mercoledì 24 gennaio 2018

Sull'Antica Storia del Dio Gesù (XII) — Conclusioni Sociologiche

(Questo è l'ultimo capitolo della traduzione italiana di un libro del miticista Edouard Dujardin, «Antica Storia del Dio Gesù». Per leggere il testo precedente, segui questo link)






CAPITOLO XII

CONCLUSIONI SOCIOLOGICHE

Il Messaggio dello Spirito. — I principi delle religioni che il cristianesimo sostituì non erano più irrazionali di quelli del cristianesimo stesso. Ciò che fece il cristianesimo fu rinnovarli riportandoli indietro alla loro fonte originale. Abbiamo mostrato che il cristianesimo nel primo secolo della nostra era rappresentò il risveglio di una religione preistorica, un ritorno al punto di inizio dei postulati di una religione primitiva in una forma modernizzata, e che, nell'esprimere nel loro pieno significato i sacrifici di Espiazione e Comunione, i primi cristiani attinsero dal subconscio collettivo idee che vi erano state sepolte sin da tempi neolitici.
Il cristianesimo riportò il pensiero umano dal dominio della ragione a quello dell'irrazionalità primitiva. Tutto il pensiero, lo spirito, e il metodo di San Paolo appartengono al reame dell'irrazionale. Le sue asserzioni sono per la maggior parte solamente affermazioni ostinate di una persuasione puramente mistica. Lo spirito che parla a lui e che governa il suo pensiero è formalmente opposto da lui alla sapienza degli uomini, o ciò che definiamo ragione; egli sa di parlare su un piano che non è quello della ragione umana, ed lo dichiara lui stesso con la massima comprensione e chiarezza:
“La parola della croce infatti è follia per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio”. [1] Tutta la sua opera è realizzata sul piano dell'irrazionale. Egli predicò l'irrazionalità della vita spirituale ad un'epoca che aveva perseguito la dialettica socratica fino alla sua finale conclusione, e coi suoi compagni proclamò il mito rivoluzionario ad una vecchia società in necessità di rinnovamento.
Miti Rivoluzionari. — I movimenti rivoluzionari in una forma religiosa, come il cristianesimo, e quelli in una forma laica, come le rivoluzioni del 1789 e del 1917, si rassomigliano a vicenda in tutti gli aspetti essenziali.
Tutti avevano come loro scopo la distruzione di una società esistente e l'insediamento di un altro, e tutti ricercarono quella distruzione con mezzi violenti. Dal momento che il dio su cui si basarono i cristiani fu il simbolo della comunità, i cui agenti essi si concepivano, il contrasto tra le due forme è più apparente che reale. E, siccome l'aldilà per cui essi operarono fu il simbolo di una nuova società, il loro obiettivo fu lo stesso in realtà.
Essi si rassomigliavano a vicenda anche nei loro metodi di propaganda, le loro regole di vita, e le morali. In ciascun caso il programma si espresse in forma simbolica, ma i simboli differivano — o piuttosto, i miti nei quali erano rivestiti. Un mito rivoluzionario è la formula che esprime i bisogni che inducono gli uomini a distruggere la società nella quale stanno vivendo, e a creare un'altra al suo posto. Nelle società religiose, come l'ebraica, la formula sarebbe religiosa; in società dove è dominante lo spirito laico, essa sarebbe politica. Noi riconosciamo ai nostri giorni che le formule delle rivoluzioni politiche sono miti, come pure quelle delle rivoluzioni religiose. Come la formula del dio che muore e risorge di nuovo fu il mito che ispirò la rivoluzione cristiana, così la dottrina del Contratto Sociale fu il mito che ispirò la rivoluzione del 1789, e la dialettica marxista il mito che ispirò la rivoluzione del 1917. In altre parole, proprio come il marxismo fu il simbolo che espresse i motivi che indussero i bolscevichi a fare la loro rivoluzione, così il dio sacrificato fu il simbolo che il cristianesimo propose al mondo per la sua rigenerazione. Ma, qualunque cosa potrebbe essere la forma che il tempo e lo spazio imprimono su di esso, il mito, perché è il simbolo di bisogni sociali, è sempre il prodotto dello spirito della comunità e il frutto delle sue illusioni. La fede nella verità del mito è essenziale al successo di tutte le grandi religioni e di tutte le grandi rivoluzioni, poiché senza una fede del genere non ci sarà fede nella possibilità di realizzare il programma. I primi cristiani attendevano che il Signore apparisse e stabilisse il Regno di Dio sulle macerie del mondo pagano. Il vecchio mondo perì, ma il Signore non apparve sulle nubi nella sua gloria, e il Regno di Dio prese la forma che avrebbe impressionato grandemente San Paolo — la Chiesa cristiana dei Secoli Bui.

