lunedì 18 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : La Morte del Cristo (VI) — Letteralizzazione del Dogma

(segue da qui)

CAPITOLO VI

LA MORTE DEL CRISTO

5. LETTERALIZZAZIONE DEL DOGMA

Il cristianesimo, al pari di ogni movimento popolare grande e di successo, deve essere stato un prodotto delle aspirazioni e ideali dell'età in cui nacque. Nessun capo per quanto eccezionale il suo genio, può creare un movimento del genere, sebbene senza dubbio egli può precipitarlo quando le condizioni sono mature. Le idee operative devono esserci là per prima. I capi non le originano; essi le formano e le dirigono. Ora potremo apprendere ciò che furono gli interrogativi e le aspirazioni che stavano dirigendo i pensieri degli uomini nel primo secolo dalla perplessità di Clemente in Ritrovamenti, 1:4 :
Ancora una volta, comunque, mi chiedevo: se il premio per una vita onesta è incerto, come posso frenarmi dall'attrattiva del peccato, tanto più quando l'incertezza, in me, riguarda anche la domanda di quale sia quella giustizia che piace alla divinità? Senza contare che neppure se avessi conoscenza dell'immortalità dell'anima, neppure se fosse essa ad avere speranza in qualcosa, neppure se venissi a conoscere quali certezze il futuro mi riserva, non riuscirei ancora a darmi pace a causa di simili pensieri.
Clemente lamenta di non poter ottenere nessuna risposta soddisfacente a quelli interrogativi dai filosofi, e ciò che lui esige è certezza. L'uomo comune, né allora né ora, sarà soddisfatto con l'assicurazione che la certezza in materie simili è irraggiungibile. Egli vuole certezza e certezza avrà. Nessuna meraviglia del fatto che miti antichi divennero trasformati sotto la pressione di un bisogno simile nei culti misterici di dèi-Salvatori, e nessuna meraviglia della loro fioritura. Essi offrivano ai loro devoti ciò che al di sopra di ogni cosa essi agognavano — l'assicurazione della vita eterna. E l'assicurazione fu data nella maniera più convincente. Il dio-Salvatore col morire aveva sconfitto la morte; e, come egli era risorto di nuovo dai morti, così ai suoi adoratori, essendosi identificati in lui tramite riti appropriati, sarebbe assicurata la loro stessa resurrezione, oppure la vita prolungata dell'anima alla morte del corpo. In Egitto quelli che erano morti venivano chiamati Osiride, e di frequente si interrava con loro un'immagine del dio, e sul loro corpo si pronunciava il seguente incantesimo:

Come sicuramente Osiride vive così egli vivrà; come sicuramente Osiride non muore anch'egli non morirà; come sicuramente Osiride non sarà annientato, così anch'egli non sarà annientato. N. - G.C.

