venerdì 18 agosto 2017

Cristo: Mito o Realtà ? (VIII)

(continua da qui)

Uno dei Profeti dell'Ebraismo
(secondo Leo Baech, Eduard Meyer e Joel Carmichael)
Siamo stati da tempo abituati a pensare, e perciò a considerare vero, che il cristianesimo è opposto all'ebraismo e Gesù è opposto a tutti i profeti dell'Antico Testamento. È vero, quei profeti sembrano aver predetto l'apparizione di Cristo, ma la considerarono un evento completamente nuovo e straordinario. Tra gli studiosi, Tuttavia, c'è un'opinione secondo cui Gesù è solo uno di una lunga lista di profeti ebrei.

Nel 1966 la rivista tedesca occidentale Spiegel pubblicò una selezione di commenti e osservazioni da parte di religiosi ebrei e figure letterarie che pensano che Gesù appartiene all'ebraismo. [71] Il noto teorico del
Neochassidismo Martin Buber dice che sin dalla sua giovinezza egli ha considerato Gesù come un suo grande e rispettato fratello. Tutti gli altri autori citati nell'articolo di Spiegel dicono lo stesso circa Gesù che di solito è considerato il fondatore del cristianesimo.

Ad esempio, questo è ciò che scrive Leo Baech: “Gesù fu un ebreo in ogni aspetto della sua natura; Un uomo come lui poteva solo crescere sul suolo ebraico, solo là e da nessun'altra parte. Gesù fu veramente ebreo; le sue aspirazioni e azioni, pensieri e sentimenti, detti e silenzi, tutto reca l'impronta di ebraicità, dell'idealismo ebraico,
di tutto ciò che è meglio negli ebrei allora e ora, e in quei giorni solo negli ebrei. Egli fu un ebreo che visse tra ebrei. Nessun altro popolo avrebbe potuto produrre un uomo simile, tra nessun altro popolo egli avrebbe potuto trovare i suoi discepoli”. [72] Spogliato dei sentimenti nazionalisti che pervadono questo passo, ciò che dice è che Gesù fu e rimase un ebreo e di fede ebraica.

Da questo punto di vista Gesù non fu nemmeno l'ultimo dei profeti dell'ebraismo. Lo scrittore Scholom Ben-Chorin considera Gesù il precursore dei fondatori e ideologi del
chassidismo, un movimento religioso degli ebrei che emerse nel 17-esimo secolo in Galizia. “Il posto di Gesù”, egli scrive, “... è tra coloro che esortavano ad una rivoluzione del cuore ed è al fianco di rabbi Israel Baal-Shem e altri grandi leader del chassidismo”. Gesù era nella stessa posizione del figliol prodigo nella famosa parabola da lui pronunciata. “Era lui stesso un figliol prodigo che dopo 2000 anni di vagabondaggio in terre straniere ritornò alla casa di suo padre e al suo popolo ebreo, e l'antico Israele lo chiama”. [73]  In che ruolo lui ritornò oppure dovrebbe ritornare “al suo popolo ebraico”? Non, naturalmente, come Dio o persino il Messia, ma semplicemente come “grande e rispettato fratello”.

Gli ideologi moderni dell'ebraismo separano il “Cristo ebreo” dal cristianesimo. “Il nostro Cristo”, scrive Constantin Brunner, “ha così poco in comune col Cristo del cristianesimo ufficiale come la costellazione dell'Orsa Maggiore ne ha con l'animale dallo stesso nome”. Da qui la richiesta: “Ridateci indietro il nostro Gesù!” [74]

Detto in parole povere, naturalmente, non è una questione di “strappare” Gesù dal cristianesimo,  ma di riportare assieme il più possibile le due religioni. Era ancora il secolo scorso quando il pubblicista ebreo Claude Montefiore esortò alla riunione di ebraismo e cristianesimo e alla “riconciliazione coi vangeli”. Il Nuovo Testamento, in ogni caso i vangeli, disse, dovrebbero essere considerati parte dell'ebraismo, e Cristo  un profeta di Israele. Negli Stati Uniti c'è un istituto il cui scopo è quello di portare più vicini tra loro l'ebraismo e il cristianesimo. Nel 1947 una Società per l'Amicizia Giudeo-Cristiana si istituì nella città svizzera di Selisberg. Il suo fondatore, Jules Issac, conduce una campagna attiva per promuovere l'idea dell'unità di ebraismo e cristianesimo sulla base della tesi che Gesù fu uno dei profeti dell'ebraismo.

