venerdì 5 gennaio 2018

Appendice ASulle Date dei Libri Profetici

(prosegue da qui)


APPENDICE A

SULLE DATE DEI LIBRI PROFETICI

La migliore critica teologica, rappresentata nell'
Encyclopedia Biblica, ora fa risalire grandi sezioni dei libri profetici fino al quarto secolo A.E.C. o anche più tardi. Una conclusione non più radicale di questa è abbastanza sufficiente per favorire la posizione assunta nel presente lavoro. Poiché il lettore generale, tuttavia, suppone ancora che questi libri siano stati composti alle date tradizionali, sarà bene menzionare concisamente alcuni fatti che dimostrano la loro posteriorità.
Secondo l'opinione comune, c'è stato un periodo di oltre 200 anni durante il quale praticamente non è stata prodotta alcuna letteratura. Tutti i grandi libri dell'Antico Testamento furono scritti nel periodo precedente che terminò nel 400 A.E.C. circa, con un rinnovamento dell'attività letteraria dal 170 A.E.C. circa in poi. Questo lungo intervallo di silenzio tra due periodi molto fertili è, a prima vista, estremamente improbabile. In realtà, questo intervallo è stato riempito principalmente dai libri profetici, sebbene anche gli altri siano stati datati troppo presto. Ora è riconosciuto da tutti i critici che le profezie apparentemente storiche di Daniele sono in realtà descrizioni di eventi accaduti prima che il libro fosse stato scritto. E lo scrittore ha attribuito le sue profezie a un uomo considerato vissuto molto prima del suo tempo. Non dovrebbe essere difficile percepire che i profeti usavano generalmente un metodo simile. In diversi punti Geremia (uso il nome per convenienza) profetizza la cattura e la distruzione di Gerusalemme; in uno o due di questi si nominano i babilonesi. Deve quindi aver scritto dopo quell'evento, cioè dopo la deportazione. Ma il suo libro è scritto come un'esortazione agli ebrei che vivono a Gerusalemme sotto un governo stabile e organizzato. Quindi, se il libro è stato scritto più tardi della distruzione di Gerusalemme da parte dei babilonesi, ne consegue che deve essere stato scritto dopo il Ritorno,  quando il governo stabile e la prosperità erano stati recuperati. Questa conclusione è confermata dal fatto che in più di un brano Geremia profetizza il ritorno degli ebrei a Gerusalemme dopo settanta anni di esilio. Questi passi devono essere post-esilici. Inoltre, lo scrittore si riferisce al numero di ebrei che erano andati in Egitto per viverci; e non c'è motivo di supporre che l'emigrazione degli ebrei in Egitto sia avvenuta fino a dopo la deportazione. Le prove che abbiamo mostrato provano che tale emigrazione non ha avuto luogo su vasta scala fino a qualche tempo dopo il Ritorno. Inoltre, nei capitoli 1 e 51 vi è un resoconto della distruzione di Babilonia, i cui dettagli provano a intendere la sua cattura da parte dei persiani sotto Ciro e la sua ricattura da Dario un po' prima del 500 A.E.C.
Alcuni papiri trovati a Elefantina provano che gli ebrei residenti in quel luogo nel 409 A.E.C. non conoscevano il Deuteronomio, sebbene fossero in comunicazione con Gerusalemme. Questo libro, quindi, non può essere stato scritto molto prima di quella data, se non del tutto. Ora, Geremia aveva familiarità con il Deuteronomio, ma probabilmente ignorava il Levitico; quindi la sua data più probabile è tra il 400 e 350 A.E.C.
