domenica 14 gennaio 2018

Sull'Antica Storia del Dio Gesù (II) — Un Dio tra gli Dèi?

(continua da qui)

CAPITOLO II

UN DIO TRA GLI DÈI?

Noi ora sappiamo che il rito appare prima e produce il mito, che i miti nascono da riti, non i riti da miti. Allora gli studiosi hanno mostrato con egual certezza che i riti stessi si originano dal credo in poteri misteriosi che influenzano l'umanità. L'uomo credeva al principio in forze vaghe. Secondariamente egli tentò di operare su quelle forze mediante pratiche che noi definiamo “riti”. In un terzo momento egli fu indotto a raffigurare concretamente quelle forze, e a giustificare i riti da lui eseguiti. Queste concezioni le chiamiamo “miti”.
Quest'idea di “poteri” — ciò che in Melanesia si chiama “mana” — fu alla base delle religioni primitive. E in verità quest'idea aveva la sua origine in quella di una mistica parentela, che fu l'idea che dette nascita alla Società. E, come il credo in forze misteriose risiede alla base delle religioni, così la personificazione di quelle forze come dèi fu l'opera adeguata del rito e del mito.
I Riti e il Sacrificio. — I riti sono i fatti tramite cui l'uomo si relaziona ai poteri mistici nei quali crede. Essi sono perciò l'essenza della religione. Originariamente i riti avevano uno scopo davvero definito — quello di assicurare un'esistenza sociale operando in maniera magica sui poteri nei quali l'uomo credeva. E lo stesso fatto di credere di agire su quei poteri nel corso del tempo portò l'uomo a considerarli come entità individuali.
Il rito principale è il sacrificio, un termine che qui è utilizzato nel senso proprio e non simbolico. Il vero sacrificio consiste di solito nell'uccisione rituale di una vittima vivente. La nozione classica del sacrificio come un'offerta agli dèi è posteriore e chiaramente razionalizzata.
Il sacrificio ha il suo significato più pieno quando è quello del dio che è lui stesso la vittima, piuttosto che quello di una vittima al posto del dio. Il sacrificio del dio non è peculiare al cristianesimo, ma è da trovarsi in tutte le pagine della Storia religiosa. Esso era l'elemento vitale nelle religioni primitive, le quali, dopo quasi svanire di fronte alle religioni nazionali dell'antichità, riemersero di nuovo alla luce come religioni misteriche.
La forma più comprensibile del sacrificio del dio è forse il sacrificio della Comunione. Nel mangiare e assimilare il dio, i suoi seguaci si immaginano di assimilare le sue virtù. L'Eucarestia cristiana non possiede nessun altro significato. Si trovano anche nel cristianesimo le forme elementari del sacrificio espiatorio. All'inizio è il sacrificio di Eliminazione, di cui il sacrificio del capro espiatorio è un esempio. I peccati della comunità sono magicamente ricomposti nella persona del dio, nell'uccisione del dio ci si sbarazza dei propri peccati, e il dio ritorna alla vita liberato dai peccati. Qui in una forma barbarica troviamo un'idea profonda che rinnova il legame sociale tra gli uomini. La società, rappresentata dal dio, assume i crimini dei suoi membri, ed è rinvigorita passando attraverso la morte verso una vita rinnovata.
Il sacrificio di Purificazione si trova nell'epistola agli Ebrei. I fedeli sono purificati nel sangue del loro dio. I membri della società sono rigenerati nella vita sociale.
Il sacrificio di Riscatto è quello che gli evangelisti preservano. Il dio è ucciso come un riscatto per i peccati dei suoi seguaci. Esso è posteriore al sacrificio di Eliminazione, ma trattiene la stessa grandezza morale.
La società, personificata dal suo dio, prende il posto dei suoi membri per l'espiazione di giustizia ed è uccisa a loro beneficio.
Coi riti di Eliminazione, di Purificazione, e di Riscatto è frequentemente collegato il rito di Iniziazione. L'iniziato deve ripercorrere il percorso del dio; come il dio muore ed è rinato, l'iniziato muore alla sua vecchia vita e rinasce di nuovo alla nuova. San Paolo nobilitò l'antica idea. Il sacrificio di Gesù diventa il mezzo mediante cui i fedeli muoiono con lui nella carne per risorgere di nuovo con lui alla vita spirituale. Lo stesso battesimo è un rito di Iniziazione. Il sacrificio del dio opera in una maniera comprensibile, quando il dio viene concepito sotto la forma di un animale, dall'uccisione di questo animale, mentre la sua resurrezione è implicata nella continuità della specie.
Ma, quando il dio ha cessato di essere un animale, come è realizzato il sacrificio? Questo ci porta alla questione della sostituzione e del sacro dramma con cui essa è pienamente realizzata, di cui tratteremo più tardi.
Il sacrificio fu in decadenza nel primo secolo dei culti ufficiali, disprezzato dalla società greco-romana, e disprezzato dal Razionalismo degli intellettuali. D'altra parte, le religioni misteriche ricavarono nuova forza da esso. In verità essi riscoprirono la natura essenziale delle religioni primitive, ma, adattandosi a nuove necessità, divennero religioni di salvezza, offrendo una rigenerazione ai fedeli.
Così si sviluppò il cristianesimo; ma alla sua base rimase sempre il Figlio di Dio, egli stesso dio, ucciso come un sacrificio, mentre allo stesso tempo esso preservò il rito preistorico del sacrificio di Comunione.

