lunedì 1 gennaio 2018

Sull'Evoluzione del Cristianesimo (IX) — Le Epistole Paoline

(prosegue da qui)

CAPITOLO IX

LE EPISTOLE PAOLINE

1. L'Opera di Paolo

E' stato detto che Paolo fu il reale fondatore del cristianesimo. Nonostante questo non possa essere vero, probabilmente contiene un elemento di verità ― precisamente, che due o più uomini che erano confusi sotto l'unico nome
“Paolo” furono agenti  molto efficaci nell'elaborazione della sintesi di idee e nello sviluppo di una forma di cristianesimo che fosse adatta a divenire una religione mondiale.  Sfortunatamente, dal punto di vista storico Paolo è una figura piuttosto indefinita. I critici migliori, un bel po' di tempo fa, giunsero alla conclusione che solamente quattro delle epistole a lui attribuite potevano essere considerate genuine ― vale a dire, Romani, 1 e 2 Corinzi, e Galati. Più di recente Van Manen ha messo in discussione perfino la loro autenticità, e mediante un'analisi davvero esaustiva ha provato che le prime tre sono opere composite che incorporano brevi epistole più antiche.
Tra gli scritti incorporati sono presenti frammenti che devono essere stati presi da epistole composte da uno scrittore gnostico. Non può esserci alcun dubbio che quei frammenti formano lo strato più antico delle quattro epistole. Possiamo rintracciare una letteratura ebraica continua, con una dottrina in evoluzione, dalla letteratura sapienziale alle
Odi di Salomone e alle opere di Filone. Lo gnosticismo delle quattro epistole paoline è sulla stessa scia, e la sua dottrina non è avanzata più di tanto al di là della dottrina di Filone. Abbiamo visto che nelle Odi di Salomone il Logos era stato identificato col Messia, il Cristo. Lo scrittore paolino ha intrapreso un passo ulteriore e ha identificato il Logos con un definito Messia, Giosuè, il Cristo Gesù. Abbiamo già visto un motivo per credere che Giosuè era un Messia per alcuni ebrei prima dell'era cristiana. Nel primo secolo prima e nel primo secolo dopo il principio della nostra era vi fu una grande effervescenza di speculazione teologica, ed erano correnti parecchie varie dottrine, come possiamo dedurre dai frammenti rimanenti. Senza dubbio molto è stato perduto. Qualcosa di questo riguardava chiaramente il nome “Giosuè”, che era concepito in differenti modi da vari pensatori. Avendo considerato tutte le circostanze, non troviamo nessuna ragione di sorprenderci del fatto che alcuni gnostici ebrei dovrebbero aver assegnato quel nome al Logos.
La direzione dello sviluppo dottrinale durante i primi giorni del cristianesimo fu dallo spirituale, astratto e simbolico al materiale, concreto, e letterale. Questo era dovuto parzialmente alla reazione del culto di Gesù alla dottrina gnostica; ma all'inizio il culto di Gesù era oscuro e insignificante al confronto. Tranne l'Apocalisse di Giovanni, tutti gli scritti più antichi prodotti dal movimento di pensiero che risultò nel cristianesimo sono di una natura più o meno gnostica. Quindi, tra due scritti prodotti ad una fase chiaramente antica nella principale linea di sviluppo il più spirituale dei due dev'essere probabilmente il più antico. Com'è stato menzionato, un tipo di gnosticismo rifiutava di fondersi nel flusso cattolico, ed ebbe uno sviluppo parallelo indipendente. Lo gnosticismo che è trovato nelle epistole ai Romani e ai Corinzi è, comunque, di un tipo semplice e antico. Nella lettera ai Colossesi esistono tracce di un gnosticismo molto più avanzato. I frammenti in questione manifestano un gnosticismo che non è stato molto elaborato. Come dogma cristiano è meno sviluppato di quello che è trovato in altre porzioni delle epistole. Non troviamo in quei frammenti nessuna prova di un'organizzazione ecclesiastica. Per quelle ragioni dobbiamo concludere che sono di una data antica. Anche ad opinione di Van Eysinga, ogni cosa punta all'origine del paolinismo da fonti gnostiche.
