solennemente come il possessore della futura dignità del Buddha: “Nobile uomo, tu sei colui che sarà dotato dopo di me della perfetta intelligenza di un Buddha”. [49] “Uomo” (Purusha) è qui così il nome abituale della natura divina di Buddha destinata ad incarnazioni individuali. Si chiama anche il “grande uomo” (Mahapurusha) oppure il “signore vittorioso” (Cakravartin). Qui abbiamo l'originale del mandeo “figlio dell'uomo”, che incontriamo nell'Apocalittica ebraica (Daniele, Enoc, Esdra), una figura che recita una parte così grande nei documenti evangelici primitivi del cristianesimo, e ha suscitato così tante spiegazioni. E gli gnostici Elcasaiti insegnano una dottrina simile quando immaginano il “figlio dell'uomo”, o Cristo, come uno spirito celeste e sovrano del mondo a venire che diventerà incarnato prima in Adamo, poi in Enoc, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe e così via, per apparire infine mediante una nascita verginale soprannatuale nella persona di Gesù, e per illuminare la terra oscura col suo vero messaggio di salvezza. [50]
Di tutti gli dèi dei Rigveda Agni reca la relazione più vicina al Messia giudeo-persiano, ed è anche colui che figura più vicino all'anima dell'uomo. Egli è chiamato giustamente sovrano dell'universo, Dio degli Dèi, che creò il mondo e portò alla vita tutti gli esseri che sono su di esso. Egli è il signore delle armate celesti, il guardiano dell'ordine cosmico e giudice del mondo, che è presente come un testimone invisibile di tutti gli atti umani, che come un “conoscitore della natura” opera in ogni cosa vivente, e come partecipe di tutti i segreti terreni illumina l'ignoto. Inviato da suo padre, il Dio del Cielo o Dio del Sole, egli appare come la “luce del mondo”. Egli libera questo mondo dai Poteri dell'Oscurità e ritorna da suo padre con lo “Stendardo di Fumo” nella sua mano come un trofeo di vittoria. Agni divampa nel bagliore del lampo dal gorgo acquatico, il “mare del cielo”, così da annichilire i Demoni dell'Oscurità e liberare un'umanità oppressa dalla paura dei suoi oppressori. Così, secondo Isaia 11:4, anche il Messia brucerà i suoi nemici con il soffio ardente della sua bocca; e in questo egli è chiaramente un Dio del Fuoco. Di nuovo, nell'Apocalisse di Esdra (capitolo 13) il Veggente osserva il “Figlio dell'Uomo” (Purusha) mentre risorge dal mare, vola sulle nubi del cielo, distrugge le forze ostili col torrente di fuoco che procede dalla sua bocca, libera i dispersi israeliti dalla loro prigionia e li riconduce nella loro regione. [51] Ma questo figlio “primogenito” del Dio del Sole e del Dio del Cielo è allo stesso tempo il padre e antenato degli uomini, il primo uomo (Purusha), il capo della comunità del genere umano, il guardiano della casa e del gregge domestico, che trattiene alla soglia gli spiriti maligni e i nemici che si celano nell'oscurità. Agni entra nelle dimore degli uomini come ospite, amico (Mitra), compagno, fratello e consolatore di coloro che lo onorano. Egli è il messaggero tra questo mondo e l'aldilà, che comunica i desideri degli uomini agli dèi di lassù, e annuncia agli uomini la volontà degli dèi. Egli è un mediatore tra Dio e gli uomini che fa un rapporto agli dèi di ogni cosa di cui egli diventa consapevole tra l'umanità. Sebbene in effetti egli si prende rivincita sugli errori degli uomini tuttavia egli è un Dio gentile, disposto a perdonare, nella sua capacità di un potere espiatorio, propiziatorio e redentivo, espiando per i loro peccati e recando loro la grazia divina. Infine, egli è anche la guida delle anime — egli conduce gli dèi ai sacrifici offerti dall'uomo e rende pronta per gli uomini la via su cui li conduce fino a Dio. E quando il loro tempo è venuto egli, come il fuoco purificatore, consuma i loro corpi e trasporta ciò che è immortale al cielo. [52]     
Il padre di Agni è, come è stato detto, il cielo, o piuttosto la luce, il sole, la fonte di ogni calore e di vita sulla terra. Egli reca il nome di Savitar, che significa “creatore” o “vivificatore”, è chiamato “il signore della creazione”, “il padre di tutta la vita”, “il vivente”, oppure semplicemente “il padre celeste”. [53] Allo stesso tempo Tvashtar passa anche per il padre di Agni. Il suo nome lo caratterizza semplicemente come plasmatore (plasmatore del mondo) o capomastro, artista divino, abile fabbro, o “falegname”, nella cui capacità egli affila l'ascia di Brihaspati, e, invero, è a sua volta rappresentato con un'ascia nella sua mano. [54] Egli sembra aver ottenuto questo ruolo per essere lo scopritore dell'accensione artificiale del fuoco, per mezzo del quale ogni modellazione (saldatura), ogni arte nel senso più  elevato del termine diventa possibile, per essere il preparatore dell'apparato per l'ottenimento del fuoco tramite frizione o rotazione — “la culla del fuoco” — che consisteva di un legno scelto con cura di una forma e tipo  particolari. Infine, la produzione del fuoco è attribuita anche a Matariçvan, il Dio del Vento identico a Vayu, perchè il fuoco non può bruciare senz'aria, ed è