Nelle mistiche cerimonie di Attis, l'adoratore diventava unito simbolicamente col dio e fu reso così partecipe della sua immortalità. Nel rituale della sua morte e resurrezione un'effigie del dio veniva seppellita, e quando al terzo giorno il sepolcro si apriva e veniva trovato vuoto la resurrezione del dio fu salutata dai suoi adoratori come una garanzia della loro stessa resurrezione. “Siate confortati, voi pii”, diceva il sacerdote; “come il dio è salvato così sarete salvati voi”. La morte e la resurrezione di Dioniso venivano rappresentate nel suo Mistero e la resurrezione del dio fu interpretata da quelli che erano presenti come un'assicurazione simbolica della loro stessa immortalità. La prevalenza di questa brama intensa dell'assicurazione di immortalità e la competizione di culti che la soddisfacevano risultarono inevitabilmente nell'assimilazione della morte e resurrezione del Cristo gnostico a quelle degli altri Salvatori divini. Ma Clemente nei Ritrovamenti esige più dell'assicurazione di immortalità; egli desidera anche sapere quale sia la giustizia che sta piacendo a Dio. Da questo punto di vista il cristianesimo ebbe un vantaggio sui culti pagani. In loro, in effetti, si pensava che una esistenza pura piacesse al dio. Ma il cristianesimo avrebbe potuto presentare a quelli che desideravano vivere giustamente un codice di precetti morali che possedeva l'autorità di una rivelazione divina.
La tendenza naturale a letteralizzare la metafora deve essere stata stimolata tra i primi gnostici da un passo riferito in precedenza della Sapienza di Salomone. Il passo (Sapienza 2) è una descrizione della morte ignominiosa dell'uomo giusto (il giusto) ad opera dei malvagi, che dice: 
Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara il servo del Signore. Si vanta di aver Dio per padre. Se il giusto è figlio di Dio, egli l'assisterà. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti. Condanniamolo a una morte infame.
Gli gnostici, applicando a questo passo il metodo di interpretazione che era loro consueto, difficilmente potevano mancare di vedervi una descrizione della morte del Logos incarnato; ed essi avrebbero trovato una diretta esortazione a sondare sotto la superficie nel verso 22, che dice che i malvagi “non conoscevano i misteri di Dio”. L'uomo idealmente giusto era colui nel quale era presente il Cristo spirituale nel più alto grado. L'uomo giusto di questo passo è definito il servo (pais) di Dio e il figlio di Dio, ciascuno di loro titoli del Cristo. La parola tradotta “di imbarazzo” è duschrestos nel greco. Ora Chrestos fu usato dagli gnotici come un nome alternativo per Christos. Il significato del termine è grazioso, servibile, oppure gentile. Colui che era duschrestos per i malvagi sarebbe naturalmente chrestos per i buoni. Perfino se accettato come simbolismo all'inizio, tuttavia sotto le influenze che sono state alluse, il quadro da esso presentato deve aver contribuito ad accelerare la letteralizzazione del credo nel fatto che il Cristo incarnato fosse stato messo a morte. Sappiamo dall'Epistola di Barnaba che i primi cristiani compresero in realtà questo passo come una descrizione della morte del Cristo. [22]
La sua passione fu rivelata in anticipo. Dice il profeta di Israele: Guai alla loro anima, perché presero un iniquo consiglio contro sé stessi dicendo: Leghiamo il giusto perché ci è molesto [duschrestos]... Perché un giorno lo vedranno con la veste rossa intorno al corpo e diranno: non è colui che abbiamo crocifisso, oltraggiato e sputacchiato? Veramente era lui che allora diceva di essere Figlio di Dio (Sapienza 5:2-5).
Il “profeta” è Isaia (3:9); ma solo la prima frase è presa da quel libro; la fonte del resto del passo è ovviamente la Sapienza. I cristiani del primo secolo non farebbero nessuna distinzione tra una dichiarazione del genere come quella citata sopra dalla Sapienza e un genuino documento storico. [23]
Non esiste nessun chiaro riferimento nelle Odi di Salomone alla morte del Cristo, ma nell'Ode 42 sembra esserci un riferimento all'uomo giusto della Sapienza: “Lo spiegamento delle mie mani è il legno steso che fu levato sul sentiero del retto” — oppure, secondo un'altra traduzione, “su cui il giusto fu appeso per la via”. Potremo concludere che lo scrittore intese la “morte infame” a significare una crocifissione; e sembra probabile che egli considerò l'uomo giusto un'incarnazione speciale del Cristo. Oppure egli poteva averlo preso per un'allegoria del giusto in generale — in altre parole, della congregazione dei santi, dal momento che, come abbiamo visto, quella congregazione era ritenuta il corpo visibile del Logos.
Poi la persecuzione e il martirio a cui si esposero la congregazione oppure i suoi membri si poteva descrivere simbolicamente come la persecuzione e il martirio del Cristo. Nel verso 1 dell'Ode 42 è scritto: “Stesi le mie mani e mi accostai al mio Signore poiché lo spiegamento delle mie mani è il segno di lui, dove “mio Signore” come al solito nelle Odi è Dio. La figura è presa dal salmo 88:9: Signore, io spiego a te le palme delle mie mani. E “mio Signore” in questo verso è un 'entità differente dal “Giusto” che viene menzionato più tardi. Da qui non c'è nessuna ragione per assumere un riferimento alla croce di Gesù. Al contrario, la croce di Gesù è la fine di un processo evolutivo di pensiero di cui stiamo considerando ora le prime fasi.