Si trova una discussione approfondita di questa idea nell'opera in tre volumi Le Origini del Cristianesimo dello storico tedesco Eduard Meyer. [75] Esaminiamo le sue idee fondamentali sulla questione in esame.

La prospettiva religiosa di Gesù, dice Meyer, non va al di là del quadro delle opinioni dei farisei del suo tempo. L'elemento più importante in esso è una concezione dualistica di un regno di Dio con le sue legioni di angeli e un regno di Satana coi suoi demoni. Satana e i demoni sono costantemente impegnati in intrighi contro gli uomini: entrano nei loro corpi, infliggono malattie su di loro e rivelano la loro presenza nei “posseduti” parlando ad alta voce attraverso le loro labbra. Sia i farisei che Gesù credevano nella vita dopo la morte e nella ricompensa postuma degli uomini con una beatitudine celeste oppure tormenti infernali. Ed entrambi credevano nell'inevitabilità della resurrezione dei morti e nel Giorno del Giudizio. Gesù di solito si riferiva alle profezie dell'Antico  Testamento nei suoi discorsi. Per esempio, lui citava passi dall'Esodo a sostegno della sua dottrina sulla resurrezione dei morti. Insisteva che “tutta la legge” deve essere soddisfatta. Secondo Meyer, la prospettiva di Gesù era radicata nell'ebraismo e non andava al di là di esso. Questo è anche supportato dal modo in cui i vangeli descrivono il suo comportamento, i suoi rapporti con quelli intorno a lui, e il genere di istruzioni che impartì agli apostoli.

Al pari dei profeti dell'Antico Testamento, dice Meyer, Gesù considerava i pagani solo come un'appendice del mondo ebraico. I pagani potevano ricevere la loro parte di benedizione a condizione di credere nell'ebraismo, di fatto, se si fossero convertiti ad esso. Gesù stesso evitava di entrare in contatto non solo coi pagani, ma anche coi samaritani. Quando una donna sirofenicia ricorse a lui per curare sua figlia, egli rispose:
Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini! (Marco 7:27). Questa affermazione è inequivocabile: gli ebrei sono i figli di Dio, mentre il resto degli uomini sono cani. Dal momento che Gesù pensava che la sua missione fosse universale, non aveva dubbi sul fatto che alla fine tutti i popoli, e non solo gli ebrei, si sarebbero raccolti attorno a lui. È vero, i vangeli non dicono che Gesù predicò o intese predicare ai pagani. In realtà egli disse ai suoi apostoli: Non andate tra i pagani e non entrate in nessuna città dei Samaritani, ma andate piuttosto verso le pecore perdute della casa d'Israele.” (Matteo 10:5-6). Gli apostoli violarono questa ingiunzione; realizzando che le loro predicazioni non avevano successo tra gli ebrei, essi concentravano il loro sforzo sull'opera missionaria tra altri popoli. Ma non c'era niente negli insegnamenti di Gesù che avrebbe sanzionato un passo simile. 

Le opinioni di Gesù e le opinioni dei farisei coincidevano solo sulla questione dei dogmi della fede, dice Meyer. Quando si giungeva a parlare di ciò che costituiva “l'essenza interiore della legge e la relazione dell'uomo con Dio fondata su di essa”, Gesù e i farisei si ritrovavano opposti l'uno agli altri. Tuttavia, non era una questione di rifiuto o approvazione della “legge”, ma solo della sua interpretazione più o meno profonda.