C'è un'altra considerazione che conduce alla stessa conclusione. Un editore cattolico del secondo secolo non era propenso ad includere frammenti gnostici nelle epistole a meno che essi non fossero già stati inclusi in scritti più lunghi che egli aveva una ragione per adottare. Essi devono essere stati, perciò, più antichi delle epistole che l'editore aveva di fronte a lui, e da cui egli costruì l'epistola nella forma in cui ora l'abbiamo. Secondo Van Manen, una delle porzioni distinte da cui venne composta l'epistola ai Romani consiste dei capitoli dall'1 fino all'8. Se questo è corretto, dal momento che i due capitoli gnostici 7 e 8 sono contenuti in quella porzione, essi devono essere più antichi di essa.
In quei frammenti, allora, c'è una prova della sintesi di cui sopra si è ipotizzato fosse avvenuta; c'è anche la dimostrazione che una propaganda stava per essere veicolata, e probabilmente si stabilirono delle comunità su questa base. La dottrina esposta in questa propaganda era destinata ad ottenere un'accettazione più popolare della più antica dottrina gnostica, in quanto era più concreta. Il Cristo Gesù, il soggetto della propaganda, veniva rappresentato mentre era stato crocifisso, in quanto probabilmente si riteneva che anche il Logos fosse stato crocifisso ― non, comunque, da uomini, ma da certe entità soprannaturali etichettate dallo scrittore, in una fraseologia gnostica,
“arconti di questo eone”. La morte di questo Cristo, inoltre, non era un sacrificio espiatorio. La sua concezione per lo scrittore è offerta in Romani 8: “E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustizia. E se lo Spirito di colui che ha resuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha resuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. La redenzione, secondo questo scrittore, non doveva essere assicurata dalla fede nel sangue espiatorio di Gesù, ma nel divenire partecipi del suo Spirito (pneuma), e nel soffrire con lui. In questa maniera la Legge Mosaica era superata. Lo Spirito di Cristo, oppure, più esattamente, il Pneuma di Dio che fu in Cristo, prese il posto della lettera della Legge. Lo scrittore, forse, sperava che una dottrina che ruotasse attorno ad un ebraico Messia Giosuè sarebbe stata accettabile agli ebrei. In questa speranza egli fu, senza dubbio, deluso; ma la dottrina avrebbe potuto influenzare facilmente le comunità gnostiche già esistenti in Asia, e probabilmente nuove comunità furono stabilite sulla sua base.
Il Professor Drews ha osservato che
“Paolo”sembra distinguere tra Dio e il Creatore; mentre in altri punti “Paolo” scrive di Dio come se fosse il Creatore. Il secondo Paolo non è, naturalmente, lo stesso scrittore del primo Paolo. Pure in Romani Drews percepisce due dottrine diverse riguardanti l'origine e la natura del peccato. Quelle constatazioni gli suggerirono che due diversi uomini furono impegnati nella produzione di Romani e Corinzi. Egli pensa che uno degli scrittori sia stato manipolato e interpolato dall'altro; ma, mentre è vero che un'interpolazione è riconoscibile, quell'ipotesi è molto insufficiente per tener conto dei fenomeni che si presentano nelle epistole paoline. Infatti noi vi troviamo lunghi paragrafi, consistenti possibilmente di due o tre capitoli, nelle quali la dottrina è piuttosto incoerente con quella contenuta in altri paragrafi di pari lunghezza. Le contraddizioni che sono osservabili non si limitano a due o tre versi inseriti qua e là. Per esempio, i capitoli da Romani 9 a 11 formano un tutto completo, coerente per stile e per idee espresse, ma contradditori entrambi per stile e pensiero, in una maniera sorprendente, coi capitoli 7 ed 8. Lo scrittore di 7 ed 8, se fu mai un ebreo, fu un ebreo greco che si era separato del tutto dal punto di vista nazionale ebraico, laddove lo scrittore del capitolo 9 fino all'11 fu evidentemente un ebreo del vecchio stampo e fortemente interessato al futuro della sua nazione. L'orientamento mentale di uno scrittore è molto differente da quello dell'altro.