I Miti. — Il rito crea il dio, e nessun titolo alla divinità può essere più valido scientificamente. Il rito è ritenuto portare in funzione i poteri misteriosi, ma ancora solo questo funzionamento e il metodo per promuoverlo sono compresi, perché non c'è nessuna raffigurazione; quella raffigurazione la forniscono i miti — gli dèi sono nati nei riti e modellati nei miti.
I miti fioriscono dalla legge fondamentale per l'uomo della figurazione — la necessità che ha l'uomo di rappresentare le cose nei termini dei sensi. Lo scopo del mito è spiegare il rito, dare espressione alle sue implicazioni. Ogni mito è il prodotto di una realtà, ma questa realtà non è un evento storico, è una realtà culturale. Se, comunque, il mito è la conseguenza del rito, esso è una conseguenza necessaria, e il mito stesso è formulato pienamente solo essendo incarnato col rito nel dramma sacro.

Il Dramma Sacro. — Si può immaginare il dramma sacro come una cerimonia che unisce i riti e dà loro la forma mitica — precisamente, attorno al sacrificio centrale un numero di osservanze del culto, con canti, danze, processioni, e scene mimiche, sono dispiegate di fronte ai devoti e col loro aiuto.
Di solito al periodo del primo secolo i riti e i miti delle religioni misteriche erano relativi a morti e resurrezioni divine, e il dramma sacro assumeva la forma di
“Passioni”. “Passione” è il termine tecnico che si trova in tutte le religioni misteriche. In aggiunta alla Passione di Gesù, ognuno ha udito della Passione di Osiride, e il compito dei misteri è rinnovare quelle Passioni.
Il dramma sacro è sia rito che mito; le passioni divine non sono mai semplici spettacoli, ma sono un
“ufficio” nel senso liturgico del termine. Il dramma sacro non rappresenta, è esso stesso l'evento. Al pari delle religioni primitive, il cristianesimo e le religioni misteriche non sanno nulla di atti semplicemente commemorativi o simbolici.
Il dramma sacro è costruito attorno ad un sacrificio, il sacrificio espiatorio in cui il dio è posto a morte in mezzo a un numero di cerimonie che esprimono le idee del mito, e il suo scopo è produrre i frutti del sacrificio per il beneficio dei fedeli. Il dramma sacro a sua volta offre un'origine alla leggenda. La leggenda è il mito nella forma di una storia, per esempio la leggenda evangelica è un mito drammatico trasformato in una storia.
Mentre nel primo secolo il sacrificio fu in decadenza e i miti delle religioni ufficiali erano screditati, i miti dell'Oriente avevano ferventi devoti che crearono la rinascita religiosa monopolizzata dal cristianesimo.

