martedì 1 novembre 2016

Sull'unica ragione della tortura di Gesù ad opera degli “arconti di questo eone”


Willie va incontro alla sua fine. Episodio del film Ghost (1990).

VAMPIRI: Morti che si divertono a succhiare il sangue dei vivi. Gli spiriti forti dubiteranno forse di questa meraviglia, ma aprano gli occhi e vedranno un corpo morto succhiare il sangue del corpo vivente della società. Vedi Monaci, Preti, Clero, ecc.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

«Chi può contare il gran numero di demoni [...] che tentano e tormentano gli uomini ? [...]  Sono come il pulviscolo nell'aria [...] ci ronzano sempre intorno come mosche [...]
il loro numero è noto solo a Dio».
Così, nella seconda metà del Trecento, un predicatore, forse francescano, celebrando la sconfinata grandezza del creato, registrava la diffusa sensazione della concreta ubiqua presenza dei demoni nell'orizzonte cristiano e anzitutto nella vita di ogni giorno. Infiniti e infestanti come mosche — solo Dio può conoscerne il numero — i demoni abitano nell'aria attorno alla terra secondo una tradizione giudeo-cristiana, in aere caliginoso, per tentare e mettere alla prova gli uomini. Dunque, per volere di Dio, nella zona intermedia dell'aria, non «con noi in terra», perchè in tal caso — come annotava Pietro Lombardo — «sarebbero troppo molesti per gli uomini».
[...]
Un numero sterminato di demoni ci sta attorno: «grande è la loro moltitudine nell'aria che ci circonda e non sono lontani da noi», si legge nella Vita di Antonio; era un'esperienza comune dei monaci nel deserto, spazio proprio dei demoni. Qualche decennio dopo la morte di Antonio, Cassiano, che trasferisce in Occidente l'esperienza dei Padri del deserto, ripeterà: «grande è il numero degli spiriti che affolla l'aria fra terra e cielo, ove svolazzano senza star mai fermi né oziosi».

(Tullio Gregory, Principe di questo mondo: Il diavolo in Occidente)
Tuttavia a quelli tra di voi che sono maturi esponiamo una sapienza, però non una sapienza di questo eone né degli arconti di questo eone, i quali stanno per essere annientati; ma esponiamo la sapienza di Dio nel mistero e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria e che nessuno degli arconti di questo eone ha conosciuto. Perchè, se l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma com'è scritto:«Le cose che occhio non vide,
e che orecchio non udì,
e che mai salirono nel cuore dell'uomo
sono quelle che Dio ha preparato
per coloro che lo amano».

(1 Corinzi 2:6-8)


Così scrive il prof Mauro Pesce nella sua recensione positiva del libro Principe di questo mondo. Il Diavolo in Occidente (Laterza, 2014) di Tullio Gregory:
Le storie del cristianesimo normalmente trascurano troppo questo tema per una sorta di autocensura più o meno consapevole che tende a rimuovere dal cristianesimo gli elementi scomodi o per oggi sgradevoli, tema che qui - invece - appare centrale per comprendere la natura di questa religione. Senza Satana non ci sarebbe il cristianesimo.

Per curiosa ironia della sorte, a denunciare lo scarso interesse per Satana nelle “storie del cristianesimo” è proprio un biblista storicista, che lui per primo ignora che il Gesù dei primi cristiani fu creduto crocifisso direttamente da Satana (“l'Arconte dell'Aria” che domina “questo eone” in Efesini 2:2) e dai suoi angeli nella sfera sublunare e non da Ponzio Pilato a Gerusalemme.

 Pesce continua (mia sottolineatura):
La demonologia ellenistica e quella ebraica antica costituiscono uno sfondo mitologico che permea la certezza culturale di intere società. Il cristianesimo non crea queste credenze: eredita semplicemente, e senza alcun atteggiamento critico, questi dati mitologici diffusi. La sua riflessione parte dal dato mitologico accettato come certezza ovvia: il mondo è pieno di esseri diabolici. Il cristianesimo non parte ponendosi astrattamente il problema: “qual è la radice del male?”. Questo sarebbe un modo apologetico, teologico-confessionale, a-storico di comprendere le origini del cristianesimo. I cristiani semplicemente constatano che schiere innumerevoli di esseri intermedi diabolici operano malvagità nel mondo e inseriscono questo dato nella loro religiosità accentuandolo e modulandolo in modi diversificati.

