martedì 23 gennaio 2018

Sull'Antica Storia del Dio Gesù (XI) — Contrasto Tra la Prima e le Successive Generazioni Cristiane

(continua da qui)

CAPITOLO XI

CONTRASTO TRA LA PRIMA E LE SUCCESSIVE GENERAZIONI CRISTIANE

Le caratteristiche della prima generazione cristiana sono comprese più chiaramente ponendole in opposizione a quelle della generazione che seguì. La letteratura di quest'ultima mostra che esistevano tendenze davvero divergenti tra i vari gruppi cristiani. Possiamo discernere nei vangeli orientamenti importanti che risultavano dagli eventi dell'anno 70 E.C. In certi centri, e in particolare a Roma, si perpetuò la tradizione della prima generazione di un'opposizione rivoluzionaria al mondo pagano e di un'anticipazione del nuovo mondo che avrebbe preso il suo posto.
Tracce visibili di questo sono da trovarsi in Marco, che sarebbero senza alcun dubbio ancor più evidenti nel Marco primitivo, un'opera che fu scritta in tutta probabilità a Roma.
In altri centri l'antico entusiasmo rivoluzionario sembra esser svanito; l'ardore combattivo ad ogni misura è svanito. Non si realizza più che l'opera del dio prospera solo tramite la cooperazione dei fedeli: gli uomini già aspettano interamente il Signore, come se non avessero niente da fare se non attendere. Questa tendenza è formulata in una collezione di massime, di cui una piccola porzione si trova in Marco, a quasi tutta in Matteo e Luca, principalmente nel Discorso della Montagna, che non si trova in Marco. È questa prospettiva che viene descritta come lo “spirito dei vangeli”, sebbene si trova solamente in due di loro. Già la tendenza all'opportunismo è evidente, e gli uomini non solo sono rassegnati a veder continuare il mondo, ma tendono anche a ottenere un posto prominente in esso, e si manifesta l'ambizione a mietere l'eredità dell'ebraismo. Qui troviamo il primo tentativo di riconciliare l'impero e il cristianesimo negli scritti pseudo-paolini e pseudo-apostolici, la più tarda edizione degli Atti, e nelle prime Apologie, come per esempio quelle di Giustino. Infine notiamo lo spirito gnostico del vangelo secondo San Giovanni. Abbiamo visto che i primi cristiani osservarono la Legge mosaica senza partecipare alle speranze e ambizioni del messianismo. In relazione alle autorità romane, qualunque odio nutrirono, e per quanto fossero ardenti per la venuta del giorno di vendetta, essi non cessarono di agire come soggetti totalmente sottomessi. In questo essi seguirono il modello di tutti i grandi rivoluzionari. In attesa del giorno quando la preparazione sarebbe passata all'azione essi furono attenti a non attrarre attenzione e ad apparire cittadini modello. Il vangelo secondo San Marco continua l'antica tradizione e unico tra i vangeli rappresenta la comunità rivoluzionaria. Ma nei gruppi che furono invasi da idee politiche questa forma di sottomissione provvisoria è trasformata in sostegno reale delle autorità romane, la cui benevolenza la Chiesa cercò di guadagnare. Come risultato, i dominatori nei quali San Paolo vide i poteri di Satana divennero per lo scrittore successivo che usurpò il suo nome i ministri di Dio, e ci viene detto che disobbedire loro equivale a disobbedire a Dio (Romani 13:1-7). In questo passo la Chiesa avrebbe trovato successivamente un'affermazione della
“sacra natura dell'autorità”.
Si può immaginare in San Paolo questa sottomissione agli eccessi della tirannia romana? Il desiderio di placare e guadagnare il favore delle autorità è ancor più marcato nel caso dell'ultimo editore di Atti e degli Apologeti. Nei vangeli di Matteo e Luca è raggiunta la fase finale di capitolazione. Il Gesù di quei vangeli non solo proibisce una resistenza ad una autorità costituita, ma impone una sottomissione incondizionata: “Non resistete al cattivo”, comanda il maestro. Lo scrittore non dice “male”, come si suppone generalmente, ma “il cattivo”, e per i primi cristiani il cattivo era un servo di Satana. Questo precetto è seguito da un altro egualmente categorico: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra”. Non c'è traccia di una pratica simile o di qualche precetto del genere nei documenti dei primi cristiani.
I vangeli mostrano che i discepoli erano sempre disposti a combattere, e perfino a sguainare la spada. Questo indica ad ogni modo che il più antico scrittore evangelico non li considerò capaci di adottare alcuna condotta del genere. San Paolo nella sua vita, come nella sua dottrina, sapeva come riconciliare una sottomissione provvisoria alle autorità con una resistenza indomabile al
“cattivo” che ostacolava la sua opera. Non meno ostile allo spirito della resa, non meno anti-evangelico, è il vangelo di Marco. Il cristianesimo evangelico fa dipendere le sue promesse dell'aldilà dall'accettazione dell'oppressione quaggiù, e così giustifica la frase “oppio dei popoli”. Laddove la dottrina della prima generazione cristiana fu rivoluzionaria, quella dei vangeli fu contro-rivoluzionaria.
Tra il cristianesimo primitivo e il cristianesimo evangelico il disaccordo è egualmente netto riguardo le regole della vita quotidiana. La prima generazione cristiana sapeva come unire la famiglia naturale e la famiglia spirituale, ma i vangeli condannano la prima, e asseriscono che la vera famiglia di Gesù sono non sua madre e i suoi fratelli, ma i suoi discepoli. Non c'è nessun equivoco circa la questione, poiché Gesù viene rappresentato mentre dichiara:
“Se uno viene a me e non odia suo padre, e sua madre, e la moglie, e i fratelli, e le sorelle, e finanche la sua propria vita, non può esser mio discepolo”. [1]
I principi di celibato riveriti dai pitagorici e dagli esseni non avevano influenzato i primi cristiani, ma essi trionfarono nell'era dei vangeli. Le cose della carne sono rappresentate come l'opera del diavolo, e niente poteva essere più terribile dei termini in cui sono condannati da Gesù:
“Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” [2] e di nuovo: “Vi sono eunuchi che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca”. [3]
Mentre il mantenimento della Famiglia spirituale fu essenziale al successo del cristianesimo, la sua esagerazione fu il punto di inizio di eccessi che erano destinati a seguire. Abbiamo visto che i primi cristiani, circondati dalle loro mogli e figli, eseguivano le loro occupazioni giornaliere, e che San Paolo si preoccupò di guadagnare da vivere col lavoro delle sue mani. Ma nei vangeli il lavoro è condannato al pari della famiglia:
“Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono”. I discepoli sono invitati ad abbandonare il loro lavoro e a lasciare le loro case. E come devono vivere? Dio provvederà. [4] Riguardo alla ricchezza, i vangeli non sono soddisfatti di accettarla, ma condannano il ricco, [5] ed escludono dalla salvezza tutti fuorché i poveri. [6] Gli antichi cristiani accoglievano coloro che disponevano di possessi, a cui gli si chiedeva di contribuire solo parzialmente al fondo comune. Di nuovo, laddove vedemmo i primi cristiani evitare la persecuzione, le generazioni successive la cercarono e la provocarono. Così venne presto il tempo quando i santi recisero ogni legame coi loro prossimi e si ritirarono in solitudine, sottomettendo i loro corpi ad ogni forma di maltrattamenti. Il fine dei primi cristiani, come quello dei rivoluzionari del 1789 e del 1917, fu distruggere una vecchia società, non per salvarla tramite un processo di riforma; per demolirla prima di costruire un'altra. Per un compito di questa natura la virtù è necessaria, ma è sufficiente; l'ascetismo non è richiesto. La virtù è essenzialmente un requisito rivoluzionario; l'ascetismo è un bisogno contro-rivoluzionario, riformista.
I primi cristiani furono uomini delle classi inferiori, ma permisero a quelli delle classi superiori che si unirono a loro di rimanere com'erano. Ciascun uomo aveva la sua occupazione, e nessuno tentava di dividersi dai suoi prossimi. Essi non cedettero alla persecuzione, ma né la cercarono né l'accolsero. Essi non ripudiarono le cose della carne, ed erano sposati. Essi vissero una vita di rinuncia, ma mai indugiarono alle severità dell'ascetismo.
Per loro era abbastanza vivere la vita dello spirito, ed erano rispettati dai loro vicini. A differenza dei loro successori, non si abbandonavano alla propaganda, e così per quarant'anni erano in grado di vivere quasi in pace. Ma non erano dei deboli, poiché avevano la pazienza del forte nell'assicurazione del loro rapido trionfo. Proprio come opponiamo l'eroica prima generazione cristiana ai docili discepoli del Discorso della Montagna e ai politici che accettarono un mondo in cui sperarono di raccogliere l'eredità dell'ebraismo, così discerniamo una divergenza simile nelle forme della vita spirituale. Movimenti come quello che produsse il cristianesimo sorgevano in un'illuminazione dello spirito che svanisce col passare degli anni a contatto col suo ambiente mondano. L'ideale della civiltà classica fu il saggio,
homo moderatus et gravis, un ideale che è possibile solo in una società stabile che non possiede una visione di evoluzione o rivoluzione; e, dal momento che lo spirito è la chiamata del subconscio collettivo per ricostituire la società, la vita del saggio non è la vita dello spirito.
In verità la vita del saggio, come quella dell'ascetico, colla sua accettazione delle cose come esse sono, si basa su una formula contro-rivoluzionaria. I rivoluzionari rifiutano i frutti della terra se essi sono guadagnati mediante l'oppressione di altri uomini; essi rifiutano quelli dello spirito se servono solo alla loro salvezza personale. I rivoluzionari sono uomini che il presente non soddisfa: morte e resurrezione sono le mete che cercano. Così non troviamo nei testi più antichi del cristianesimo nessun'idea di compromesso, ma solo minacce della distruzione del mondo antico, come nei manifesti del comunista moderno. La forma più alta di moralità sarebbe una che non era basata su pene e sanzioni — una moralità, in realtà, che sia disinteressata. Non si può evitare perciò una critica dell'insistenza con cui il Discorso della Montagna ricorre al soggetto di ricompensa. Ogni precetto è accompagnato da una ricompensa oppure da una minaccia. La parola greca
μισθοζ, tradotta come “premio” o “ricompensa”, significa in realtà “salario”, e si usa in riferimento alle paghe degli operai nella vigna in Matteo 20:8. Ma non c'è una traccia di tale contrattazione nelle epistole paoline, oppure nel vangelo di Marco. I primi cristiani, sebbene speravano di partecipare nel Regno di Dio, non avanzarono mai l'idea di ricompense come l'ispirazione delle loro azioni.
La giustizia umana tenta di ricompensare il merito e punire il misfatto, ma cerca di regolare la pena alla colpa, e perfino di farne un mezzo di correzione del criminale. Ma il vangelo come punisce il cattivo? Esso copia da religioni degradate il capolavoro di malizia umana e vigliaccheria, la camera delle torture infernali, ed esagera le sue crudeltà in una satanica sproporzione di crimine e punizione. Si è inorriditi quando si legge in Luca 16:23-24 dell'uomo ricco nelle fiamme dell'inferno che supplica che Lazzaro
“intinga la punta del dito nell'acqua per rinfrescare la sua lingua” e questo gli è negato. E nei vangeli di Matteo e Luca ci viene detto circa la “fornace il cui fuoco non si spegne”, e le “tenebre dover sarà pianto e stridore di denti”, e apprendiamo che quelle sofferenze saranno eterne. L'inferno dei vangeli non è un luogo di purificazione in cui la punizione ha qualche obiettivo morale, è un caso di castigo per amore del castigo.
In realtà c'è un'identità di svilimento morale parimenti nell'insistenza sulla paga offerta dal Gesù dei vangeli con la sua mano destra e l'orrore dei tormenti che la sua mano sinistra teneva in serbo.  Questa camera delle torture infernali non esiste nelle epistole paoline. L'inferno come una camera delle torture fu sconosciuto alle religioni primitive e all'ebraismo antico. Fu anche sconosciuto alle religioni nazionali dell'antichità, ma apparentemente entrò nel mondo mediterraneo colle dottrine orfiche, dove, comunque, è solo un tipo di purgatorio in cui sono purificati i malvagi. San Paolo e tutti i primi cristiani credevano in una futura ricompensa e punizione, ma la ricompensa doveva essere la partecipazione nel Regno di Dio, e la punizione la morte, non il tormento. Alla venuta del Grande Giorno i giusti sarebbero risorti ed entrati nella vita eterna, i malvagi sarebbero periti, ma non ci sarebbero state torture. Troviamo nella prima generazione cristiana una moralità di eroismo che negava la tortura; la moralità di carità e rinuncia la restaurò. In verità la dottrina dell'Inferno fu per la Chiesa un mezzo di intimidazione, un mezzo che si può comprendere solo come la gratificazione di rancori incapaci di soddisfazione. Quello è lo spirito che ispira la concezione del
“fuoco che non si spegne” dei vangeli di Matteo e Luca, e le raffinatezze sadiche di cui si inebriavano gli scrittori ecclesiastici dal secondo secolo in poi. Qui è sufficiente notare che il cristianesimo dei vangeli tornò alla barbarie al di sopra del quale si era elevato il cristianesimo primitivo. Così spesso si trova che, quando il periodo di eroismo è passato, le rivoluzioni ricadono sugli errori da loro condannati in precedenza. I giusti che si devono ricompensare sono chiaramente quelli che sono venuti al Signore; ma chi sono i malfattori? Ovviamente loro sono gli ebrei e i pagani che non sono venuti al Signore, e, per quanto possono essere virtuosi, il cristianesimo li incorporò in massa nella legione dei malfattori.
Il problema per i primi cristiani fu perciò non quello di ricompense e punizioni, ma il problema del fato dei cristiani e dei loro nemici quando sarebbe arrivato il Grande Giorno — in altre parole, il problema dell'uso che un cristianesimo vittorioso avrebbe fatto della sua vittoria.
Come la Rivoluzione Francese decretò la morte per i suoi nemici, ma abolì la tortura, così San Paolo condannò i nemici del Signore a morte, ma non li spedì alla camera delle torture.
La ricompensa che aspettavano i primi cristiani fu una ricompensa collettiva; l'egoismo non fu il motivo che li condusse al Signore. Le religioni nazionali dell'antichità ricercarono solo il beneficio della nazione, le religioni misteriche ricercarono il beneficio della comunità. Ma quest'ultime nella loro decadenza erano interessate soltanto ad assicurare la felicità degli individui dopo la morte, una condotta che escludeva ogni idea della redenzione della società. Anche il cristianesimo subì una decadenza del genere.
Si noti l'indifferenza di San Paolo riguardo alla sua salvezza personale. Egli addirittura va così lontano da dichiarare di essere disposto ad escludersi dal Regno dei Cieli a condizione che ai suoi fratelli potrebbe essere concesso di entrarvi (Romani 9:3). Solo una volta egli esprime il suo desiderio di riunirsi con Cristo, semplicemente per aggiungere di essere contento di rimanere quaggiù pur di continuare la sua opera (Filippesi 1:28). Non solo è disinteressato circa la sua salvezza personale, ma non conversa mai coi suoi seguaci intorno alle loro.
Come un generale promette ai suoi soldati una vittoria che non è quella di ciascun soldato individuale, ma del suo esercito nel suo complesso, così San Paolo non promise nulla ai suoi seguaci se non l'arrivo del Regno di Dio. La preoccupazione di ogni individuo per la sua salvezza personale non è il credo degli uomini che riscoprirono la virtù della parentela spirituale, oppure di rivoluzionari eroici.
Dal tempo in cui l'uomo imparò ad ergersi al di sopra dei suoi propri interessi personali privati, egli ha trovato nella sua fatica stessa tutto lo stimolo di cui bisognava. L'entusiasmo che San Paolo recò alla sua opera è dimostrazione sufficiente della profonda soddisfazione che gliene derivava. Non appena si eleva la scala dei valori morali, l'uomo trova la sua soddisfazione nel lavorare per la comunità alla quale appartiene, e di fatto con tutti i grandi spiriti la stessa idea di una ricompensa è messa da parte. Al pari di tutti i veri rivoluzionari, i primi cristiani non avevano pensato se non per la comunità dei fedeli. Poiché se il dio è il simbolo della comunità, allora l'amore della società è alla base di tutti i credi rivoluzionari.
Al pari della moralità di tutti i rivoluzionari, la moralità del cristianesimo primitivo, al contrario della moralità dei vangeli, fu la moralità dell'eroismo, la dedica di sé stessi alla società.

NOTE

[1] Luca 14:26, Matteo 8:22, e Luca 9:61-62.

[2] Matteo 5:29-30, e 18:8-9, Marco 9:43-46.

[3] Matteo 19:12; assente in Marco.

[4] Matteo 6:25-34, e Luca 12:22-31; niente in Marco.

[5] Luca 6:24, e 14:19 et seq.

[6] Matteo 19:21-22, e Luca 18:18-25.

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