venerdì 8 giugno 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Il Dogma dell'Incarnazione (IV) — I Naasseni, Perati, e Setiani

(segue da qui)

CAPITOLO IV

IL DOGMA DELL'INCARNAZIONE

2. I NAASSENI, PERATI, E SETIANI

La setta dei Naasseni potrebbe essersi originata nell'ultimo secolo pre-cristiano. Indubbiamente era in esistenza davvero presto nel primo secolo. Infatti Ippolito dice che i Naasseni furono i primi gnostici, anteriori perciò ai Simoniani. Alcuni antichi scrittori cristiani, che non potevano ammettere che lo gnosticismo fosse pre-cristiano, affermarono che il semi-mitico Simon Mago fosse il padre dell'eresia. Questo credo, sebbene erroneo, prova in realtà che lo gnosticismo non fu una derivazione del cristianesimo, perché è detto che Simone era stato un contemporaneo dei primi apostoli; e dalla sua descrizione in Atti, distorta com'è, è evidente la sua originaria indipendenza dagli apostoli cristiani e in effetti la sua priorità rispetto a loro. È detto (Atti 8:11) che le persone di Samaria gli davano ascolto perché “già da lungo tempo” egli li aveva impressionati colle sue magie. Dall'informazione in nostro possesso si può ricavare che lo gnosticismo simoniano esisteva in Samaria prima dell'anno 30, e che per qualche tempo era rivale del cristianesimo. Da qui la virulenza con la quale venne attaccato Simone dai primi scrittori cristiani. Possiamo apprendere da una osservazione lasciata cadere da Girolamo che il docetismo è almeno tanto antico quanto il cristianesimo. “Il sangue di Cristo”, egli scrisse, [4] “era ancora fresco in Giudea quando il suo corpo venne definito un fantasma”. Ma se il docetismo esisteva fin da allora, niente ci impedisce di supporre che esso fosse esistito anche prima ancora. Reitzenstein ha riconosciuto il fatto che il più antico documento naasseno identificabile non mostra nessuna traccia di influenza cristiana. Egli caratterizza la sua dottrina come pagana; e la “confutazione” di Ippolito consiste in una dimostrazione della sua origine non-cristiana. Si potrebbe fare, comunque, un'eccezione all'applicazione del termine “pagana” alla dottrina naassena, poiché il nome della setta prova che fosse ebraica, e, sebbene ci siano rassomiglianze impressionanti tra la sua dottrina e quella della letteratura ermetica, il suo monoteismo fu di origine ebraica e possedeva qualche affinità con Filone. Tutte e tre le dottrine erano plasmate ad un grado maggiore o minore da idee religiose che devono essere state prevalenti prima del principio dell'era cristiana. Gli stessi Naasseni pretesero di essere i soli veri cristiani.
È evidente dalla descrizione della dottrina dei Naasseni che ci consegna Ippolito che gli scritti dai quali derivò le sue informazioni erano stati prodotti lungo un periodo considerevole di tempo, durante il quale stava accadendo uno sviluppo; infatti alcune delle sue dichiarazioni si contraddicono a vicenda. Egli stesso non fu critico abbastanza da collocare i libri dei quali era a conoscenza nel loro adeguato ordine cronologico, oppure da riconoscere inserzioni più tarde. Nondimeno è possibile dall'informazione da lui fornita ricavare qualche idea del probabile corso di sviluppo e in particolare estrarre la dottrina fondamentale, che dev'essere la dottrina primitiva, sebbene non proprio forse nella sua semplice forma originale.