La Sostituzione. — La domanda nasce: sotto quali forme il sacrificio del dio poteva essere effettuato nei riti primitivi e nel dramma sacro che si sviluppò a partire da loro? Come abbiamo visto, non sorse alcuna difficoltà in tempi primitivi quando il dio era concepito come un animale. In una fase più tarda, quando il re oppure il sacerdote era il dio, veniva sacrificato il re oppure il sacerdote. Ma quando nel corso del tempo quei re o sacerdoti rifiutarono di sottoporsi a questa spiacevole, anche se onorevole, parte della loro funzione, due soluzioni furono possibili. Una fu di procurare una piccola ferita — nel braccio, ad esempio. Così vediamo che i rappresentanti di Adone, Attis, e Osiride si sottomisero ad una parvenza di sacrificio.
L'altra soluzione equivaleva a costituire come delegato uno dei loro figli, poi qualche terza persona, di solito un uomo condannato, che recitava il loro ruolo ed era ucciso al loro posto. Ma infine il sacrificio umano diventò ripugnante all'umanità e fu sostituito dal sacrificio di un simulacro, in cui un'effigie oppure un animale fu sostituito. A volte veniva utilizzato un oggetto in forma umana oppure animale, come per esempio un covone di grano oppure una pagnotta di pane. Come si possono spiegare queste credenze e pratiche? La spiegazione si deve trovare nel fatto che l'uomo è capace di una comprensione mistica come pure di una comprensione razionale. Il signor Levy Bruhl ha mostrato che la mentalità primitiva fu pre-logica e pre-razionale nel senso che una conoscenza mistica precede una conoscenza razionale o sperimentale. Quest'irrazionale comprensione mistica era di fatto la facoltà supremamente necessaria per l'uomo primitivo nell'assenza di esperienza. È dubbio se l'uomo avrebbe potuto risollevarsi al di sopra della fase di animalità se egli non fosse stato dotato della facoltà di concepire, nell'assenza di esperienza e di controllo, non verità assolute, ma verità che egli considerava come assolute, una dopo l'altra nell'ordine di evoluzione. 
Gli elementi fondamentali delle religioni — il credo in poteri misteriosi che nessun'esperienza ha manifestato, nella realtà di miti che nessun'osservazione ha controllato — sono le necessarie verità primitive che producono una comprensione mistica, grazie a cui l'uomo si è risollevato dall'animalità ed è diventato un animale sociale capace di vivere in società. È infatti una verità assiomatica che la religione fu la forma primitiva della civiltà. In termini sociologici potremo dire che per fede l'uomo teneva come vero ciò che insegnava la società, non tramite una percezione, mediante la luce della ragione, oppure in virtù della sua verità intrinseca, ma per l'autorità della società che lo imponeva.
Senza religione, l'uomo era solo un animale. Come ha detto giustamente Durkheim, “il sacro è il sociale”. È impossibile concepire la nascita della religione se non in età preistoriche, perché nella sua essenza la religione è la prima forma di società, e ogni rinascimento religioso implica un ritorno ad una mentalità primitiva.