Passi nell'epistola ai Romani e ai Corinzi che possono essere riconosciuti come l'opera dell'antico scrittore gnostico sono: Romani, capitolo 7, ma i versi da 12 a 14 e 16 sono probabilmente interpolazioni, così lo sono anche il verso 4 e la prima parte del verso 25; il capitolo 8, ma i versi 23, 24, da 28 a 30, 33, 34 e 36 sono probabilmente interpolazioni; Prima Corinzi, porzioni del capitolo 1, capitolo 2 tranne il verso 2, capitolo 10 fino al verso 22, capitolo 15, versi 12-23, 35-36; Seconda Corinzi, capitoli 3, 4, e 5, potrebbero essere dello stesso scrittore, ma se così essi sono stati interpolati da un editore. Ci sono due o tre altre sezioni in quelle tre epistole in cui il pensiero è simile a quello di questo scrittore; ma se provengono da lui essi sono stati in buona parte manipolati. Galati non fu l'opera di questo scrittore; ma lo scrittore di quell'epistola sembra esser stato a conoscenza dei suoi scritti, e sembra aver attinto da loro.
La critica è andata parecchio fuori strada a causa del fallito riconoscimento di questa stratificazione nelle epistole paoline. Un progresso in questa direzione, come in altre, è stato ostacolato dalla sfortunata ossessione per il Gesù storico. Un'analisi critica delle epistole intrapresa senza pregiudizio di qualche sorta dovrebbe fruttare risultati preziosi. Perfino l'analisi di Van Manen fu viziata dal vecchio presupposto.
Se tentassimo di determinare chi fosse l'antico scrittore gnostico, troveremmo le prove inaffidabili e contradditorie. Constatando che Paolo fu il solo apostolo riconosciuto dagli gnostici, mentre egli fu ripudiato da una gran parte della comunità cristiana perfino fino al tempo di Giustino, si potrebbe dedurre che i frammenti gnostici nelle epistole siano porzioni dei suoi scritti originali ― una conclusione che è supportata dall'affermazione di Eusebio secondo cui Paolo scrisse pochissime epistole.  Le affermazioni circa la dottrina di Paolo negli Atti degli Apostoli non sono in contraddizione con questa vista. I discorsi posti sulle sue labbra sono ovviamente le composizioni di un narratore, e costituiscono una prova piuttosto inaffidabile. In alcuni punti, tuttavia, viene menzionata solo la sostanza della sua dottrina, e che questa dev'essere stato riportata correttamente è più probabile del fatto che le sue parole reali devono essere state riportate  accuratamente. In quelle brevi e sommarie dichiarazioni siamo solo informati del fatto che Paolo insegnò che Gesù resuscitò dai morti, e che egli affermò che
“Gesù è il Cristo”, che significa niente più che “Giosuè è il Messia”. Van Manen era dell'opinione che gli Atti degli Apostoli combinano due documenti più antichi, chiamati rispettivamente gli “Atti di Pietro” e gli “Atti di Paolo”. Egli sottolinea che l'ultimo documento è più vivente e più fresco, e dà l'impressione che lo scrittore stette più vicino ai fatti. Questa seconda parte comincia col capitolo 18; e potremmo dedurre dal primo verso di questo capitolo che Paolo provenne da Antiochia quando intraprese la sua missione evangelizzatrice. Ora, i cristiani, o Crestiani, di Antiochia erano quasi certamente originariamente gnostici: da cui seguirebbe che la dottrina di Paolo fosse probabilmente gnostica.
In 1 Corinzi 3:6, lo scrittore, parlando nella persona di Paolo, dice:
“Io ho piantato, Apollo ha irrigato”; dalla cui dichiarazione uno dedurrebbe che Paolo e Apollo insegnarono la stessa dottrina. Questo, comunque, è direttamente contraddetto dalla dichiarazione nel verso 4 e altrove che vi esistevano un partito di Paolo ed un partito di Apollo. Possiamo solo ipotizzare che il capitolo, o la sua maggior parte, sia il lavoro di un editore cattolicizzante che desiderò far apparire che i più antichi propagandisti cristiani insegnarono tutti la stessa dottrina. Noi abbiamo visto una ragione per ritenere che Apollo tenesse opinioni gnostiche; ma non possiamo dire che cosa insegnò realmente, dal momento che non conosciamo che cosa apprese da Aquila e Priscilla. Alcune delle dottrine che ora sono considerate essenzialmente paoline, come per esempio quella della giustificazione per fede, sono opposte alla dottrina dell'antico scrittore gnostico, e certamente non avrebbero raccomandato Paolo agli gnostici se egli le avesse realmente insegnato loro. Quelle dottrine giunsero successivamente ad essere chiamate paoline, perché esse sono trovate nelle epistole paoline; ma se fu Paolo che le insegnò, allora Paolo non fu uno scrittore gnostico. Per le ragioni fornite in precedenza, dottrine simili a queste, sebbene esistettero in embrione nel culto del dio-salvatore Gesù, non divennero prevalenti tra i cristiani fino a più tardi. Le prove, così come sono, suggeriscono piuttosto che Paolo sia stato l'antico scrittore gnostico, se mai scrisse delle epistole; ma il problema  deve rimanere irrisolto.