Il Dio dei Naasseni non è una persona, sebbene a volta sia chiamato il Padre. È detto essere privo di forma, incomprensibile, ineffabile. Egli è, in realtà, l'Altissimo delle Odi di Salomone, diventato ancor più indefinito e remoto. Egli è uno Spirito illimitato di cui - o piuttosto del quale - non si può predicare niente se non che si potrebbe chiamare “il Bene”. Questa designazione non fu applicata nel senso in cui la bontà morale si può attribuire ad una persona, poiché la parola greca utilizzata è al neutro (to agathon). Probabilmente con una conoscenza della dottrina platonica delle “idee”, i Naasseni pensavano Dio come l'astratta qualità della bontà, concepita in possesso di un'esistenza reale. Ogni cosa buona procede da lui, ma egli stesso è inattivo; proprio come l'Altissimo delle Odi opera per mezzo della Parola. Nei libri sapienziali è detto che Dio ha creato il mondo colla sua Sapienza. I Naasseni sembrano non aver usato questo nome; essi vi sostituirono un termine copiato dalla filosofia greca — Nous, la Mente di Dio. E dal momento che la Mente di Dio non si può proprio immaginare separabile da lui, essi dettero alla divina Sapienza spirituale, che nella Sapienza di Salomone penetra tutte le cose, il nome Psyche (anima). Perfino le pietre, dicevano, posseggono un'anima. Furono probabilmente a conoscenza della concezione storica dell'anima del mondo, ma erano anche ebrei, ben versati nell'Antico Testamento, e i loro Nous e Psyche sembrano riprodurre i due aspetti della Sapienza. L'argomento naasseno che le pietre posseggono un'anima perché sono capaci di crescita è simile alla dichiarazione nella Sapienza di Salomone che la Sapienza rinnova tutte le cose; e l'opinione che “ogni natura brama l'anima” è compatibile coll'elogio della Sapienza da parte dello scrittore ebreo. La Psyche dell'Inno Naasseno è chiaramente la Sofia degli gnostici successivi. Anche in quell'Inno è Psyche che differenzia il “caos” primordiale — materia informe — in vari oggetti, elaborando la “legge” che era implicita in Nous. Quindi Nous, come entità inventiva e Psyche, come entità operativa, completano la Sapienza creativa di Dio. Simone di Gitta [5] fece la stessa divisione, ma egli nominò Epinoia la Mente costruttiva o intenzionale. Il germe della distinzione è forse da vedere nell'utilizzo dell'Odista dei termini “Pensiero” e “Volontà” di Dio.
Il Padre fu nominato dai Naasseni Adamas e Anthropos (Uomo). La dottrina platonica delle “idee” potrebbe aver contribuito all'applicazione del secondo di quei nomi. La più alta entità metafisica era forse considerata l'“idea” celeste della più elevata entità materiale. Ma non è certo se quella sia la spiegazione completa. L'idea di un primo uomo divino è rintracciabile negli assiri (babilonesi), dai quali era chiamato Oannes e creduto generato dal mare. Nel testo naasseno è detto che gli assiri nell'adorazione di Oannes stavano adorando senza saperlo Anthropos. [6] Il nome “Adamas” era suggerito evidentemente da “Adamo”; e nella dottrina di alcuni altri gnostici Adamo era una manifestazione del Cristo. Il fatto che Filone operò una distinzione tra l'Adamo celeste e l'Adamo terreno ed eguagliò il primo con Nous punta a qualche antica leggenda relativa ad un uomo divino primigenio. C'è chiaramente qualche connessione tra la visione di Filone e quella dei Naasseni. Anche nell'opera ermetica Pimander leggiamo della discesa di un “dio-uomo” primigenio. Secondo Reitzenstein una dottrina dell'Anthropos mise radici in Egitto all'incirca il principio dell'era cristiana. È possibile che la sillaba finale as si aggiunse ad Adam per identificare il nome colla parola greca adamas, che significa invincibile, anche diamante.