Spiritualità. — Potremo definire spirituale ogni cosa concepita da una comprensione mistica come esteriore al mondo fisico, ma in comunicazione con esso. La spiritualità nasce al momento in cui l'uomo crede nell'esistenza di poteri che non sono il prodotto di un'esperienza fisica. Rozza al principio e quasi del tutto magica, essa si svilupperà e raffinerà, man mano che la religione evolve, e, fintantoché la religione rimane la stessa forma di società, non ci sarà nessuna spiritualità oltre a quella religiosa. Come la spiritualità consiste originariamente nel concepire un mondo estraneo al mondo fisico, così ciascuno è ritenuto interagire coll'altro, e questo è l'aspetto che rende le entità spirituali qualcosa di più che vuote finzioni. I poteri soprannaturali che l'uomo concepisce, il rito che egli pratica, e i miti che egli costruisce, esistono e hanno interesse per lui solo nella misura in cui essi agiscono sul mondo fisico e sono attivati da esso.
Le religioni più altamente evolute hanno preservato questa caratteristica. Una spiritualità razionalizzata la continua facendo di cose spirituali la spiegazione di cose fisiche, e, ad una fase davvero recente, l'espressione del loro valore. Sarebbe rozzo tentar di esprimere in un paragrafo la storia della civiltà. È sufficiente al nostro scopo ricordare che essa comincia con un atto di spiritualità che, rozza com'è, nondimeno solleva l'uomo al di sopra del livello umano. Lentamente nasce e si sviluppa una comprensione razionale dal lato di una comprensione mistica, e il suo dominio si accresce.
Man mano che l'evoluzione accelera, la civiltà diventa sempre più materialistica. Nel trionfo del progresso materiale la spiritualità non è più nient'altro che una luce che è oscurata. Nel giorno in cui apparve sulla scena il cristianesimo il mondo era al punto tale dove era necessaria una rivoluzione per liberarlo dall'oppressione del materialismo. Ci si potrebbe chiedere se la società moderna non sia altrettanto matura per una rivoluzione come lo era allora la società greco-romana.
“Il mio regno non è di questo mondo”, disse il Gesù del quarto vangelo. Grandi simboli sono sempre suscettibili di diverse interpretazioni. Il regno di Gesù è considerato generalmente quello dell'aldilà; davvero diverso è il significato che suggerisce la Storia della società umana.
Ad un'epoca rovinata dal progresso materiale la rivoluzione cristiana reca un messaggio e dice: Il regno che io annuncio è uno che il pensiero razionale nè conosce nè controlla; solo una comprensione spirituale aprirà la sua porta; il mio regno è quello dello Spirito; è quello dei santi, dei poeti, dei filosofi, degli artisti, e degli studiosi, che non hanno sacrificato a Mammona.

Gli Atti di Fede. — Alla domanda, Come può l'uomo concepire poteri misteriosi che nessuna esperienza gli ha fatto conoscere, eseguire riti la cui efficacia nulla gli ha indicato, e credere in miti la cui realtà nessuna prova gli ha insegnato, noi abbiamo replicato, perché l'uomo è un animale capace di comprensione mistica. Mediante l'atto di fede egli è in grado di concepire l'esistenza di poteri misteriosi che sono alla base di tutte le religioni, e di personificarli come entità viventi che al presente egli chiamerà dèi.
Quei poteri misteriosi, spiriti, dèi, saranno riconosciuti sotto certe apparenze fisiche; l'azione di quelle entità spirituali e dell'interazione dell'uomo con loro sarà realizzata in atti fisici.
Dobbiamo rischiarare questo chiaramente.
“Dio è uno Spirito”, dice l'ebraismo, e il cristianesimo dichiara interamente spirito. Entrambi man mano che si evolvevano furono spinti a sublimare il loro dio e a privarlo di ogni forma fisica. Nella maggior parte delle altre religioni non fu fatto nessun tentativo del genere, e sarebbe stato inconcepibile nelle religioni primitive.