Verissimo. Davvero un ottimo punto. Il più squisito mai sentito finora dal prof Pesce. Ma per completezza, si deve precisare che i più antichi cristiani, con la stessa meccanicità con la quale, a vista di Pesce, hanno constatato “che schiere innumerevoli di esseri intermedi diabolici operano malvagità nel mondo e inseriscono questo dato nella loro religiosità”, così pure hanno imperniato fin dall'inizio il loro minuscolo culto attorno alla venerazione di un arcangelo celeste, ''Gesù Cristo'', esperito unicamente mediante sogni, visioni, rivelazioni, avvistamenti nelle scritture, mai sulla Terra nel passato recente. E come è vero che “il cristianesimo non parte ponendosi astrattamente il problema” del male, così è altrettanto vero che il cristianesimo non prende le mosse dalla necessità di una teodicea a fronte del problema teologico della morte di un ipotetico Gesù storico, visto che l'unico Gesù venerato dai primi cristiani era un arcangelo celeste crocifisso da demoni (si legga 1 Corinzi 2:6-8) e perciò un Gesù mitico sofferente nel territorio più confacente ai suoi carnefici secondo la diffusa concezione del tempo: nella regione sublunare.

E quei demoni non potevano uccidere Gesù servendosi di specifiche marionette umane, dal momento che, come osserva il biblista Dale Allison, nel primo secolo dell'Era Comune “gli angeli, quando si preoccupano del mondo degli uomini, possono riguardare il destino delle nazioni nel loro insieme, ma mai del singolo re, potente o governo” (Constructing Jesus, pag. 276, mia traduzione), una regola generale che è valida anche dopo il primo secolo, sulla base di ciò che lo stesso Pesce scrive:
Gregory poi sottolinea che Satana non offre “la chiave interpretativa” solo per la vita dei singoli, ma anche per quella “dei popoli e delle civiltà” (p. 60). Da qui la demonizzazione del  paganesimo e delle eresie, secondo “una prospettiva storiografica poi sempre ripetuta: Satana  muove le invasioni barbariche, gli Unni, i Longobardi, i Normanni sono suoi popoli, suscita Maometto [...] lo Scisma d’Occidente, la Peste Nera come ogni altro cataclisma sono segni e prova della sua costante presenza” (pp. 61-62).
Alla luce di questa centralità non solo della natura demoniaca dei suoi carnefici, ma anche della natura arcangelica del Gesù dei primi cristiani (che fa da naturale contrasto alla prima), la domanda conclusiva di Pesce si illumina di una luce decisamente più inquietante e compromettente per gli apologeti cristiani che credono — senza mai provarlo veramente — nel dogma della storicità di Gesù:
Ma il libro di Gregory può aprire a mio avviso anche una questione culturale generale. Può il cristianesimo sussistere se è depurato radicalmente dalla credenza nell’esistenza di esseri intermedi angelici e demoniaci? Si può produrre una fede e una teologia cristiana che prescinda totalmente dalla funzione sistemica dell’angelologia e della demonologia? Oppure il cristianesimo è necessariamente una reificazione delle credenze mitologiche negli esseri intermedi? O al contrario, è possibile che una nuova teologia cristiana sussista come demitizzazione di una credenza arcaica?

A moi avviso, se il cristianesimo non è soltanto “una reificazione delle credenze mitologiche negli esseri intermedi” demoniaci, ma anche una reificazione della stessa credenza mitologica nell'essere intermedio arcangelico per eccellenza,
Gesù Cristo”una credenza testimoniata dallo stesso Filone di Alessandria — allora non c'è più spazio per “una nuova teologia cristiana” che “sussista come demitizzazione di una credenza arcaica”, a maggior ragione se al termine di ogni possibile “demittizzazione” ciò che si trova è nient'affatto un saldo nucleo storico circa il leggendario “Gesù di Nazaret”, bensì solo il puro mito di un arcangelo ebraico che muore e risorge, al pari di tutti gli dèi morenti e risorgenti trovati presso i Misteri ellenistici, di cui il cristianesimo primitivo costituisce la mera versione ebraica.