La cattura di Gerusalemme da parte dei romani colla distruzione del Tempio costituì un evento davvero importante nella storia dello sviluppo cristiano. Prima di quella catastrofe non si può dire che ci fossero stati cristiani nel senso successivo del termine.  Le comunità gnostiche erano state fondate su una base ebraica. Esse avevano rotto, è vero, colla Legge Mosaica; ma l'oggetto della loro riverenza o adorazione era un Messia ebraico o Cristo ― Giosuè, considerato da parecchi di loro come il figlio di Dio, che era identificato col Logos. Essi tenevano i loro incontri religiosi nelle sinagoghe sul modello ebraico, e la gente loro prossima li avrebbe considerati ebrei. Senza dubbio dopo la metà del primo secolo un numero crescente di proseliti gentili vennero assorbiti; ma quelle comunità riconoscevano ancora la loro affinità con gli ancor più ebrei Ebioniti e Nazareni. Questi ultimi continuavano ad osservare la Legge Mosaica e a frequentare il Tempio; essi non sarebbero stati distinti facilmente dagli ebrei ortodossi. Il legame tra tutte quelle comunità, che erano di origine diversa, fu la riverenza nella quale Giosuè era tenuto da tutte loro; ma non è sorprendente che  sorsero dissensi tra di loro sulla questione dell'osservanza della Legge e del rito di circoncisione. Quando il potere ufficiale della gerarchia ebraica era stato infranto, i soli mezzi mediante cui la casta sacerdotale poteva mantenere la purezza dell'ebraismo fu insistere sulla rigida osservanza della Legge, ed espellere dalla loro comunità tutti coloro che rifiutavano di conformarsi ad essa o che erano in qualche maniera non-ortodossi. Le comunità cristiane, dal canto loro, erano davvero pronte a rompere ogni legame cogli ebrei. Convertiti pagani stavano per essere guadagnati; anche i cristiani erano molto desiderosi di guadagnare la simpatia degli imperatori romani, e per quel fine era necessario dover evitare la possibilità di venir confusi cogli ebrei. Dopo la caduta del Tempio accadde una separazione completa, e cominciò ad esistere una chiesa cristiana indipendente. Di questo una conseguenza importante fu la più vicina approssimazione di chiese di diversa origine e differenti nella dottrina. Venne elaborata un'organizzazione democratica, e si copiarono metodi di finanziamento delle chiese dal più antico sistema ebraico di assistenza economica ai poveri.
Inoltre, è probabile che all'incirca in questo tempo il culto del dio-salvatore Giosuè, che era stato a lungo praticato in segreto ma era stato oscuro e insignificante, cominciò ad emergere e a divenire stabilito nelle grandi città in cui c'era una popolazione ebraica. Poiché quelle popolazioni erano di lingua greca, il nome
“Gesù” aveva soppiantato la forma ebraica, “Giosuè”. E vedendo che concezioni semplici e concrete esercitano un'attrattiva maggiore su menti incolte rispetto a quelle più astratte, l'idea che Gesù fosse morto come un sacrificio espiatorio avrebbe ottenuto rapidamente accettazione a spese della concezione gnostica tenuta in precedenza, senza, comunque, sostituirla del tutto. Coerentemente, noi troviamo che questo è il dogma predominante per tutte le epistole paoline. Non è solo rispetto ai frammenti gnostici che c'è prova di una stratificazione in quelle epistole; anche le porzioni rimanenti sono stratificate, e nello strato più tardo otteniamo dell'informazione circa comunità di un culto di Gesù pienamente sviluppato. Mentre si può quindi rintracciare lo sviluppo in una maniera generale, è impossibile classificare tutti gli strati in ordine cronologico, perché diverse dottrine stavano per essere predicate contemporaneamente.
