domenica 1 luglio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Cristianesimo Paolino e Giovanneo (VII) — Il Logos Giovanneo

(segue da qui)
CAPITOLO VII


CRISTIANESIMO PAOLINO E GIOVANNEO

10. IL LOGOS GIOVANNEO

È evidente dal Prologo del vangelo che il Gesù giovanneo è il Logos preesistente, e dobbiamo concludere che l'assenza del racconto di una nascita sia intenzionale. Il Logos di Giovanni non può essere “nato”. Il Prologo, una cui parte è compresa nel capitolo 3, appare più antico dello stesso vangelo. Nel suo stato originale non conteneva nessun riferimento a Giovanni il Battista. [27] Ci sono numerosi passi nel vangelo che riproducono la dottrina delle Odi di Salomone. Non si può ricavare con certezza che le Odi fossero note all'evangelista, perché la dottrina dev'essere stata quella di alcune comunità cristiane gnostiche davvero antiche, ma le rassomiglianze sorprendenti nel Prologo ad alcuni passi delle Odi indicano piuttosto una loro conoscenza da parte del suo autore. Per convenienza di confronto colloco i passi corrispondenti in colonne parallele: 

Giovanni (Prologo).Odi.
La Parola era presso Dio e la Parola era Dio.
Padre della Gnosi è la Parola della Gnosi. La luce rifulse dalla Parola, da tempo in essa presente.
Tutto è stato fatto per mezzo di lei.
I mondi esistettero per la sua Parola.
In lei era la vita.
Vita immortale mi ha abbracciato. E da essa proviene lo Spirito in me.
E la vita era la luce degli uomini.
La bocca del Signore è la Parola verace e la porta della sua luce.
La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
La luce non sia vinta dalla tenebra.
Veniva nel mondo la luce vera.
Essa è luce e splendore del pensiero.
A quanti l'hanno accolta, ha dato potere di diventare figli di Dio: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
[Lo Spirito] mi generò dinanzi alla faccia del Signore. E, benché fossi figlio dell’uomo, ebbi il nome di Splendente, figlio di Dio.
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto. E noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre. Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito lui lo ha rivelato.
Dimora della Parola è il figlio dell’uomo. Il Figlio dell’Altissimo è apparso, nella perfezione di suo Padre. Egli [il Padre] si diede per essere visto [attraverso la Parola]. E l'interpretazione di sé stesso ha avuto il suo corso da lui.
14:9
 Chi ha visto me ha visto il Padre. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia.
Un messaggio di pace annunzio a voi, suoi santi, perché chi lo ha appreso non perisca.
10:14 
Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
Presso di lui i suoi figli saranno riconosciuti.
14:19, 21, 23 
Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete.  Poiché io vivo, anche voi vivrete. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
Mi son congiunto ... per amare quel figlio, perché io divenga figlio. Chi è unito all’immortale, anche lui sarà immortale. Rimanete diletti nel diletto.