 
Le parole dell'antropologo James G. Frazer (1854-1941) colpiscono nel segno, per come catturano la pura evidenza:
 Sotto i nomi di Osiride, Tammuz, Adone e Attis, le popolazioni dell'Egitto e dell'Asia occidentale adombravano il declino e la rinascita annuale della vita, specialmente della vita vegetale che essi personificavano in un dio che ogni anno moriva e resuscitava. Nel nome e nei dettagli, i riti variavano da paese a paese; ma, in sostanza, erano gli stessi. La presunta morte e resurrezione di questa divinità orientale, di un dio dai molti nomi ma, essenzialmente, di una sola natura, è simbolizzata dal mito di Tammuz, o Adone...
(Frazer, Il ramo d'oro, pag. 372)

Se l'azione dei demoni è così intimamente collegata alla morte di Gesù da figurare loro stessi come suoi carnefici nel mito cristiano più antico, non si possono rintracciarne le origini debitamente omettendo i riferimenti ai demoni dal discorso, come giustamente denuncia Pesce (seppure per le ragioni esposte da Gregory, ma almeno è già un passo avanti per un apologeta cristiano come Pesce), ma così pure non è possibile trascurare il fatto auto-evidente che Gesù fu un angelo per i primi cristiani fin dall'ora Zero del cristianesimo.

Ma la morte di Gesù non si riduceva ad una mera crocifissione. Predeveva anche qualcos'altro.

La crudeltà del supplizio di Gesù è un fatto accertato. Non perchè lo proverebbero i vangeli, ovviamente, ma perchè lo testimonia indirettamente Paolo l'Apostolo. 

L'informazione in questione è ricavata dal biblista (e folle apologeta cristiano) Dale Allison:
... 2 Corinzi 4: 8-10: “Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù può essere resa visibile nei nostri corpi.” La frase “portando sempre nel nostro corpo la morte di Gesù” è sorprendentemente simile alla fine di Galati 6:17:
2 Corinzi 4:10 τὴν  νέκρωσιν  τοῦ  Ἰησοῦ  ἐν  τῷ  σώματι  περιφέροντες
Galati 6:17   τὰ  στίγματα  τοῦ  Ἰησοῦ  ἐν  τῷ  σώματί  μου  βαστάζω. 
In entrambi i passi, Paolo è come il suo Signore; e se in 2 Corinzi 4:10 la frase τὴν  νέκρωσιν  τοῦ  Ἰησοῦ presuppone che Gesù è morto, non è naturale ritenere che in Galati 6:17, la frase τὰ  στίγματα  τοῦ  Ἰησοῦ  presuppone che riportava ferite sul suo corpo ?
Tutto questo non vuol dire che Paolo immaginò che le sue cicatrici corrispondessero alle lesioni sul corpo martoriato di Gesù, come se l'apostolo fosse uno stigmatizzato come Francesco d'Assisi. Tuttavia, Galati 6:17 sembra presupporre l'identificazione fisica di Paolo con le ferite della crocifissione di Gesù. Ancora una volta, quindi, si può dedurre che Gesù non fu semplicemente appeso con corde e lasciato morire. I suoi carnefici piuttosto lo torturarono, facendolo sanguinare e lacerando il suo corpo.

(Dale Allison, Constructing Jesus, pag. 275, mia traduzione e mia enfasi)

Paolo non spiega da nessuna parte perchè Gesù fu seviziato così tanto e così a lungo prima di morire. Questo silenzio non solo sulle cause della crocifissione di Gesù, ma anche sul perchè Gesù fu torturato così crudelmente (piuttosto che semplicemente lasciato agonizzare sulla croce) sarebbe l'ennesima sorpresa (in termini bayesiani: un'improbabilità) che aspetta chi vorrebbe invece trovare tracce di un ipotetico Gesù storico nelle epistole di Paolo. Ma quella sorpresa diventa di tutt'altro genere quando si apprende che l'atroce supplizio attende inevitabilmente tutti gli dèi che muoiono e risorgono. E il Gesù dei primi cristiani non fa affatto eccezione, essendo anche lui la mera versione ebraica di una deità che muore e risorge.

Non sono soltanto la morte e la resurrezione i tratti tipici degli dèi che muoiono e risorgono. Ma ad essere precisi anche lo straziante supplizio che precede la morte.

