giovedì 4 gennaio 2018

Sull'Evoluzione del Cristianesimo (XII) — Conclusione

(prosegue da qui)

CAPITOLO XII

CONCLUSIONE

Alla dichiarazione dogmatica e impaziente di molti teologi, che Gesù deve essere esistito, una risposta sufficiente si troverebbe nella dimostrazione che l'evoluzione naturale del cristianesimo senza un Gesù storico era in teoria possibile. Molto più di questo, comunque, è stato dimostrato. Le linee principali  dello sviluppo sono state stabilite con prove, e mediante ragionamenti deduttivi basati su di esse. Si son dovuti fornire come ipotesi un certo numero di dettagli ausiliari e riferimenti associativi. Un problema così complesso, in cui le prove dirette sono necessariamente scarse, può essere risolto completamente solo mediante la formazione, la verifica e  la discussione delle ipotesi. La verifica  della correttezza di un'ipotesi è che essa spiega i fenomeni; e il lettore non può aver mancato di realizzare che le difficoltà che hanno esercitato le menti dei commentatori sin dall'inizio della critica del Nuovo Testamento trovano una spiegazione semplice e naturale nella tesi difesa in questo libro. Negli ultimi cinquant'anni non è stato fatto alcun passo avanti sulle linee tradizionali; non proprio perché i problemi principali fossero già stati risolti, ma perché nessuno ha prodotto una Vita di Gesù oppure un'interpretazione delle epistole paoline che soddisfi tutti gli altri studiosi. I teologi, dopo più di cento anni di assiduo lavoro, stanno ancora discutendo l'un con l'altro su questioni che sono state in discussione per una porzione considerevole di quel periodo. La teoria dell'evoluzione naturale ha risolto un certo numero di quei problemi. I teologi, tuttavia, non accetteranno la soluzione offerta, perché ciò comporterebbe la capitolazione del loro Gesù storico. Ma lo spirito scientifico dell'inchiesta non comincia affermando un deve, oppure postulando una conclusione alla quale tutte le prove devono essere fatte conformare. L'investigatore scientifico potrebbe creare un'ipotesi, ma è pronto a rifiutarla quando non riesce a spiegare i fenomeni. Quelli investigatori sulle origini del cristianesimo che sono stati indotti a rifiutare il paradigma tradizionale, sebbene le loro conclusioni potrebbero dover essere modificate o addirittura interamente respinte, possono affermare di aver interpretato onestamente le prove come essi le vedono. E se le loro conclusioni dovessero essere infine provate erronee, sarà solo dopo un'inchiesta intrapresa nello stesso spirito; non un'inchiesta che è essenzialmente una petitio principii e comincia dichiarando che qualcosa deve essere accaduto. Mi dispiace molto dover implicare che gli studiosi teologici sono disonesti; ma io asserisco che il loro metodo non è scientifico e che si ingannano quando pensano altrimenti.
Naturalmente è difficile trattare la questione delle origini del cristianesimo come un problema puramente storico. Il desiderio di mantenere la fede nell'esistenza di una figura cara e idealizzata introduce naturalmente nella discussione un elemento emotivo che è assente dalle comuni indagini scientifiche. E quando uno è stato costretto a rifiutare questa fede avrà naturalmente degli scrupoli ad attaccare un'illusione che è cara a così tanti, se non fosse per la conoscenza che la verità può emergere solo dallo scontro di  opinioni e che l'emergere della verità è una condizione necessaria per la debita espansione della mente umana. Inoltre, se la conclusione a cui si è arrivati è falsa, essa può essere confutata; e se è vera, allora, come nel caso di altre verità, coloro che non sono ancora pronti per essa non la riceveranno.

 A coloro che desiderano studiare in dettaglio le materie trattate in questo libro si consiglia di leggere le seguenti opere: 
“Die Enstehung des Christentums aus dem Gnosticismus” (Jena), di Arthur Drews.
“Ecce Deus”, di W. B. Smith.
“The Jesus Problem”, di J. M. Robertson.
“Die Werkstatt des Markusevangelisten” (Jena), di Hermann Raschke.
“The Source of the Christian Tradition” di Edouard Dujardin.
“The Origins of Christianity”, di Thomas Whittaker.

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