Le idee di Myer sono ulteriormente sviluppate e sostenute in gran parte da argomenti nuovi nel libro La Morte di Gesù dell'autore americano J. Carmichael. Il libro apparve nel 1963 e fu subito dopo tradotto in parecchie lingue. [76]

Carmichael richiama l'attenzione sul fatto che in tutti i libri del Nuovo Testamento, in particolare negli Atti degli Apostoli, i seguaci di Gesù si definivano
persistentemente ebrei. La scena in cui l'apostolo Paolo si scontrò coi cristiani di Gerusalemme è significativa a questo proposito. Essi dissero a Paolo: “Vedi, fratello, quante migliaia di credenti ci sono fra i giudei; e tutti sono zelanti nella Legge. E cominciarono a rimproverarlo per aver detto agli ebrei che vivono tra i pagani “... di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le usanze ebraiche.” (Atti 21:20-21). La disputa su questo argomento è diventata piuttosto violenta. Ciò che è importante per noi segnalare qui è che i cristiani rimproverarono Paolo per aver ignorato le leggi dell'ebraismo e Paolo dovette difendere la sua posizione. La generazione che fu istruita da Gesù stesso si convinse ancora più fortemente di possedere legami con l'ebraismo e le sue leggi.

La lotta tra i due campi del cristianesimo primitivo, tra coloro che cercavano di mantenere i loro legami con l'ebraismo (i cristiani petrini) e coloro che li infransero audacemente (i cristiani paolini) è ben nota. Ma Carmichael ha abbastanza ragione nel sottolineare che questo dimostra la natura totalmente ebraica della prima fase del cristianesimo e la natura corrispondente dei discorsi di Gesù.

Carmichael ricava una conclusione simile per quanto riguarda la questione dell'osservanza dei rituali ebraici. Si riferisce al Capitolo 11 degli Atti dove Pietro disse orgogliosamente che
non mi è mai entrato in bocca nulla di impuro o di contaminato” (11:8). Questo è chiaramente un riferimento alle leggi ebraiche che proibivano agli ebrei di mangiare determinati cibi. Ma più avanti nel capitolo si accennò vagamente che i divieti per quanto riguarda il cibo non erano importanti. Ma questo ha a che fare con un periodo successivo dello sviluppo del cristianesimo. Non c'è nessuna traccia di un liberalismo simile nella prima fase di questo sviluppo.

Tuttavia, Carmichael pensa che Gesù fosse critico del cerimonialismo delle 613 leggi ebraiche sulla vita quotidiana della gente. A suo parere, Gesù non considerò l'osservanza di quelle leggi necessaria o sufficiente per entrare nel regno dei cieli. In questa connessione si potrebbero ricordare alcuni dei detti di Gesù, per esempio, che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato, che ciò che contamina un uomo è non ciò che entra nella bocca ma ciò che esce dalla bocca e così via. Gesù differiva dai farisei innanzitutto nel suo approccio liberale all'osservanza degli elaborati riti e rituali ebraici.

A sostegno della sua tesi che i discorsi di Gesù sono di una natura puramente ebraica, Carmichael indica la reazione dei romani a quelle prediche. È ben noto che le autorità romane erano nel complesso piuttosto tolleranti nel loro atteggiamento nei confronti delle fedi religiose diverse dalle proprie e non perseguitavano i seguaci di fedi straniere. Essi erano preoccupati non tanto di questioni religiose quanto di argomenti e movimenti politici. Perché allora dovettero considerare necessario sopprimere Gesù se egli fosse stato solo il fondatore di una nuova religione? Ovviamente, dice Carmichael, perché Gesù rappresentava un pericolo sociale, non religioso, per loro. 

E Gesù poteva rappresentare un pericolo sociale per le autorità romane solo a causa della sua aderenza all'ebraismo, della sua fedeltà ai legami con il popolo ebraico e della sua azione in qualche modo come capo religioso e politico. Carmichael considera Gesù un profeta nel senso antico, uno che fu ispirato da Dio e che esortò il popolo a seguire il cammino di Dio e perciò a prepararsi per il regno dei cieli. Nel frattempo, Cristo in qualche modo si separò dall'elite dominante all'interno dell'ebraismo. Avrebbe tentato di fare affidamento sugli amme haarez, o persone che erano incolte e ignoranti. In altre parole, Cristo fu il leader di un movimento democratico delle masse ebraiche e le invitò a seguirlo in quanto un profeta sulla stessa scia dei profeti dell'Antico Testamento che erano noti a loro almeno per nome.