La Parola giovannea è precisamente la Parola delle Odi; un essere spirituale capace di diventare immanente negli uomini. E in coloro in cui dimora la Parola dimora anche il Padre. [28] Sarà visto che con entrambi gli scrittori il “dimorare” è concepito in una maniera davvero reale come il dimorare dello Spirito del Signore nell'anima del credente. Sebbene questa fosse anche la dottrina di Paolo è evidente che l'affinità tra Giovanni e l'Odista è più stretta di quella che c'è tra Paolo e l'Odista. Il paolinismo fu influenzato maggiormente da influenze esterne. Il cristianesimo giovanneo manifesta nel complesso la forma più antica e deve aver avuto le sue radici in profondità nel primo secolo. [29] Ma, qualunque siano le differenze, il nucleo della dottrina — cioè, che l'assicurazione della salvezza proviene da un'unione col Cristo — è comune a tutti e tre; e così lo è la negazione di una resurrezione fisica. La dottrina apocalittica di un giudizio finale da parte del Figlio dell'Uomo è stata imposta sul quarto vangelo; ma lo scrittore gnostico la ripudiò esplicitamente (3:17-19), in particolare nelle parole: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato”; perché l'uomo pneumatico è immortale; e l'uomo carnale deve perire una volta e per sempre. L'unione col Cristo spirituale è simboleggiato nel consumo del Pane della Vita. “La Moltiplicazione dei Pani per Cinquemila”, ha scritto Schmiedel, “è un godimento spirituale della persona di Gesù”. [30] Mentre si raccomanda l'avvistamento di Schmiedel si deve far eccezione al suo uso della parola “persona” in relazione ad un sacramento che esprime simbolicamente un fatto spirituale. Sebbene Giovanni per lo scopo della sua narrazione deve rappresentare Gesù come una persona egli non può averlo considerato così; poiché gli fa dire: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Dichiarato altrimenti, il Cristo giovanneo è la Parola delle Odi di Salomone inseparabile dal Padre. [31] Il discorso citato non è una semplice metafora, poiché altrove (14:10) Gesù dice: “Il Padre che dimora in me è colui che fa le opere. ... Io sono nel Padre e il Padre è in me”. Il Logos di Giovanni è, in realtà, simile al Logos delle Odi — Dio in relazione all'uomo. Essere “nel Padre” nel tempo presente implica un'esistenza contemporanea nel cielo e sulla terra, una condizione che era possibile per il Logos spirituale di Giovanni. Potremo confrontare un paragone di Seneca: 
Come i raggi del sole raggiungono la terra, ma non si staccano dal loro punto di partenza, così l'anima grande e santa, mandata quaggiù per farci conoscere meglio il divino, sta insieme a noi, ma rimane unita alla sua origine.
Vediamo così che il pensiero che costituisce il tema principale delle Odi di Salomone e fu trasmesso a Giovanni era noto anche a Seneca. Non dovremmo negare ad un autore cristiano, per amore di una teoria materializzante, la possibilità di elevarsi nel pensiero all'altezza spirituale di un pagano. In 3:13, Gesù dice di sé stesso: “Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo che è in cielo”. Le ultime quattro parole sono omesse in parecchi manoscritti, presumibilmente da editori cattolicizzanti. Osserva Schmiedel: “Esse riflettono in modo davvero appropriato l'idea di Giovanni circa Gesù, e perciò furono scritte certamente da lui”. [32] Schmiedel conclude dall'affinità tra le idee di Giovanni e di Filone che il primo dev'essere stato a conoscenza degli scritti del secondo. Ora Filone scrive frequentemente del Logos in termini che implicano una personalità; e tuttavia è certo che egli non considerò il Logos letteralmente una persona, non più di quanto lo scrittore di Proverbi, che disse che la Sapienza aveva “costruito la sua casa”, credeva che la Sapienza fosse una persona. I critici moderni non tengono conto della differenza tra la mentalità di pensatori religiosi del primo secolo e la loro propria concezione. È abbastanza possibile per Giovanni aver scritto il suo vangelo senza alcun credo nel fatto che Gesù fosse una persona che sia vissuta realmente in Palestina. È vero, noi leggiamo (1:14) che “la Parola è diventata carne”; ma è probabile che quelle parole furono scritte veramente da Giovanni? Schmiedel, che non dubita di questo, nondimeno osserva che, se autentiche, esse non si possono intendere letteralmente. Egli le interpreta a indicare che il Logos si rivestì di carne. [33] Come abbiamo