Riguardo Cose Spirituali. — A titolo di conclusione tenteremo di definire il significato che crediamo dovrebbe venir attribuito al termine Spirito. Il suo significato originale non è in dubbio. La parola latina spiritus significa “soffio”. L'equivalente greco πνευμα e l'equivalente ebraico Rouah hanno il medesimo significato. Ma dal più antico periodo biblico, mentre preservava il suo significato originario, la parola Rouah si riferisce al soffio di entità soprannaturali, e più specialmente il soffio di Dio di cui esprime la forza attiva. Nelle epistole paoline la funzione dello Spirito è stabilire una comunicazione tra Dio e i credenti. Di conseguenza dal momento che egli ha ricevuto il “soffio” — cioè per dire, è stato “ispirato” — il credente diventa “spirituale”. Πνευματικος è il termine usato da San Paolo: “ricolmo dello spirito” è l'espressione utilizzata dai teologi — vale a dire, “ricolmo di soffio divino”. Come lo Spirito è il mezzo che Dio usa per comunicare con l'uomo, così esso diventa il mezzo mediante cui l'uomo comunica con Dio. “Spiritualità” è lo stato in cui sono gli uomini che hanno ottenuto questo stato di comunicazione. Quando San Paolo parla dello stato dei fedeli dopo la resurrezione, egli dice che essi diventeranno “spirituali”. Un pagano avrebbe detto “divini”.
La spiritualità completa che l'uomo può ottenere durante la sua esistenza terrena è semplicemente un assaggio dello stato completo che otterrà dopo la morte. Così San Paolo spiega che Dio ci dona quaggiù le
“primizie dello Spirito”. Lo Spirito, che nel primo caso significava solamente “soffio”, venne infine a significare coloro che possedevano quel soffio. A volte nel primo secolo troviamo il termine utilizzato a indicare Dio stesso, come anche gli angeli e demoni. È in questo senso che noi continuiamo a parlare di “spiriti”. Ma sebbene nelle epistole troviamo il termine applicato a Dio, esso non è mai applicato agli angeli o demoni.
Della personificazione dello spirito come la terza persona della Santa Trinità non c'è una traccia nelle epistole. La funzione dello Spirito per San Paolo fu rivelare cose che la sapienza di uomini non poteva ottenere, in coerenza col detto di Giobbe,
“Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti”. [2]
Quando San Paolo affermava che nella resurrezione i credenti sarebbero spiritualizzati, egli non intendeva che essi avrebbero perso i loro corpi e sarebbero divenuti esseri immateriali. I loro corpi sarebbero semplicemente cambiati: invece di essere mortali e corruttibili, essi diventano immortali e incorruttibili; invece di essere terreni, essi sarebbero celesti (1 Corinzi 15:52-53). La materia non perirebbe, ma sarebbe purificata. La spiritualizzazione consisterebbe nel fatto che il corpo, che fu in precedenza animato da un soffio animale — vale a dire, l'anima — sarebbe animata dal soffio divino — vale a dire, lo Spirito.
La parola ebraica
nefes e la parola greca ψυχη, come le parole parallele rouah e πνευμα, significano “spirito”. Ma nel cristianesimo primitivo ψυχη è lo spirito animale, lo spirito di vita. Così quando Gesù dice che colui che avrebbe salvato la sua anima (ψυχη) deve perderla, egli si riferisce a uomini che desiderano salvare le loro vite. San Paolo oppone ψυχη e πνευμα. Per lui due spiriti esistono: lo spirito animale che diparte con la morte ed è l'anima (ψυχη), e lo spirito divino che anima i corpi risorti ed è immortale — precisamente, lo Spirito (πνευμα), di cui prima della resurrezione noi riceviamo solo le “primizie”. “Si semina”, egli scrive, “un corpo animale (uno animato dall'anima), risorge un corpo spirituale (uno animato dallo Spirito). Quella è la spiegazione del noto detto: “Carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio; né i corpi che si decompongono possono ereditare l'incorruttibilità” (1 Corinzi 15:50). Secondo un credo molto diffuso nell'antichità, il sangue non è solo la sede dell'anima, ma  è assimilato all'anima stessa. Esso è definito così formalmente nell'Antico Testamento (Levitico 17:14): “L'anima (nefes) della carne è il suo sangue”. Il significato di San Paolo perciò è chiaro: al momento della morte l'anima muore con la carne che anima; al momento della resurrezione la carne viene di nuovo in vita trasformata, ma l'anima non viene a vivere di nuovo, è sostituita dallo Spirito, che di qui in avanti anima il corpo. L'anima, in realtà, non è immortale nella concezione di San Paolo, il quale non manifesta niente dell'ostilità al corpo che è un aspetto così marcato del cristianesimo successivo. Il cristianesimo primitivo non aveva nessuna concezione di un'esistenza immateriale, e se San Paolo si lamenta sul suo corpo mortale, è perché egli attende la sua trasformazione, e non perché sarà annichilito (2 Corinzi 5:1-4). Egli non può immaginare che l'uomo possa ricevere lo Spirito se non nel suo corpo, più di quanto può concepire l'esistenza dell'anima animale separata dal corpo. Lo stato dell'eletto non doveva essere uno stato incorporeo, ma semplicemente un rinnovato stato corporeo.
I primi cristiani erano materialisti e consideravano materiali tutte le cose, per quanto potessero essere purificate e spiritualizzate; essi non sapevano nulla della conseguente opposizione delle cose materiali alle cose immateriali. Fu solo nel secondo secolo, sotto l'influenza dell'ellenismo, che la dottrina dell'incorporeità degli eletti fu professata per la prima volta; e perfino allora quelli fedeli alla tradizione la considerarono un'eresia, e un'eresia assurda. [
3] Sin da quel tempo la Chiesa aveva tentato invano di riconciliare le idee contradditorie della corporeità e dell'incorporeità degli eletti. Lo Spirito stesso non fu più concepito nel primo secolo come un soffio fisico, ma è contrario alle affermazioni più categoriche nelle epistole identificare cose spirituali e cose incorporee, e opporle alle cose corporee. Le sole cose che la dottrina paolina identificò con cose spirituali erano cose divine.
La storia delle religioni mostra che l'assimilazione dello Spirito ad una facoltà della mente e l'opposizione introdotta da filosofi antichi e moderni tra cose spirituali e materiali sono idee estranee non solo all'idea espressa nelle parole greche, latine, ed ebraiche che traduciamo come
“Spirito”, ma anche a quella che prevaleva tra cristiani primitivi.
Se si sostiene che il significato si sia evoluto, replicheremmo che, se il significato di una parola evolve, dovrebbe essere non in una direzione contraria al significato originale. Si può solo condannare un'evoluzione che trasforma la corporeità in incorporeità, e una comunione mistica in una comprensione razionale.