Il legame necessario tra lo Spirito divino immobile e il mondo materiale fu trovato dai Naasseni, come dall'Odista, nella Parola, la quale, in quanto il Figlio di Anthropos, è definita “Figlio dell'Uomo”, ma non c'è nessun collegamento tra questo Figlio dell'Uomo e l'apocalittico Figlio dell'Uomo. Sebbene chiamato il Figlio, egli è uno “Spirito senza forma, invisibile, immateriale e ineffabile” — in altre parole, un'emanazione spirituale dal Padre. Come nelle Odi di Salomone, lo Spirito Santo non è assolutamente separabile dal Padre e dal Figlio. Essi sono lo Spirito divino ed essenzialmente un'unità. Ippolito cita: “Dio, dicono, è Spirito. ... Lo Spirito è là dove è invocato anche il Padre, ed il Figlio là da questo Padre generato”. Si è mostrato in precedenza che nella dottrina delle Odi di Salomone la Parola è il Padre nella sua relazione con gli uomini. La dottrina dei Naasseni era simile; infatti tramite la Parola gli uomini sono portati in relazione con Dio e ottengono da lui la conoscenza. È detto che gli uomini diventano pneumatici mediante la discesa in loro del Figlio dell'Uomo spirituale. Riferendosi alle statue di Ermes, che essi identificarono col loro Logos, lo scrittore naasseno dice, “Le suddette statue sono le immagini dell'Anthropos originario e dell'uomo rigenerato, in tutto consustanziale al precedente”. L'uomo spirituale rigenerato è, comunque, il Figlio dell'Uomo. Infatti, dopo la spiegazione che i misteri eleusini simboleggiano la generazione pneumatica (nascita), quella celeste, quella di sopra, lo scrittore continua, “perché noi spirituali arriviamo dall'alto, da Adamas, scorrendo in basso”.
Il Figlio incarnato è definito “il Cristo”; e nella dottrina naassena su questo soggetto abbiamo una conferma dell'opinione, espressa nel capitolo precedente, che quando  l'Odista scrisse che la Parola “divenne come la mia natura”, il suo significato era che la Parola assunse la forma di uomini penetrando in loro. Infatti il Logos naasseno era anche privo di forme e al di fuori dello spazio, ma quando come Cristo egli diventa incarnato in un uomo egli possiede a tale misura una limitazione spaziale. In un passo citato da Ippolito leggiamo, “Questo è il Cristo che — secondo loro — è in tutte le creature, formato quale Figlio dell'Uomo dal Logos senza forma”. Di conseguenza i naasseni introdussero ad una certa fase dello sviluppo del loro sistema una distinzione nominale tra il Logos privo di forme e il Cristo incarnato. Non sembra, comunque, che il Cristo che discende sia in tal modo separato dal Padre. In realtà, lo stesso Figlio è nominato occasionalmente sia Anthropos che Adamas. In un passo la concezione naassena della relazione tra Dio e l'uomo spirituale si esprime nell'enunciazione delle tre esistenze fondamentali: l'altissimo Anthropos, l'uomo mortale inferiore, e il Giordano che fluisce alle parti superiori. Ma questo Giordano, è spiegato, è l'Anthropos androgino che è in tutto. Il Figlio dell'Uomo appare concepito così come un flusso spirituale che fluisce verso l'alto e che lega gli uomini con Dio. Dappertutto il linguaggio è altamente figurato, e non si devono prendere alla lettera