già constatato, esiste un senso in cui ciò poteva essere detto da uno gnostico. Ma, se l'interpretazione è corretta in qualche senso, la carne visibile di Gesù fu un mero involucro e non parte del Cristo spirituale, quindi non poteva esserci stato nessun significato religioso nel mangiare di essa. Secondo Giovanni il Logos discese dal Cielo come spirito e ridiscese come spirito; e quella era un'eresia gnostica. Ignazio scrisse: “Infatti io sono convinto che dopo la risurrezione egli era nella carne, e io credo che così egli sia ora”. [34] Nella dottrina ignaziana Gesù era “spiritualmente unito” al Padre, ma tutti gli scrittori cattolici affermarono che l'Ascensione era “nella carne”. I capi cattolici devono aver compreso molto bene la natura della cristologia giovannea, e non avrebbero mai concesso una canonicità al suo gnosticismo autentico. [35] Realizzando questo, possiamo capire l'enfasi con cui un editore ha dichiarato la visione cattolica del sacramento (6:52-56) immediatamente di seguito alla dottrina spirituale del Pane della Vita. La stessa enfasi con cu si fa la dichiarazione tradisce la sua intenzione.
Ci sono passi nel vangelo che sembrano come docetismo, ma essi dovrebbero forse essere capiti come indizi della natura simbolica del Gesù dell'autore. Per esempio, in 8:59, Gesù nel Tempio è circondato da ebrei che prendono pietre per gettargliele contro, ma “Gesù si nascose e uscì dal tempio”. Che è equivalente a dire che egli si rese invisibile. Nelle circostanze sarebbe stata un'impossibilità fisica per Gesù nascondersi e uscire fuori dal Tempio. In 10:39, di nuovo, gli ebrei che gli erano “attorno” “cercavano nuovamente di arrestarlo;ma egli sfuggì loro dalle mani”. Non c'è nessuna ragione di credere che lo scrittore nel fare dichiarazioni del genere credesse di stare ricordando fatti. Egli stava scrivendo un'allegoria; e tramite l'intangibilità di Gesù egli indica che il suo Logos non è una “persona” più di quanto lo sia la Parola delle Odi di Salomone. Se avesse avuta intenzione di riportare fatti, egli avrebbe avuto qualche riguardo per ciò che i teologi chiamano “la tradizione”, assumendo naturalmente che egli credesse che ci fossero fatti noti, di cui, in considerazione della natura del suo vangelo, ci si potrebbe permettere di dubitare. [36]
Nelle Odi di Salomone la Parola, essendo un'astrazione metafisica concepita come un'emanazione spirituale, è in grado, nonostante la personificazione, di avere il suo luogo di dimora in un uomo. Era impossibile per Giovanni predicare questo in maniera non ambigua rispetto al suo personificato Cristo. In certi passi si asserisce l'immanenza del Cristo — per esempio, in 17:21, dove è scritto: “che essi siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi”; e di nuovo nel verso 23: “io in loro e tu in me”. Il capitolo da cui sono citati quei versi è giovanneo e senza dubbio davvero antico; esso potrebbe aver formato parte di una liturgia; ma non era una parte costitutiva del vangelo principale. Nello stesso vangelo la difficoltà è superata sostituendo la parola detta da Gesù al posto della Parola divina — ad esempio, in 5:24 : “Chi ascolta la mia parola ... ha vita eterna”. Immaginare che “parola” in questo verso significhi un'istruzione oppure le ingiunzioni di moralità equivarrebbe a ignorare l'intera natura della cristologia giovannea. Evidentemente essa è concepita come qualcosa che possiede in sé, non semplicemente attraverso ciò che impartisce, un potere che dà vita. Oltre a ciò, come nelle Odi, colui che ha ricevuto “la mia parola” è risorto dai morti; poichè il verso continua, “è passato dalla morte alla vita”. In 8:28, di nuovo, abbiamo un indizio che la parola detta da Gesù è sinonimo della Parola divina — che equivale a dire, di lui stesso: “Io non faccio nulla da me, ma dico queste cose come il Padre mi ha insegnato”. Gesù, in quanto la Parola, è il mezzo di comunicazione tra Dio e gli uomini. E nel verso 31 egli dice: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli, e la verità vi farà liberi”. La “verità” è Gnosi, e la “libertà” è liberazione dalla schiavitù all'heimarmenē. Colui che crede che Cristo è il Figlio di Dio e che fu inviato da Dio ha ricevuto non solo “la mia parola” ma anche “la Parola”.
Wellhausen, a dispetto del suo avvistamento nella natura del quarto vangelo, sembra essere andato piuttosto perversamente fuori strada quando egli scrisse:

Per unione con Cristo si intende non un'unione mistica con la persona di Gesù, ma un'unione razionale con la verità da lui annunciata. Non c'è, inoltre, nessuna questione del Gesù storico (κατά σάρκα) e di un'esperienza familiare con lui, ma, esattamente come con Paolo, solamente con il Gesù celeste. [37]

Wellhausen osserva che ciò che si intende è “immanenza”, ma egli pensa che l'immanenza non sia nell'individuo ma nella Chiesa. Sicuramente essa dev'esserci stata nel primo prima di poter esserci nella seconda. Senza dubbio egli ha ragione nella misura in cui le “opere” di Gesù sono le opere della comunità cristiana nella quale opera il Padre tramite il Logos immanente. Ma se per “razionale” Wellhausen intende implicare un processo intellettuale, la sua stessa razionalità lo ha fuorviato. L'unione concepita era “mistica”; di certo non proprio con il Gesù “storico” ma col Cristo celeste. Come poteva quest'unione essere altro che mistica? La “verità” proclamata da Gesù non è una verità logicamente dimostrabile; è una verità teosofica, in realtà la Gnosi, anche se lo scrittore non impiegò quel termine. La parola possiede in questo vangelo lo stesso significato che possiede nelle Odi di Salomone. Vedendo che Wellhausen capì che un'unione con Cristo significa un'unione colla verità — vale a dire, con la sua parola — egli dovrebbe aver realizzato che un'unione col Cristo e il dimorare nella sua parola erano intesi a significare una e la stessa cosa. Mediante il suo utilizzo del termine “esperienza”, Wellhausen ha oscurato il problema. Si può avere una esperienza familiare con una persona materiale, ma non, nel senso solito delle parole, con un essere divino. Paolo non aveva nessun idea di “esperienza” in quel senso. Naturalmente Wellhausen ha ragione nel dire che in questo vangelo non c'è nessuna questione di un'esperienza familiare col Gesù storico.
L'identità essenziale, in un senso mistico, del Cristo giovanneo con la parola da lui pronunciata è stata intravista da Bousset, [38] il quale, citando Giovanni 15:7 — “Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi” — e 15:3 “Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata” osserva che una comunione con Cristo corrisponde esattamente ad una comunione con la Parola, e che la parola pronunciata da Gesù possiede il potere redentivo del Logos stesso. [39]

NOTE

[27] Una ricostruzione approssimata del Prologo è data nell'Appendice F.

[28] Randel Harris (The Origin of the Prologue to St. John's Gospel) prestò attenzione a rassomiglianze tra la fraseologia del Prologo e Proverbi 3 e 8 che sembrano mostrare che l'autore del Prologo sapeva che la Parola era derivata dalla Sapienza.

[29] R. Bultmann scrisse nel 1925: “Noi non possiamo trascurare la possibilità che il cristianesimo giovanneo rappresenti un tipo più antico di quello sinottico.”

[30] The Joh. Writ., pag. 97.

[31] Il greco di Giovanni 1:1 esprime una relazione tra Dio e il Logos che non si può esprimere in inglese senza una circonlocuzione. Il significato è che il Logos è in qualche senso Dio senza essere realmente Dio stesso. La concezione delle Odi, secondo cui la Parola è un'estensione spirituale dell'essenza divina, corrisponde abbastanza al caso. Dio e la Parola formano un'unità indivisibile, priva di identità.

[32] Opera citata, pag. 153. Ma a dispetto dell'opinione di Schmiedel è alquanto dubbio se i passi nei quali appare il termine “Figlio dell'Uomo” appartengano allo strato più antico del vangelo. Il Figlio dell'Uomo in questo verso, comunque, è più simile al Figlio dell'Uomo Naasseno che all'apocalittico Figlio dell'Uomo.

[33] The Joh. Writ., pag. 152.

[34] Smyrn., 2:2. Ἐγὼ γὰρ καὶ μετὰ τὴν ἀνάστασιν ἐν σαρκὶ αὐτὸν οἶδα καὶ πιστεύω ὄντα.

[35] “L'ultima edizione, quella ecclesiastica, potrebbe essere stata venti o trent'anni più tarda della prima. . . . È allora che Efeso avrà fatto le mosse indispensabili per rendere il suo vangelo accettabile a Roma”. Loisy, Le quat. Evan., pag. 602.

[36] Nel processo di cattolicizzazione si introdusse una piccola quantità di materiale sinottico in questo vangelo, come hanno illustrato Loisy e Wellhausen.

[37] Das Evangelium Johannis, pag. 118.

[38] Kyr. Chr., pag. 205.

[39] Nella preghiera di Giza, scoperta da Reitzenstein, la “voce” di Gesù sta per Gesù stesso. Pimander,  pag. 5.

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