Ci sono molte prove della diffusione delle credenze e delle osservanze babilonesi in Palestina durante il periodo in cui furono scritti i libri profetici. Gli ebrei hanno familiarizzato con queste credenze durante e dopo l'Esilio. I babilonesi erano grandi astronomi e astrologi ed erano adoratori dei corpi celesti. Non vi è alcuna prova che gli ebrei fossero interessati all'astrologia, né che vi fosse alcuna adorazione dei corpi celesti tra loro in tempi storici prima dell'Esilio. Inman osserva che per tutta la loro nomenclatura non c'è quasi un solo nome che sembra dimostrare qualche conoscenza dei cieli oltre a quella che ognuno deve possedere di sua propria osservazione. Quindi, poiché scopriamo che l'adorazione dei corpi celesti era così tanto prevalente nel momento in cui il Deuteronomio fu scritto che in quel codice essa dovette essere espressamente vietata, possiamo solo concludere che il Deuteronomio fosse post-esilico; e lo stesso ragionamento si applica ai profeti per i quali tale culto è indicato come esistente al loro tempo. La divisione del tempo in mesi e settimane dipende da conoscenza e osservazione astronomiche. È quasi certo che prima della deportazione a Babilonia gli ebrei non avessero la conoscenza necessaria, e in effetti non calcolarono il tempo per settimane e mesi. Uno dei mesi ebraici, Tammuz, ha il nome di un dio babilonese. In alcuni dei primi libri della Bibbia si trovano riferimenti al precedente metodo primitivo di specificare le stagioni, ad esempio
“da quando si metterà la falce nella messe” (Deuteronomio 16:9); “il tempo in cui cominciava a maturare l'uva” (Numeri 13:20); “il tempo della mietitura del grano” (Genesi 30:14); “Il tempo del Nuovo Anno” (Genesi 18:10). L'uso di tali frasi indica che la fissazione delle stagioni in quel modo non era cessata da molto tempo. I riferimenti alla settimana di sette giorni e al Sabbath devono essere considerati post-esilici. In Geremia troviamo un'allusione al giorno di sabato come se fosse stato di recente intro, e di una che non aveva trovato favore. “Così dice il Signore: Per amore della vostra vita guardatevi dal trasportare un peso in giorno di sabato e dall'introdurlo per le porte di Gerusalemme. Non portate alcun peso fuori dalle vostre case in giorno di sabato e non fate alcun lavoro, ma santificate il giorno di sabato, come io ho comandato ai vostri padri.  Ma essi non vollero ascoltare né prestare orecchio”. Ci sono ulteriori ammonimenti allo stesso effetto. Non sarebbe stato necessario per lo scrittore pronunciare ripetuti moniti enfatici su questa materia se non ci fosse stata negligenza nei suoi confronti. Senza dubbio l'ordinanza era relativamente recente.
Tra i babilonesi il sette era un numero mistico, essendo quello del sole, della luna e dei cinque pianeti conosciuti. L'importanza di questo numero tra gli ebrei fu senza dubbio il risultato dell'influenza babilonese. Durante un certo periodo esisteva tra gli ebrei l'usanza di offrire come sacrificio sette giovenche e sette arieti. Questa usanza era evidentemente post-esilica; non è stato ordinato da nessuno nella Legge Mosaica che tale dovrebbe essere il numero, e l'usanza è rimasta solo per un periodo relativamente breve. Si può quindi dedurre che i libri che si riferiscono all'abitudine come contemporanea o appropriata siano stati scritti durante quel periodo. Questo è il caso di Cronache, Ezechiele e Giobbe. Questi libri, quindi, furono scritti in date non molto lontane tra loro e post-esiliche. Ora, si pensa che il libro di Cronache sia stato scritto dopo il 300 E.C. Gli studiosi dell'Antico Testamento al momento sono dell'opinione che il 500 A.E.C. è la prima data in cui il libro di Giobbe può essere stato scritto; ma è certo che esso deve essere datato molto più tardi rispetto a quella data per diverse ragioni. Tra gli altri, il riferimento nel capitolo 42:8, alla consueta usanza sacrificale indica che non può essere molto anteriore rispetto a Cronache. Per lo stesso motivo la probabilità è che il libro di Ezechiele sia stato scritto in una data non molto distante dal 300 A.E.C.
Dalle prove interne, che sono state ampiamente rivelate da Dujardin, [
1] si può dedurre che Geremia sia il più antico dei maggiori profeti ― un'inferenza che è confermata dalla testimonianza del Talmud. La prima autorità conosciuta per l'ordine ora generalmente accettato è Girolamo nel 380 E.C.. Se, com'è più probabile, Geremia era precedente a Ezechiele, e Geremia non può essere datato prima del 400 A.E.C., quindi il libro di Ezechiele potrebbe essere stato scritto nel IV secolo A.E.C.. Quel libro fu apparentemente scritto durante l'Esilio, tuttavia è ovvio, come nel caso di Geremia, che i lettori che lo scrittore aveva in vista erano ebrei che vivevano a Gerusalemme. Sarebbe stato insensato ammonire gli ebrei a causa dei peccati che i loro antenati erano stati propensi a commettere ai tempi dei re, se gli ebrei del suo tempo non fossero stati più colpevoli di loro. Il libro doveva essere diretto contro le pratiche prevalenti nel periodo post-esilico. Il cap. 22:14-17, ovviamente possiede un riferimento alle osservanze religiose babilonesi in Giudea.