il movimento della brezza che soffia sulla scintilla luccicante. [55] Tutte quelle figure diverse sono identiche l'una all'altra, e possono reciprocamente prendere il posto l'una dell'altro, poichè sono tutte solo diverse manifestazioni di calore. È questo che si rivela tanto nel fulmine del cielo e nel moto dell'aria, quanto nello scintillio del fuoco, e non solo come il principio della via, ma anche come quello del pensiero e della conoscenza della “parola (Vâc, Veda), apparendo da un lato come il potere generatore, fornitore di vita, e fruttifero della natura, dall'altro come lo spirito creativo, ispiratore. Questa è la ragione per cui, tra gli antichi, il Dio della vita e della fertilità era nella sua natura essenziale un Dio del Fuoco, e perchè le tre figure del divino “padre”, del “figlio” e dello “spirito”, a dispetto delle differenze delle loro funzioni, si potevano guardare senza contraddizione come uno e lo stesso essere.
Come è ben risaputo, anche Gesù aveva tre padri, precisamente, il suo padre celeste, Jahvè, lo Spirito Santo, e anche il suo padre terreno, Giuseppe. Quest'ultimo è anche un capomastro, artigiano, o “carpentiere”, come indica la parola “tekton”. In maniera simile, Kinyra, il padre di Adone, è detto essere stato qualche tipo di artigiano, un fabbro o carpentiere. Cioè per dire, si suppone che egli avesse introdotto il martello e la leva e il tetto come pure la miniera. In Omero egli appare come il fabbricatore della ingegnosa cotta di maglia che Agamennone ricevette da lui in qualità di amico ospite. [56] Anche il padre di Ermes è un artigiano. Ora Ermes rassomiglia da vicino ad Agni come pure a Gesù. Egli è il “buon messaggero”, l'Euangelos; cioè, il proclamatore del messaggio gioioso della redenzione delle anime dal potere della morte. Egli è il Dio dei sacrifici, e come tale “mediatore” tra cielo e terra. Egli è la “guida delle anime” (Psychopompos) e “sposo delle anime” (diletto di Psyche). Egli è anche un Dio della fertilità, un guardiano delle greggi, che si rappresenta nell'arte come il “buon pastore”, il portatore dell'ariete, una guida sulle strade della terra, un Dio del cardine della porta (Strophaios) e guardiano della porta, [57] un dio di guarigione come pure della parola, il modello di ogni ragione umana, nella cui abilità era identificato dagli Stoici con il Logos che risiedeva all'interno del mondo. [58] Proprio come nel Rigveda Tvashtar figura con Savitar, il padre divino di Agni, e Giuseppe il “carpentiere” con Jahvè, come padre del mediatore divino, così l'artigiano divino, Efesto, il cui legame con Tvashtar è ovvio, è raffigurato assieme a Zeus, il padre del cielo, come il genitore di Ermes. [59]
Ora se Giuseppe, come abbiamo già visto, era originariamente un dio, Maria, la madre di Gesù, era una dea. Sotto il nome di Maya lei è la madre di Agni, ossia, semplicemente il principio della maternità e della creazione, in quanto lei è rappresentata nei Rigveda ad un tempo dal legno generatore di fuoco, l'essenza soffice, in cui si ruotava il bastone di fuoco; ad un altro tempo come la terra, con la quale il cielo si accoppiava. Lei appare sotto lo stesso nome della madre di Buddha come pure del greco Ermes. È identica a Maira (Maera) come si chiamava, secondo Pausania, 8:12, 48, la Maia Pleiade, moglie di Efesto. Lei appare tra i persiani come la “vergine” madre di Mitra. In qualità di Mirra lei è la madre del siriano Adone; in qualità di Semiramide, madre del Nino babilonese (Marduk). Nella leggenda arabica lei appare sotto il nome di Mirzam come madre del salvatore mitico Giosuè, mentre l'Antico Testamento assegna questo nome alla sorella vergine di quel Giosuè che fu legato così strettamente a Mosè; e, secondo Eusebio, [60] Merris era il nome della principessa egiziana che trovò Mosè in una cesta e diventò sua madre adottiva.
Dopo tutto questo sembra piuttosto rozzo credere che i genitori del Gesù “storico” si chiamassero Giuseppe e Maria, e che suo padre fosse un falegname. In realtà tutta la   famiglia ed esistenza domestica del Messia, Gesù, prese luogo in cielo tra gli dèi. Venne solo ridotta a quella di un essere umano in umili circostanze dal fatto che Paolo descrisse la discesa del Messia sulla terra come un'assunzione di povertà e un abbandono del suo splendore celeste. [61] Di qui, quando il mito fu trasformato in storia, Cristo fu trasformato in un “povero” uomo nel senso economico della parola, mentre Giuseppe, l'artigiano divino e padre del sole, diventò un comune carpentiere.