espressioni come per esempio “androgino” nel passo citato. Altrove è detto, “ma quale sia l'aspetto di colui che discende dall'alto ossia dall'Essere privo di forma nessuno lo sa”. L'idea potrebbe essere che Anthropos è la Madre universale come pure un Padre universale. Quella, forse, è la ragione per cui non c'era nessuna separata “Vergine Madre” nella teosofia naassena. È notevole come quelle persone presero tutti i miti e li sublimarono. Al letteralista Ippolito essi sembrarono lunatici. Secondo la maniera generale degli gnostici, essi estraevano dai testi da loro usati significati nascosti mediante un'interpretazione simbolica, trattando l'Antico Testamento precisamente allo stesso modo in cui trattavano Omero. Per esempio, essi spiegavano Isaia 28:16 — “Io pongo come pietra preziosa [Adamas] a fondamento di Sion” — a significare l'inserimento di Adamas nella frame umana. Poi, citando Omero, lo scrittore dice che l'uomo interiore che cadde dall'Adamas primordiale di sopra è contenuto all'interno del corpo come all'interno di un muro e di una fortificazione. [7]
I Naasseni non avevano nessun'altra soluzione al problema dell'esistenza del male se non quella che è implicata nella Sapienza di Salomone. Il male, essi supposero, è una qualità intrinseca alla materia. Essi negarono che qualcosa che non sia buono potesse procedere da Dio, così che probabilmente nella loro dottrina più antica la materia primordiale, “il caos”, era increata, com'è il caso nella dottrina più antica dei Perati; successivamente, comunque, quest'opinione si modificò. Pur di esonerare Dio dall'accusa di aver creato qualsiasi male, essi adottarono la teoria che l'uomo era stato prodotto spontaneamente dalla terra. Questo è l'uomo carnale o “terreno”, che all'inizio giace inerte come una statua fino all'introduzione in lui dell'anima (psyche) senziente ed emozionale così da poter venire disciplinato e perfezionato dalla sofferenza. A quel tempo egli era ignorante di Dio e non aveva visione di cose più alte. Egli era idolatra e vizioso. La sua anima, sebbene di origine divina, era impossibilitata a sollevarsi dalla materia a cui era vincolata. Lo Spirito — Adamas, come il Figlio dell'Uomo — allora discese dall'alto e, diventando unito all'anima, lottava per liberarla. Pure lui è esposto così alla contaminazione della materia ed è trattenuto e torturato nella sua prigione di carne. Con questo dobbiamo comprendere la disciplina tramite sofferenza della natura spirituale. Ma non tutti gli uomini sono docili alla disciplina. Il Cristo, come leggiamo in un passo citato sopra, è formato in tutti coloro che nascono. Ma gli uomini si possono separare in due classi — la classe pneumatica e la classe psichica. In quest'ultima lo spirito prevale sulla materia e libera l'anima. In quest'ultima il Cristo è messo a morte. Lo scrittore, applicando simbolicamente un dogma frigio, dice che il Cristo negli uomini carnali è “un cadavere, essendo seppellito nel corpo come in una tomba e in un sepolcro”. Ma un uomo psichico è capace di divenir pneumatico, e questa conversione i Naasseni chiamarono resurrezione dai morti, e la ritenevano apparentemente addirittura un'ascensione metaforica al Cielo per mezzo del Giordano spirituale che fluisce verso l'alto. Infatti, essi dissero, coloro che sono rinati spiritualmente a partire da corpi carnali sono uomini morti che escono dai loro sepolcri.