È certo che dalla metà del primo alla metà del secondo secolo o successivamente stava avvenendo un progressivo sviluppo dottrinale nelle chiese. Il fatto che in loro esistevano partiti diversi è una dimostrazione di questo. In Atti 20:29, anche a Paolo si fa dire:
“Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge e che tra voi stessi sorgeranno degli uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli”. Naturalmente, la dottrina che assicurò la più ampia misura di accettazione popolare avrebbe ultimamente prevalso, sebbene senza dubbio vi fossero azioni e reazioni e cambiamenti reciproci; e non c'è mai stato un tempo in cui tutti i cristiani pensassero allo stesso modo.
Lo sviluppo sopra descritto non stava procedendo
pari passu in tutte le chiese cristiane. C'erano comunità del culto di Gesù all'inizio del periodo durante cui accadde quello sviluppo, e alcune delle comunità gnostiche trattennero la loro natura originariamente gnostica molto più a lungo di altre.  Abbiamo una prova in una lettera di Serapione, vescovo di Antiochia nel 200 E.C. circa, alla Chiesa di Rosso, che quella chiesa era ancora in stato di transizione, e che vi era tenuta qualche dottrina gnostica. Alcuni gnostici si rifiutarono al contempo di modificare la loro dottrina nella direzione cattolica, e diventarono eretici. Cosa possiamo rintracciare nelle epistole paoline è la trasformazione graduale di comunità fondate su una base più o meno gnostica, in comunità del culto di Gesù. Senza dubbio, anche nuove comunità del secondo tipo stavano per stabilirsi. Come risultato di questo sviluppo, quelle comunità erano molto meglio equipaggiate per competizione e sopravvivenza rispetto alle semplici comunità originali del culto, mediante il loro arricchimento tramite un intero corpo dottrinale filosofico, etico e teologico che  da allora in poi loro avevano acquistato e trattenuto.
Il corpo dottrinale cattolico così evolutosi fu davvero composito, e alcuni dei suoi elementi erano incoerenti; una circostanza che successivamente dette origine ad interminabili dispute teologiche. D'altra parte, questa diversità contribuì al suo successo, poiché uomini dalla mente davvero raffinata avrebbero potuto trovarvi elementi di loro attrattiva. La vernice di filosofia platonica e stoica che aveva assorbito attraverso gli gnostici lo collocò nella stima di uomini di cultura, decisamente al di sopra dei dogmi più primitivi dei culti degli altri dèi-salvatori. E la sua eredità delle scritture ebraiche costituì un altro vantaggio davvero prezioso; di gran lunga così man mano che non cessò la produzione di scritture simili, ma continuò nella forma di vangeli. Quelli devono aver aiutato in misura considerevole. In un'epoca acritica essi sarebbero stati facilmente accettati come veri ricordi; la chiesa cristiana fu allora capace di basare le sue pretese su documenti i cui contenuti erano certificati da sentenze dei profeti dell'Antico Testamento. Anche i vangeli devono aver contribuito a promuovere unificazione, e contribuirono ad avvicinare la sintesi finale.
Un altro fattore che fu efficace verso la vittoria del culto di Gesù su quelli degli altri dèi-salvatori fu una certa arroganza che il cristianesimo ereditò dall'ebraismo, in combinazione con l'ostilità gnostica al politeismo. Nella misura in cui gli ebrei mantennero che il loro dio Jahvè fosse il solo Dio, così i cristiani affermarono che il loro dio Gesù fosse un aspetto o personificazione dell'unico Dio, e che tutti gli altri cosiddetti dèi fossero demoni. Gli adepti di altri culti erano più tolleranti. La gente poteva preferire il culto di Serapide senza negare la divinità di Adone o di Mitra. Ma i cristiani attaccarono vigorosamente e, quando ottennero il potere, soppressero tutti gli altri culti. Si deve ammettere, comunque, che il culto di Gesù, nella sua forma sviluppata alla fine del secondo secolo, fosse il più degno di sopravvivenza. Successivamente esso soffrì un serio deterioramento per tutta la rozza superstizione a cui dette origine e per gli elementi pagani che fu indotta ad assorbire nel corso del conflitto. Infine, la comunità cristiana fu ben equipaggiata per la sopravvivenza mediante le disposizioni finanziarie e amministrative che ereditò dall'ebraismo e che sviluppò in un'efficiente organizzazione ecclesiastica.