Ora è un aspetto che ricorre in tutte le religioni del medioriente il fatto che il “figlio” della madre “vergine” divina sia allo stesso tempo il “prediletto” di questa dèa nel senso sessuale della parola. Questo è il caso non solo con Semiramide e Nino, Istar e Tammuz, Atargatis (Afrodite) e Adone, Cibele e Attis, ma anche con Afrodite (Maia) ed Ermes, [62] Maia e Iasios, uno dei Cabiri, identico ad Ermes o Cadmo, il quale venne ucciso da suo padre, Zeus, con un colpo di fulmine, ma venne resuscitato di nuovo e installato nel cielo come una costellazione. [63] Potremo concludere dal legame tra Iasios e Giosuè che una relazione simile esistette tra quest'ultimo e sua madre Mirzam. In effetti, una traccia di questo appare eventualmente anche nei vangeli nella relazione delle varie Marie con Gesù, sebbene, naturalmente, secondo la natura di quelli scritti, esse sono collocate in una sfera abbastanza diversa e rifornite di altre associazioni emotive. [64]
Ora in ebraico la parola “spirito” (ruach) è di genere femminile. Come una conseguenza di questo lo Spirito Santo fu guardato dai Naasseni e dai più antichi cristiani come la “madre” di Gesù. In effetti, sembra che nella loro visione la nascita del bambino divino fosse solo consumata dal battesimo e dalla discesa dello Spirito. Secondo i vangeli in nostro possesso, all'occasione del battesimo nel Giordano una voce dal cielo emise quelle parole: “Tu sei il mio figlio prediletto: in te mi sono compiaciuto”. [65] D'altra parte, in una lettura più antica del passo in questione in Luca, che era in uso fino alla metà del quarto secolo, esso recita, in linea col Salmo 2:7: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”. In questo caso lo spirito che pronuncia quelle parole è considerato un essere femminile. Questo è dimostrato dalla colomba che discende dal cielo, poichè questo era l'uccello sacro, il simbolo della Dèa Madre del medioriente. [66] Ma non erano solo i Naasseni (Ofiti) a chiamare lo Spirito Santo “la prima parola” e “la madre di tutti gli esseri viventi”: [67] altre sette gnostiche, come i valentiniani, consideravano lo Spirito che discese nella forma di un agnello la “parola della madre di lassù, della sapienza”. [68] Visto in questo senso, anche il battesimo passava nei Misteri per una nuova nascita. In effetti, il suo nome greco, phōtisma o phōtismós (ossia, illuminazione), indica chiaramente la sua origine nell'adorazione del fuoco. Così, quando anche Giustino [69] parla di una fiamma che apparve al battesimo di Gesù, egli allude in tal modo al legame tra quell'atto solenne e la nascita di un Dio del Fuoco. [70] Efrem, il compositore siriano di inni, fa dire al Battista rivolto a Gesù: “Una lingua di fuoco nell'aria ti aspetta oltre il Giordano. Se lo segui e vuoi essere battezzato, allora ti impegni a purificarti, perché chi può afferrare un fuoco ardente con le sue mani? Tu che sei tutto fuoco abbi pietà di me”. [71] In Luca 3:16 e Matteo 3:11 è detto nello stesso senso: “Io vi battezzo in acqua; ma viene colui che è più forte di me. ... Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. E in Luca 12:49 seq. leggiamo le parole: “Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra; e che mi resta da desiderare, se già è acceso? Vi è un battesimo del quale devo essere battezzato”. Qui c'è un riferimento al fuoco che cade sugli occhi e che viene fatto divampare mediante il “battesimo”, cioè, il versamento di un liquido nutritivo, come abbiamo osservato nell'adorazione di Agni. [72]
Proprio come Giovanni, che fu legato strettamente agli esseni, battezzò i peninenti nel Giordano all'aria aperta, così anche i mandei, il cui legame con gli esseni è estremamente probabile, soleva eseguire battesimi solo nell'acqua che scorre, per il cui motivo essi furono chiamati anche “i cristiani di Giovanni” in tempi successivi. Questa pratica tra loro era legata ovviamente al fatto che Hibil Ziwâ, che era venerato da loro come un Redentore, era una manifestazione di Marduk, e quest'ultimo era un figlio del grande Dio delle Acque, Ea; egli incorporava così in sé stesso i poteri di guarigione e di purificazione dell'acqua. D'altra parte, come è stato già detto, l'“espiazione” del Dio nel Culto di Agni con latte, burro fuso, e il sorso del Soma, serviva a rafforzare i poteri vitali del bambino divino e ad attizzare il fuoco dalle scintille dormienti nella legna da ardere. Non c'è alcun dubbio che quest'idea era presente anche nel battesimo come era praticato di solito nei culti mistici. Col battesimo, il membro appena ammesso era “illuminato” interiormente. Abbastanza spesso, per esempio, pure nei Misteri di Mitra, con la cerimonia vi era anche associata il lampeggio reale di una luce, la generazione dello stesso Dio del Culto manifestato nella luce. [73] Per mezzo di questo i fedeli erano “rinati di nuovo”, nello stesso modo in cui Agni era “battezzato” alla sua nascita, e in tal modo gli si permetteva di risplendere luminosamente e di rivelare il disordine del mondo nascosto nell'oscurità.
“Il mondo era inghiottito, velato nell'oscurità,
la Luce apparve, quando Agni nacque”. [74]  
“Brillando vivacemente, Agni risplende in lungo e in largo,
Rende tutto chiaro nello splendore”
. [75]  
        