Secondo il Talmud, l'ordine dei maggiori profeti è Geremia, Ezechiele, Isaia; e quest'ordine è confermato da prove interne. Il libro di Isaia è diviso in due parti principali, di cui la prima è precedente alla seconda in termini di date. Dal momento della ricostruzione del tempio di Gerusalemme fino al primo secolo A.E.C. c'era ostilità tra gli ebrei e i samaritani. I nomi
“Samaria” ed “Efraim” furono usati in modo interscambiabile dai profeti. Quindi, quando Isaia (11:13) dice: Cesserà la gelosia di Efraim......Efraim non invidierà più Giuda e Giuda non osteggerà più Efraim”, si riferisce all'ostilità pre-esilica tra il regno di Efraim―ossia  Israele ― e Giuda, oppure all'ostilità post-esilica tra Giudea e Samaria.
Ora, quando scrisse Isaia, l'antico regno di Israele o Efraim aveva cessato di esistere; perché dice (10:9 e 11):
“Come Damasco non è forse Samaria? Non posso io forse, come ho fatto a Samaria e ai suoi idoli, fare anche a Gerusalemme e ai suoi simulacri?” Di conseguenza, il verso 11:13, si riferisce all'ostilità post-esilica tra ebrei e samaritani. Il primo Isaia era quindi post-esilico. Ancora una volta, lo scrittore dice (23:1): “Oracolo su Tiro. Fate il lamento, navi di Tarsis, perché è stato distrutto il vostro rifugio!”. Poi nel verso 15: “In quel giorno Tiro sarà dimenticata per settant'anni.......Alla fine dei settanta anni a Tiro si applicherà la canzone della prostituta”.
Abbiamo in questi versi un riferimento a un evento storico abbastanza definito per permetterci di fissare una data prima della quale essi non possono essere stati scritti. Successivamente alla data in cui il libro fu apparentemente composto, gli abitanti di Tiro furono attaccati in diverse occasioni da Sennacherib, Esarhaddon, Assurbanipal e Nabucodonosor. Ma, sebbene gli abitanti di Tiro dovettero venire a patti e aver perso gran parte del loro territorio, la città stessa non fu presa da nessuno di quei sovrani. L'ultimo re sopra menzionato la assediò per tredici anni, ma non riuscì a espugnarla. La città fu presa per la prima volta da Alessandro di Macedonia, che la catturò mediante un attacco e ne vendette gli abitanti in schiavitù nell'anno 332 A.E.C. Si dice che abbia distrutto la città in modo tale da rendere naturale credere che richiederebbe secoli interi ricostruirla. Siamo quindi costretti a supporre che i versi sopra citati siano stati scritti in seguito alla distruzione di Tiro da parte di Alessandro nel 332 A.E.C. La città fu ricostruita e recuperò la sua prosperità, anche se probabilmente entro un periodo inferiore a settanta anni. Non è necessario, tuttavia, prendere questo numero in Isaia a indicare un periodo esatto. Settanta era un numero simbolico. Geremia stabilisce la durata dell'esilio come settanta anni, mentre era cinquanta. La ricostruzione di Tiro fu, infatti, graduale.
Il signor Whittaker ha attirato la mia attenzione su una dichiarazione in Ezechiele riferita a questo stesso assedio che fornisce la prova della priorità di Ezechiele rispetto a Isaia. Il primo scrittore (28:19) conclude la sua profezia contro Tiro con le parole:
“non sarai mai più”. Possiamo dedurre che questo scrittore scrisse poco dopo la distruzione di Tiro, mentre Isaia, che ne conosceva il ritorno alla prosperità, deve aver scritto forse cinquanta anni o più dopo quell'evento.
Il professor Cheyne, nel suo articolo su Isaia nell'
Encyclopedia Biblica, affermava che in 11:10-16, “Assiria” significa per lo scrittore l'impero persiano. L'opinione espressa in quest'affermazione è approssimata a quella dei critici francesi, i quali sostengono che, mentre gli scrittori profetici erano costretti dalla convenzione che impiegavano a scrivere di Babilonia, Assiria, Nabucodonosor, ecc., sotto quelli antichi nomi venivano riferiti cripticamente regni e sovrani del periodo macedone.