La sintesi dottrinale sopra descritta non fu un processo davvero rapido, e fu lungi dall'essere completa perfino nella metà del secondo secolo. Verso la fine di quel secolo, comunque, le epistole paoline vennero adottate, dopo essere rieditate e cattolicizzate; un passo che rese possibile, oppure confermò, l'adesione delle comunità paoline. Si può dire che allora la Chiesa Cattolica aveva inaugurato la sua grande carriera.

2. Paolo come un Testimone di Gesù

I teologi pensano di poter trovare nelle epistole paoline una prova dell'esistenza reale di Gesù come un uomo; ma in questo essi offrono un'illustrazione di fino a che punto gli uomini sono capaci di ingannarsi quando sono determinati ad avvinghiarsi ad una certa conclusione a dispetto di tutta l'evidenza. Sul soggetto della storicità di Gesù uomini ragionevoli non ragioneranno come essi farebbero attorno ad ogni altro soggetto. La conclusione non è dedotta logicamente dall'evidenza, ma l'evidenza è testata secondo la scontata conclusione. Se l'evidenza si può far apparire favorevole alla conclusione, è buona; se non può, è cattiva.
Per tutta la totalità delle epistole Gesù è un essere divino, e non c'è in loro nessun resoconto di qualcosa che lui fece o disse come un uomo. A parte precetti etici, che non si riferiscono alla dottrina di Gesù, le epistole consistono di tesi dogmatiche il cui fine è stabilire uno schema di salvezza per coloro che credono in Gesù, oppure in qualche maniera mistica diventano uniti con Gesù, come un essere divino. Nello strato più antico la scena del dramma salvifico non è posta né sulla terra e neppure in qualche tempo specifico. Il fatto che l'essere divino è detto esser stato crocifisso non è una dimostrazione che si sta parlando della crocifissione di qualche uomo. Gli adoratori di Adone avevano una biografia per il loro dio, come i cristiani la hanno per Gesù, e raccontavano come egli fosse stato ucciso da un cinghiale selvatico che stava cacciando. Quelli, perciò, che mantengono che la dichiarazione che Gesù fu crocifisso sia una dimostrazione che egli fu una persona storica sono destinati a loro volta a mantenere che la dichiarazione che Adone fu ucciso da un cinghiale è una dimostrazione che egli fu una persona storica. Non esiste nessuna prova di ciascuna dichiarazione al di là del credo degli adepti del culto. Ovviamente la dichiarazione nelle epistole paoline è puramente dogmatica, e non è dato nessun dettaglio che possa connettere questa crocifissione con qualche evento storico.
Lungi dal costituire una prova della storicità di Gesù, le epistole paoline permettono una dimostrazione molto forte del contrario. Provi il lettore a liberare la sua mente da pregiudizi e preconcezioni, e consideri questo caso come se fosse uno con cui non avere alcun  interesse particolare. Paolo (per usare quel nome per convenienza) era giunto in qualche maniera a ritenere che Gesù fosse il Figlio di Dio e fosse risorto dai morti. Egli stesso dice che non soltanto non aveva appreso questo da uomini, ma che non desiderava ottenere da uomini alcuna informazione riguardo a ciò. Sicuramente questo fatto da solo è insufficiente a mostrare che il credo fosse un dogma che aveva preso forma nella sua mente, e non un credo circa un evento oggettivo riguardo il quale la testimonianza di testimoni sarebbe stata necessaria. Ma c'è di più in questo. Supponi che Paolo avesse sentito parlare di un uomo che aveva vissuto una vita pura, insegnato una dottrina meravigliosa, compiuto miracoli, era morto sulla croce e risorto dai morti; che lui aveva creduto a questo rapporto e si fosse persuaso che quell'uomo era il Figlio di Dio.. Che cosa egli avrebbe fatto necessariamente? Egli avrebbe cercato naturalmente coloro che avevano conosciuto quest'uomo meraviglioso allo scopo di apprendere da loro tutto ciò che poteva circa le sue parole e i suoi atti. Egli sarebbe stato ardente di sapere tutto ciò che potevano comunicargli. Le epistole, comunque, mostrano chiaramente che le parole e gli atti di quest'uomo non avevano nessun interesse di sorta per lui. Al contrario, egli si vanta proprio di non aver avuto nessuna comunicazione con i discepoli personali di Gesù, e tuttavia afferma di avere una conoscenza più corretta di Gesù di quanta ne avevano loro. Tale condotta sotto le supposte circostanze è perfettamente inconcepibile; e nessun'argomentazione lo ha mai fatto, o mai può fare, apparire probabile nel minimo grado.  Paolo non comunica ai suoi convertiti alcuna cosa circa la vita meravigliosa di un uomo buono; quel che fa è
“predicare Gesù”che può solo significare che egli predica un dogma; e il suo Gesù non possiede caratteristiche umane di sorta.