 Questa — per loro — è la resurrezione che avviene attraverso la porta dei cieli: tutti coloro che non entrano attraverso questa restano morti. [8]
Ma naturalmente era il Cristo spirituale nel corpo mortale che resuscitò e ascese. Quindi le parole del Salmo — “O porte, alzate i vostri capi ... e il Re di gloria entrerà” — si spiegano come una descrizione dell'ingresso in Cielo di Adamas, lo Spirito divino che era stato portato dalla morte alla vita nella rigenerazione spirituale di un uomo. Gli gnostici successivi trattarono il Nuovo Testamento sulla base degli stessi principi con cui trattarono l'Antico, adattando la storia evangelica alla loro dottrina tramite un'interpretazione allegorica. A quale misura essi l'accettarono come letteralmente vera è impossibile da dire. Con tutto il loro fine intelletto e speculazione vertiginosamente alta, gli gnostici non furono critici nel senso moderno. Marcione, tuttavia, negò che Gesù fosse “nato”; e gli gnostici del tipo dei Naasseni non fecero nessuna distinzione apparente tra la storia cristiana e le favole dei pagani. Non c'è nessuna prova di conoscenza di un vangelo nel più antico documento naasseno identificabile; ma in uno dei loro scritti successivi, di seguito alla citazione “Io sono la vera porta”, è detto: 
Colui che dice queste cose è l'Anthropos perfetto che è stato caratterizzato, dicono, dal Senza-forma che sta in alto. Questo medesimo personaggio — dicono — i Frigi lo chiamano anche Papas, poiché dava riposo [9] a tutte le cose che prima della sua manifestazione si muovevano disordinatamente e senza regola. [10]
È detto nuovamente che “il mistero nascosto” — presumibilmente la Gnosi — “è altresì l'acqua che in quel bel matrimonio Gesù trasformò in vino”. Ma lo scrittore identifica con non meno fiducia il “mistero” ad una coppa di vino menzionata in un poema di Anacreonte. E la vergine che concepì e recò un santo figlio, se la vergine di Isaia oppure la vergine dei misteri, è, viene detto, un'allegoria della generazione spirituale delle persone pneumatiche. Il santo figlio, con qualsiasi nome egli è conosciuto in luoghi diversi, non è una persona individuale, ma il Cristo universale, il pneuma che discese da Adamas e vive in ogni uomo spirituale. In questo simbolismo non è veramente coinvolta nessuna “vergine”. La “nascita verginale”, se cristiana oppure pagana, simboleggia un processo. Nella letteratura ermetica è detta che anche Iside significa “generazione”. I Naasseni, al pari di altri gnostici, nominarono il corpo Egitto e presero l'Esodo per un simbolo della liberazione dell'uomo spirituale dalla natura carnale.
Potremmo vedere che la dottrina dei Naasseni, sebbene elaborava alcune delle idee e introdusse una nuova nomenclatura, nella sua origine è essenzialmente la stessa dottrina metafisica che troviamo nelle Odi di Salomone. Abbiamo il Padre ineffabile, incomprensibile, che è diventato ancor più indefinito attraverso la sostituzione pratica al suo posto di Nous, la Mente divina. Abbiamo la Parola, a sua volta chiamata Cristo, la quale, essendo una col Padre e derivando da lui, diventa incarnata negli uomini spirituali, non respingendo le loro anime ma umiliandosi alla contaminazione della carne, e, imprigionandosi dentro la gabbia del corpo, “divenne come la mia natura, perché imparassi a conoscerlo”, recando anche agli uomini la conoscenza salvifica di un Dio altrimenti sconosciuto. Abbiamo anche la “nascita verginale” delle persone pneumatiche, sebbene la “vergine” sia stata ridotta ad un simbolo. Infine abbiamo la fuoriuscita dei morti dall'Ade per mezzo del potere della Parola. Lo scrittore illustra allegoricamente la sua dottrina di “resurrezione” applicando alcuni passi di Omero in cui Ermes è servito a rappresentare il Logos; citando uno di quelli [11] egli dice che le “anime gettando strida” nell'Ade seguirono il Logos. Ma ovviamente, egli non più dell'Odista credette che il Logos si fosse recato letteralmente giù nell'Ade.
Associati ai Naasseni erano i Perati. Ippolito dice che la setta era stata in esistenza per lungo tempo ma che la sue dottrine fossero poco note. Quelle, come le presenta Ippolito, sono parecchio elaborate, essendo contenute in numerosi libri, senza dubbio prodotti in date diverse. È possibile, comunque, estrarre dal miscuglio  qualcosa della dottrina più antica, la quale, se primitiva, non è così antica come quella dei Naasseni. Ciò nonostante, essa è, come afferma Ippolito, di origine non-cristiana. Al vertice di tutto c'è il Padre immobile, inattivo — l'Ingenerato e il Bene assoluto. C'è anche l'increata hylē, la materia primordiale. Tra il Padre e l'hylē, a collegare l'uno con l'altra, c'è il Figlio, il Logos, che i Perati, al pari dei Naasseni, etichettarono l'Auto-generato. Il Logos riceve dal Padre “idee” di tutte le cose e impresse loro sulla hylē creando così il cosmo multiforme. Successivamente questa dottrina si modificò; poi si credette che il cosmo fosse stato emanato dalle stelle e fosse soggetto di conseguenza al destino (heimarmenē), da cui gli uomini si potevano liberare soltanto per mezzo della Gnosi. Una terza opinione, apparentemente ancor più tarda, era che l'Arconte, Demiurgo, che era identificato col dio degli ebrei, prese alcune delle forme che erano state disseminate come semi dal Logos e così generò figli da sé. Un'opinione analoga si trova nella letteratura ermetica, e anche là sembra non essere primitiva. Secondo la dottrina più antica ognuno è potenzialmente redimibile per aver ricevuto il seme che fu seminato dal Logos. In questa dottrina il seme seminato dal Logos sembra aver sostituito lo stesso Logos, che nella dottrina di alcuni altri gnostici è il seme seminato dal Padre. La condizione di salvezza è la seguente: 