Carmichael conclude, pertanto, che Gesù venne sulla terra solo per amor di Israele; nel suo tempo non poteva essere stato altrimenti. È solo dopo la sua morte, mentre il cristianesimo si sviluppò ulteriormente, che il movimento perdette la sua natura originaria e i suoi aspetti puramente ebraici furono in qualche modo alterati per ragioni dogmatiche.

Nel dichiarare il suo caso, Carmichael non è libero da pregiudizi nella sua interpretazione e selezione del materiale. È vero che nel complesso una tendenza ebraica predominò nel testo dei vangeli. Gli insegnamenti di Gesù erano rivolti non contro l'ebraismo, ma contro i farisei e gli scribi i quali, secondo i vangeli, fraintesero la legge mosaica. Gesù voleva assicurarsi che questa legge venisse osservata più strettamente. Ma allo stesso tempo ci sono molti indizi che Gesù oppose i propri insegnamenti a quelli dell'Antico Testamento.
Avete inteso che fu detto agli antichi ...”, disse Gesù ai suoi discepoli, mentre citava molti comandamenti mosaici e poi ponendoli contro i suoi propri precetti, esordendo con la frase: “Ma io vi dico ....”. Ad esempio, fu detto Non uccidere”, ma Gesù disse che non ci si dovrebbe neppure adirare con gli altri. Fu detto “Non commettere adulterio”, ma Gesù disse che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. ...”. L'Antico Testamento permise il divorzio, ma Gesù, riferendosi a questo, effettivamente condannò il divorzio. Egli rifiutò anche  un'importante ingiunzione dell'Antico Testamento come “occhio per un occhio edente per dente”; al posto di questa istruzione crudele e netta, Gesù predicò una non-resistenza al male: Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu presentagli anche l'altra. Qui è ovvio che Gesù contrappose il suo stesso insegnamento all'ebraismo dell'Antico Testamento. Carmichael non fa attenzione a questo lato del problema.

Naturalmente si può sempre sostenere che i passi che non corrispondono all'uno o all'altro schema, in questo caso lo schema proposto da Carmichael, sono di un'origine successiva e furono introdotti nel testo dopo che il cristianesimo si separò dall'ebraismo. Ma un'argomentazione simile ha bisogno di essere provata. Carmichael non offre alcuna dimostrazione del genere mentre mantiene un silenzio sui materiali che contraddicono oppure non supportano la sua tesi.
 

L'asserzione di Carmichael secondo cui le autorità romane avrebbero perseguitato Cristo soltanto per motivi sociali e non religiosi non è altrettanto convincente. Secondo i vangeli, Ponzio Pilato era contrario alla messa a morte di Gesù e la accettò solo sotto la pressione della folla incitata dagli anziani; loro erano quelli che attribuivano il massimo significato all'aspetto religioso della questione. D'altro canto, il pericolo sociale e politico per l'Impero romano rappresentato da Gesù sarebbe solo aumentato, e non diminuito, se le richieste politiche dovessero essere sostenute da principi ideologici della nuova religione o almeno delle tendenze riformiste nella vecchia religione.

Carmichael rifiuta anche senza motivi sufficienti la pretesa di Gesù al ruolo del Messia. Noi possiamo trovare molti passi nei vangeli in cui Gesù si pronunciò piuttosto esplicitamente sulla sua missione messianica. Questo in sé stesso non avrebbe posto Gesù al di fuori dei limiti dell'ebraismo. Così, un riconoscimento degli aspetti messianici dell'immagine di Gesù da parte di Carmichael non avrebbe tolto valore alla sua tesi generale.

Tuttavia, sembra chiaro che l'immagine tradizionale evangelica di Gesù Cristo non corrisponde alla concezione di lui come un rabbino ebreo e un profeta la cui missione nel mondo fu di compiere le predizioni dei profeti dell'Antico Testamento e rafforzare i principi religiosi dell'ebraismo che avevano perso per allora una parte della loro vitalità precedente.


NOTE 

[71] Der Spiegel, 1966, Numero 9, pag. 84. 

[72] Ibidem. 

[73] Ibidem. 

[74] Ibidem. 

[75] Eduard Meyer, Ursprung und Anfänge des Christentums, Stuttgart, Vol. 2, 1921, pag. 420-453.

[76] J. Carmichael, The Death of Jesus, Londra, 1963.

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