Il dio che muore e risorge Adone doveva soffrire crudelmente:
I fedeli credevano che ogni anno Adone fosse ferito a morte sulle montagne, e che ogni anno il volto stesso della natura si tingesse del suo sacro sangue. Così, anno dopo anno, le fanciulle siriane ne piangevano la crudele e prematura morte mentre il suo fiore, l'anemone scarlatto, sbocciava fra i cedri del Libano, e il fiume scorreva rosseggiante verso il mare, bordando le sinuose sponde dell'azzurro Mediterraneo con una serpeggiante fascia scarlatta ogniqualvolta il vento soffiava verso terra.
(Frazer, Il ramo d'oro, pag. 378)
Il dio che muore e risorge Attis doveva soffrire crudelmente:
Sulla morte di Attis circolavano due versioni differenti. Secondo una, era stato ucciso da un cinghiale, come Adone. Secondo l'altra, si era evirato con le sue stesse mani, sotto un pino, ed era morto dissanguato. Questa seconda versione pare fosse narrata dagli abitanti di Pessinunte, città dove fioriva il culto di Cibele; e tutta la leggenda di cui questo racconto fa parte, è improntata ad una rozzezza e una ferocia che rivelano le sue origini arcaiche.
(Frazer, Il ramo d'oro, pag. 386)
Il dio che muore e risorge Osiride doveva soffrire crudelmente:
Dopo avere furtivamente misurato il corpo di Osiride, il malvagio fratello fece costruire un forziere della stessa misura, riccamente decorato e una volta, mentre tutti erano riuniti a bere in allegria, lo portò nella sala del banchetto e promise scherzosamente di farne dono a colui al quale si adattasse perfettamente. Uno dopo l'altro, tutti provarono a entrarci, ma il forziere non si adattava a nessuno di loro. Per ultimo provò Osiride, che si distese all'interno. A quel punto, i congiurati richiusero il coperchio, lo inchiodarono, lo saldarono con del piombo fuso, e gettarono il forziere nel Nilo.
(Frazer, Il ramo d'oro, pag. 415)
Il dio che muore e risorge Dioniso doveva soffrire crudelmente:
Come altre divinità della vegetazione anche Dioniso, secondo la leggenda, morì di morte violenta per poi rinascere; e nei sacri riti se ne rappresentavano appunto le sofferenze, la morte e la resurrezione. Così il poeta Nonno ci narra la sua tragica storia. Zeus, in forma di serpente, sedusse Persefone che gli partorì un neonato bicorne, Zagreo, cioè Dioniso. Appena venuto alla luce, il bimbo si arrampicò sul trono di suo padre Zeus mettendosi a imitare il grande dio, brandendo la folgore nelle manine. Ma non ci restò a lungo; i perfidi Titani con le facce imbiancate col gesso, lo assalirono con dei coltelli mentre si stava guardando allo specchio. Per un po', Dioniso riuscì a sfuggire ai loro attacchi trasformandosi in vario modo, assumendo via via le sembianze di Zeus, di Cronos, di un giovane, un leone, un cavallo e un serpente. Alla fine, quando si era trasformato in toro, i suoi nemici lo fecero a pezzi con i coltelli.
(Frazer, Il ramo d'oro, pag. 442)
E perfino il dio Mitra, che non muore, è solo apparentemente un'eccezione alla regola generale. Infatti anche lui doveva soffrire nella sua titanica vittoria sul toro:
Abbiamo già visto come, spesso, si pensi che il potere dello spirito del grano, incarnato a volte in spoglie zoomorfe, risieda nella coda e come, talvolta, si consideri coda dello spirito l'ultima manciata di spighe. Nella religione mitraica, questa concezione è graficamente espressa in alcune delle varie sculture raffiguranti Mitra che, inginocchiato sulla groppa di un toro, gli trafigge il fianco con una lama; su alcune di queste sculture, infatti, la coda del toro termina in tre spighe di grano e, in una in particolare, dalla ferita inferta col coltello anzichè sangue sgorgano spighe. Questa iconografia suggerisce, fuor da ogni dubbio, che il toro, la cui immolazione era uno degli aspetti principali del rituale mitraico, era concepito, almeno in una particolare raffigurazione, come incarnazione dello spirito del grano.
(Frazer, Il ramo d'oro, pag. 528)
Non sarà una coincidenza che il fustigatore è il cattivo del film?
La morte di Gesù non fu e non poteva essere la morte di un qualunque individuo crocifisso dai romani. I romani crocifiggevano un sacco di gente, è vero, ma assai raramente avrebbero perso così tanto tempo nel torturarle. La biblista Justin J Meggitt ha scritto addirittura un libro, The Madness of King Jesus: The Real Reasons for His Execution, dove si affanna a ''dimostrare'' — vangeli alla mano (sic!) — che i romani furono particolarmente sadici con Gesù perchè lo ritenevano solo un folle e povero illuso. E i folli, si sa, si prestano bene al divertimento dei militari. Ma Paolo dice che la predicazione del “Cristo crocifisso” gli attirò l'accusa di follia da parte pagana, e non che Cristo fu torturato perchè ritenuto dai pagani un folle. Nonostante l'errore di aver invertito la corretta implicazione logica, tuttavia Meggitt almeno ha il merito, tra i biblisti, di aver sollevato il problema. Fin troppo spesso infatti si è trattato la tortura di Gesù come mero dettaglio marginale della sua crocifissione, trascurando che si tratta in realtà di due cose distinte ancorchè strettamente collegate. Se Paolo credeva che Gesù fu torturato allora egli sarebbe stato obbligato a dare una spiegazione del perchè così tanto feroce accanimento sulla vittima da parte dei suoi carnefici.