Si potrebbe obiettare che c'è qualche riferimento ad un atto del Gesù umano in 1 Corinzi 11:23-27, dove è dichiarato che
“il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane”, ecc. Ma si mostrerà nel prossimo capitolo che la dottrina del sacramento fu una dottrina in evoluzione il cui sviluppo può esser rintracciato, e che il resoconto dato in questo punto è ovviamente successivo, senza dubbio più tardo del resoconto evangelico e dipendente su di esso. Inoltre, nell'epistola ci sono due resoconti distinti e incoerenti del sacramento che non possono provenire dal medesimo scrittore; e, oltre al fatto che il resoconto nel capitolo 11 mostra una fase di sviluppo successiva, c'è una prova indipendente che l'intero capitolo è più tardo di altre porzioni dell'epistola. Carl Holstein ammette che i versi 5b, 6, 10, 13, 14 e 15 sono interpolazioni; ma vi è abbastanza buona ragione per credere che il resto del capitolo è, non diremo un'“interpolazione”, ma uno strato parecchio posteriore dell'epistola. Per esempio, nel verso 2 lo scrittore stima i Corinzi perchè hanno “conservate le tradizioni” che lui aveva trasmesso loro. Tale linguaggio implica un considerevole lasso di tempo dal momento della costituzione della congregazione. Inoltre, Paolo non consegnò alcuna tradizione. Egli insiste sul fatto che ciò che insegnò non era tradizione, ma fosse noto a lui per ispirazione. Inoltre, il riferimento a disordini nella congregazione, e ai numerosi decessi che vi erano capitati (verso 30), prova che la comunità non era più una di recentissima fondazione.
È stato sostenuto che 2 Corinzi 5:16 offre una prova del credo di Paolo nell'umanità di Gesù, dove leggiamo
“anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne”. Ma, in primo luogo, questo verso prova fin troppo, poiché sappiamo che né Paolo né quelli per i quali egli scrisse conobbero in realtà Cristo nella carne. Questo da solo dovrebbe aver reso sospetto il verso. E, in secondo luogo, su basi puramente critiche e testuali, una considerazione imparziale deve condurre alla conclusione che il verso è un'interpolazione. La sequenza di pensiero nel verso 17 segue direttamente da quello nel verso 15, ed è interrotto bruscamente dal verso 16, che è chiaramente intrusivo. Ogni lettore dalla percezione critica può osservare questo facilmente se leggerà i versi 15 e 17 consecutivamente, come segue: Cristo “è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e resuscitato per loro.  Perciò se uno è in Cristo, è una creatura nuova”. Il secondo di quei due versi deriva una conclusione dal ragionamento introdotto nei primi e precedenti versi. Tra la conclusione e il ragionamento è spinto il verso 16, che non possiede con loro un nesso logico, e contiene un pensiero del tutto diverso: “Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così”. Questo si presenta nella forma di una conclusione al ragionamento nel verso 15, ma non vi segue per nulla. I versi 13-15 presentono un filo del ragionamento, poi seguono due conclusioni piuttosto diverse, di cui quella del verso 16 non ha nessun nesso logico con il filo del ragionamento precedente, e quella del verso 17 vi segue naturalmente. Il verso 16 non solo non completa in alcun modo oppure non delucida i versi che lo precedono, ma li separa davvero bruscamente dalla conclusione alla quale essi sono diretti.
