lunedì 15 gennaio 2018

Sull'Antica Storia del Dio Gesù (III) — Il Sacrificio Espiatorio

(continua da qui)

CAPITOLO III

IL SACRIFICIO ESPIATORIO

“Cosa conquistò il mondo greco-romano fu un mistero di salvezza edificato sulla morte di Gesù concepita come redentiva”, dice il signor Loisy, e i signori Goguel e Guignebert confermano questo verdetto. Una volta che si ammette questo, sorge l'interrogativo: Il sacrificio espiatorio è alla base del cristianesimo — in altre parole, esso appartiene alla tradizione più antica oppure costituisce un'aggiunta più tarda? E qui accade una disputa.
I teologi moderni asseriscono che la crocifissione di Gesù fu semplicemente un'esecuzione giudiziaria ordinata dalle autorità ebraiche o romane e che essa fu interpretata successivamente come un sacrificio espiatorio. Gli studiosi cattolici asseriscono che essa fu allo stesso tempo sia un'esecuzione giudiziaria che un sacrificio espiatorio. La terza vista, che noi tenteremo di stabilire, è che nel principio la crocifissione fu solamente un sacrificio espiatorio, e che la storia di un'esecuzione giudiziaria fu un'aggiunta posteriore.
Ci si volga ai documenti. Le improbabilità dei resoconti nei vangeli sono trasparenti. Questa non è la sede per una loro enumerazione; si noti soltanto che Gesù è arrestato, accusato di fronte a due corti, e condannato a morte nello spazio di qualche ora. Il tribunale ebraico si convoca durante la notte, e questa stessa notte è la notte di una festa religiosa, un'assurdità che in sé stessa prova quanto fosse lontano lo scrittore dagli eventi e dal luogo intorno a cui egli scrisse. Non è rispettata nessuna tradizione; il Sabato, per esempio, è violato di nuovo e di nuovo, e la legge e la tradizione ebraiche sono ignorate. Quanto a Pilato, egli è una caricatura inconcepibile di un magistrato romano. E se confrontiamo i vangeli sinottici col quarto vangelo non troviamo nessun accordo quanto ad una data,
sia per il giorno che per l'anno. Nelle narrazioni dei vangeli sinottici Gesù è messo a morte di venerdì, che capitò in quell'anno proprio all'indomani della Pasqua ebraica; nel quarto vangelo questo venerdì diventa il giorno della Pasqua stessa; e questa divergenza nel giorno conduce ad una divergenza nell'anno, dato che gli  anni in cui la Pasqua cade di giovedì non sono quelli in cui essa cade di venerdì. E questa divergenza è tanto più disturbante dal momento che i critici concordano nell'attribuirla a ragioni di dogma, e non ad un interesse per la verità.
San Giovanni, ammettono, colloca la morte di Gesù nel giorno della Pasqua allo scopo di rendere la sua morte un rinnovamento del sacrificio pasquale e giustificare la data della Festa cristiana osservata nelle comunità asiatiche, laddove la data adottata nei vangeli sinottici era intesa a legittimare l'osservanza pasquale dei gruppi occidentali. Preoccupazioni simili mostrano che non si può riporre alcun affidamento sulle dichiarazioni di quelli storici. Quando si rammentano le storie innumerevoli dei drammi sacri, serie o comiche, narrate ne
Il Ramo d'Oro, con l'uccisione dei loro re di finzione, oppure i misteri di Osiride, ci si domanda per quale oscura coincidenza la condanna a morte di Gesù ripete la maggior parte degli aspetti di quelle terribili festività. Ma l'argomento più forte contro la storicità della Passione, dal punto di vista del senso comune, è che alla base, e rimossa da tutte le aggiunte leggendarie essa è una “passione” di un dio morto e risorto — precisamente, che essa possiede essenzialmente tutti gli elementi fondamentali, sia tragici che derisori, di un dramma sacro. La carriera di Gesù come raccontata nei vangeli solleva gli stessi dubbi e conduce alle stesse conclusioni quanto alla sua natura storica.
Ma per il momento noi siamo interessati solamente alla Passione; infatti sicuramente la messa a morte di Gesù è il punto di inizio dell'intero problema delle origini cristiane.
Che le storie della Passione nei vangeli sono non-storiche è allora la conclusione a cui tutte le strade conducono, e noi dobbiamo cercare la tradizione primitiva di cui essi costituiscono la drammatizzazione leggendaria. Le storie evangeliche esprimono la dottrina della Chiesa che, se Gesù fu messo a morte in virtù di una condanna pronunciata dal procuratore Pilato, questa esecuzione giudiziaria fu il sacrificio espiatorio tramite cui egli fu in grado di realizzare la sua opera redentiva. La morte di Gesù fu perciò un'esecuzione giudiziaria e un sacrificio espiatorio, una morte che, invece di operare secondo il solito rituale, operò sotto la forma di una esecuzione giudiziaria. Segue che abbiamo qui non un'asserzione storica, ma una dottrina teologica, dato che la realizzazione di un piano soprannaturale ne è l'oggetto. Lo storico deve domandarsi se la messa a morte di Gesù sia una esecuzione giudiziaria interpretata per fede in un sacrificio espiatorio, oppure se essa non sia un sacrificio regolare trasformato in una punizione giudiziaria. Una tradizione giudiziaria e una tradizione sacrificale appaiono fianco a fianco nelle narrazioni evangeliche. Ma non c'è nessuna narrazione nelle epistole di San Paolo della messa a morte di Gesù. Come rappresentano la crocifissione di Gesù? Noi non troviamo nulla in quelle epistole se non l'astratta affermazione che Gesù fu crocifisso. La sola indicazione precisa è contenuta nella prima epistola ai Corinti, 2:8, in cui leggiamo che Gesù fu crocifisso dai demoni. In realtà, una crocifissione ad opera dei demoni è la fase intermedia tra la crocifissione puramente rituale dell'antichità e la crocifissione dipinta nei vangeli, ed è ovvio che una crocifissione ad opera dei demoni non può venir assimilata ad un'esecuzione da parte di un'autorità giudiziaria. Per di più, non c'è da trovarsi nelle epistole alcuna descrizione, neppure una sintesi, della crocifissione di Gesù. San Paolo non menziona mai una volta la parola
“Nazaret”, o “Nazareno”, e mentre le epistole menzionano la morte di Gesù esse non sanno nulla della sua vita. La carriera di Gesù è in verità singolarmente assente dall'orizzonte delle epistole. Limitandoci alla morte di Gesù, possiamo affermare definitivamente che le epistole paoline sono silenti per quanto riguarda un arresto, un processo, una condanna penale, e per quanto riguarda la natura giudiziaria del suo venir messo a morte. Esse sono non solo silenti su quelle materie, ma non vi fanno nessuna allusione, comunque distante. Si dovrebbe notare che la letteratura paolina, sebbene occupata con la crocifissione, non si riferisce a Pilato, oppure ai romani, oppure a Caifa, o al Sinedrio, o a Erode, o a Giuda, oppure alle sante donne, o a qualunque persona nella storia evangelica della Passione, e che anche non fa mai alcuna allusione a loro; da ultimo, che essa non menziona assolutamente nessuno degli eventi della Passione, né direttamente né per mezzo di allusioni.
San Paolo parla incessantemente in tutte le pagine delle sue epistole della crocifissione di Gesù, e mai direttamente o indirettamente si riferisce agli attori che recitano le loro parti nel dramma evangelico; mai si riferisce all'intervento degli ebrei o romani; mai per un istante evoca qualcuno degli episodi della Passione. San Paolo sapeva che Gesù fu crocifisso, ma fu totalmente inconsapevole che egli fu arrestato, che egli fu accusato di fronte ad uno o più tribunali, che egli fu condannato, e che la sua morte assunse la forma di un'esecuzione giudiziaria.
Tre proposte sono state fatte, comunque. Innanzitutto, che Gesù fu deriso. Ma se San Paolo dice
“deriso”, egli non dice da chi e non aggiunge “dai soldati del procuratore”. Gli insulti inflitti al dio nel corso della sua Passione sono, in realtà, un aspetto comune trovato in un gran numero di drammi sacri.
In secondo luogo, le epistole dicono che Gesù soffrì. Ma la parola e i suoi derivati impiegati da San Paolo è strettamente il termine tecnico che esprime le
“Passioni” divine. Egli non parla per nulla delle sofferenze che Gesù sopportò, ma della sua “Passione” — precisamente, il sacro dramma. In terzo luogo Gesù fu crocifisso “per la sua debolezza”. In realtà San Paolo insegna che Gesù, avendo rinunciato per il momento alla sua forma come un dio, come dichiarato nell'epistola ai Filippesi, 2:7-8, assunse la forma e la debolezza di un servo, e che noi dobbiamo partecipare della sua debolezza allo scopo di poter risorgere nella gloria con lui.
Quelli sono i punti che, secondo l'argomento degli evemeristi, provano che le epistole rappresentano Gesù come condannato a morte per ordine di Pilato ed giustiziato dai suoi legionari. La controversia è evidentemente assurda.
La conclusione perciò è chiara: non c'è nessuna traccia in San Paolo delle udienze, della condanna, e della esecuzione giudiziaria. Al contrario, noi troviamo dappertutto l'idea di un sacrificio espiatorio, che non solo si incontra ad ogni pagina delle epistole, ma le ispira anche dall'inizio alla fine.
Si obietta che mentre gli evangelisti furono interessati a raccontare gli episodi, San Paolo, essendo un predicatore piuttosto che un narratore, assunse che essi fossero già noti ai suoi lettori. Ma ciò spiega l'assenza di ogni allusione? Neppure una volta San Paolo nel corso di tutte quelle epistole ha l'opportunità di fare un'allusione di passaggio, comunque insignificante, a quei eventi e a quelle persone? Nessun'occasione per menzionare qualcosa circa l'arresto, il processo, i giudici, la folla, il percorso tremendo della croce, il dramma memorabile?
Inoltre, si propone che San Paolo non fosse interessato a quei dettagli, che egli aveva in vista solo Gesù
“secondo lo spirito”, come un essere divino, non Gesù “secondo la carne”, come un uomo.
C'è in questa asserzione una strana confusione di idee. Chiaramente il sacrificio espiatorio realizzato dalla morte di Gesù fu relativo per Paolo alle
“cose dello spirito”. Ma come fa a riguardare lo spirito più degli altri episodi della Passione il fatto che la morte del Redentore assunse la forma di una crocifissione? Se egli non fu interessato in ciò che accadde “secondo la carne”, egli sarebbe stato soddisfatto di proclamare un Gesù sacrificato e avrebbe ignorato la forma che il sacrificio assunse, come egli ignorò il resto; se egli fu interessato alla forma che il sacrificio assunse, egli si sarebbe interessato in modo simile agli episodi importanti della Passione. Se la tragedia della Passione appartiene a cose “secondo la carne”, l'operazione della posa sulla croce vi appartiene non di meno. Se la crocifissione appartiene a “cose dello spirito”, gli altri episodi della tragedia vi appartengono a loro volta. La fede di grandi mistici come San Paolo, San Francesco di Assisi, e Santa Teresa è una fede fantasiosa eminentemente avida di raffigurazioni, e di raffigurazioni davvero concrete. I dettagli materiali della Passione, nel loro orrore fisico, sarebbero il cibo della fede di San Paolo, come lo furono della fede di San Francesco e Santa Teresa. Se San Paolo avesse saputo della tragedia della Passione, egli ne sarebbe stato alimentato. Di questa punizione orripilante egli non seppe. Egli seppe solamente di un rito di sacrificio — di quello soltanto, e nient'altro.
Sarebbe facile mostrare in modo simile che la condanna giudiziaria e l'esecuzione di Gesù sono ignorate non solo dalle epistole di San Paolo, ma anche dall'antica letteratura cristiana tranne i vangeli e parte degli Atti. In particolare il silenzio dell'Apocalisse è lo stesso di quello delle epistole paoline; l'epistola agli Ebrei contiene un'allusione davvero vaga ad una condanna penale. Di conseguenza è chiaro che la tradizione dell'esecuzione giudiziaria era lungi dall'essere imposta anche nel periodo in cui fu scritto il primo vangelo. E, dal momento che l'esecuzione giudiziaria è ignota alle epistole paoline, e la dottrina sacrificale persiste nei vangeli accanto all'esecuzione giudiziaria, segue che la crocifissione di Gesù fu un rito sacrificale che venne trasformato più tardi in un'esecuzione giudiziaria avente il valore di un sacrificio.

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