Se qualcuno degli esseri che sono qui sarà in grado di comprendere che egli è una forma paterna, dall'alto trasferita qui e incarnata, totalmente della stessa sostanza del Padre che è nel cielo, là ritorna.

Appare che nella dottrina primitiva il Logos fosse uno Spirito indefinito, che collega il cosmo al Padre, recando giù la parte spirituale degli uomini, e riportando indietro gli spiriti di coloro che hanno acquistato la Gnosi. Ma nella dottrina successiva il Logos diventa unificato in maniera più definita, e come tale è creduto essere apparso sulla terra nella forma di Caino e di Esaù, anche come Giuseppe il figlio di Giacobbe. Si disse che quest'ultima apparizione, secondo Ippolito, sia capitata nei giorni di Erode. Potremmo concludere che essa venisse considerata una riapparizione, ed è probabile che l'apparizione duplicata di Giuseppe fosse un'idea relativamente posteriore. Non è detto che i Perati chiamassero Cristo il loro Logos.
Il sistema dei Setiani, come descritto — non del tutto ordinatamente — da Ippolito, è un miscuglio di allegoria e filosofia metafisica così fantastico da non essere facilmente comprensibile. Quelli gnostici si preoccuparono coll'introduzione di una terminologia diversa di rendere più chiaro che le loro entità divine non fossero persone. Quando si realizza questo l'affinità del loro sistema a quelli dei Naasseni e dei Perati diventa apparente. Così, evitando il termine Padre, essi nominarono “Luce” il principio più alto della loro cosmologia. Il loro sistema è collegato in tal modo alla teosofia della Sapienza di Salomone e delle Odi. Infatti nella prima è detto che la Sapienza è “un riflesso della Luce perenne”. E nelle Odi frasi del tipo “la bocca del Signore è la porta della sua luce”, “Luce rifulse dalla Parola, da tempo presente in lui [il Padre], sono frequenti. Non c'è bisogno di assumere una dipendenza diretta. L'Odista e i Setiani erano sotto l'influenza del pensiero contemporaneo. Anche nella letteratura ermetica le esistenze più elevate venivano chiamate “Luce” e “Vita”. L'increata hylē fu chiamata dai Setiani “acqua tenebrosa e spaventosa”. Tra la Luce e l'acqua si estendeva il Pneuma. Lo scrittore dice che il Pneuma non si deve pensare come “un soffio di vento” o “una qualsiasi brezza sottile percettibile”; esso è assai più tenue di quelli e si potrebbe paragonare piuttosto ad un “aroma”. Al principio, dice, i raggi della Luce, intrecciati col Pneuma, penetrarono l'acqua, e dalle “potenze” intrinseche in quelli, si generarono forme di oggetti dallo scontro e turbamento causato da loro nell'acqua ribollente. La Luce e il Pneuma sono incastrati così nell'acqua tenebrosa e diventano la parte spirituale degli uomini, che sono generati in essa e da essa. La parte spirituale degli uomini è definita “Nous”. Il Nous agogna a re-ascendere alla Luce e al Pneuma da dove veniva, ma l'oscurità lotta per trattenerlo. [12] Il Logos di conseguenza discende per la sua liberazione. Il Nous si raffigura mischiato colla materia come pezzi di ferro con la terra, così che la parte spirituale degli uomini spirituali è attratta dal Logos come da una calamita: 

Così il raggio di luce mescolato all'acqua, avendo ricevuto il proprio posto dalla dottrina e dall'istruzione, si affretta verso il Logos che è giunto dall'alto in forma di servo più ancora che il ferro verso una calamita.

Il Nous setiano è evidentemente la Psyche naassena, ed è connessa così con Sofia che è sia la Sapienza che l'anima umana. Filone attribuisce questa stessa funzione della liberazione dell'anima agli esseri spirituali più elevati che egli chiama angeli, demoni, e logoi. Secondo Filone l'anima in alcuni uomini è sprofondata così profondamente nella materia che non può mai essere liberata. La visione gnostica era naturalmente la stessa. La favola gnostica successiva della caduta di Sofia e della sua liberazione dal Cristo che discende per quell'obiettivo è evidentemente un'allegoria della liberazione della Psyche-Nous-Sapienza da parte del Logos, che equivale alla salvezza dell'anima umana. Secondo Ireneo (1, 30:3) gli ofiti insegnarono che Sofia discese nell'oceano primordiale, proprio come fa Nous nel sistema dei Setiani. La dottrina gnostica fu estremamente plastica; gli stessi temi si ritrovano in forme diverse e in associazione a nomi diversi. Il sistema cosmologico di quelli gnostici è ovviamente dualistico; ma il dualismo non è orientale. L'antitesi è tra la materia primordiale increata e lo spirito, non, nella forma più antica della dottrina, tra Dio e un creatore maligno. il dualismo ebraico fu ellenistico. Esso fu portato all'estremo nelle dottrine morali dei neopitagorici, con cui furono collegati sul piano intellettuale gli esseni e i terapeuti.
C'è dell'affinità tra la cosmogonia setiana e quella esposta in Pimander. La similitudine di “uno schiavo” si potrebbe riferire ad una dichiarazione nello stesso libro (1:14)  col risultato che l'“uomo-dio” che discese nella materia primordiale diventava “uno schiavo soggetto al fato”. L'espressione “forma di uno schiavo” dev'essere metaforica, perché di certo il Logos setiano non era un uomo.
I sistemi gnostici più antichi non sono nuove creazioni nella loro più semplice forma recuperabile; sono sviluppi le cui radici si possono osservare nella Sapienza di Salomone e il cui prodotto è una speculazione religiosa giudeo-ellenistica e cosmologica con espansioni di origine straniera e in particolare egiziana. Alcuni scrittori cristiani hanno pensato di spiegare lo gnosticismo tramite l'influenza della dottrina di Paolo. L'affinità del paolinismo allo gnosticismo è un fatto; ma il secondo non può essere derivato dal primo. Come osservò con giudizio Bousset: [13]
Difficilmente si può supporre che le poche, e non comprensibili facilmente nella loro terminologia, dissertazioni di Paolo che son da trovarsi sparse nelle sue epistole potessero avere un'influenza così potente sui più diversi sistemi gnostici.
Senza dubbio lo scrittore sapeva che i suoi lettori l'avrebbero compreso, da cui segue che la sua terminologia gnostica dev'essere stata già ben conosciuta. Lo gnosticismo simoniano costituì uno sviluppo affine. Il Simone degli Atti non era un uomo; egli fu “quella potenza di Dio che è chiamata Grande” (8:10) — in altre parole, il Logos degli gnostici simoniani; e al pari del Logos dei Naasseni, egli era il liberatore dell'anima imprigionata, Elena, che gli scrittori cristiani descrivono assurdamente come la sua compagna. Quelli scrittori fraintesero probabilmente un'allegoria simoniana. Giustino dice che quasi tutti i samaritani “adoravano” Simone.
Dal momento che Filone nominò “Nous” l'anima razionale, e riteneva che fosse stata impressa come una moneta dallo Spirito divino e invisibile, noi siamo riportati indietro ad una data davvero antica per l'inizio del sistema dei Setiani. Bousset [14] ricava da riferimenti a predecessori nelle opere di Filone che gli argomenti da lui trattati erano stati soggetti di discussione per qualche tempo nelle scuole di Alessandria. Egli mostra anche che parecchie delle teorie di Filone che sono state fatte risalire a filosofi greci avevano subito un'alterazione che è spiegabile solo sull'ipotesi che esse gli fossero giunte attraverso pensatori ebrei  più antichi. C'è una prova testuale che le modifiche non furono fatte tutte dallo stesso Filone. [15] Per esempio, Filone sembra essere stato a conoscenza di un'interpretazione della nascita di Caino come la creazione del mondo tramite l'azione di Nous (Adamo) sulla materia (Eva); egli, comunque, preferì un'interpretazione diversa. [16] L'interpretazione suggerita corrisponde senza dubbio ad un credo egiziano che l'universo sia il risultato di un accoppiamento metafisico di un creatore divino con la natura (physis), con cui si intende la materia primordiale. I Setiani consideravano la penetrazione dell'oceano da parte dei raggi come un “impregnamento”. Altrove Bousset osserva che Filone non si può spiegare  soltanto a partire da idee greche ed ebraiche; ci dev'essere stato, egli dice, un terzo e importante fattore la cui fonte è un problema al presente. Reitzenstein ha mostrato che il terzo fattore fu la teosofia greco-egiziana; e alla luce delle prove da lui addotte potremmo concludere legittimamente l'influenza di questa teosofia sui primi gnostici ebrei.