Un altro passo che viene presentato dai tradizionalisti a favore del loro caso è 1 Corinzi 15:1-8. È difficile vedere come questo passo possa essere di qualche aiuto a quei critici che mantengono la pura umanità di Gesù, e di conseguenza non credono nella sua resurrezione dai morti. Per loro le dichiarazioni fatte in questo passo sono finzione, oppure ad ogni caso non da intendersi letteralmente, e perciò non offrono nessuna prova dell'esistenza di un Gesù uomo. Si dirà, senza dubbio, che il fatto che si credeva che egli fosse risorto dai morti dimostra anche che si credeva o conosceva che fosse vissuto.. Comunque, è stato già scritto a sufficienza per provare che il credo nella resurrezione dai morti di Gesù, il Cristo, o il Logos, era dogmatico e pre-cristiano. Si dirà, forse, che noi abbiamo qui una dimostrazione che non fu così, dal momento che se certi uomini noti a Paolo credettero di aver visto Gesù vivo dopo la sua crocifissione essi devono averlo conosciuto prima. Ma non c'è realmente una gran quantità di forza in questa obiezione, poiché Paolo affermò che egli stesso aveva visto Gesù dopo la sua resurrezione, e
lui non lo aveva mai visto vivo in precedenza. Ad ogni caso, ci sono indizi sufficienti che il passo in questione sia una aggiunta successiva all'epistola. Il passo comincia con le parole: “Fratelli, io vi rendo noto il vangelo che vi ho annunciato”. Questa è un'espressione davvero strana. In che senso poteva lo scrittore “rendere noto” quel che era già conosciuto, poiché lui lo aveva predicato? È difficile credere che lo scrittore di quelle parole fosse realmente l'uomo che aveva predicato. Inoltre, nel verso 3 lui dice: “Infatti vi ho prima di tutto trasmesso ciò che ho anch'io ricevuto, e cioè che Cristo morì per i nostri peccati”. L'autore dell'epistola ai Galati, che i tradizionalisti credono sia stato Paolo, non può aver scritto questo, perché egli non aveva ricevuto alcuna tradizione, egli rifiutò di riceverne alcuna, e si vantò di essere indipendente dalla tradizione. La sua fede nella resurrezione fu prodotta dalla visione che aveva visto, non da qualche prova che aveva “ricevuto”.
La leggenda delle apparizioni di Gesù dopo la sua morte fu una leggenda crescente, la cui evoluzione si può rintracciare. Nel Vangelo di Marcione, che apparentemente si basò sul più antico Vangelo Gnostico, Gesù non appare a nessuno dopo la sua morte. [1] Nel Vangelo secondo gli Ebrei, che fu più antico dei nostri vangeli, due apparizioni erano ricordate. Anche secondo Matteo, il cui vangelo viene più tardi in ordine di tempo, Gesù appare due volte, in ciascuna occasione agli undici discepoli e a nessun altro. In Luca, che è più recente di Matteo, tre apparizioni sono ricordate — ai due discepoli che stavano viaggiando per Emmaus, a Simon Pietro, e agli undici e ad altri che erano con loro. Nel vangelo di Giovanni il numero di apparizioni è cresciuto a quattro. In 1 Corinzi 15:5-7, c'è ancora un ulteriore sviluppo. È impossibile evitare la conclusione che troviamo in questo passo una fase davvero tarda dello sviluppo della leggenda — in realtà, più tarda dei vangeli; così che il testimone non è Paolo, ma qualche scrittore del secondo secolo. La frase “nato da donna, nato sotto la legge” è dogmatica. Ogni ebreo poteva fare la stessa asserzione circa il Messia.
La conclusione finale di tutta la discussione, allora, è che le epistole paoline recano testimonianza, non ad un Gesù umano, ma solamente ad un Gesù divino.

NOTE

[1] Il vangelo di Marco, come detto prima, è una forma più tarda del vangelo di Marcione. I critici migliori concordano che in origine il vangelo di Marco terminava col capitolo 16, verso 8, e perciò, al pari del Vangelo di Marcione, non possedeva alcuna menzione di alcuna apparizione di Gesù dopo la sua morte.

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