Che i poteri spirituali esistevano fu il punto di partenza, ma quei poteri erano concepiti da uomini primitivi solo sotto forme fisiche. L'uomo preistorico non possedeva certamente idee astratte, suoi concetti religiosi, spirituali perché essi erano la creazione dello spirito, potevano essere realizzati solo sotto forme fisiche. I riti furono semplicemente il primo sforzo dell'uomo per realizzare fisicamente una concezione spirituale, i miti il secondo; essi sono le realtà fisiche al di sotto delle quali il credente riconosceva realtà spirituali.
La religione fu solo l'agenzia di comunicazione tra il mondo spirituale e il mondo fisico. Il dio è un'entità spirituale che il credente concepisce fisicamente tramite il mito, e col quale attraverso il rito egli entra in una relazione fisica.
Il problema del cristianesimo è accertarsi come, sotto certi riti e miti, i primi cristiani postularono per fede un'entità spirituale. L'atto di fede è in primo luogo quello mediante cui l'uomo concepisce realtà spirituali, e in secondo luogo quello tramite cui al di sotto di realtà fisiche egli riconosce realtà spirituali. L'atto di fede da solo può creare la relazione che il rito stabilisce tra gli uomini che lo praticano e i poteri spirituali. Come la religione è l'agenzia di comunicazione tra un mondo visto e un mondo non visto, così l'atto di fede è l'agenzia di comunicazione tra poteri non visti e l'uomo.
Solo la fede può certificare che nell'uccisione di un animale o di un essere umano si uccide un essere spirituale. Lo stesso vale coi miti; l'atto di fede da solo stabilisce una comunicazione tra il mito e l'essere spirituale. Fisicamente non c'è nient'altro che una rappresentazione; l'atto di fede vede sotto questo scenario la figura del dio, e assume la realtà spirituale del mito, come assume l'efficacia dei riti.
Egualmente necessario è quest'atto di fede nell'unione mitico-rituale che forma il dramma sacro. Per fede gli uomini hanno riconosciuto durante i lunghi secoli i loro dèi sotto le immagini che fecero di loro; e in modo simile essi riconobbero nelle vittime da loro sacrificate le realtà che quelle vittime rappresentavano. Sebbene il principio deriva da ciò che chiamiamo magia, esso è nientemeno alla base della religione. E questa è la dottrina della teologia cattolica come pure della scienza moderna. Come è stato davvero affermato: “Per la fede del credente la vittima sacrificata non rappresenta il dio, è il dio — così noi possiamo esprimere la legge del realismo mistico”. Così al giorno d'oggi, nella boccone di un pane azzimo che è l'ostia, milioni di credenti percepiscono, non figurativamente o simbolicamente ma in realtà, il corpo di Gesù. Il sacrificio per sostituzione è per il fedele, non la rappresentazione, ma la realtà del sacrificio del dio.
Nel dominio della realtà la ragione regna da sola; nel dominio del misticismo l'atto di fede è il solo mezzo tramite cui una società può affermare le verità che la sostengono. L'atto di fede è la chiave che apre il mistero delle origini cristiane. Nella formazione di una religione ogni cosa è religiosa e fiorisce da una comprensione mistica nel reame spirituale. “I miti religiosi sono il prodotto di una fede che riposa on cose religiose, non su fatti”.
Per un fatto religioso è possibile trovare una causa solo nel contesto religioso; questa è la regola primordiale di ogni formazione religiosa. Un rito non possiede nessun fine razionale, un mito non possiede nessun'origine razionale, nessun dramma sacro è nato in qualsiasi altro contesto che non sia quello del misticismo. Che quelle leggi si applicano al cristianesimo, come ad altre religioni, lo possiamo verificare nei fatti di Storia.