Sotto il paradigma storicista, Paolo manca del tutto di dare una spiegazione della feroce tortura subìta da Gesù. Eppure, insisto, egli DOVEVA quella spiegazione. Perchè la tortura costituisce per definizione un male deliberatamente gratuito che il carnefice sottopone alla vittima. E come male gratuito, presuppone la totale, diretta autonomia del carnefice nella sua applicazione. E come libera azione, presuppone un perchè. Se una lettura storicista di Paolo può sempre immaginarsi forze demoniache che sfruttano gli innocenti e inconsapevoli romani nel crocifiggere un ipotetico Gesù storico sulla terra, la stessa lettura storicista non può giustificare l'azione di demoni dietro la scena di torturatori romani di Gesù, o almeno non può farlo senza giustificare anche la libera complicità nel male degli stessi torturatori romani. In altre parole, se ritieni che il credo di Paolo fu che i romani crocifissero Gesù perchè mere marionette innocenti nelle mani dei veri colpevoli demoniaci, non puoi più ritenere quelle “marionette” innocenti nella misura in cui il credo di Paolo fu anche che i carnefici di Gesù avevano infierito sadicamente e ferocemente su di lui. Se i romani stavano eseguendo senza saperlo la volontà dei demoniaci “arconti di questo eone”, allora loro erano completamente innocenti della morte di Gesù. Ma se i romani stavano anche torturando Gesù, allora difficilmente loro erano ignare marionette dei demoniaci “arconti di questo eone”, dal momento che la decisione di torturare Gesù non poteva essere imputata a presunti demoni dietro le quinte, ma solo a loro, perchè la tortura presuppone la libertà del torturatore nel compiere il male.  E come ogni atto di libertà, presuppone un perchè. Deve presupporre un perchè.

E Paolo difatti rispose a quell'interrogativo. Non poteva non dare una risposta.

Chi crocifisse Gesù erano demoni. E i demoni, si sa, sono cattivi per natura. Perciò è naturale che avrebbero infierito crudelmente e malignamente sulla loro vittima, una volta avuta la possibilità di tendergli un agguato mortale nel loro stesso territorio.

Solo i demoni, per la loro cattiveria, potevano essere i malvagi “arconti di questo eone” che “crocifissero il Signore della gloria”.

La tortura di Gesù, come fatto distinto dalla crocifissione e come dedotta dalle epistole autentiche di Paolo — ossia senza alcuna apparente giustificazione e/o denuncia da parte dell'Apostolo che non sia nella sua brutale ostentazione pura e semplice — è evidenza assai più attesa sotto l'ipotesi mitica, mentre appare del tutto incomprensibile sotto l'ipotesi storicista.