Nel capitolo 3, lo scrittore inveisce contro la stravaganza, la vanità e gli ornamenti eccessivi delle donne ebree, e nel capitolo 2 contro la corruzione e l'ingiustizia dei
“principi”. Dice anche che la terra è piena di argento e oro. La popolazione di Gerusalemme doveva essere stata povera, e non ci possono essere state donne ricche e stravaganti per molti anni dopo la ricostruzione della città; né il popolo di Giudea poteva essere stato ricco negli anni che precedettero l'Esilio. Non vi è alcuna indicazione in Isaia, al di là della menzione del re che fu resa necessaria dalla convenzione dello scrittore, che il libro sia stato scritto nel periodo monarchico. Il paese è governato da “principi” o “governanti”. Questi principi non possono che essere la casta sacerdotale aristocratica, che noi conosciamo da Flavio Giuseppe esser diventati egoisti e oppressivi, e che erano amici dei Seleucidi macedoni. Erano, senza dubbio, esposti alla condanna dei profeti. In Esdra, in alcuni dei salmi e Giobbe, che sono tutti post-esilici, troviamo questa stessa designazione “principi” per i capi principali tra gli ebrei. Potremmo dedurre che quando scrisse Isaia non c'era alcun re, e il governo era una teocrazia, a capo della quale c'erano sacerdoti chiamati anche principi. Nel capitolo 10 troviamo: “Guai a coloro che fanno decreti iniqui......per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per spogliare gli orfani”. E ancora: “Forse i miei capi non sono altrettanti re?” Queste parole non possono essere state scritte nel tempo della monarchia; indicano un'aristocrazia oppressiva. Non è da supporre che i sacerdoti-aristocratici diventassero responsabili delle colpe che Isaia attribuisce loro finché l'afflusso di ricchezze non avesse prodotto un deterioramento nel loro carattere. Sappiamo da Flavio Giuseppe quando accadde ciò. L'immagine della ricchezza, della corruzione e dell'oppressione a Gerusalemme che il primo Isaia ci pone non può corrispondere ad un periodo precedente al quarto secolo A.E.C., se così presto. Questa conclusione è supportata dagli eventi registrati nel cap. 19, che possono riferirsi alla contesa tra Taco e Nectanebo per il trono egiziano, e la conquista dell'Egitto da parte di Oco nell'anno 346 A.E.C.
Il nome
“Shinar” appare una volta nella Genesi e una volta in Giosuè; ma non ancora fino a Isaia 11:11, Zaccaria 5:11, e Daniele 1:2, e in nessun'altra parte della Bibbia. Ciò suggerisce che il primo Isaia, Zaccaria e Daniele non sono molto lontani l'uno dall'altro sul piano temporale. Il libro di Zaccaria è diviso dai commentatori in due parti principali, i capitoli da 1 a 8 e da 9 a 14, di cui si ritiene che l'ultima sia stata scritta nel primo terzo del II secolo A.E.C., mentre la prima è ancora collocata alla data tradizionale—subito dopo il Ritorno. Secondo questo punto di vista, due scritti, tra i quali vi è un intervallo di oltre 300 anni, sono stati riuniti e pubblicati sotto un nome comune, un'ipotesi molto improbabile. Come accennato, l'uso del nome “Shinar” suggerisce che la prima parte di Zaccaria non fosse molto più antica di Daniele; e lo stile apocalittico della sua composizione punta nella stessa direzione. Un'altra forte indicazione del fatto che le due parti di Zaccaria erano composte nello stesso periodo è un certo motivo comune che appare in entrambi, vale a dire, l'enfasi che viene posta sul culto del tempio a Gerusalemme, e la predizione che il tempio deve diventare il centro di culto per gli altri popoli oltre agli ebrei. Questa è un'idea messianica relativamente tarda; non può esistere nel V secolo A.E.C., ma si trova nella prima parte di Zaccaria e nella seconda. Questa esigenza dell'adorazione del tempio fu ardente all'inizio del secondo secolo. In quel periodo c'erano molti ebrei ad Alessandria e in altre città egiziane; questi ebrei, durante le guerre in cui la Palestina era stata sopraffatta, avevano interrotto gradualmente la pratica di andare al tempio di Gerusalemme per adorare, e senza dubbio istituirono luoghi di culto nelle città in cui vivevano.
Infatti, in una lettera scritta dal re Demetrio a Gionata Maccario, conservata da Giuseppe Flavio, troviamo quanto segue:
“Sarà nel potere del sommo sacerdote fare attenzione che nessun ebreo abbia nessun altro tempio per l'adorazione, ma solo quello a Gerusalemme”. Questa lettera deve essere stata scritta tra il 160 e il 150 A.E.C. Ma è ragionevole supporre che la pratica di cui si parla sia andata avanti da un po' di tempo prima di quello. Un po' più tardi un certo Onia, figlio di un sommo sacerdote, ottenne il permesso da Tolomeo Filometore di costruire un tempio per gli ebrei a Eliopoli. Gli ebrei osservanti di Gerusalemme erano scontenti per il disprezzo del tempio mostrato dagli ebrei egiziani. Il passo della lettera di Demetrio doveva essere in risposta a una richiesta particolare di Gionata. Quindi possiamo dedurre che la questione se il tempio di Gerusalemme dovesse essere l'unico tempio per tutti gli ebrei era importante durante la prima metà del II secolo A.E.C. C'era anche una polemica tra ebrei e samaritani sullo stesso argomento. I samaritani avevano costruito un tempio per loro stessi sul monte Gerizim, ma gli ebrei osservanti sostenevano che avrebbero dovuto continuare a venire al tempio di Gerusalemme. Ci sono ovvi echi della controversia tra gli ebrei di Giudea e gli ebrei egiziani nella seconda parte del libro di Zaccaria; la polemica non era diventata così acuta quando fu scritta la prima parte, ma ha lasciato il segno su quella parte, e spiega il movente dello scrittore nel prendere come contesto del suo discorso la ricostruzione del tempio dopo l'Esilio. La sua influenza è vista anche in 6:15 e 8:20-3.
Lo scrittore si riferisce agli antichi profeti e condanna l'oppressione che essi condannarono. Ciò indica che il libro fu scritto tra la fine del quarto e l'inizio del secondo secolo; e la data successiva è la più probabile per le ragioni sopra riportate. È certo dalle prove interne che il libro è stato scritto in un tempo di pace e di prosperità relativa. Ma durante il terzo secolo gli ebrei soffrivano gravemente delle guerre tra Seleucidi e Tolomei; quindi la probabilità è che la prima parte di Zaccaria sia stata scritta tra il 217 A.E.C., quando Tolomeo Filopatore sconfisse Antioco e annesse la Palestina e il 205 A.E.C., quando Antioco ancora una volta ha combattuto contro Tolomeo e riconquistato quel paese, oppure tra il 198 A.E.C., la fine di quella guerra, e il 168 A.E.C., quando Antioco Epifane saccheggiò il tempio e provocò così la ribellione dei Maccabei. Un'indicazione che la data dev'essere collocata nel secondo di quei due periodi è offerta nel capitolo 8:
“Ecco, quelli che vanno verso il paese del nord hanno fatto calmare il mio Spirito sul paese del nord”. Sembra che nel periodo del libro c'erano solo due grandi potenze nel vicino Oriente, indicate come il paese del nord e il paese del sud. Poiché tutte le indicazioni temporali che sono state finora rilevate puntano alla fine del terzo o all'inizio del secondo secolo, queste potenze sarebbero rispettivamente la Siria e l'Egitto. Nel capitolo 6 i cavalli e i carri che rappresentano i quattro spiriti dei cieli vanno sia a nord che a sud; ma solo per quanto riguarda il paese del nord è riportato qualche rapporto, che indica una relazione più stretta tra la Giudea e la Siria che tra la Giudea e l'Egitto. Ora, la Giudea era posseduta da Antioco il Grande, re di Siria, e da suo figlio Seleuco, tra il 198 e il 176 A.E.C. Anche il rapporto fatto, “Ecco, quelli che vanno verso il paese del nord hanno fatto calmare il mio Spirito sul paese del nord”, indica ottime relazioni tra la Siria e la Giudea. Questo era, in effetti, il caso, perché nella guerra con Tolomeo i Giudei andarono dalla parte di Antioco, lo accolsero a Gerusalemme e diedero provviste al suo esercito. In seguito Antioco trattò gli ebrei con grande considerazione e inviò loro dei regali per pagare sacrifici nel tempio e altri scopi al valore di ventimila pezzi d'argento, insieme a una considerevole quantità di farina, grano e sale. Ha anche dato istruzioni per il completamento e la decorazione del tempio. Così che gli spiriti dei cieli avrebbero potuto ben fare il rapporto che fecero, e la prima parte del libro di Zaccaria potrebbe ben essere stato pervaso dalla gioiosa speranza che vi è stata sottolineata. Nel 189 A.E.C. Antioco, essendo a corto di denaro, saccheggiò il tempio. Di conseguenza, il libro fu probabilmente scritto tra il 198 A.E.C. e il 189 A.E.C. È una conferma di questa datazione il fatto che porta la prima parte del libro entro un intervallo di tempo ragionevole dalla seconda parte, la quale, è ammesso generalmente, fu composta probabilmente tra il 189 e il 170 A.E.C.
Che motivo c'è, dopo tutto, per supporre che l'autore del libro di Isaia, ad esempio, scrisse durante il regno di Ezechia? La ragione principale sembra essere che lo ha detto lui stesso. Ma era la pratica generale degli scrittori ebrei pubblicare i loro libri sotto i nomi di noti uomini del passato. Lo scrittore del libro di Daniele ha fatto così, così come gli scrittori dei libri apocrifi. Senza dubbio gli scrittori profetici hanno fatto lo stesso, sebbene gli studiosi siano riluttanti ad ammettere il fatto nel loro caso. La verità è che a malapena c'è un libro della Bibbia, anche solo uno, che non sia pseudepigrafico o anonimo. La procedura degli studiosi di teologia in questa materia ricorda quella degli astronomi del diciassettesimo secolo che ancora tentavano di sostenere la teoria tolemaica del moto planetario dai cicli e dagli epicicli che era arrivata dall'antichità ma suscitava scetticismo anche negli autori antichi. Quando un'osservazione più esatta mostrava che c'erano discrepanze tra il movimento reale dei pianeti e i loro movimenti come rappresentati dalla vecchia teoria, i suoi sostenitori  cercavano di riconciliare la discrepanza con l'introduzione di più epicicli, finché il sistema non andrò in frantumi per via della sua stessa complessità. In uno sforzo simile, man mano che si accumulano le prove della posteriorità dei libri profetici, i teologi sperano di salvare la loro posizione principale staccando considerevoli frammenti di quei libri, uno dopo l'altro, e gettandoli nel quarto o nel terzo secolo, finché il poco che ora è rimasto sembra difficilmente qualcosa di degno per cui lottare. Sarebbe molto più semplice e più conforme alle prove ammettere che nessuno degli scritti profetici sia anteriore al quarto secolo A.E.C. Il Professor N. Schmidt, nel suo articolo sul libro di Geremia nell
'Encyclopedia Biblica, rinuncia all'intero libro ad eccezione di un certo numero di frammenti contenuti nei primi ventiquattro capitoli, e non afferma che questi siano stati scritti da Geremia stesso.
Il legame tra il libro e il profeta dev'essere, tuttavia, in qualche modo preservato, e così il professor Schmidt avanza la teoria che i presunti frammenti genuini siano porzioni di discorsi orali che in un secondo momento sono stati scritti dalla memoria da un ascoltatore. Il professor Schmidt mostra la debolezza del suo caso dall'argomento a cui ricorre alla fine. I frammenti in questione si dimostrano genuini perché in essi si riconosce il “soffio di uno spirito potente”. Come se uno scrittore eloquente e appassionato del quarto secolo A.E.C. non avrebbe potuto attribuire le sue dichiarazioni al profeta Geremia. L'argomento è circolare. Come fai a sapere che le espressioni di Geremia recavano il soffio di uno spirito possente? Perché quei frammenti fanno così. Ma come fai a sapere che questi frammenti sono espressioni di Geremia? Perché recano il soffio di uno spirito potente. Non è necessario caratterizzare la logica di tale ragionamento. Non sappiamo nulla della vita e del carattere di Geremia se non dal libro scritto a suo nome, e ricavare qualcosa su di lui da quel libro è pericoloso come dedurre qualcosa di Daniele dal libro di Daniele.
Senza dubbio i libri di Geremia, Ezechiele e Isaia sono compositi; ma la tesi secondo cui un substrato di ognuno di essi sia il lavoro dell'uomo che porta il suo nome non è altro che un aggrapparsi a un'antica credenza che tutti i recenti lavori critici dimostrano improbabile, e la cui rinuncia avrebbe semplificato il problema critico.

NOTE

[1] The Source of the Christian Tradition.

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