Una comprensione completa del battesimo nel Giordano si può ricavare solo se anche qui prendiamo in considerazione la traduzione del battesimo in termini astrologici. In altre parole, sembra che Giovanni il Battista, come lo incontriamo nei vangeli, non fu un personaggio storico. A parte i vangeli egli è menzionato da Flavio Giuseppe, [76] e questo passo, sebbene fosse noto ad Origene [77] nei primi giorni, è esposto ad un forte sospetto di costituire una falsificazione da parte di qualche mano cristiana. [78] Di nuovo, il racconto nei vangeli delle relazioni tra Giovanni e Gesù è pieno di oscurità e di contraddizioni, come è stato sottolineato da Strauss. Quelle, comunque, scompaiono non appena riconosciamo che sotto il nome Giovanni, che in ebraico significa “che piace a Dio” si nasconde il Dio delle Acque babilonese, Oannes (Ea). Il battesimo è associato alla sua adorazione, e il battesimo di Gesù nel Giordano rappresenta il riflesso sulla terra di quel che originariamente avveniva tra le stelle. Cioè per dire, il sole comincia il suo corso annuale con un battesimo, penetrando come fa, immediatamente dopo la sua nascita, le costellazioni dell'Acquario e dei Pesci. Ma questo celeste Regno Acquatico, in cui ogni anno la stella del giorno si purifica e rinasce, è l'Eridano, il Giordano celeste o Torrente dell'Anno (in egiziano, iaro oppure iero, il fiume), dove avviene il battesimo originario del Salvatore divino del mondo. [79] Per questo motivo si dice nell'inno di Efrem all'Epifania del Figlio divino: “Giovanni si fece avanti e adorò il Figlio, la cui forma era avvolta da una strana luce”, e “quando Gesù ebbe ricevuto il battesimo ascese immediatamente e la sua luce brillò sul mondo”. [80] Nella Liturgia Battesimale siriana, preservataci sotto il nome di Severo, leggiamo le parole: “Io, egli disse, battezzo con acqua, ma colui che viene, battezzerà con Fuoco e Spirito, quello  spirito, precisamente, che discese dall'alto sul suo capo nella forma di una colomba, che è stato battezato ed è risorto dal mezzo delle acque, la cui luce è salita sopra la terra”. Secondo il Quarto Vangelo Giovanni non era lui stesso la luce; ma egli dette testimonianza alla luce, “la vera luce che illumina ogni uomo, era per venire nel mondo”, tramite cui il mondo fu creato e della cui totale pienezza abbiamo ricevuta ogni grazia. [81] In questo il riferimento al sole è inequivocabile, mentre la storia della nascita di Giovanni [82] è attinta da quella degli Dèi del Sole Isacco [83] e Sansone. [84] In Giovanni, lo stesso Battista è chiamato da Gesù “una lampada che arde e risplende”, [85] ed egli stesso sottolinea, quando ascolta del seguito numeroso di Gesù, “bisogna che egli cresca, e che io diminuisca”, [86] un discorso che probabilmente si riferiva all'inizio al solstizio d'inverno, quando il sole, avendo raggiunto il punto più elevato nel suo corso, penetra nell'emisfero d'inverno e perde forza giorno per giorno. È detto che Giovanni era nato sei mesi prima di Gesù. [87] Anche questo punta al fatto che entrambi sono essenzialmente identici, che essi sono solo le diverse metà dell'anno, rappresentando il sole mentre sorge e tramonta, dato che quelle due fasi si riferiscono l'una all'altra come Caleb e Giosuè, Nergal e Tammuz, ecc. Giovanni il Battista è rappresentato mentre indossa un mantello di peli di cappello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi. [88] Questo rammenta l'abbigliamento del profeta Elia, [89] a cui Gesù stesso lo paragonò. [90] Ma Elia, che passò tra gli ebrei per il precursore del Messia, è una forma del Dio-Sole trasferito alla storia. In altre parole, egli è l'equivalente del greco Helios, il tedesco Heljas, e l'osseta Ilia, col quale coincide nei punti più importanti, oppure ad ogni caso sono state trasferite caratteristiche di questo Dio alla figura del profeta. [91]
Secondo idee babilonesi corrispondente al “battesimo dell'acqua” al principio del potere efficace del sole, c'era il “battesimo del fuoco”, quando era al vertice del suo corso annuale, al tempo del solstizio d'estate, e il suo passaggio era nuovamente inclinato verso il basso. [92] Anche quest'idea si trova nei vangeli, nella storia della trasfigurazione di Gesù sulla montagna. [93] Trova precisamente lo stesso posto nel contesto del suo anno di vita, come descritto dagli evangelisti, come il “battesimo del fuoco” del Sole nel sistema del mondo babilonese, dal momento che anch'esso marca il punto di svolta più alto nella vita del Salvatore cristiano. Su quest'occasione Mosè ed Elia apparvero col Salvatore, che brillava come una colonna di fuoco, “e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”. E vi sopravvenne una nube che coprì i tre discepoli che Gesù aveva portato con lui sul monte. E una voce venne dal cielo, dicendo, “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo”. Come al battesimo, così anche qui, Gesù fu proclamato da una voce celeste come il Figlio o prediletto di Dio, o piuttosto dello Spirito Santo. Come quest'ultimo è in ebraico del genere femminile, di conseguenza sembra che in questo passo abbiamo di fronte a noi un parallelo al battesimo di Gesù nel Giordano. Si guarda generalmente all'episodio come se da esso fosse enfatizzato il significato più elevato di Gesù in confronto ai due rappresentanti principali del vecchio ordine, e come se Gesù fosse esaltato di fronte a Mosè e ad Elia, mediante la trasfigurazione. Anche qui, comunque, il Dio-Sole, Helios, si nasconde ovviamente al di sotto della forma dell'israelita Elia. Per questo motivo il cristianesimo convertì le vecchie sedi del culto di Zeus e di Helios ivi praticato in santuari di Elia; e Mosè non è nient'altro che il Dio-Luna, il Men dell'Asia Minore. Ed egli è stato introdotto nella storia perchè i legislatori divini in quasi tutte le mitologie sono equivalenti alla luna, il misuratore del tempo e il regolatore di tutto ciò che accade (si veda Manu tra gli Indiani, Minosse tra i greci, Men (Min) tra gli egiziani). [94] Secondo Giustino, [95] si suppone che Davide avesse fatto la profezia che Cristo sarebbe nato “prima del sole e della luna”. Il sole e la luna appaiono spesso nelle raffigurazioni del Dio Redentore mediorientale (ad esempio, Mitra), mentre impallidiscono davanti allo splendore del giovane Dio della Luce, come abbiamo visto nel caso di Buddha, [96] e come, secondo il racconto dei Rigveda, accadde anche alla nascita del Bambino Agni. Coerentemente abbiamo di fronte a noi nella storia della trasfigurazione nei vangeli solo un'altra visione della storia della nascita del Dio della Luce o del Dio del Fuoco, proprio come risiede alla radice della storia del battesimo del Salvatore cristiano. [97] E col pensiero della nuova nascita del Salvatore è associato quello del battesimo di Gesù, e in particolare quello del battesimo del fuoco, di cui il sole partecipa al culmine del suo potere. [98]    