Pilastri di Fondazione. — La nostra teoria riguardo la natura del dio Gesù è basata su certi fatti ora ben stabiliti.
Il primo è che i cristiani per diciotto secoli hanno adorato Gesù come un dio. Che Gesù è in realtà il figlio di Dio è un'affermazione che la ragione non può discutere, ma questo credo è un fatto indiscutibile, e la religione che professa questo credo è una realtà che ha durato a lungo.
Come ha detto giustamente Durkheim: “Non esistono false religioni”; tutte le religioni sono vere nella misura in cui esse sono l'espressione dei bisogni dei gruppi che le praticano, ed esse perciò diventano false solamente quando cessano di corrispondere a quei bisogni e cadono in disuso. Ma esiste un momento quando esse sono vere in tutta la vitale giovinezza della loro verità — cioè per dire, quando esse nascono, si sviluppano, e crescono.
A questa fase una religione è interamente vera nel senso che essa reca al mondo una nuova soluzione dei suoi nuovi bisogni. Nessuna religione fu mai più vera del cristianesimo alla fase rivoluzionaria quando modificò l'antico mondo mediterraneo.
Una religione cresce e dura perché è l'espressione di un bisogno sociale; essa decade quando cessa di essere così. Al pari di un'antica famiglia nobile, l'ebraismo, a causa della sua lunga continuità, ha il migliore dei titoli alla nobiltà tra le religioni.
La sociologia nega che una vera religione si può basare su una falsità. La falsità viene più tardi nelle religioni sviluppate quando la politica entra sulla scena; le verità religiose non sono l'opera dei Padri della Chiesa.
In modo simile la sociologia nega che una religione si possa basare su un errore. L'errore entra quando l'uomo razionalizza. E l'obiezione più forte che la sociologia oppone all'evemerismo è che, se Gesù fu creduto un dio e questo credo rimase incrollabile, la divinità di Gesù non poteva essere stata la falsità di trucchi, né poteva essere stata l'errore di santi che commisero l'incomprensibile errore di scambiare uno di loro per un dio. Se Gesù fu e continuò ad essere un dio, è perché egli fu un dio per la società che si espresse in lui, poiché in verità la sociologia è solo la traduzione della teologia in un linguaggio profano.
Dal momento che i cristiani credono che Gesù sia il Figlio di Dio — un dio egli stesso — noi sappiamo di avere qui un'affermazione di fede al di là del controllo della ragione, un'affermazione che dev'essere il punto di partenza sociologico di tutto lo studio di Gesù.
La Chiesa insegna giustamente che il credo dei cristiani è che Gesù è il Figlio di Dio, un dio egli stesso, che fu fatto uomo. La nostra sola preoccupazione consiste nel tradurre questa affermazione teologica nel linguaggio della sociologia e accertare che cos'è un dio, e com'è possibile per un dio diventare un uomo. Se la sociologia è la scienza delle realtà sociali, la realtà riguardo a Gesù è l'adorazione resa a lui. E la realtà è anche che attraverso i secoli Osiride, Giove, Mitra, e molti altri furono, con lo stesso titolo di Gesù, adorati come dèi.
Il nostro secondo pilastro si basa anche su una certezza storica. Il signor Alfred Loisy scrive in
Pagan Mysteries: “Non è il vangelo di Gesù che conquistò il mondo pagano, ma un mistero di salvezza basato sulla morte di Gesù concepita come redentiva”. In altre parole, non fu il compimento della speranza ebraica, neppure fu la moralità dei vangeli, e ancor meno fu una dottrina politica o sociale incorporata in essi. In modo simile scrive il signor Maurice Goguel: “Cosa è fondamentale nel cristianesimo apostolico è una dottrina di redenzione tramite la morte di Cristo. È un culto del Signore Gesù modellato, ad una certa misura, sul tipo dei misteri di redenzione ellenistici”. Il solo Cristo che le prime comunità cercarono di conoscere fu il dio che ha redento. Su questo punto c'è completo accordo tra studiosi indipendenti e studiosi conservatori, sia cattolici che protestanti. La Chiesa Cattolica insegna che l'opera del cristianesimo era portare al mondo una redenzione e una salvezza per i meriti del sacrificio espiatorio che fu la crocifissione di Gesù. Tramite una rivoluzione spirituale, operando nella forma di una redenzione, il cristianesimo rinnovò il mondo a cui recò quel che i teologi definiscono “un'economia di redenzione”.
L'accordo della scienza su questo punto con la dottrina fondamentale della Chiesa è di importanza decisiva. Se lo scopo della sociologia è scoprire nelle affermazioni delle religioni le forme simboliche nelle quali si rivestono bisogni sociali, questo non ha mai avuto una conferma più impressionante che in questo ritorno della scienza al dogma primordiale del cristianesimo. Si mostrerà in seguito come la redenzione è il simbolo al di sotto del quale, nel primo secolo, la società pagana in cerca di una rigenerazione inscriveva le sue necessità rivoluzionarie.
Lungi dal considerare la pratica del Sacrificio di Eliminazione come un'assurdità, la sociologia spiega il significato profondo di simboli religiosi, e da nessuna parte questo è esemplificato più pienamente che nel trionfo del sacrificio della croce. “Un mistero di salvezza”, “un'economia di redenzione”: così il cristianesimo si manifestò. E fu questo messaggio che il mondo greco-romano stava aspettando di ricevere. Così l'immagine di Gesù che il cristianesimo ci presenta è completata. In primo luogo, un dio: in secondo luogo, un dio sacrificato.