Interpretazione Sociologica. — Se non possiamo riformare un uso che è erroneo, possiamo ad ogni caso mostrare che un altro è più legittimo.
Siamo interessati non solo a definire la nozione che San Paolo aveva dello Spirito, ma anche a definirla e interpretarla dal punto di vista della sociologia moderna. Lo scopo della sociologia è tradurre in termini moderni e laici le idee che furono formulate nel passato in termini religiosi, idee che hanno giocato una parte più importante nella Storia, e continueranno a fare così.
L'uomo esprime i suoi bisogni nel linguaggio, le idee, e i credi della sua epoca. E dal momento che il linguaggio, le idee, e i credi non sono nostri, dobbiamo indagare quali fossero i bisogni umani che gli uomini cercarono di esprimere, e a quali bisogni dei nostri essi corrisposero, per quanto differenti potrebbero essere i simboli da loro impiegati. Il nostro problema perciò è tradurre in termini moderni le formule del cristianesimo primitivo.
Abbiamo già indicato la soluzione — una che si basa sulla proposizione che una società è un'entità specifica, e che il suo dio è il simbolo sotto cui il gruppo è concepito come un'entità. In altre parole, l'intento sociologico dei termini
“Dio” e “Società” è analogo, come lo è quello dei termini “sacro” e “sociale”. Lo Spirito diventa così il mezzo mediante cui la società comunica con gli individui che la compongono, il modo in cui è diffusa la coscienza collettiva. Le cose spirituali non sono opposte in quanto divine alle cose umane, ma in quanto cose sociali a cose individuali.
Dei tre reami che la sociologia enumera — il biologico, il psicologico, e il sociale — lo Spirito appartiene al sociale. Dove San Paolo oppone lo Spirito nato da Dio alla sapienza dei saggi, noi vediamo l'opposizione dell'intuizione alla ragione.
Così lo Spirito è preminentemente lo strumento che creava la società, e il mezzo mediante cui i primi cristiani entrarono in una comunione divina. In altre parole, sotto la guida dello Spirito gli uomini si formarono in una società e furono in grado di vivere assieme in unità. Il contrasto non è tra cose spirituali e cose materiali, ma tra interessi collettivi e interessi individuali. La spiritualità, che fu per San Paolo il passaggio dallo stato umano allo stato divino, perciò è per la sociologia il passaggio dallo stato animale e individuale allo stato sociale.
Spiritualizzare gli uomini equivale a rammentare loro che essi sono membri di una società associata assieme da una parentela che non è la parentela fisica. Lo Spirito che animava i primi cristiani fu quello che anima tutti i grandi rivoluzionari:
la spinta a concludere definitivamente una vecchia società e a ricreare i vincoli che collegano l'umanità in una fratellanza comune.

NOTE

[1] 1 Corinzi 1 e 2, passim.

[2] 1 Corinzi 1:18.

[3] Giustino, Dial. LXXX, 4; Ireneo, Her. 5.

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