NOTE

[1] Capitolo 12.

[2] “Zum religionsgesch. Verst. d. N.T.”, 54.

[3] “L'origine de tous les cultes”, 1795, 5:133.

[4] “Abraxas”, 117.

[5] Si veda riguardo la natura mitica di Mosè, a cui si deve guardare come ad una derivazione di Jahvè e Tammuz, Winckler, op. cit., 86-95.

[6] Si veda anche O. Pfleiderer, “Das Christusbild des urchristUchen Glaubens in religionsgesch. Beleuchtung”, 1903, 37. Anche Jeremias, “Das A.T. ina Lichte des alten Orients”, 254.

[7] 1:107.

[8] Si veda Plutarco, “Artaserse”, capitolo 1.

[9] Movers, op. cit., 228.

[10] 2. 9, 2.

[11] Bousset, “Das Judentum”, 220.

[12] 1 Re 11:14 seq.

[13] Schrader, “Die Keilinschriften u. d. A.T.”, 225.

[14] Winckler, op. cit., 172 seq., Jeremias, “Das A.T. im Lichte d. a. O.”, seconda edizione, 488 seq.; si veda anche Baentsch, “David und sein Zeitalter. Wissenschaft u. Bildung”, 1907.

[15] Ep. 8:3.

[16] Id. 42:58.

[17] 5:1.

[18] Genesi 35:11-19; Deuteronomio 33:12; Genesi 44:26.

[19] Si veda Nork, “Realwörterbuch”, 1. 240 seq.

[20] L'altra famosa “profezia” presunta riferirsi alla nascita del Messia, ossia Isaia 7:14, non è più considerata al presente come tale da molti. Il passo ovviamente non si riferisce al Messia. Questo è dimostrato da un'occhiata al testo, e difficilmente sarebbe stato considerato così a lungo come recante quel significato, se qualcuno si fosse preso il disturbo di leggerlo nel suo contesto. Considera la situazione. La regina Rezin di Siria e Pekah di Israele marciano contro il re ebreo Ahaz, il quale perciò è molto preoccupato. Al comando di Jahvè il profeta si reca dal re per esortarlo al coraggio, e gli impone di invocare un segno del felice esito dello scontro. Egli, comunque, si rifiuta di tentare Dio. Al che Isaia stesso gli concede un segno. “Ecco”, dice, “la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, Dio è con noi. Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re”. E indisturbato dal fatto che questa profezia per il momento non può offrire che poco incoraggiamento al re, Isaia si reca con l'aiuto di due testimoni (!) da una profetessa e la prende con un bambino per rendere vere le sue parole (!). Il testo non dice in quale relazione figurava la donna per Isaia. La parola ebraica Almah potrebbe significare “giovane donna” come pure “vergine”. La Septuaginta, comunque facendo riferire il passo senza pensarci al Messia, e avendo di fronte ai suoi occhi molto probabilmente le storie della nascita miracolosa degli Dèi Redentori pagani, traduce la parola strettamente con “vergine”, senza pensare quale luce possibile avrebbe gettato in tal modo su Isaia.

[21] 60:1 seq.

[22] Salmo 68:32 seq.

[23] Dupuis, op. cit., 268.

[24] Matteo 1:14 seq.

[25] Le feste degli dèi in questione corrispondono anche a questo in natura. Esse seguono il solstizio (il compleanno o giorno di morte del sole) nella misura in cui si enfatizzava il loro legame col sole. Al contrario, agli equinozi, nella misura in cui era interessato il loro legame con la vegetazione, si portavano in prominenza la semina e il raccolto. Di solito, comunque, la morte e la riapparizione si univano in un'unica singola festa, e questa si celebrava al tempo di primavera quando il giorno e la notte erano di egual lunghezza, quando la vegetazione era al suo massimo vigore, e ad Oriente si cominciava il raccolto. Si veda Jeremias, “Babylonisches im N.T.”, 10 seq.

[26] Si dovrebbe paragonare la descrizione data da Hommel del clima di Babilonia (op. cit., 186) con la raffigurazione degli eventi naturali che, secondo Gunkel, danno origine al mito della nascita di Marduk, e alla minaccia al bambino da parte del “Drago d'Inverno”, Tiâmat. “Prima che la primavera discenda sulla terra dal cielo, l'inverno ha avuto il suo spietato (!) dominio sulla terra. Gli uomini si allontanano (nella regione dei due fiumi!) sotto la sua influenza, e guardano al cielo chiedendosi se la liberazione non arriverà. Il mito consola loro con la storia per cui il Dio di primavera che travolgerà l'inverno è già nato. Il Dio dell'inverno che conosce ciò a cui è destinato è suo nemico, e sarebbe davvero compiaciuto se potesse divorarlo. E l'inverno alla presente dominazione è molto più forte del debole bambino. Ma il suo tentativo di sbarazzarsi del suo nemico si riduce al nulla. Vuoi allora conoscere perchè è così spietato? Egli sa di avere solo poco tempo. La sua potenza è già infranta sebbene potremmo ancora essere ignari di ciò. L'anno è già volto alla primavera. Il figlio cresce nel cielo; i giorni diventano più lunghi, la luce del sole più forte. Non appena egli è cresciuto egli discende e travolge il suo antico nemico. `Solo  credi in Dio senza disperazione, la primavera deve venire´” (“Schöpfung und Chaos”, 389 seq.

[27] Dupuis ha già sottolineato questo, op. cit., 152.

[28] Macrobio, “Saturnalia”, 1:18, 1:34-35.

[29] “Adversus Nationes”, 5:6 e 13.

[30] Si veda Simrock, “Handbuch der deutschen Mythologie”, quarta edizione, 1874, 201 e 225.

[31] Op. cit., 138. Trafiggere la vittima con la lancia santa, come lo vediamo in Giovanni 19:34, sembra essere una pratica sacrificale davvero remota, che si trova tra le razze più diverse. Per esempio, sia tra le tribù di Sciti in Albania nell'adorazione di Astarte (Strabone) e sia a Samalina, sull'isola di Cipro, in quella di Moloc (Eusebio, “Praep. Evang.”, 4:16). “Il colpo della lancia”, dice Ghillany, con riferimento alla morte del Salvatore, “non fu data con l'obiettivo di verificare se il sofferente fosse ancora vivo, ma fu dato così da corrispondere all'antico metodo dei sacrifici. Le gambe non furono spezzate perchè la vittima non poteva essere mutilata. A sera il cadavere doveva essere rimosso, proprio come solamente Giosuè permise ai re sacrificati al sole di rimanere fino a sera sulla croce” (op. cit., 558).