NOTE

[4] Adv. Luciferum, 23.


[5] Questo Simone fu confuso dai primi scrittori cristiani col Simone degli gnostici Simoniani sotto il titolo di Simon Mago. Quest'ultimo Simone — o Semon — era un essere divino, come è provato dalla sua associazione con Elena (Selene) — Luna (la Luna) nei Riconoscimenti — che si chiama senza dubbio Sofia e possiede alcune delle caratteristiche di Iside. Si veda anche J. M. Robertson, The Jesus Problem, Appendice B. Simone di Gitta affermò l'immobilità del Dio altissimo, chiamandolo ό εστώς (stans = lo stante).


[6] Potrebbe esserci un collegamento tra la favola babilonese di Oannes e l'immagine di 2 Esdra 13, in cui il Messia “simile alla figura di un uomo” si leva “dal mezzo del mare”.


[7] τεῖχος κὰι χαράκωμα. Il., Libro 4:350 e altrove.


[8] Ippolito, Philos., 5:8.


[9] C'è qui un gioco di parole nell'originale greco.


[10] È evidente da questa citazione che lo scrittore stava applicando alla narrazione evangelica una dottrina esistente in precedenza.


[11] Odissea 24:6 e seguenti.



[12] Confronta Giovanni 1:5, di cui una traduzione più corretta è probabilmente: “La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta”.


[13] Kyr. Chr., pag. 140.


[14] Judisch-Christlicher Schulbetrieb in Alexandria und Rom., 1915.


[15] “Dietro le sue conclusioni individuali figura quasi ovunque la storia di una tradizione complessa.” Kyr. Chr., pag. 43.


[16] Ibid., pag. 69.


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