Ancora una volta, sotto il paradigma miticista, le epistole di Paolo risolvono da sole ogni possibile enigma sollevato dalla morte di Gesù. Il Cristo fu torturato crudelmente per un motivo: per la natura completamente maligna dei suoi carnefici. E sulla terra non esistono esseri tanto diabolici e malvagi da dover torturare qualcuno senza dover indurre la necessità di una giustificazione o di una denuncia morale da parte di chi quel qualcuno lo amava con tutto sè stesso, con tutta l'anima, con tutto il cuore.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma secondo lei per quale motivo tra le fila del clero ci sono e ci sono state persone molto colte,tipo laureate in filosofia che credono ancora a questa stronzata chiamata cristianesimo?

Giuseppe Ferri ha detto...

Per i cristiani contemporanei, ti ha già risposto ottimamente al mio posto un consigliere di Hillary Clinton, nel contenuto di una delle sue mail segrete svelate da Wikileaks al grande pubblico:

“Si riempiono la bocca col pensiero tomista e col principio di sussidiarietà, dandosi un’aria sofisticata perché nessuno sa di cosa cavolo stiano parlando”.


Ma tu mi chiedi dei cristiani del passato, per cui la mia risposta dev'essere un'altra.

Da quando Cartesio aveva applicato il suo principio (De omnibus dubitandum: “si deve dubitare di tutto”) a tutto il reale, l'Occidente ha distrutto uno dopo l'altro tutti i suoi miti. La reazione cristiana, di fronte alla burrasca della Modernità, è stata una variante, tanto per cambiare, del tipico approccio cristiano di fronte alle minacce esterne: il vittimismo (già Paolo diceva: quando sono debole, è allora che sono forte). Una manifestazione filosofica del vittimismo cristiano è il pensiero di Blaise Pascal (di cui Kierkegaard costituisce una più moderna versione) e si riassumerebbe praticamente in un mito cristiano tutto moderno fatto passare per banale verità tra le masse: solo la storicità di Gesù è davvero essenziale.

Tradotto: la Modernità può rifilarmi brutti scherzi, cancellando drammaticamente i miei dogmi e le mie certezze uno dopo l'altro, però fintantochè Gesù esistette, io sono certo che esiste la possibilità, e “dunque” la probabilità, che egli è il Figlio di Dio incarnato.

Il miticismo, lo sforzo intellettuale di dimostrare dati alla mano che Gesù non è esistito nel passato reale, non ci sarebbe stato nella sua virulenza anticlericale se il cristianesimo moderno non si fosse arroccato dogmaticamente dietro il dogma della storicità di Gesù per poter ventilare ancora tra le masse secolarizzate, come una romantica Spada di Damocle, la possibilità (che agli occhi del facilmente impressionabile sfuma rapidamente nella “probabilità”) che Dio in persona sia sceso sulla terra.

Eppure, da un punto di vista strettamente ateo e scientifico, perfino la più demenziale e strampallata delle teorie miticiste (che so, l'ipotesi che Gesù fu inventato dai romani), ha maggiori probabilità di essere vera che non l'idea che Gesù esistette e fu realmente il Figlio di Dio. Ecco perchè lo scopo dei miticisti è convincere seriamente non tanto i cristiani della non-esistenza di Gesù, ma gli atei stessi. Così da privare i credenti dei loro finora più utili ignari collaboratori: atei che concedano loro gratuitamente l'ipotesi del tutto ingiustificata che ci sia stato sulla terra un Gesù storico.

E là si vede la debolezza intrinseca del cristianesimo: mentre è impossibile convincere un superstizioso Montezuma che Hernàn Cortés non fu affatto l'incarnazione di Quetzalcòatl (perchè l'azteco vide chiaramente di fronte a sè un uomo dalla lunga barba e non poteva non essere, ai suoi occhi, Quetzalcòatl in persona!), è possibilissimo invece convincere una gran fetta di cristiani a rinunciare di esserlo perchè la loro fede è radicata nella finzione di una leggenda chiamata “Gesù di Nazaret”: è sufficiente che gli atei si rifiutino di vedere un uomo dove loro pretendono di vedere un dio, proprio come un attimo prima si sono rifiutati di vedere un dio dove loro pretendevano di vedere un uomo.