Storicità Spirituale. — Applicando al cristianesimo i principi di una formazione religiosa, è necessario illustrare, innanzitutto che il cristianesimo deriva da una antichità remota, secondariamente che la leggenda di Gesù si evolse nella stessa maniera in cui si evolsero tutti i miti, e in ultima istanza che l'origine di questa leggenda, come di tutti i miti, è puramente spirituale. La ricerca moderna spoglia le narrazioni degli evangelisti di ogni ombra di un personaggio storico. Si può mostrare che il Gesù di San Paolo è un dio che prese l'apparenza, e solo l'apparenza, di un uomo durante i pochi giorni che il sacro dramma perdurò. Da qui il problema è, una rassomiglianza di una forma oppure una realtà umana; una rassomiglianza di un uomo oppure un vero uomo; dio oppure uomo.
Assumendo in Gesù una storicità spirituale, si deve mostrare come il mito del dio crocifisso nacque da un rito della crocifissione del dio. Se la carriera di Gesù narrata nei vangeli è una leggenda mitica, che cosa fu l'origine del mito? Ad esser più precisi, dal momento che i cristiani nel primo secolo credettero in un dio che venne sulla terra per essere crocifisso, che cosa fu l'origine di questo credo? Il dio che muore a beneficio dei suoi devoti, il dio sacrificato, e il dio riportato di nuovo alla vita, sono aspetti comuni a parecchie religioni. D'altra parte, la crocifissione come la maniera di questo sacrificio è l'aspetto centrale del cristianesimo, sebbene esso non sia la sola religione il cui dio fu un dio sacrificato; ma la crocifissione è una caratteristica del mito di Gesù.
Da dove derivò la crocifissione? Per scoprire l'origine della leggenda o mito di Gesù si deve scoprire perché i primi cristiani rappresentavano Gesù come crocifisso. La soluzione si può trovare solamente nelle leggi che governano la formazione di una religione. La prima e più universale di quelle leggi è: “I miti religiosi sono il prodotto di una fede che riposa su cose religiose, non su fatti”. Se tutta la formazione religiosa procede da una comprensione mistica, l'idea del dio sacrificato può avere la sua origine solo nel contesto del misticismo. L'errore fondamentale dell'evemerismo è di aver collocato il punto di partenza di una religione in un evento politico.
La seconda legge è quella di Robertson Smith: “Il rito precede il mito”. In altre parole, i riti che troviamo nelle religioni misteriche sono anteriori ai miti, i riti esistevano prima, e i miti vennero in essere più tardi per spiegare i riti. Il mito della crocifissione è la derivazione del rito della crocifissione. I credenti in Gesù lo rappresentarono crocifisso perché essi praticavano il rito della crocifissione del loro dio. Essi non lo crocifissero perché essi lo rappresentarono crocifissero; essi lo rappresentarono crocifisso perché il loro rito fu crocifiggerlo, un rito perenne di sacrificio espiatorio, che aveva la sua base nel sacrificio totemico e il suo completamento nel sacrificio della Messa.
La terza legge — quello del realismo mistico — è la legge per la quale, nella fede del credente, la vittima sacrificata non rappresenta il dio, ma è il dio. Nell'azione fisica la fede riconosce una realtà spirituale. Possiamo così dipingere l'antica religione misterica di Palestina come analoga ad altre religioni misteriche, dove il dio è ucciso come un sacrificio e ritualmente crocifisso, poi rimosso dalla croce e seppellito; da qui il mito di un dio crocifisso raffigurato successivamente in un dramma sacro, in cui, tra canti, formule magiche, danze, e processioni, il dio tramite il suo sostituto è rappresentato come ucciso, crocifisso, rimosso, e interrato.
Nel tempo, man mano che la fede ristagna, il dramma è eseguito meccanicamente. Ma, quando la fede si riaccende, il credente vede il dio ancora una volta sotto l'immagine con la medesima certezza, come più tardi, sotto l'ostia, egli vedrà il corpo del Figlio di Dio in persona, non in un simbolo ma in realtà.
Il mito della crocifissione ha la sua origine in un antico rito di crocifissione. Il cristianesimo derivato da un evento storico, come per esempio una esecuzione giudiziaria, non è una religione. Ma il cristianesimo derivato dal sacrificio espiatorio è una religione nella vera linea di un'evoluzione religiosa.