[32] Frazer, op. cit., 345 seq. F. Kauffmann, “Balder Mythus u. Sage nach ihren dichteriachen u. religiösen Elementen untersucht”, 1902, 266 seq.

[33] Rigveda 5:1, 5:2, 3:1, 7:12, 1. 96, ecc.

[34] Hillebrand, “Vedische Mythologie”, 1891-1902, 2. 38 seq.

[35] Secondo antichi scrittori cristiani, come per esempio Giustino ed Origene, anche Gesù venne nel mondo in una grotta, e Girolamo lamenta (Epist. 58) che al suo tempo i pagani celebravano la festa della nascita di Tammuz a Betlemme nella stessa grotta in cui era nato Gesù.

[36] 1:72,2; 5:11,6; 5:2,1; 3:1,14; 1:65,1; 10:46,2.

[37] 3:1,7; 3:9,7; 5:1,1; 5:2,1, e 2; 3:7,2; 10:4,2 e 3.

[38] Si veda Volney, “Die Ruinen”, 1791 (Reclam), nota 83 fino al capitolo 13. Questa è la ragione per cui l'infante Cristo veniva rappresentato nelle prime raffigurazioni cristiane mentre giace nel seno di sua madre oppure in una culla tra un Bue e un Asino.

[39] Jeremias, “Babylonisches im Neuen Testament”, 35, nota 1. Si veda Dupuis, op. cit., 111 seq.

[40] Dupuis, op. cit., 143 seq.

[41] Si veda anche Winckler, “Die babylonische Geisteskultur Wissenschaft u. Bildung”, 1907. Jeremias, “Babylonisches im N.T.”, 62 seq. I riferimenti astrali del mito di Cristo sono mostrati davvero mirabilmente nel “Thomaskapelle” a Karlsruhe, dove il Maestro ha raffigurato in costosa profusione e inconscio avvistamento i punti principali della “storia” evangelica in connessione ai segni dello Zodiaco e delle stelle — l'enigma della storia di Cristo e la sua soluzione! Come è ben risaputo, la facoltà teologica di Heidelburg conferì al Maestro un “dottorato onorario di teologia”.

[42] “Le Lalita Vistara, traduit du Sanscrit en français”, 1. 76 seq.

[43] Approfondimenti in R. Seydel, “Die Buddhalegende u. das Leben Jesu”, seconda edizione, 1897,  e nel suo “Das Evangelium von Jesus in seinem Verhältnis zur Buddhasage u. Buddhalegende”, 1882. Anche Van den Bergh van Eysinga, “Indische Einflüsse auf evang. Erzählungen”, seconda edizione, 1909. Si veda anche O. Pfleiderer, “Das Christusbild”, 23 seq.

[44] “Urchristentum”, 1. 411 seq.

[45] Robertson, “Christianity and Mythology”, 1900, 129-302.

[46] Op. cit., 25 seq., 239-244; si veda, d'altra parte, Paul W. Schmidt, “Die Geschichte Jesu erläutert”, 1904, 16.

[47] Si veda anche Seydel, “Evangelium von Jesus”, 305 seq.; “Buddha-Legende”, 46 seq. Anche Émile Burnouf, “La Science des Beligions”, quarta edizione, 1885, 105.

[48] R. Kessler, “Realenz. f. prot. Theol. u. Kirche”, 12. 163.

[49] Foucaux, “Le Lalita Vistara”, 1. 40.

[50] Ippolito, op. cit., 9, 10; Epifanio, op. cit., 30, 53.

[51] Si veda Pfleiderer, “Christusbild”, 14 seq.

[52] Si veda anche Max Müller, “Natural Religion”; Bergaigne, “La religion védique d'après les hymnes du Rigveda”, 1878-83; Holtzmann, “Agni nach den Vorstellungen des Mahâbbhârata”, 1878.
[53] Rigveda 3:1, 9, 10.

[54] Id. 2:23; 1:7; 95:2, 5; 10:2, 7; 8:29, 3.

[55] Id. 3:5, 10 ; 1:148, 1. Si veda anche Adalb. Kuhn, “Die Herabkunft des Feuers und des Göttertrankes”, seconda edizione, 1886-9. Anche nel mazdeismo la luce è legata indissolubilmente all'aria, passando come fa questa per il suo portatore. Si veda F. Cumont, “Textes et monuments”, 1. 228, 2. 87 seq., e il suo “Mystères de Mithra”.

[56] 2. 11:20; si veda Movers, op. cit., 242 seq.

[57] Si veda Giovanni 10:3, 7, 9.

[58] O. Gruppe, “Griech. Mythologie”, 1900, 2. 1328, nota 10.

[59] Id., op. cit., 1307. Secondo la leggenda araba Padre Abramo, che qui recita la parte di un salvatore e redentore, era sotto il nome di Thare, un abile maestro artigiano, che comprendeva come ricavare frecce da qualsiasi legno, e che si occupava specialmente della preparazione di idoli (Sepp, “Das Heidentum und dessen Bedeutuug für das Christentum”, 1853, 3. 82).

[60] “Praep. Evang.”, 9:27.

[61] 2 Corinzi 8:9.

[62] Gruppe, op. cit., 1322, 1331.

[63] Preller, “Griech. Mythol.”, 1894, 775 seq., 855.

[64] Robertson, “Christianity and Mythology”, 322.

[65] Matteo 3:17 ; Marco 1:11; Luca 3:22.

[66] Phereda o Phederet, la colomba, è la radice caldea del nome Afrodite, come veniva chiamata tra i greci la Dèa nel carro trainato da due colombe. In tutto il medioriente il culto delle colombe era legato a quello della Dèa Madre. Come è ben risaputo, la colomba come un simbolo di innocenza o purezza è anche l'uccello della Vergine Maria, che è paragonata spesso a quella. In effetti, nel Protovangelo di Giacomo lei è chiamata veramente una colomba che nidificava nel tempio, un chiaro riferimento al culto della colomba della siriana Afrodite o Atargatis (Astarte, Astaroth).

[67] Ireneo, 1:28.

[68] Ippolito, 4:35. Questo rammenta il fatto che, secondo anche idee persiane, oltre alla Trinità del Cielo (Ahura Mazda), al Sole, al Fuoco (Mitra), e all'Aria (Spirito, “parola”, Honover, Spenta, Armaiti), la terra figurava come un quarto principio (Anahita, Anaitis, Tanit). Questo figurava nella stessa relazione a Mitra come Istar a Tammuz, Cibele ad Attis, Atargatis ad Adone, Maya ad Agni, Afrodite ad Ermes, Maria a Gesù, ecc., diventando identici, comunque, di solito alla “parola” di Dio, lo spirito santo (Cumont, op. cit., 2:87 seq.).

[69] “Dialogo”, 88.

[70] Non si può dire perciò, come è consueto, che Marco, in cui non si trova la storia della nascita data in Matteo e Luca, non sapesse niente di una nascita soprannaturale di Cristo. Poiché il racconto del battesimo è la storia della sua nascita, mentre il racconto corrispondente degli altri evangelisti venne in esistenza solamente più tardi, quando il senso originario della storia del battesimo in Marco non fu più compreso.

[71] Citato in Usener, “Religionsgesch. Untersuchungen”, 1889, 1. 64.

[72] Così anche di Mitra si disse che era nato sulla riva di un fiume, proprio come Gesù ricevette il battesimo in o presso il Giordano. Per questo motivo “il nato da Roccia” venne rappresentato di solito con una torcia nella sua mano sinistra e una spada o coltello nella sua mano destra (Cumont, “Myst. d. Mithra”, 97). Questo richiama alla mente le parole di Gesù in Matteo 10:34: “Non sono venuto a metter pace, ma spada”.

[73] Si veda Wobbermin, “Religionsgesch. Studien zur Frage der Beeinflussung des Urchristentums durch dasantike Mysterienwesen”, 1896, 154 seq. La Chiesa cristiana circondò anche l'atto del battesimo con un insolito splendore di luci e di candele. Non solo la Casa di Dio era illuminata in questa circostanza in una maniera festiva, ma ogni individuo da battezzare doveva trasportare una candela accesa. I sermoni che ci sono giunti consegnati alla festa dell'Epifania, la festa della nascita e del battesimo del Salvatore che nei primi giorni capitavano assieme (!), esagerano nella descrizione dello splendore delle luci; in effetti, il giorno della festa stessa era chiamato realmente “il giorno delle luci” oppure “le luci” (phōta).

[74] Rigveda 10:88, 2.

[75] Id. 5:2, 9.

[76] “Antiq.”, 18:5, 2.

[77] “Contra Celsum”, 1:47.

[78] Graetz la chiama “una vergognosa interpolazione” (“Gesch. d. Jüden”, 1888, 3:278). Si veda J. Chr. K. v. Hofmann, “Die heiligen Schriften des N.T.”, 7. Tl. 3, 1876, 4; Schürer, “Gesch. des jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu”, 1. 438, nota.

[79] Si veda Sepp., op. cit., 1. 168 seq.

[80] Si veda Usener, op. cit., 62.

[81] 1:8,9,10,16; si veda Matteo 4:16.

[82] Luca 1:5 seq.

[83] Genesi 17:16 seq.

[84] Giudici 13:2 seq.

[85] Giovanni 5:35.

[86] Id. 3:30.

[87] Luca 1:26.

[88] Matteo 3:4.

[89] 2 Re 1:8.

[90] Matteo 11:14.

[91] Si veda Nork, “Realwörterbuch” 1. 451 seq. Anche il Battezzatore Giovanni nei vangeli appare come il “precursore”, annunciatore, araldo, e preparatore della via per Gesù, ed appare che la posizione di Aronne riguardo a Mosè, egli essendo dato a quest'ultimo come un portavoce o araldo, ha aiutato nell'invenzione della figura del Battista. Una posizione simile si prende nell'Antico Testamento dall'“Angelo della sua Faccia”, il messaggero, mediatore, ambasciatore, e “Principio della via di Dio”, il Metatrone rabbinico, che  abbiamo visto prima essere identico a Giosuè (si veda sopra, pag. 56 seq.). Nei Misteri sirofenici e greci Cadmo, Kadmilos, o Kadmiel, una forma del messaggero divino e mediatore Ermes, anche chiamato Iasios (Giosuè), corrispondeva a lui, dato che il suo nome significava letteralmente “colui che procede dinanzi a Dio” o profetizza di lui, l'annunciatore, araldo, o precursore del Dio veniente (si veda Schelling, “Die Gottheiten von Samothrake Ww.,” 1. 8, 358, 392 seq.). Esdra 2:40, 39, e Neemia 7:43, chiamano Kadmiel un Levita, poichè egli è sempre nominato assieme al Sommo Sacerdote Giosuè. È probabilmente solo un altro nome di quest'ultimo stesso, e lo caratterizza come servo e araldo di Dio. Ora Kadmiel è lo scopritore della scrittura e il fondatore della civiltà, e in tale misura identico a Oannes, l'“Uomo delle Acque” babilonese e Dio del Battesimo (Movers, op. cit., 518 seq.). Può Oannes (Johannes) il Battista essere diventato in questa maniera Kadmiel, il “precursore” e preparatore della via di Gesù, che annunciò il suo prossimo arrivo, e può il Dio Gesù, in conseguenza di questo, esser stato diviso in due figure diverse, quella di Giosuè-Kadmiel (Johannes) e del Messia Gesù? A questo proposito certamente non è senza significato che la figura del Sommo Sacerdote Giosuè in Zaccaria oscilla tra il Messia (Zemah) e un semplice precursore di quest'ultimo. La domanda di Giovanni a Gesù, “Sei tu colui che ha da venire, o ne aspetteremo noi un altro?” (Matteo 11:3) è esattamente l'interrogativo che colpisce il lettore nella lettura del passo corrispondente di Zaccaria. Possibilmente la presenza della colomba al battesimo nel Giordano ottiene in questa maniera una spiegazione ancor più stretta, poichè Semiramide, la Dèa della Colomba, è la sposa di Oannes (Nino); Giovanni e la colomba coerentemente sono i genitori, che sono presenti alla “nascita” del figlio divino. Ma la morte violenta di Giovanni per comando di Erode e la testa del profeta sul piatto hanno prototitpi nel mito di Cadmo. Infatti si suppone che la testa di quest'ultimo fosse stata decapitata da suo fratello e fosse stata seppellita su uno scudo di bronzo, una storia del culto che gioca un ruolo specialmente nei Misteri degli Dèi Cabiri, a cui appartiene Cadmo (si veda Creuzer, “Symbolik und Mythologie der alten Völker”, 1820, 2. 333). Secondo Flavio Giuseppe (op. cit.) Giovanni fu messo a morte perchè Erode temeva disordini politici dalla sua apparizione, mentre Matteo lo fa cadere vittima della vendetta di Erode, quest'ultimo essendo stato rimproverato da Giovanni per il suo matrimonio criminale con la moglie di suo fratello. Per giunta, il profeta Elia, che accusa Acab di aver ceduto a sua moglie Gezabele e di aver assassinato Nabot (1 Re 21), come pure il profeta Natan, che rimprovera Davide per aver ucciso Uria e aver sposato sua moglie (2 Samuele 12, si veda anche Ester 5:7, 2), sono a loro volta prototipi. Secondo questo un movimento religioso o una setta deve essere stato condensato, nel pensiero dei posteri, nella figura di Giovanni il Battista. I suoi seguaci, che rammogliavano da vicino agli esseni, in vista della imminente vicinanza del regno dei cieli, esortavano gli uomini ad una conversione dell'anima, guardavano al Messia nel senso di Daniele essenzialmente come il giudice costituito (“suscitato”) da Dio sui viventi e sui morti, e cercavano col battesimo di applicare ai penitenti gli effetti magici che sarebbero dovuti fluire dal nome del loro Dio del Culto Giovanni (Oannes), il Dio delle Acque e del Battesimo mandeo-babilonese. La natura severa e cupa di questa setta potrebbe essere stata riflessa nella natura tratteggiata del Giovanni nei vangeli, e tra essa e la setta di Gesù sembrano aver preso luogo parecchie collisioni, disaccordi, e conversioni (Matteo 11:1 seq.; Luca 7:18 seq.; Giovanni 1:37). Eventualmente la setta di Gesù fu originariamente solo una derivazione, e un'evoluzione, della concezione che i discepoli di Giovanni avevano del messia, come è indicato dalla presunta relazione di sangue tra Gesù e Giovanni. Ad ogni caso, i seguaci del primo nella loro fede nelle sofferenze, nella morte e nella resurrezione del Messia sentirono che il loro punto di vista fosse più elevato e più perfetto in confronto a quello dei discepoli di Giovanni, che non sembra essersi levato essenzialmente al di sopra delle idee generali dell'Apocalittica ebraica. Secondo Matteo 3:13 Gesù giunse dalla Galilea, la “Galilea dei Pagani”, al battesimo di Giovanni. Qui l'originaria origine pagana della fede di Gesù fu denunciata. “Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata” (Matteo 4:16; si veda Smith, op. cit., 95). L'opposizione delle due diverse sette era, ad ogni caso, così grande che i discepoli di Giovanni bisognarono di un'istruzione ulteriore e di un nuovo battesimo “nel nome del Signore Gesù” per ricevere lo Spirito Santo, al fine di essere ricevuti nella comunità cristiana. Per esempio, i dodici ad Efeso, che avevano ricevuto semplicemente il battesimo di Giovanni, come pure l'eloquente e colto alessandrino, Apollo, il quale nientemeno proclamava il messaggio di salvezza (τὰ περὶ τοῦ Ἰησοῦ) (Atti 18:24 seq., 19:1-7).

[92] Si veda Sepp, “Heidentum”, 1. 170 seq., 190 seq.; Winckler, “Die babylonische Geisteskultur”, 89, 100 seq. Tramite questo riferimento della storia evangelica al corso del sole sembra che l'attività di Gesù dal suo battesimo nel Giordano fino alla sua morte, secondo il racconto dei sinottici, copriva solo un anno. È l'anno mitologico del corso del sole attraverso la Regione Acquatica a gennaio e a febbraio fino al completo esaurimento della sua forza a dicembre.

[93] Marco 9:2-7.

[94] Le corna (crescenti) che anch'egli condivide con Jahvè, come mostra il siriano Hadah (Winckler, “Gesch. Israels”,  2. 94), richiama alla mente la natura lunare di Mosè. Mosè è, riguardo al suo nome, il “Tratto dalle Acque”. La luna è, comunque, secondo visioni antiche, semplicemente la stella dell'acqua, il dispensatore della rugiada e della pioggia, e la radice ma (mo), che, nel nome di Mosè, si riferisce all'acqua, è contenuta anche nelle varie espressioni per la luna.

[95] “Contra Tryph.”, 46.

[96] Si veda sopra, 112.

[97] Burnouf, op. cit., 195 seq.

[98] Che nella descrizione più vicina di questo evento idee dell'Antico Testamento hanno avuto la loro parte è già stata avanzata da altri. Così nella trasfigurazione di Gesù la trasfigurazione di Mosè sul Sinai balenò senza dubbio nella mente del narratore. E proprio come Gesù portò con lui i suoi tre discepoli principali sul monte della trasfigurazione, così Mosè portò i suoi tre fidati seguaci, Aronne, Nadab, e Abiu, per partecipare della visione di Jahvè (Strauss, “Laben Jesu”, 2. 269 seq.).

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