È ben risaputo che la croce fu un simbolo sacro tra varie nazioni molto tempo prima dell'era cristiana. Nella storia di Mosè che tese le braccia durante la battaglia con gli amaleciti c'è una prova del suo essere così tra gli antichi israeliti. Presumibilmente perfino alla data quando si scrisse quella storia lo spiegamento delle braccia costituiva il “segno” del Signore. La croce aveva un significato simbolico nel culto di Osiride. E, quando i discepoli di Mitra erano battezzati, il sacerdote imponeva il segno della croce  sulla loro fronte. Nel tempio di Serapide ad Alessandria c'era una grande immagine del dio con le braccia distese a forma di croce. [24] Prometeo, che, al pari del Logos, era considerato un benefattore di uomini, era raffigurato in una posture crocifissa. L'Agnello Pasquale, come ci informa Giustino, era vestito nella forma di una croce. Di conseguenza difficilmente era possibile per i primi cristiani gnostici evitare di comprendere la “morte infame” del “Giusto” come una crocifissione, la quale costituiva il solo tipo di morte vergognosa appropriata ad un essere divino. 
 In realtà difficilmente è probabile, comunque, che la “morte vergognosa” della Sapienza abbia inteso una crocifissione nel senso romano. Il passo fu suggerito senza dubbio dalla raffigurazione di Platone delle sofferenze dell'uomo giusto ideale, in cui è detto che egli è stato “impalato”. Il termine indica probabilmente un metodo di punizione anticamente in uso che consisteva nella sospensione del criminale per i polsi ad un palo con le sue braccia al di sopra della sua testa. A volte c'era una corta traversa alla cima del palo, per mezzo di cui si creava una rassomiglianza ad una crocifissione e la parola utilizzata da Platone poteva essere intesa da scrittori successivi a significare una crocifissione. C'è una ragione per credere che l'Odista fosse familiare con gli scritti di Platone. Qualche conoscenza della dottrina platonica sembra essere indicata nell'Ode 34: 
Prototipo di ciò che è in basso è ciò che è sopra. Tutto difatti è in alto e sotto non c’è nulla; così soltanto però è creduto  da chi non ha conoscenza.
Ovviamente le persone che avevano opinioni di quel genere non erano legate alla realtà storica e potevano essere capaci di pensare e scrivere di una morte simbolica come se fosse più reale di una morte fisica. E poiché l'argomento di Platone era che il Giusto ideale doveva essere necessariamente maltrattato e ucciso, quando si stabilì tra i cristiani gnostici il credo che il Logos era “apparso”, la fede nella sua morte ignominiosa e tuttavia gloriosa seguì necessariamente. Inoltre, l'uomo ideale di Platone dev'essere stato realmente l'“idea” platonica dell'uomo; non una mera astrazione, ma il celeste essere perfetto di cui la razza umana era creduta una copia davvero imperfetta, a causa del fatto che il celeste uomo ideale è sfigurato col suo venir impresso sulla materia. La concezione gnostica del Logos incarnato fu analoga a questa così strettamente a questa che sarebbe strano in effetti se essi non lo avessero identificato col Giusto di Platone.
Così è piuttosto comprensibile come il Cristo-Logos incarnato, il Dio negli uomini che sta per essere continuamente degradato e torturato attraverso l'imperfezione della natura carnale, venne ad essere ritenuto crocifisso, e come la concezione venne gradualmente ad essere rappresentata più concretamente, finché per fasi facilmente comprensibili gli uomini arrivarono all'idea secondo cui l'uomo perfettamente giusto in cui il Cristo era diventato incarnato allo scopo di recare agli uomini la conoscenza del vero Dio era stato crocifisso dai malvagi. Numerosi credi accarezzati dagli uomini, specialmente credi religiosi, hanno avuto una fondazione meno solida di questa. Dal momento che, inoltre, l'uomo perfettamente giusto, al pari dell'“uomo sapiente” degli stoici, fu un uomo ideale che non era mai nato da una donna, la sua identificazione col “profeta” Giosuè, che era “venuto di nuovo dal Cielo”, costituì un passo davvero naturale —un passo, comunque che gli scrittori cristiani cattolici del secondo secolo avrebbero certamente soppresso. Nella più antica letteratura cristiana il tempo e il luogo della Crocifissione sono completamente indefiniti. 

NOTE 

[22] Capitoli 6, 7. Nota che “Israele” è identificato coi malvagi che uccisero “il Giusto”. Anche Tertulliano identificò Cristo col giusto della Sapienza. Contro Marcione, 3:22.

[23] “I fabbricatori della tradizione . . . considerarono le 'profezie' scritturali come dati reali per lo storico”. Alan Richardson, The Gospels in the Making. L'autore non è affatto un critico radicale.

[24] Cox, Mythology of the Aryan Nations, 1903, pag. 354.

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