La concezione evemerista di Gesù è assurda, perché, nel renderlo un uomo sollevato alla divinità, essa fornisce alla grande religione del Cristo un dio che non è un essere spirituale, ma un uomo tra uomini, e così priva la Storia umana della più pura spiritualità che abbia mai conosciuto.
Gesù non è un essere storico; ma egli non è semplicemente un essere mitico — egli è un essere spirituale. La leggenda evangelica non è né la distorsione di un evento politico e neppure un'invenzione dell'intelletto; essa è una traduzione concreta di un fenomeno spirituale. Per diciotto secoli la Chiesa Cristiana ha creduto che il cristianesimo fosse l'opera di un dio che discese dal cielo per redimere colla sua morte i peccati dell'umanità.
Si deve soltanto tradurre questa affermazione di fede nel linguaggio della sociologia per riconoscere la storicità spirituale della Passione, poiché l'argomento della sociologia è solo la forma modernizzata dell'argomento di assenso universale. L'umanità è stata ispirata dal dio fatto uomo, oppure dall'assurdità di un uomo fatto dio?
Il nostro compito è stabilire dai documenti che la morte di Gesù fu originariamente, non un'esecuzione giudiziaria, ma un sacrificio espiatorio praticato ritualmente e periodicamente in un dramma sacro, e noi dobbiamo notare le conseguenze che questa dimostrazione implicherà. Se la morte di Gesù fu rappresentata in origine come una sentenza penale, segue la conclusione che Gesù non fu per i primi cristiani un essere spirituale ma un uomo tra uomini, che fu condannato dai romani o dalle autorità ebraiche per aver predicato, se non una rivolta, almeno un pericoloso messianismo.
D'altra parte, se in origine la morte di Gesù fu presentata come un sacrificio espiatorio, segue la conclusione che Gesù fu per i primi cristiani l'essere spirituale che egli è rimasto per le generazioni che seguirono. I primi apostoli e San Paolo predicarono una dottrina di salvezza basata sul potere mistico del sacrificio espiatorio. I loro successori mezzo secolo più tardi, dopo la rovina dell'ebraismo adattarono a questa dottrina di salvezza le nuove della realizzazione imminente della speranza ebraica.
Durante i primi due-terzi del primo secolo l'ebraismo fu una Chiesa importante come pure un'imponente nazionalità con una capitale famosa, Gerusalemme. Sostituire l'ebraismo fu una chimera che non si sarebbe mai suggerita ai primi cristiani: San Paolo intravide solo la “riforma”, la cristianizzazione dell'ebraismo. Ma nell'anno 70 E.C. Gerusalemme fu presa e distrutta, e con essa caddero lo stato e il tempio ebraici, un evento dall'effetto incalcolabile.
Come risultato ci fu un impero vacante per il cristianesimo da catturare. San Paolo aveva già realizzato che, per rendere accettabile il cristianesimo e rifornirlo dei titoli di cui mancava, il supporto dei testi sacri dell'ebraismo era necessario. Quando, dopo la caduta di Gerusalemme, il cristianesimo cercò di sostituire l'ebraismo esso si dovette presentare come l'erede dell'ebraismo, il
“Nuovo Israele”, e si dovette giudaizzare nella massima misura possibile. L'idea messianica penetrò nel cristianesimo solo dopo il 70 E.C. Come hanno stabilito Wrede e Bultmann, l'idea messianica nel vangelo di Marco fu sovraimposto sulla tradizione primitiva. Così il giudeo-cristianesimo, come ben sapevano i Padri della Chiesa antica, fu cronologicamente una eresia posteriore.
Gli studiosi ammettono che due concezioni di Gesù esistevano nel cristianesimo antico — una pagana ed ellenistica, un Gesù Figlio del Padre, l'altra ebraica, un Gesù l'unto Messia di Israele, come i signori Couchoud e Stahl hanno dimostrato ancora una volta. [
1] Noi collochiamo prima la concezione di un Gesù Figlio del Padre di una religione misterica di Palestina, e ad una fase successiva quella di un Gesù giudaizzato nel Messia di Israele. Si dimentichi al momento il Messia Gesù e ci si volga da lui al dio sacrificato.

NOTE

[1] “Gesù Barabba”, nell'Hibbert Journal, ottobre 1926.

Nessun commento: