mercoledì 5 ottobre 2016

Sui frammenti dell'opera «Contro i Cristiani» di Porfirio

OCCHI: Organi assolutamente inutili a ogni buon cristiano che deve chiuderli per camminare in modo più sicuro sulla strada della salvezza o anche strapparli quando il clero dà motivo di scandalo.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Nell'ora in cui L'Uomo di Sion
    morì sulla croce per amore —
    Nel momento in cui la sua fronte si distese nella morte,
    e la sua anima venne meno;
    Quando il suo sangue benedetto gocciò in basso,
    e i suoi occhi regali guardarono in alto verso il trono, —
    Fu allora che morì Pan.


Elisabeth Barrett Browning, The Dead Pan, vv. 183-189

A metà tra il 200 e 300 Era Comune, il pagano Porfirio pubblica, in 15 libri, Contro i Cristiani, un testo radicale contro il cristianesimo. Un testo che però ci è pervenuto solo in frammenti, a causa dell'innata bastardaggine dei cristiani nemici di Porfirio.

Stimato dall'imperatore Giuliano l'Apostata (che infatti riprende i suoi argomenti), per ridicolizzare la setta cristiana e le sue stravaganti superstizioni Porfirio mescola umorismo e ragione, ironia e analisi, carica polemica e decostruzione critica, suonando a tratti come precursore del miglior Voltaire. Porfirio non fu mai un miticista per la semplice ragione che, in quanto pagano, non poteva essere un sincero miticista: farlo sarebbe equivalso a legittimare il cristianesimo, lo stesso cristianesimo che pretendeva, perfino nella sua versione originaria miticista, la distruzione di tutti gli idoli pagani. A differenza di oggi, allora essere miticisti da parte pagana equivaleva a credere veramente nella “realtà” di un angelo invisibile mai sceso sulla Terra di nome Gesù. In altre parole: equivaleva a essere miticisti cristiani (come lo è oggi l'accademico e prete cattolico Thomas L. Brodie). I miticisti odierni non hanno più quella necessità: io per essere un miticista non ho bisogno di credere che l'angelo Gesù sia stato veramente crocifisso dai demoni nella sfera sublunare, ma solo di ritenere che quello fosse più probabilmente il sincero credo di Paolo e degli apostoli prima di lui. Un ateo del passato (un epicureo, magari) avrebbe di certo potuto impugnare l'arma del miticismo contro i cristiani, così come contro tutti gli dèi pagani (ed è facile immaginare perchè i cristiani non preservarono mai nessuna traccia delle loro polemiche con gli atei loro contemporanei). Ma poteva il pagano Porfirio (o il pagano Celso, per quella materia) credere non alla storicità di Gesù ma solo alla deità di Gesù, se perfino quando inteso come angelo interamente mitologico quel Gesù imponeva la distruzione di tutti gli dèi pagani nei quali credeva lo stesso Porfirio? È chiaro che qui la tolleranza per la quale un Gesù mitico poteva essere fatto entrare nel Pantheon pagano è distrutta nell'attimo stesso del suo eventuale ingresso in quel Pantheon, essenzialmente per colpa dello sciagurato monoteismo giudaico-cristiano che accompagnava come imprescindibile corollario il credo in quell'angelo.

Questo ci conduce ad una visione davvero pessimistica del fato del paganesimo antico, una volta che si affacciò sulla scena della Diaspora ebraica un minuscolo culto misterico che ruotava attorno a visioni e rivelazioni dell'angelo Gesù (mai sceso sulla Terra).

I pagani potevano accettare davvero positivamente un Gesù mitologico e aggiungerlo al loro Pantheon, ma erano seriamente impediti a farlo dal fatto stesso che perfino un Gesù mitologico, per poter essere accettato, richiedeva come “conditio sine qua non” la distruzione di tutti gli idoli pagani. Tollerare un Gesù mitologico era equivalente a negare la stessa tolleranza per la quale poteva essere accettato in primo luogo un Gesù mitologico nel Pantheon pagano: una contraddizione in termini. Porfirio nella morale cristiana non ravvisa nessuna originalità e riconosce come, anche in questo caso, i seguaci di Cristo si accontentino di riattivare il vecchio sottofondo morale pagano. Porfirio constata l'antisocialità di questa religione, che rappresenta un fermento di decomposizione dell'impero romano, e ritiene che la stessa, in caso di trionfo, conferirebbe i pieni poteri a una nuova barbarie (cosa che di fatto poi accadde). Porfirio argomenta affidandosi a categorie appartenenti alla filosofia ellenica, che oppone alle superstizioni e agli atti di fede che le storielle evangeliche obbligano ad abbracciare a discapito della ragione, se prese letteralmente. Infatti il cuore del suo formidabile attacco al cristianesimo è che il vangelo è irrimediabilmente falso se interpretato alla lettera. Questa logica di Porfirio lo avrebbe portato molto da vicino a riscattare la verità del vangelo a condizione di interpretarlo come mera allegoria di un Gesù interamente mitologico ma il pagano Porfirio non poteva fare quell'ulteriore passo, di salvare il (falso) Gesù evangelico come allegoria del (vero) Gesù puro mito, perchè il nemico di Porfirio era anche il Gesù puro mito (se ne avesse contemplato l'idea o meno): il cristianesimo, sia nella sua forma miticista che in quella storicista, si poneva inevitabilmente in rotta di collisione colla tolleranza tipica del mondo pagano. Il cristianesimo poteva solo perire, se avesse optato di convivere col paganesimo. E il paganesimo non poteva convivere col cristianesimo, neppure col cristianesimo miticista, senza avvertirne la seria minaccia al suo politeismo.

Fin dal principio, i Pagani non disponevano di altra scelta che non fosse quella di combattere contro il mitologico “deus” Gesù che voleva distruggere i loro dèi mitologici.

E il modo migliore per distruggere un dio è ridurlo ad un mero uomo.

Questo è il motivo per cui il pagano Porfirio doveva ridurre Gesù ad un semplice mortale, nonostante l'essere stato tra i primi a intuire quanto la finzione del Gesù evangelico possa eccitare e cristallizzare lo zelo dei suoi affiliati.

Ma rendendo assai più facile il processo di evemerizzazione di un Gesù mitico, i Pagani non rimossero la fondamentale minaccia posta dai cristiani alla loro esistenza: bastò poco perchè il concetto di un Gesù “storico” fosse ritorto dai cristiani contro gli stessi Pagani, con gli effetti che noi tutti sappiamo.

La nascita del cristianesimo segnò veramente la fine del Paganesimo.

Perciò io trovo davvero assurda l'asserzione del demente imbecille di turno che il mito di Gesù Cristo fu un mito pagano: al di là di una innegabile influenza ellenistica infatti, era un mito ebraico, e trionfò sul paganesimo in quanto mito ebraico.

Ripropongo in Appendice, senza alcuna pretesa di essere esaustivo, alcuni frammenti del Contro i Cristiani del grande Porfirio.



APPENDICE
Porfirio
CONTRO I CRISTIANI


«Se nessuna persona che compie tali opere non era, non è e non sarà mai un semplice uomo, come potete non ammirare l'Unigenito figlio di Dio, ma blaterate che era un semplice uomo che possedeva dei fratelli?».
(Macario, Apocritico, II, 8)
                      
«Che utilità avevano i più di ascoltare questo detto (“o generazione incredula, fino a quando starò con voi?”), se Gesù aveva condannato una sola persona che si era anche sbagliata sulla causa della malattia del figlio (infatti non era la luna a far soffrire il figlio ma un demone)? Infatti a causa di costui, quando il padre in modo compassionevole si gettò in ginocchio a causa di suo figlio, Gesù gridò in tono accusatorio, rivolgendosi non solo al padre, ma anche alle folle. Non era meglio allora accogliere di buon grado la preghiera, visto che era stata fatta con compassione nei confronti di una persona ammalata? E invece manda alla malora la preghiera dei supplici; è evidente quindi che Cristo senza ragione maltratta la folla».
(Macario, Apocritico,  II, 10)

«Sia assolutamente chiaro quanto da noi esposto, e anche questa discussione abbia fine; e se c'è un altro passo dei vangeli più imbarazzante, fallo conoscere in modo che sia udito chiaramente».
(Macario, Apocritico,  II, 11)

«Gli evangelisti furono inventori non i reali conoscitori dei fatti che concernevano Gesù; ognuno di loro infatti scrisse il racconto sulla passione non in modo concorde, ma in modo assolutamente differente: uno infatti racconta che al crocifisso venne data una spugna piena di aceto. [...] questo è Marco. L'altro invece dice: “giunti su un luogo chiamato Golgota, gli diedero da bere del vino mischiato con fiele; e assaggiatolo non volle bere”; e poco dopo: “e verso l'ora nona Gesù gridò a gran voce dicendo: Eloìm, Eloìm, lemà sabactanì, cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” E quest'altro è Matteo.  Un altro dice: “c'era un vaso pieno d'aceto; quindi avendo legato il vaso pieno d'aceto ad una canna d'issopo, glielo portarono alla sua bocca; quando dunque Gesù prese l'aceto disse: tutto è compiuto. E chinato il capo, rese lo spirito”. E questo è Giovanni. Un altro dice: “e gridando a gran voce disse: Padre nelle tue mani rimetto il mio spirito”. Questo si trova in Luca. Da tale racconto debole e discordante si comprende che non c'è un solo crocifisso ma molti: infatti se uno dice “nelle tue mani rimetto il mio spirito”, e l'altro dice: “tutto è compiuto”, e l'altro ancora: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” E l'altro: “Oh Dio, Dio mio perché mi hai oltraggiato?” È chiaro che la stessa invenzione è discordante; oppure che si riferisce a molti crocifissi, oppure che si riferisce ad un'unica persona morta tra gli spasimi ma che non ha mostrato in modo chiaro ai presenti la sua passione. Se quindi non hanno potuto indicare in modo veritiero il modo della morte di Gesù, essi hanno fatto soltanto una vana cantilena, e non sono stati chiari nemmeno sul resto».
(Macario, Apocritico, II, 12)

«Che essi abbiano preso di mira tutti i fatti concernenti la sua fine, è dimostrato da un altro capitolo: scrive infatti Giovanni: “Avvicinatisi a Gesù, quando lo videro già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno dei soldati con la lancia gli trafisse il costato; e subito uscì sangue e acqua”. Ma questo lo ha detto solo Giovanni, degli altri nessuno lo ha detto: perciò egli prende sé stesso come testimone dicendo: “e chi ha visto lo ha testimoniato, e la sua testimonianza è vera”. A me dunque sembra che questa sia l'espressione tipica di uno sciocco. Infatti come può essere vera la testimonianza di colui che non era presente al fatto di cui si tratta? Infatti chi testimonia lo fa su ciò che si verifica; ma su ciò che non si verifica come si potrebbe rendere testimonianza?».
(Macario, Apocritico, II, 13)
 
«E c'è un altro argomento che può confutare questa falsa opinione, quello che riguarda la sua resurrezione che è notissima dappertutto. Per quale motivo Gesù, dopo la sua passione, come dite, e la resurrezione, non apparve a Pilato che lo aveva condannato pur dicendo che non era giusto condannarlo a morte o a Erode, re dei Giudei, o al sommo sacerdote della fratria giudaica, o a molti contemporanei degni anche di fiducia e soprattutto al Senato e al popolo di Roma, affinchè essi, stupiti dei suoi miracoli, non condannassero a morte di comune accordo come empi i suoi credenti? Invece egli appare a Maria Maddalena donna del volgo, proveniente da un borgo molto povero e che una volta era stata posseduta da sette demoni, e insieme a quella appare anche ad un'altra Maria, una donnicciola proveniente dallo stesso sconosciutissimo borgo, e a poche altre persone non certamente distinte, sebbene, secondo quanto dice Matteo, Gesù aveva precisamente dichiarato al sommo sacerdote dei Giudei dicendo: "Vedrete il figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio che viene sulle nuvole". Se infatti fosse apparso a uomini illustri, tutti, grazie a costoro, gli avrebbero creduto e nessuno dei giudici li avrebbe puniti come inventori di favole assurde; infatti non piace in alcun modo né a Dio, ma nemmeno ad un uomo intelligente che molte persone per causa sua siano esposte alle punizioni più terribili».
(Macario, Apocritico,  II, 14)

«Se qualcuno leggesse quella sciocchezza scritta nel Vangelo, si renderebbe perfettamente conto che è solo una leggenda il detto nel quale si dice: "Ora è il giudizio del mondo, ora il principe di questo mondo sarà cacciato fuori". Dimmi infatti, per dio, qual'è il giudizio che vi fu allora, e chi è il principe che è stato cacciato fuori? Infatti se direte: "l'imperatore", allora bisogna dire che non è l'unico che comanda nè che è stato privato del potere; molti infatti sono i principi del mondo, e se qualcuno è percepibile solo con l'intelligenza e senza corpo, non lo si può cacciare fuori. Infatti dove verrebbe cacciato colui che in quel momento  è un principe del mondo? Inoltre se direte dove si trova l'altro mondo in cui il principe sarà cacciato, affermatelo in modo credibile; ma se non c'è un altro mondo, perchè non è possibile che ne esistano due, dove sarà cacciato il principe se non in quello nel quale si trova in quel momento? E com'è possibile che una persona che si trova in quel mondo, venga gettato in quello nel quale si trova? E se a maggior ragione succede come al vaso di ceramica che, una volta rotto anche il contenuto viene cacciato fuori, ne consegue che questo non va nel vuoto ma in un altro corpo, di aria, di terra, o, se esiste, di qualche altro materiale. Se dunque allo stesso modo, dopo essersi spezzato il mondo, cosa che risulta impossibile, colui che vi sta dentro viene cacciato fuori, che genere di posto è quello fuori, verso il quale viene cacciato? E inoltre che cosa c'è di particolare in quel posto, quantità o qualita, altezza o profondità, lunghezza o larghezza? Se infatti tali cose sono presenti in esso, avendo tali requisiti, sarà un mondo. E qual'è il motivo di cacciare il principe fuori dal mondo come uno straniero? E come ha regnato essendo straniero? Com'è stato cacciato? Spontaneamente o contro voglia? Evidentemente contro voglia; è chiaro infatti il significato della frase; infatti colui che viene cacciato viene cacciato contro voglia, ma commette ingiustizia colui che fa la violenza, non chi la subisce. Allora è giusto lasciare alle donne, non agli uomini, una tale incomprensibilità dei Vangeli; infatti se volessimo cercare di conoscere tali concetti in modo più preciso, troveremo migliaia di racconti oscuri, privi di significato, che non portano nessun vantaggio». 
(Macario,  Apocritico,  II, 15)

«Suvvia ascoltiamo quella frase teatrale pronunziata ai Giudei in questo modo: "Non potete, disse, dare ascolto alla mia parola, poichè avete per padre il diavolo e desiderate compiere i desideri del padre vostro". Dicci chiaramente dunque chi sia il diavolo, padre dei Giudei: infatti coloro che opportunamente compiono le volontà del padre fanno ciò avendo rispetto del padre e onorandolo; se invece il padre è cattivo, l'accusa di malvagità non deve essere attribuita ai figli. Chi è dunque quel padre, facendo le cui volontà, i discepoli non ascoltavano Cristo? Infatti quando i Giudei dicevano: "come unico padre abbiamo Dio", Gesù ha invalidato questo detto col dire: "Voi avete per padre il diavolo" cioè "Siete il diavolo". Chi è dunque quel diavolo e dove si trova, e calunniando chi gli venne assegnato questo soprannome? Infatti sembra che egli abbia avuto questo nome non come nome originario ma accidentalmente: perciò lo potremmo conoscere quando sapremo correttamente il suo vero nome: infatti se dalla calunnia è chiamato diavolo, in mezzo a quali persone apparve per compiere l'azione proibita? Infatti anche se colui che riceve la calunnia apparirà come persona conciliante, tuttavia la persona offesa sarà soprattutto il calunniato; inoltre si vedrà anche che il diavolo stesso non è colpevole, ma colpevole è colui che ha posto in essere il motivo della calunnia. Come infatti è responsabile colui che durante la notte mette un palo nella strada, e non colui che cammina e inciampa è il responsabile, bensì colui che ha piantato il palo viene accusato, così colui che ha posto l'intera occasione di discordia è il colpevole e non colui che la riceve o la subisce. E dimmi anche questo: colui che calunnia è sottoposto al patire o non è sottoposto al patire? Perchè se non è sottoposto al patire, come avrebbe mai potuto calunniare; se invece è sottoposto al patire è necessario concedergli il perdono; nessuno infatti tormentato da malattie fisiche viene giudicato come colpevole, ma viene commiserato da tutti come persona afflitta dal dolore».
(Macario, Apocritico,  II, 16)

«Per quale motivo Cristo che era stato portato davanti al sommo sacerdote e al governatore non disse nulla che fosse degno di un uomo saggio e divino, che avrebbe potuto correggere il giudice e i presenti e renderli migliori; invece ha sopportato di essere percosso con una canna, di essere sputato e incoronato con le spine; e perchè non fece come Apollonio che, dopo aver parlato liberamente all'imperatore Domiziano, scomparve dalla corte imperiale per ricomparire visibilissimo non molte ore dopo nella città di Dicearchia, che ora si chiama Pozzuoli? Cristo invece, anche se doveva soffrire secondo i comandamenti di Dio, bisognava certamente che sopportasse la pena, ma non che affrontasse la passione senza parlare liberamente; avrebbe dovuto invece rivolgere a Pilato che lo giudicava alcune frasi profonde e sagge e non farsi oltraggiare come uno dei cafoni che vengono dal trivio».
(Macario,  Apocritico,  III, 1)

«E tra l'altro piena di oscurità e piena di ignoranza è la frase rivolta da Gesù ai discepoli che dice: "Non temete coloro che uccidono il corpo", e lui stesso essendo in ansia, rimase sveglio nell'attesa dei momenti terribili e supplicando con la preghiera di evitargli il dolore la passione e dice ai discepoli: "Vegliate e pregate affinchè la prova passi lontana da noi". Queste parole dunque sono indegne non solo del figlio di Dio, ma anche di un uomo saggio che disprezza la morte».
(Macario,  Apocritico,  III, 2)

«E ancora mi sembra pieno di una profonda stupidaggine il detto: "Se credeste a Mosè, credereste anche a me, perchè è su di me che lui ha scritto". Tuttavia nulla si è salvato di Mosè. Infatti si dice che tutti i suoi scritti sono stati bruciati con il Tempio; e tutti quanti gli scritti collocati, dopo questi avvenimenti, sotto il nome di Mosè, sono stati composti mille cento ottant'anni dopo la morte di Mosè da Esdra e dai suoi adepti in modo poco accurato. E se anche qualcuno ammettesse che lo scritto è di Mosè non sarebbe possibile dimostrare che Cristo in qualche passaggio è stato dichiarato Dio o verbo di Dio o creatore. Insomma chi ha detto che Cristo sarebbe stato crocifisso?».
(Macario, Apocritico,  III, 3)

«E se qualcuno volesse parlare anche di quella storia, sembrerebbe veramente una sciocchezza detta a buon mercato, allorchè Matteo dice che due demoni usciti dai sepolcri andarono incontro a Cristo, ma poi per timore di Cristo entrarono nei porci e ne uccisero molti. Marco inoltre non si è nemmeno vergognato di inventare un numero smisurato di porci. Così racconta: "Egli disse: "Esci da quest'uomo o spirito impuro; ed egli gli domandò: qual'è il tuo nome? E quello rispose [...] , perchè siamo molti. [...] E lo pregò di non buttarlo fuori dal paese. Ora si trovava là un branco di porci che pascolava e i demoni lo pregarono affinchè permettesse loro di entrare nei porci; e, una volta entrati nei porci, si gettarono, erano circa in duemila, dal dirupo nel mare, e annegarono. I pastori invece fuggirono via. Oh favola, oh sciocchezza, oh ridicolaggine veramente enorme. Una massa di circa duemila porci ha corso verso il mare e sono morti i porci tutti annegati. E non so come qualcuno, udendo che i demoni lo pregano di non essere mandati nell'abisso, e quindi Cristo, supplicato da loro, non li manda, ma li fa entrare nei porci, non direbbe: "oh che ignoranza! Ah che comica aberrazione, accogliere la richiesta di spiriti assassini che hanno fatto parecchio danno nel mondo e permettere loro di fare ciò che volevano". Infatti i demoni volevano nella vita danzare e fare del mondo un incessante sollazzo; volevano mescolare la terra e il mare e fare di questa fusione uno spettacolo lugubre; volevano sconvolgere gli elementi nella confusione e distruggere tutto l'universo mandandolo in rovina. Non era infatti opportuno dunque gettare nell'abisso, verso cui avevano supplicato Cristo di non andare, coloro che erano malvagiamente disposti nei confronti dell'uomo, cioè i princìpi del male, e senza farsi piegare dalla loro supplica, affidare loro un altro destino da compiere. Infatti se realmente ciò è vero e non si tratta di un'invenzione, come sosteniamo, l'episodio di Cristo mostra molta malizia: cacciare i demoni da un uomo, mandarli in porci privi di ragione, atterrire i porcari e farli fuggire a perdifiato in preda alla confusione e mettere in agitazione e in subbuglio la città per l'accaduto. Infatti non sarebbe stato giusto curare il male di uno solo o di due o di tre o di tredici, ma di ciascun uomo, soprattutto perchè, come da lui stesso testimoniato, era venuto al mondo per questo motivo? Per farla breve liberare una sola persona dalle catene invisibili, per trasferire segretamente le catene ad altri; alcuni opportunamente liberati dalle paure, altri incomprensibilmente incatenati alle paure; questo fatto potrebbe giustamente chiamarsi non una buona azione ma una cattiveria. Non solo, ma accettando la supplica dei nemici di abitare e danneggiare un altro paese, si comporta alla stessa maniera di un re che manda in rovina i sudditi, e che incapace di cacciare lo straniero da tutto il paese, lo manda a dimorare da una parte all'altra, liberando dal male una parte del paese e dando in consegna l'altra parte allo stesso male. Se allora dunque anche Cristo incapace allo stesso modo di cacciare il demone dal territorio lo fece entrare in un branco di porci, questo fatto è veramente mostruoso e capace di profanare l'orecchio, e rende questo racconto pieno di senso malvagio. Giustamente infatti una persona prudente, dopo aver ascoltato ciò, e dopo essersi fatto un'opinione, ha subito condannato il racconto, ed è giunto ad un'adeguata opinione sul fatto dicendo: "se non libera tutto il mondo dal male, ma scaccia gli spiriti del male in diversi paesi e si preoccupa di alcuni ma non si interessa di altri, non vi è alcuna sicurezza nel rifugiarsi e nell'affidarsi a lui". Infatti colui che è salvato addolora lo stato d'animo di chi non è salvato e chi non è salvato diventa l'accusatore di chi è salvato. Da ciò ne consegue, come io ritengo, che il racconto di questa storia è una finzione. E se non si tratta di una finzione, ma qualche cosa di simile alla verità, allora è veramente degno di risate a crepapelle. Ebbene dunque esaminiamo qui attentamente come a quei tempi, un tale numero di porci pascolava in terra di Giudea, soprattutto perchè fin dal principio erano considerati animali impuri e odiati dai Giudei; e in che modo poi tutti quei porci annegarono, dal momento che vi era una palude e non un mare profondo? Lasceremo allora giudicare queste cose ai fanciulli!».
 (Macario, Apocritico, III, 4)

«Ma esaminiamo un altro detto ancora più oscuro di queste cose anzidette, dove si dice: "È più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli". Se dunque un ricco che durante la vita si astiene dai peccati, come omicidio, furto, adulterio, magia, spergiuro, violazione di tombe, sacrilegio, non entra in quello che si chiama "Regno dei cieli", quale utilità c'è per i giusti di agire rettamente, se essi sono anche ricchi? E invece quale danno c'è per i poveri nel commettere qualsiasi azione sacrilega? Infatti non è la virtù a far salire l'uomo nei cieli, ma la povertà e l'indigenza. Se infatti la ricchezza tiene fuori il ricco dai cieli, viceversa la povertà fa entrare i poveri; ed è conveniente per una persona che ha imparato questo concetto non tenere in alcun conto la virtù, ma abbracciare liberamente la sola povertà e le azioni più turpi, dato che la povertà è tale da salvare il povero e che la ricchezza tiene fuori il ricco dalla dimora inviolata. Perciò mi sembra che queste non siano le parole di Cristo, se realmente ha trasmesso il "canone della verità", ma quelle di alcuni poveri che volevano prendere le sostanze dei ricchi con un tale vaniloquio. In tutti i casi, non molto più tardi di ieri, costoro dopo aver letto a nobildonne: "Vendi quello che possiedi e dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli", le convinsero a distribuire ai poveri tutta la ricchezza e le sostanze che esse avevano e, ridottesi all'indigenza, a mendicare; dalla libertà economica passarono ad una sconveniente e misera condizione di accattonaggio, dalla felicità piombarono in una condizione drammatica e alla fine furono costrette ad andare alle case dei benestanti; a dire il vero questa è la prima, o meglio l'ultima delle prepotenze e delle sventure; spogliate dai beni con la scusa della religione e spinte dalla necessità dell'indigenza, desiderare quelli degli altri. Da tutto ciò mi sembra che queste siano le parole di una donna malata».
(Macario,  Apocritico,  III, 5)

«Suvvia scopriamo quel passo del Vangelo scritto in modo così risibile e incredibile che racconta una storiella ancora più ridicola, quando Gesù dopo cena mandati i discepoli ad attraversare il mare,  apparve loro in persona durante la quarta vigilia della notte, terribilmente estenuati dal turbine della tempesta, visto che avevano lottato per tutta la notte contro la violenza delle onde; infatti la quarta vigilia della notte è la decima ora della notte, dopo la quale rimangono altre tre ore. Tuttavia coloro che dicono la verità su quei luoghi sostengono che lì non vi è alcun mare, ma un piccolo lago creato da un fiume sotto un monte presso la regione della Galilea, vicino la città di Tiberiade, che è facile attraversare facilmente con dei piccoli canotti in non più di due ore, e non vi è possibilità che si formino nè onde, nè tempeste. Dunque allontanandosi parecchio dalla realtà Marco scrive in modo assolutamente risibile questo racconto secondo cui nove ore erano trascorse, e alla decima - cioè la quarta vigilia della notte -  Gesù, dopo aver camminato sulle acque, va a trovare i discepoli che navigavano sullo stagno. Inoltre egli parla di un mare, e non semplicemente di un mare, ma un mare colpito dalla tempesta, terribilmente infuriato e che era agitato spaventosamente dal tumulto delle onde, tutto ciò per mostrare Cristo che compie qualcosa di grande, un miracolo, mentre calma una violenta e straordinaria tempesta, e salva dalla profondità del mare i discepoli che correvano un pericolo da poco. Da questi racconti infantili comprendiamo che il Vangelo è una teatralità scaltramente escogitata. Esaminiamo allora più profondamente ciascuna di esse».
(Macario,  Apocritico,  III, 6)  

«Dunque adesso, dopo aver trovato un'altra frasetta anomala pronunciata da Cristo ai discepoli abbiamo deciso di non passarla sotto silenzio; è quella dove dice: "I poveri li avete sempre, me invece non mi avete per sempre". Il motivo della frase è questo: una donna aveva portato un vaso d'alabastro pieno di olio profumato e lo aveva versato sulla sua testa; poichè i discepoli avevano assistito al fatto e avevano borbottato sull'inopportunità dell'accaduto, egli disse : "Perchè date pene a questa donna? Ha fatto una buona azione per me; infatti i poveri li avete sempre con voi, me invece non mi avete per sempre. Infatti i discepoli mormoravano, e non poco, perchè l'olio profumato non era stato venduto ad un buon prezzo e il tutto non era stato devoluto ai poveri affamati per affrontare le spese quotidiane. È a causa di questa frase inopportuna che egli pronunciò questo detto insulso, dicendo di non essere con loro per sempre, lui che altrove assicura i discepoli dicendo loro: "Io sarò con voi fino alla fine del mondo". Così, addolorato per l'episodio dell'olio profumato, negò che sarebbe stato con loro per sempre»
(Macario, Apocritico, III, 7)

«È famoso quel detto del maestro che dice: "Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avete in voi la vita". Tutto ciò invece non è assolutamente brutale e inopportuno, ma più inopportuno di ogni assurdità e più brutale di ogni natura brutale, che un uomo mangi le carni umane e beva il sangue dei suoi simili, cioè di coloro che appartengono alla sua stessa specie, e facendo questa azione abbia la vita eterna. Infatti, dimmi, così facendo, quale eccesso di crudeltà introdurrete nella vita? Quale altra malvagità inventerete che sia più esecrabile di questa infamia? Le orecchie  non sopportano - non dico l'azione, ma nemmeno il nominare un'empietà più sconsiderata e insolita; nè le immagini delle Erinni mostrarono mai una tale cosa a coloro che vivono in modo strano, nè gli abitanti di Potidea, se una fame disumana non li avesse fatti dimagrire, avrebbero iniziato una cosa del genere; e un tempo il banchetto di Tieste divenne tale quale fu per il dolore fraterno; e involontariamente Tereo il Trace si saziò di tali cibi; Arpago, ingannato da Astiage si cibò delle carni dell'amico più caro; e tutti costoro involontariamente sopportarono di compiere una tale azione disgustosa. Ma nessuno, vivendo in tempo di pace apparecchiò in vita un simile banchetto; nessuno apprese dal maestro un insegnamento così esecrabile. E anche se esplori la Scizia mediante i libri di storia, e se vai in mezzo ai Macrobi dell'Etiopia, e se attraversi a cavallo il perimetro della  regione oceanica, troverai Ftirofagi e anche Rizofagi, sentirai parlare di Erpetositi e Miotrocti, ma tutti si astengono totalmente dalle carni umane . Dunque che discorso è questo? Infatti anche se presenta in modo allegorico qualcosa di più arcano e di più utile, tuttavia il cattivo odore dell'espressione verbale penetrando, se non erro, all'interno dell'anima stessa attraverso l'udito, la rovina turbandola col suo carattere ripugnante, e danneggia completamente il significato degli arcani preparando l'uomo a soffrire di vertigini per questa sventura. Nemmeno la natura degli esseri irrazionali, anche se ci fosse una fame terribile e insopportabile, tollera mai una cosa del genere, nè mai un cane mangerà un altro cane nè qualche altro animale mangerà le carni degli animali della sua stessa razza. Molti altri maestri inventano dottrine strane: ma nessuno dei maestri ha scoperto una rappresentazione tragica più strana di questa, nessuno storico nè filosofo, nè fra i barbari nè fra gli antichi Greci. Guardate dunque ciò che vi aspetta se vi lascerete convincere ad abbracciare in modo irrazionale tali bassezze, guardate quale male ha invaso non soltanto le campagne ma anche le città ! Perciò mi sembra che nè Marco nè Luca e nemmeno lo stesso Matteo abbiano scritto ciò, visto che hanno giudicato la frase sconveniente, insolita e sgradevole e molto distante dalla vita civile».
(Macario,  Apocritico,  III, 15)

«Considera attentamente quell'altro passo, dove Cristo dice Cristo: "Tale genere di segni accompagnerà coloro che avranno creduto: essi imporranno le mani ai malati e questi guariranno; inoltre se avranno bevuto un veleno mortale, questo non li danneggerà". Bisognerebbe dunque che coloro che sono scelti per il sacerdozio ma soprattutto i pretendenti all'episcopato o ad un posto privilegiato, si sottoponessero a questo genere di giudizio e venisse presentato loro il veleno mortale, affinchè colui che non sia stato intossicato dal bere il veleno, sia preferito agli altri; ma se essi non hanno il coraggio di accettare una tale prova, dovrebbero ammettere che non hanno fede nelle parole di Gesù. Se infatti una proprietà della fede è quella di vincere il danno di un veleno e allontanare il dolore di un malato, colui che crede e non compie tali cose o non ha creduto sinceramente oppure credendo sinceramente, il suo credere non è forte ma debole».
(Macario, Apocritico, III, 16)
     
«Presta attenzione ad un passo uguale anche a quello che segue: "Se avrete fede quanto un granello di senape, in verità vi dico, direte a questa montagna: 'Alzati e gettati in mare', e nulla vi sarà impossibile". È chiaro dunque che colui che non può per comando muovere una montagna non merita di essere considerato come un membro della famiglia dei Fedeli. Perciò convincetevi chiaramente del vostro errore e cioè che non solo la rimanente parte dei Cristiani non può essere annoverata tra i Fedeli, ma non c'è nessuno tra i vescovi o tra i preti che sia degno di questo nome».
(Macario, Apocritico, III, 17)

«Suvvia, parliamo di quell'espressione secondo cui quando il tentatore dice a Gesù: "Gettati dal tempio", Gesù non lo fa, ma gli dice: "Non tenterai il signore Dio tuo? Mi sembra che egli ha parlato in questo modo perchè ha temuto il pericolo della caduta; se infatti, come dite, aveva compiuto molti altri miracoli e aveva persino con una sola parola risuscitato i morti, immediatamente bisognava che si mostrasse capace di salvare anche altri dai pericoli, gettandosi giù dall'alto della cima del tempio senza nemmeno lacerarsi il corpo, soprattutto perchè, da qualche parte c'è un punto rilevante delle Scritture che parla di lui e che dice: “Essi ti porteranno sulle mani perchè il tuo piede non inciampi in una pietra”. Per ciò sarebbe stato giusto mostrare a coloro che erano presenti nel tempio, che egli era è il figlio di Dio, e poteva salvare da ogni pericolo sè stesso e i suoi». 
(Macario,  Apocritico,  III, 18)

«Queste parole pronunciate in modo così prolisso e alla rinfusa, mostrano - com'è naturale - un carattere fortemente ripugnante, e accendono per così dire le une contro le altre, una contraddizione di termini. Infatti se qualche uomo di strada vuole esporre quel detto dei vangeli in cui Gesù si rivolge a Pietro e dice: “Vai lontano da me Satana, tu mi sei di scandalo, perchè non pensi secondo i pensieri di Dio, ma secondo quelli degli uomini”. Poi in un altro luogo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e a te darò le chiavi del regno dei cieli”. Dunque se ha condannato Pietro tanto da chiamarlo Satana, cacciandolo lontano da lui come ragione di scandalo, in quanto non serbava alcun pensiero divino; lo cacciava come uno che aveva peccato mortalmente, tanto da non volerlo più vedere per il resto dei suoi giorni, e inoltre lo cacciava indietro nella massa dei banditi e dei reietti - quale giudizio superiore a questa divina rivelazione bisogna aspettarsi sul primo e più importante dei discepoli? Dunque se una persona saggia rimuginasse insistentemente queste cose, e poi, come se Cristo si fosse dimenticato delle parole rivolte contro Pietro, ascoltasse questo detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”, e poi ancora: “E a te darò le chiavi del regno dei cieli”; non scoppierà in una gran risata? Non sghignazzerà come se fosse ad uno spettacolo teatrale? Non lancerà insulti, non fischierà con grande veemenza? Non dirà a coloro che gli stanno accanto ad alta voce: O chiamando Pietro come Satana Gesù era pieno di vino e balbettava come un epilettico, oppure facendo costui clavigero del regno, dipingeva i suoi sogni con l'immaginazione del sonno? Infatti come può Pietro reggere le fondamenta della chiesa, lui che innumerevoli volte vacillò per l'instabilità del carattere? Quale pensiero costante si è scoperto in lui, oppure dove ha mostrato stabilità di pensiero, lui che a causa di una miserabile servetta fu terribilmente sconvolto per aver sentito la parola “Gesù”, lui che per tre volte spergiurò senza che per lui vi fosse alcuna impellente, importante necessità? Se dunque nello stesso luogo, Gesù ha chiamato - giudicandolo correttamente - Satana colui che ha sbagliato sulla parte più importante della religione, è assurdo che di nuovo, come ignorando ciò che aveva fatto, gli conferisca la massima autorità sull'amministrazione della Chiesa».
(Macario,  Apocritico,  III, 19)

«Che Pietro sia accusato di avere in molti casi sbagliato, è chiaro anche dal contenuto letterale di quel passo, dove Gesù gli dice: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette rimetterai il peccato al peccatore”. Lui invece, ricevuta l'intimazione e il precetto, taglia l'orecchio al servo del sommo sacerdote che non aveva commesso alcun errore e si comporta in modo crudele con colui che non aveva peccato affatto. Infatti in che cosa aveva allora peccato se, comandato dal suo padrone, si era lanciato all'attacco di Cristo?».
(Macario, Apocritico,  III, 20)

«Il famoso Pietro è accusato di ingiustizia anche in altre occasioni: infatti un uomo chiamato Anania e sua moglie chiamata Saffira, poiché non avevano deposto l'intero valore del loro terreno, ma avevano trattenuto un pò del guadagno solo per le loro necessità, li fece morire senza aver commesso alcun male. Infatti in che cosa avevano sbagliato, se non avevano voluto donare tutti i loro averi?  Se infatti il gesto veniva considerato sbagliato, bisognava che lui si ricordasse i precetti di Gesù, che gli aveva insegnato a perdonare i peccati fino a quattrocento novanta volte, e perdonarli per quell'unica colpa, se l'episodio poteva veramente considerarsi un peccato. Bisognava inoltre considerare tra gli altri, anche quel punto: come lui stesso non solo aveva mentito giurando di non conoscere Gesù, ma ha spergiurato e disprezzato il giudizio venturo e la resurrezione».
(Macario, Apocritico, III, 21)
   
«Il famoso capofila della schiera dei discepoli, che imparò da dio a disprezzare la morte, fu imprigionato da Erode e, fuggendo, divenne causa di punizione per le guardie. Infatti fuggendo di notte, fattosi giorno, c'era trepidazione tra i soldati, che si domandavano in che modo Pietro era fuggito. Erode invece, lo fece cercare e non trovandolo, interrogò le guardie e ordinò di portarli via, cioè di tagliargli la testa. Bisogna quindi meravigliarsi come Gesù ha dato le chiavi dei cieli a Pietro, un uomo del genere; come mai ad una persona sconvolta dall'angoscia e oppressa da tali eventi disse: “Pasci i miei agnelli”, se le pecore sono i fedeli che sono aumentati di grado nel mistero della perfezione, mentre gli agnelli rappresentano l'assembramento di coloro che sono ancora catecumeni, nutrito ancora col soave latte della dottrina. Nondimeno si racconta che Pietro dopo avere pascolato le pecore per pochi mesi, venne crocifisso, sebbene Gesù avesse detto che “le porte dell'Ade non prevarranno su di lui”. Anche Paolo ha accusato Pietro dicendo: “Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò ad evitarli e a tenersi in disparte per timore dei circoncisi; e molti Giudei si unirono a lui”. Anche in questo c'è una forte e decisa condanna, per il fatto che un uomo, divenuto interprete della parola di dio, vivesse nell'ipocrisia e si comportasse per piacere agli uomini, e si accompagnasse anche ad una  donna, pur avendo Paolo detto: “Non abbiamo noi il diritto di condurre con noi una donna sorella nella fede, come fanno gli altri apostoli e Pietro” ? Poi aggiunge: “Infatti costoro sono falsi apostoli, operatori di inganni”. Se dunque si narra che Pietro è stato coinvolto in questi misfatti, come non inorridire al sospetto che tenga le chiavi del cielo e leghi e sciolga, lui che è legato per così dire da una miriade di contraddizioni».
(Macario, Apocritico, III, 22) 
  
«Come mai Paolo dice: “Infatti essendo libero, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnare tutti” ? Come mai inoltre, definendo la circoncisione una mutilazione, lui stesso circoncide un certo Timoteo a Listri, come insegnano gli Atti degli apostoli? Ma bene! Veramente: che stupidaggine di parole! Le scene dei teatri rappresentano questa farsa per suscitare il riso; essendo questo un vero gioco di prestigio. Infatti come può essere libero colui che è schiavo di tutti? Come può guadagnare tutti colui che supplica tutti? Infatti se egli si è fatto senza legge coi senza legge, come lui stesso dice, e Giudeo con i Giudei, e allo stesso modo si è relazionato con tutti, allora veramente era schiavo di una scaltra cattiveria, e estraneo e ostile alla libertà, era realmente il ministro e servo delle altrui azioni malvage e insigne sostenitore di pratiche oscure, lui che in ogni occasione si relazionò con l'infamia dei senza legge e fece sue le loro azioni. Non è possibile che questi atteggiamenti siano gli insegnamenti di una mente sana, non è possibile che sia il resoconto di considerazioni adatte a uomini d'animo nobile, ma il contenuto delle parole è quello di una persona malata e febbricitante nella mente e nel ragionamento. Infatti se egli vive coi senza legge e per iscritto accetta volentieri il Giudaismo, prendendo parte in ciascuno dei due gruppi, si confonde con ciascuno dei due gruppi, mescolandosi e associandosi agli errori delle persone sgradevoli. Infatti lui stesso, descrivendo la circoncisione al punto di maledire coloro che desiderano praticarla, praticando a sua volta la circoncisione, lui stesso è il più tremendo accusatore di se stesso, quando dice: “Se ricostruisco nuovamente ciò che ho demolito riconosco  me stesso come prevaricatore”».
(Macario, Apocritico, III, 30)

«Il nostro famoso Paolo, così prolisso nel parlare, come se avesse dimenticato le sue stesse parole, dice al tribuno di non essere Giudeo ma Romano, sebbene avesse detto prima: “Io sono giudeo, nato a Tarso in Cilicia, allevato ai piedi di Gamaliele, educato al rigore della legge dei padri”. Dunque dicendo: “Io sono giudeo”, e “Io sono romano”, non è né l'uno, né l'altro pur legandosi all'uno e all'altro: infatti recitando la parte e dichiarando ciò che non era, pone le basi delle sue azioni sullinganno e indossando la maschera della frode, si prende gioco dell'evidenza e defrauda la verità, opprimendo in diverse maniere l'elevatezza dell'animo, rendendo schiavi con l'arte della magia nera le persone cordiali. Ma chi nella vita ha accolto una tale predisposizione d'animo non è diverso in nulla da un nemico implacabile e crudele, che, imitando i costumi degli stranieri, fa tutti prigionieri, rendendoli schiavi in modo disumano. Se dunque Paolo dichiara che è ora giudeo, ora romano, ora senza legge, ora Greco, quando vuole è straniero e nemico di ciascuna fazione, e intrufolandosi di soppiatto in ciascuna fazione, ha corrotto ciascuna di esse, rubandone a ciascuna, con parole lusinghiere, la peculiarità. Dunque è un mentitore e manifestamente avvezzo alla menzogna, ed è superfluo dire : “Io dico la verità in Cristo, io non mento”. Infatti uno che ieri seguiva i princîpi della Legge e oggi quelli del Vangelo, costui può considerarsi giustamente, sia nella vita privata che in quella pubblica, maligno e falso».
(Macario,  Apocritico,  III, 31)

«E che Paolo interpreti il vangelo per vanagloria e la Legge per cupidigia, risulta chiaro da quanto egli dice: “Chi mai presta servizio come soldato a proprie spese”. Chi alleva un gregge e non si nutre del latte del gregge? E volendo avvalorare queste cose prende la Legge come a difesa della cupidigia, e dice: “Forse che anche la Legge non dice queste cose? Infatti è scritto nella legge di Mosè: 'non metterai la museruola al bue che trebbia'”. Quindi aggiunge un discorso non chiaro e pieno di sciocchezze, escludendo la divina provvidenza degli animali, dicendo: “Forse Dio si dà pensiero dei buoi? Oppure lo dice proprio per noi? Si, è per noi che è stato scritto”. A me sembra che dicendo queste cose egli schernisca abbastanza la saggezza del creatore come se essa non avesse provveduto alle creature precedentemente create. Se infatti Dio non si prende cura dei buoi, perché è stato scritto: “Tutto hai sottomesso, greggi e buoi e animali e pesci”. Infatti se fa un discorso sui pesci, a maggior ragione “sui buoi che arano” e che lavorano. E perciò mi meraviglio che un tale imbroglione, tratta la Legge in modo così solenne per la cupidigia e per ricevere un utile sostentamento dai confratelli».
(Macario, Apocritico,  III, 32)

«Quindi giratosi all'improvviso, come atterrito da un sogno, salta su e dice: “Io Paolo affermo che se uno segue un punto della Legge, è obbligato a seguire tutta la Legge”, invece di dire: “non bisogna assolutamente tener conto di ciò che dice la Legge”. Che uomo eccellente, che persona assennata, che persona intelligente, che persona educata al rigore della legge dei padri, lui che tante volte ha citato abilmente Mosè, come se fosse fradicio di vino e di ubriachezza, annulla col suo insegnamento il precetto della Legge, dicendo nella lettera ai Galati: “Chi vi ha ammaliati tanto da non credere alla verità?” Cioè al Vangelo? Poi esagerando e provocando spavento a colui che obbedisce alla Legge dice: “Quelli invece che si richiamano alle opere della Legge, stanno sotto la maledizione”. Colui che scrive nella lettera ai Romani che “la Legge è spirituale”, e ancora: “la Legge è santa e il precetto è santo e giusto” mette sotto la maledizione coloro che obbediscono a ciò che è santo. Quindi confondendo in tutti i sensi la natura della questione stravolge ogni cosa e la rende più oscura, tanto che chi ascolta per poco non è colto da capogiro e, come nella notte, va a sbattere contro l'una e l'altra (la Legge e il Vangelo), inciampa sulla Legge e urta contro il Vangelo per la confusione causata dall'ignoranza di colui che lo guida con la mano».
(Macario, Apocritico,  III, 33)

«Guarda infatti, guarda il racconto dell'esperto: dopo migliaiaia di citazioni, desunte dalla Legge a supporto delle sue proprie parole, ha annullato ciò che aveva precedentemente decretato dicendo: “La Legge sopraggiunse affinchè abbondasse l'errore” e prima di queste parole: “Il pungiglione della morte è il peccato e la Legge ma la forza del peccato è la Legge”; in una sola notte, affilata la propria lingua come una spada, fa a pezzi senza pietà la Legge, lui che in molte occasioni esorta ad obbedire alla Legge dicendo che è lodevole vivere in conformità di essa. Ma proprio imitando dal suo modo di vivere questa rozza predisposizione d'animo, ha sparso dappertutto le sue personali interpretazioni».
 (Macario, Apocritico, III, 34)

«Per esempio Paolo proibendo di mangiare la carne immolata agli dèi, insegna al contrario, su questo argomento, di essere indifferenti, dicendo di non essere intriganti né di fare domande, ma di mangiare anche se si trattasse di carne immolata agli dèi, a meno che qualcuno non lo proibisse. <...> in cui si narra che ha detto: “Le cose che sacrificano le sacrificano ai demoni; ed io non voglio che voi siate in comunione coi demoni”. Dicendo e scrivendo queste cose, nuovamente annota di non fare alcuna differenza sul mangiare affermando: “Noi sappiamo che non esiste alcun idolo al mondo e che non c'è che un Dio solo”, e poco dopo: Non è il cibo che ci avvicinerà a Dio, né se lo mangiamo abbiamo qualche cosa in più, né se non lo mangiamo siamo privati di qualche cosa”; poi dopo questa verbosità da ciarlatano ruminò come disteso sul letto e disse: Mangiate tutto ciò che si vende al mercato senza farvi domande per la vostra coscienza: infatti la terra e tutto ciò che essa contiene sono del Signore. Oh rappresentazione scenica eguagliata da nessuno, oh detto assurdo e contraddittorio! Oh discorso che si demolisce da solo con la sua spada! Oh strano modo di tirare con l'arco che si dirige e si abbatte contro il lanciatore».
(Macario,  Apocritico,  III, 35)

«Troviamo un detto analogo a queste cose nelle sue epistole, dove esaltando la verginità, scrive, cambiando nuovamente opinione: “Negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede dando retta agli spiriti dell'errore, impedendo di sposarsi e ordinando di astenersi dai cibi”; e invece nella lettera ai Corinzi scrive: “Quanto alle vergini non ho alcun comandamento dal Signore”. Dunque non si comporta correttamente chi rimane vergine, né chi si astiene dal matrimonio ubbidendo al precetto di uno spirito maligno, in quanto non hanno sulla verginità alcun comandamento da parte di Gesù; e in che modo coloro che rimangono vergini si vantano come fosse cosa grande e dicono di essere pieni di Spirito Santo come colei che partorì Gesù?».
(Macario, Apocritico, III, 36)

«Come mai Paolo dice che la figura del mondo passa? E come è possibile che coloro che hanno siano come coloro che non hanno e coloro che gioiscono come quelli che non gioiscono, e come possono essere credibili le rimanenti cose con queste ciance da vecchia? Infatti com'è possibile che uno che possiede diventi come uno che non possiede? Com'è credibile il fatto che uno che gioisce diventi come uno che non gioisce? Oppure com'è possibile che la figura di questo mondo passi via? E chi è colui che la fa passare via, e a favore di chi? Infatti se fosse il demiurgo a farla passare via, lo si accuserebbe di muovere e di sovvertire ciò che è saldamente fondato; e se dovesse cambiare la figura in meglio, sarebbe accusato di nuovo in questo caso di non aver immaginato durante la creazione una figura proporzionata e conveniente al mondo, ma di avere abbandonato lo scopo del miglioramento e di averlo costruito imperfetto. Come dunque sapere se la natura del mondo, quando giungerà a termine, molto al di là della fine dei tempi, muterà verso il bene? E quale è il vantaggio di cambiare l'ordine dei fenomeni? Infatti se la realtà delle cose visibili è causa di tristezza e di dolore, il demiurgo anche in queste cose viene ridicolizzato e fischiato con accuse ben fondate, per aver costruito le parti del mondo in modo da affliggere e turbare la natura razionale e poi, mutando parere, ha deciso di cambiare il tutto. Dunque Paolo con questo discorso non insegna, a colui che possiede, a comportarsi come colui che non possiede, poiché il creatore, che possiede il mondo, cambia la figura di questo, come se non lo avesse? E non dice che colui che gioisce è come colui che non gioisce, poichè il demiurgo guardando l'opera piacevole e magnifica non gode, ma come afflitto a causa di essa da molti mali ha deciso di cambiarla e di trasferirla altrove? Lasceremo dunque questo discorsetto  alla derisione che merita».
(Macario,  Apocritico,  IV, 1)
  
«Osserviamo un altro sofisma senza senso e fuorviante, pronunciato da Paolo nel quale dice: “Noi i viventi, noi che saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non precederemo coloro che sono morti, poiché il Signore stesso al segnale, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo e prima risorgeranno i morti in Cristo; poi noi, i viventi, saremo rapiti insieme con loro su una nuvola per andare ad incontrare il Signore nell'aria; e così saremo sempre con il Signore”. Questa menzogna è veramente spaziale e riguarda un argomento campato in aria, è eccessiva e smisurata. Questa menzogna, cantata ad animali privi di ragione li obbliga a belare e a gracidare rispondendo ad una fragorosa sciocchezza, non appena sapessero che uomini in carne ed ossa volano come gli uccelli in aria e sono sollevati sulla nuvola. Infatti questa è un'enorme dimostrazione di arroganza, che animali oppressi dal carico delle masse corporee, prendano la natura degli uccelli alati e attraversino, come se fosse un mare, l'aria sconfinata, servendosi di una nube come veicolo. Infatti anche se fosse possibile, sarebbe tuttavia mostruoso e contrario all'ordine naturale. Infatti dal principio la natura creatrice assegnò agli esseri viventi dei luoghi adatti e stabilì che avessero una dimora appropriata: gli animali acquatici il mare, gli animali terrestri la terraferma, i volatili l'aria, gli astri l'etere. Dunque se uno di essi si spostasse dalla propria dimora, sarebbe annientato per essersi rivolto ad un modo di vivere e ad una dimora estranei; se per esempio si volesse prendere un animale acquatico e lo si costringesse a vivere sulla terraferma,  facilmente morirebbe e andrebbe in rovina. Ancora se un animale terrestre che vive in luoghi aridi venisse gettato in acqua, affogherebbe; e ancora se un uccello si allontanasse dall'aria, non lo sopporterebbe; e se una stella si allontanasse dal corpo etereo, non esisterebbe più. Ma il divino e operoso Logos di Dio non fece né farà mai ciò, sebbene possa cambiare i destini degli esseri viventi; infatti egli non compie o vuole qualcosa secondo la sua volontà, ma mantiene il giusto andamento delle cose in modo corretto, e difende la legge del buon ordine. Dunque, anche se lo può, non fa che la terra sia navigata, né al contrario fa che il mare sia seminato e coltivato, né fa anche se lo può della virtù un vizio, né di nuovo del vizio una virtù, né che un uomo venga preparato a diventare un uccello né che le stelle stiano sotto e la terra sopra. Per questo ragionevolmente è pieno di assurdità dire che gli uomini un giorno verranno rapiti in aria; ed è evidente la menzogna di Paolo nel dire: “Noi i viventi”; infatti, da quando lo ha detto sono passati trenta anni e nessuno, nemmeno lo stesso Paolo è stato rapito insieme ad altre persone. E così cali il silenzio su questo discorso di Paolo confutato da noi».
(Macario, Apocritico, IV, 2)
 
«Bisogna ancora una volta richiamare alla memoria ciò che disse Matteo, come colui che è condannato alla macina: “E il vangelo del regno, sarà proclamato in tutto il mondo, e allora verrà la fine”. Ed ecco che ogni sentiero del mondo ha fatto esperienza del vangelo, e tutti i confini e tutti le estremità della terra possiedono il vangelo in modo completo, ma la fine non arriva mai da nessuna parte».
(Macario,  Apocritico,  IV, 3)

«Vediamo poi quel detto di Paolo: “Il Signore in visione durante la notte disse a Paolo: Non temere, ma parla, perchè io sono con te e nessuno ti attaccherà per farti del male”. E non era ancora a Roma che fu arrestato e gli tagliarono la testa, questa persona scaltra che diceva : “noi giudicheremo gli angeli”; e tuttavia anche Pietro, che aveva avuto il compito di pascolare gli agnelli, viene crocifisso e inchiodato in croce. E altre migliaia di persone appartenenti alla medesima confessione, alcuni vennero bruciati, altri furono uccisi dopo aver subito la pena o l'oltraggio. Ciò non è degno della volontà di Dio, ma nemmeno delle volontà di un uomo pio per la cui venerazione e fede una moltitudine di uomini viene inumanamente uccisa, mentre la sua attesa risurrezione e venuta rimane ignota».
(Macario, Apocritico, IV, 4)

«È anche possibile mettere in evidenza quest'altro detto poco chiaro, dove Cristo dice: “Guardate che nessuno vi inganni; molti infatti verranno nel mio nome dicendo: 'Io sono il Cristo, e trarranno molti in errore”. Ed ecco che sono trascorsi <...> e più anni e nessuno, da nessuna parte si è presentato come tale; Potreste peraltro dire che Apollonio di Tiana non sia stato un uomo fornito di ogni sorta di sapienza? Del resto voi non ne trovereste un altro uguale; ma non è di uno ma è di molti che Cristo dice: “Sorgeranno”».
(Macario, Apocritico,  IV, 5)

«Per di più lasciate che io citi quanto viene detto nell'Apocalisse di Pietro; egli adduce che il cielo verrà giudicato insieme alla terra così: “La terra, dice, presenterà tutti  a Dio nel giorno del giudizio. E anche essa verrà giudicata con il cielo che l'avvolge”. Ora nessuno è così ignorante e così ottuso che non sa che le cose sulla terra sono instabili e per natura non sono fatte per mantenere l'ordine, ma sono invece non regolari, invece le cose nel cielo hanno un ordine immutabile che procede sempre di continuo secondo lo stesso movimento e non cambiano mai nè mai cambieranno. Infatti il cielo è l'opera strutturata nel modo più perfetto da Dio; perciò è impossibile che le cose stimate degne di un destino migliore vengano dissolte, perchè fissate da una legge divina e pura. Allora per quale motivo il cielo sarà giudicato? Di che cosa apparirà mai colpevole lui che fin dal principio segue l'ordine mantenuto da Dio e che rimane sempre identico a sè stesso? A meno che qualcuno calunniosamente non dica in modo ampolloso che il cielo è meritevole di giudizio, come se il giudice sopportasse di spacciare frottole contro il cielo così meraviglioso e così grande».
(Macario, Apocritico, IV, 6)

«E di nuovo pronuncia quella frase che è piena di empietà, frase che dice: “E tutta la potenza del cielo si distruggerà e il cielo sarà arrotolato come un libro; e tutti gli astri cadranno come foglie da una vite, come cadono le foglie da un fico”. E da questa mostruosa menzogna e paradossale impostura è stata osannata questa frase: “Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno”. In effetti chi potrebbe mai dire che le parole di Gesù resteranno se veramente il cielo e la terra non ci saranno più? Inoltre se Cristo facesse ciò e facesse cadere il cielo, imiterebbe gli uomini più empi, quelli che distruggono i loro stessi averi; infatti che Dio sia il Padre del cielo e della terra, è stato riconosciuto dal Figlio quando dice: “Padre, signore del cielo e della terra”. Invece Giovanni Battista magnifica il cielo e dice che da esso sono inviati i doni divini, dicendo: “Nessuno può fare nulla se non gli viene dato dal cielo”; e i profeti dicono, nel passo che viene, che il cielo sia la santa dimora di Dio: “Guarda dalla tua santa dimora e benedici il tuo popolo Israele”. Se dunque il cielo che è tanto importante e tanto grande sarà dissolto, secondo le vostre testimonianze, quale sarà nell'avvenire il trono di colui che è signore? E se anche l'elemento terrestre sarà distrutto, quale sarà lo sgabello di colui che è seduto, dopo che in quel passo si dice: “Il cielo è il mio trono, e la terra lo sgabello dei miei piedi”? Questo per quanto concerne il passare del cielo e della terra».
(Macario, Apocritico,  IV, 7)

«Brancoleremo come in piena notte nell'esaminare un' altra espressione più fantasiosa in cui si dice: "Il regno dei cieli è simile ad un chicco di senape", e poi dopo: "Il regno dei cieli è simile al lievito", e ancora: "Il regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di pietre preziose". Queste favolette infatti non esistono nè tra gli uomini e neanche tra donne sognatrici; infatti, per quanto riguarda la comprensione, quando una persona rivela delle conoscenze superiori o divine, deve servirsi di esempi comuni e accessibili agli uomini, e non di esempi così grossolani e sciocchi. Queste parole oltre ad essere volgari, non sono adatte a questo genere di argomenti, e non vi è in essi alcun significato razionale nè chiaro. A dire il vero sarebbe stato assolutamente necessario che questi argomenti fossero comprensibili per il fatto che non erano stati scritti per i sapienti nè per i saggi, ma per i piccoli». 
(Macario, Apocritico, IV, 8)

«Se appunto bisogna ruminare quella notizia in cui Gesù dice: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, per aver tenuto nascoste queste verità ai sapienti e agli intelligenti e per averle rivelate ai piccoli". Ma nel Deuteronomio c'è scritto: "Le cose nascoste sono del Signore nostro Dio, invece le cose visibili a tutti sono per noi". Per cui devono essere più chiare, e non enigmatiche, quelle cose che sono state scritte per i piccoli e per gli sciocchi; infatti se i misteri sono stati nascosti ai sapienti e, in modo irrazionale sono stati scialacquati ai piccoli e ai lattanti, allora è meglio agognare all'irrazionalità e all'ignoranza. Ed ecco il grande successo della sapienza di colui che è venuto tra noi: per un verso il raggio della conoscenza viene tenuto nascosto ai saggi, per un altro verso viene rivelato agli stolti e ai neonati».
(Macario, Apocritico,  IV, 9)
  
«È lecito esaminare un altro fatto molto più razionale - parlo per antifrasi - : "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati". Ora è sulla sua venuta che Cristo predicava queste cose alle masse. Dunque se è per i malati, come lui dice, che ha contrastato i peccati, allora i nostri padri non erano malati e i nostri progenitori non avevano bisogno di cure per i loro peccati? Se quindi i sani non hanno bisogno di un medico ed egli non è venuto a chiamare alla conversione i giusti ma i peccatori, e anche Paolo dice così: "Gesù Cristo venne al mondo per salvare i peccatori, dei quali il primo sono io" - se dunque le cose stanno così e chi è nell'errore viene chiamato, e chi è malato viene curato, e chi è ingiusto viene chiamato, chi è giusto invece non viene chiamato; allora chi non è stato chiamato e chi non ha bisogno delle cure dei Cristiani sarà chiamato senza errore e giusto; infatti colui che non ha bisogno di medicina si allontana dalla dottrina che si trova presso i Fedeli, e quanto più si  allontana, tanto più sarà giusto e sano e senza errore».
(Macario, Apocritico,  IV, 10)

«Giustamente Omero prescriveva ai Greci di calmare l'ardore in quanto ben disciplinato, e rendeva noto il carattere instabile di Ettore il quale rivolgendosi ai Greci con un discorso in versi: "Fermatevi Argivi, diceva, non colpite giovani Achei, perchè Ettore impetuoso promette appunto di dire qualcosa", e quindi siamo tutti qui seduti in silenzio; infatti il maestro delle dottrine cristiane dichiara e ci assicura di spiegare i principali passaggi oscuri delle Scritture. Dicci dunque, mio caro, a noi che seguiamo le tue riflessioni, perchè l'apostolo dice: “Ma alcuni di voi eravate tali cose (certamente cose deplorevoli), ma siete stati lavati, e santificati e giustificati nel nome del signore Gesù Cristo e nello spirito del nostro Dio”. In effetti ci stupiamo e siamo veramente imbarazzati nell'animo per questo genere di cose, se un uomo, una volta lavato da tali brutture e nefandezze, appaia puro; se, lavate le vergogne di tale mollezza presente nella vita: lussuria, adulterio, ubriachezza, furto, sodomia, magia e una miriade di azioni deplorevoli e nauseanti, è liberato senza fatica col solo battesimo e l'invocazione del nome di Cristo, e si spoglia di ogni peccato come il serpente si spoglia della vecchia pelle. Quindi chi non si arrischierebbe ad azioni turpi dicibili e indicibili, e chi non compirebbe azioni indicibili a parole, nè sopportabili coi fatti, sapendo che da tali esecrabilissime azioni otterrà l'assoluzione, purchè avrà fede e si battezzerà e spererà di ottenere il perdono da parte di colui che deve giudicare i vivi e i morti?
Queste considerazioni spingono colui che le ascolta a peccare, queste insegnano in ogni occasione a fare azioni illegali, queste sanno allontanare l'insegnamento della legge, e che la stessa giustizia non ha alcun potere contro i fuorilegge, queste introducono nel mondo un empio modo di vivere e insegnano a non temere in alcun modo l'empietà, dal momento che un uomo col solo battesimo si libera di un cumulo di migliaia di peccati. Perciò questa è la scaltra invenzione del detto».

(Macario,  Apocritico,  IV, 19)

«Tuttavia cercheremo di sapere in modo chiaro ciò che riguarda la monarchia del Dio unico e la poliarchia degli dèi che vengono venerati, poichè non sai neanche esporre il significato della monarchia. Monarca infatti non è colui che è solo, ma colui che regna da solo. Evidentemente egli governa sulle persone della sua stessa razza, sui suoi simili; ad esempio l'imperatore Adriano, è stato un monarca, non perchè era solo, nè perche governava i buoi e le pecore, che sono comandati dai pastori di greggi e dai pastori di buoi, ma perchè regnava sugli uomini della sua stessa specie che avevano la sua stessa natura. Allo stesso modo non avrebbe potuto essere chiamato monarca in senso proprio, se non governasse gli dèi; ciò infatti conviene alla maestà divina e alla grande dignità celeste».
(Macario, Apocritico, IV, 20) 

«Infatti se dite che vicino a Dio si trovano gli angeli non soggetti alle passioni, immortali e per natura incorruttibili, che noi chiamiamo dèi in quanto sono vicino alla divinità, perchè discutere sul nome o solo prendere in considerazione il diverso modo di chiamarli? Infatti anche colei che viene chiamata Atena presso i Greci, i Romani chiamano Minerva, invece Egiziani, Siri e Traci la chiamano in modo diverso, e certamente non è per la differenza dei nomi che l'appellativo di divinità si conforma o si sminuisce. Dunque che li si chiami dèi o angeli, non c'è molta differenza, in quanto è attestata la loro natura divina, e lì Matteo scrive così: “E Gesù rispose e disse: 'Voi vi sbagliate perchè non conoscete le Scritture nè la potenza di Dio; infatti alla resurrezione non si prende nè moglie nè marito, ma si è come angeli nel cielo'”. Ammettendo dunque che gli angeli partecipano della natura divina, coloro che rendono agli dèi la dovuta venerazione, pensano che dio non stia nel legno, nella pietra o nel bronzo di cui è fatto il simulacro, nè se qualche parte della statua è stata mutilata, pensano sia stata diminuita la potenza del dio. Infatti è per non dimenticare che le statue e i templi furono eretti dagli antichi, affinchè coloro che si recavano lì, essendo a riposo, si addormentavano e, purificatisi da tutto il resto, pensavano a dio o si avvicinavano per rivolgergli preghiere e suppliche, domandando al dio ciò di cui ognuno ha bisogno. E infatti se uno crea l'immagine di un amico, certamente egli non pensa che l'amico si trova in essa, nè che le membra di quel corpo siano racchiuse nelle parti del dipinto, ma per mezzo di quello venga mostrata la stima nei confronti dell'amico. Così i sacrifici fatti agli dèi non portano tanto la venerazione ad essi quanto piuttosto sono la prova dell'affezione dei devoti e del fatto che non sono ingrati nei loro confronti. Inoltre è a buon diritto che le figure delle statue siano di forma umana, in quanto si pensa che l'uomo sia il più bello tra gli animali e sia l'immagine di Dio. Inoltre è possibile rafforzare il concetto con un altro passo della Bibbia che afferma che Dio ha dita con le quali scrive dicendo: "E diede a Mosè le due tavole scritte col dito di Dio". Ma anche i cristiani, imitando le costruzioni dei templi, edificano case grandissime, all'interno delle quali si riuniscono per pregare, sebbene niente impedisca loro di fare ciò nelle loro case, perchè è chiaro che il Signore ascolta dappertutto».  
(Macario, Apocritico, IV, 21)

«E anche se uno dei Greci avesse la mente così vuota, da credere che gli dèi abitino dentro le statue, avrebbe un'idea più pura di colui che crede che il divino sia entrato nel ventre della vergine Maria, sia diventato embrione e, dopo la nascita, sia stato avvolto in fasce, pieno del sangue della placenta e della bile e di sostanze ancora più disgustose di queste».
(Macario, Apocritico, IV, 22)

«Potrei dimostrarti che anche dalla Legge è citato il nome venerabile degli dèi in cui comanda, e con grande misericordia ammonisce, colui che ascolta: "Non calunnierai gli dèi e non parlerai male del principe del tuo popolo". Infatti non sono altri gli dèi di cui qui si parla se non quelli a cui noi crediamo nella nostra tradizione, di cui abbiamo notizia nel passo: "Non andare dietro agli dèi", e più avanti: "Se seguirete e adorerete altri dèi". Infatti che non sono uomini ma dèi, e che sono gli dèi che vengono onorati da noi, lo dice non solo Mosè, ma anche Giosuè suo successore che dice alla folla: "E adesso temete lui e servite lui solo e abbandonate quegli dèi che i vostri padri servirono; e Paolo non è di uomini ma di esseri incorporei che dice: "Sebbene siano molti chiamati dèi e molti i signori, sia in terra, sia in cielo tuttavia per noi c'è un solo Dio e Padre dal quale provengono tutte le cose". Perciò vi sbagliate completamente quando credete che Dio sia in collera se anche qualcun'altro viene chiamato Dio e ottiene lo stesso nome, dal momento che i principi non vedono di mal'occhio l'omonimia coi sudditi e i padroni coi servi. In tutti i casi non è lecito credere che Dio sia più meschino degli uomini. E ciò basti per quanto concerne l'esistenza degli dèi e il dovere di onorarli».
(Macario, Apocritico,  IV, 23)

«Bisogna ancora discutere sulla resurrezione dei morti. Infatti per quale motivo dio avrebbe fatto ciò e per quale motivo dunque la successione delle creature, valida fino ad oggi, grazie alla quale egli ha stabilito di conservare e non di interrompere l'ordine, egli la sospenderebbe così bruscamente, lui che fin dall'inizio aveva legiferato e aveva dato un ordine preciso? D'altronde le cose che una volta sono state immaginate da dio e che per così tanto tempo sono state conservate, conviene che siano eterne e che non vengano condannate nè distrutte da colui che le ha create, come generate da un uomo qualunque e prodotte da un mortale, come se fossero anch'esse mortali. Quindi è irrazionale che, dopo la distruzione di tutto, segua la resurrezione, ed egli resusciti una persona morta da tre anni, se ciò capiti prima della resurrezione, e con essa Priamo e Nestore, morti migliaia di anni prima e altri che nacquero prima di quelli, all'inizio della razza umana. Eppure se qualcuno volesse rifletterci sopra, troverebbe questa storia della resurrezione una sciocchezza completa: infatti spesso è capitato che molti morirono in mare e i loro corpi furono mangiati dai pesci, altri furono divorati dalle belve e dagli uccelli; com'è dunque possibile che i loro corpi tornino indietro? Suvvia dunque, esaminiamo minuziosamente quanto detto: per esempio una persona ha fatto un naufragio, e successivamente le triglie hanno mangiato il corpo; poi alcune persone le hanno pescate e mangiate; successivamente queste persone vennero divorate dai cani; corvi e avvoltoi si cibarono dei cani morti e dei loro resti. Come dunque sarà riunito il corpo del naufrago smembrato in così tanti animali? E ancora un altro corpo distrutto dal fuoco e un altro ancora finito in pasto ai vermi, come possono ritornare alla sostanza che avevano all'inizio? Ma mi dirai che questo è possibile a dio; ma questo non è vero. Infatti dio non può fare tutto: per esempio non può fare che Omero non sia stato un poeta, nè che Ilio non sia stata conquistata; nè sicuramente che due per due, che in aritmetica fa quattro, dia come risultato cinque, anche se lui lo volesse. Ma nemmeno che dio, anche se egli lo desiderasse, potrebbe essere cattivo, nè potrebbe mai commettere errori, essendo buono per natura; se dunque non può sbagliare, nè diventare cattivo, ciò  non deriva per dio da una sua mancanza. Infatti coloro che hanno per natura una predisposizione e una grande abilità nei confronti di qualche cosa, e sono poi impediti nel fare questo qualcosa, è chiaro che sono impediti dall'impotenza; dio invece ha avuto una naturale predisposizione ad essere buono e non è trattenuto dall'essere malvagio: e nonostante non sia trattenuto dal divenire malvagio, non può esserlo. Riflettete allora quanto sarebbe assolutamente illogico se il demiurgo lasciasse che il cielo, di cui nessuno potè pensare una bellezza più divina, venisse distrutto, le stelle cadessero e la terra perisse, e invece facesse risorgere i corpi putrefatti e guasti degli uomini, alcuni di persone dall'aspetto curato, altri orribili prima di morire, sproporzionati e dall'aspetto terribilmente nauseante. Ma anche se potessero facilmente risorgere con l'aspetto adatto, è impossibile che la terra possa contenere coloro che sono morti dall'origine del mondo, se mai dovessero risorgere».
(Macario,  Apocritico, IV, 24)

«A ciò si aggiunge anche l'esempio degli evangelisti, i quali a volte hanno dato credito non proprio alla realtà, ma al modo di vivere e all'opinione del volgo, garante il Magnete, antichissimo scrittore ecclesiastico, che nei libri II e V scrisse contro il pagano Teostene il quale a torto ci rinfacciava la discordanza degli evangelisti e altre cose contenute nel Vangelo».
(Macario,  Apocritico,  V, presso F. Turrianus, Adversus Centuriatores Magdeburgenses, Florentia 1572, p. 144)

«Se il ribellarsi ai genitori viene proibito dalle Sacre Scritture e colui che viola i precetti viene chiamato peccatore, come può il Signore Gesù Cristo essere immune dal peccato quando in diversi passaggi del Vangelo si mostra nell'atto di ribellarsi ai suoi genitori? Infatti durante le nozze di Cana rimproverò la madre dicendole: "Donna che vuoi da me?" E quando la madre volle vederlo, chiamò madre e fratelli coloro che fanno la volontà di Dio ecc. [...] Se Gesù agli uni e agli altri fa discorsi in modo opposto, come può risolvere agli altri le aporie provenienti dagli uni?».
(Diodoro,  Domande e risposte agli ortodossi, 153) 

«Io dico che ciascuno, ebrei e cristiani, si cercano una versione a loro più confacente della Torah, che annuncia ciò che concorda con la dottrina dei propri seguaci. Della versione che seguono gli ebrei, pensano che da essa la confusione non deve esistere. Quello che è appartenuto ai cristiani viene menzionato nella “Torah dei Settanta”. Questa risale a quando una parte dei figli di Israele, come Nabucodonosor si era scagliato contro Gerusalemme e l'aveva distrutta, poi dopo essere stata cacciata di là, ha cercato rifugio presso il re d'Egitto ed è rimasto sotto la sua protezione finchè ha governato Tolomeo Filadelfo. Si è appreso la notizia di questo re e della sua origine divina della Torah. Ha continuato le ricerche di quella parte (i figli di Israele), fichè li trovò in un villaggio di circa trentamila uomini. Ha offerto loro la propria ospitalità, li ha fatti venire e trattati gentilmente. Poi ha dato loro il permesso di tornare a Gerusalemme: Ciro, governatore di Babilonia sotto Artaserse I l'aveva nel frattempo ricostruita e aveva inoltre intrapreso la qualificazione agricola della Siria. Loro (gli ebrei) avevano lasciato la città, con una parte dei funzionari del re, attraverso i quali diede loro protezione. Lui disse loro: “Vedete, ho una preghiera da farvi. Se la mia volontà non è compiuta, la mia gratitudine si ritorcerà contro di voi. La preghiera è che vogliate regalarmi un esemplare del vostro libro, la Torah”. Gli hanno detto che l'avrebbero fatto e lui giurò di rispettarla. Dopo che erano andati a Gerusalemme hanno mantenuto fede alla promessa, e gli mandarono un esemplare della Torah, ma esso era in ebraico, e il re non comprendeva l'ebraico. Si rivolse a loro di nuovo con la richiesta di qualcuno che comprendesse l'ebraico e il greco, perché traducessero al re la Torah. Egli promise lo stesso doni e benedizione. Perciò
scelsero gli ebrei dalle loro dodici tribù settantadue uomini, sei persone per ogni tribù, tra sacerdoti e studiosi. I loro nomi sono noti tra i cristiani. Loro (i settantadue) tradussero la Torah in greco, dopo il re si separò da loro, e ordinò che si mettessero a lavorare a due a due. Così trentasei traduzioni vennero in suo possesso. Le ha confrontate insieme e non ha trovato nessuna diversità, tranne quelle differenze inevitabili, relative a espressioni differenti ma a concetti conformi. Ha dato loro ciò che avevano promesso, e li ha forniti delle cose migliori, con tutto di cui avevano bisogno. Quindi loro gli chiesero che una delle stesure delle trentasei traduzioni fosse regalata a loro, per vantarsi di fronte al loro compagni e pavoneggiarsi. Questa è la stesura che è considerata valida dai cristiani, ed è conforme all'originale, così dicono. Gli ebrei però affermano il contrario. Il fatto cioè che essi furono costretti nella traduzione del libro ad una pressione continua su di loro, descritta con timore di violenza e cattivo trattamento, affinchè concordassero sulle modifiche e i cambiamenti. Non si trova in ciò che essi (i cristiani) menzionano - ammesso che si riconosca una probabilità -, qualcosa che possa rimuovere il dubbio. Piuttosto ciò che citano richiama ancora più fortemente il dubbio. Non ci sono solo queste due stesure della Torah. Piuttosto che né una terza dei Samaritani, nota come ( al- l massya). Sono i successori a cui Nabucodonosor aveva assegnato la Siria, quando egli aveva catturato gli ebrei e li aveva sgomberati dalla Siria. I samaritani l'avevano aiutato e gli avevano indicato le debolezze dei figli di Israele. Così egli non li aveva citati (i samaritani), non li aveva uccisi, né li aveva catturati, ma li aveva lasciati nelle zone abitate della Palestina. Le loro dottrine si mischiarono con le comunità ebraiche e dei Magi; la gran quantità vive in un luogo palestinese, chiamato Napoli (nablus); lì si trovano le loro sinagoghe. Non varcano il confine di Gerusalemme dai giorni di Davide il profeta, perché affermano che egli ha fatto violenza e ingiustizia e ha trasferito il tempio sacro di Nablus ad Ailia (e questa Gerusalemme). Non toccano possibilmente altri uomini e se li hanno toccati si lavano. Non riconoscono nessuna delle profezie dei profeti dei figli di Israele che hanno vissuto dopo Mosè. Essi si richiamano a quanto contrasta con la stesura della loro versione della Torah con quella degli ebrei che essi considerano quella autentica, è a questa loro si richiamano, così essa indica il lasso di tempo con la somma della durata della vita dei discendenti di Adamo, la cacciata di Adamo dal paradiso e il diluvio universale, che si è verificato nel tempo di Noè, in 1656 anni. Così attacca la stesura che è invece valida per i cristiani che computano questo lasso di tempo in 2242 anni. Così attacca la stesura valida per i samaritani che dice che si raggiunge il periodo di 1337 anni... (22, 4) Non solo alla Torah appartengono una molteplicità di stesure, diverse tra loro, ma lo stesso vale per il Vangelo. Poiché comprende quattro stesure da parte cristiana, riunito in un rotolo (o: in un Codice), la prima proviene da Matteo, la seconda da Marco, la terza da Luca, la quarta da Giovanni, ciò che ha scritto ognuno dei discepoli, in conformità dell'annunciazione di Gesù nel loro paese. Ciò che si trova in ognuno di loro per quanto riguarda le descrizioni del Messia e dei giorni della sua annunciazione e nel tempo della sua crocifissione differisce - come si afferma - spesso da quello che dice l'altro. Così per quanto riguarda l'albero genealogico suo, che è l'albero genealogico di Giuseppe, sposo di Maria e patrigno di Gesù, Marco dice di essere: Giuseppe, Giacobbe, Mattan, Eleazar, Eliud, Achin, Zadok, Azor, Eliakim, Abiud, Zerubabele, Sealtiele, Geconia, Giosia Amon, Manasse, Iskia, Ahaz, Gioatam, Usia, Gioram, Giosafat, Asa, Abia, Reabeam, Salomone, David, Gesse, Obed, Boas, Salma Naasson, Aminabad, Ram, Ezron, Perez, Giuda, Giacobbe, Isacco, Abramo. E Matteo inizia l?'albero genealogico con Abramo, giù sino ad arrivare a Giuseppe. Per quanto riguarda Luca così dice essere l'?albero genealogico: Giuseppe, Eli, Mattat, Levi, Melchi, Janna, Giuseppe, Mattatia, Amos, Nahum, Esli, Nagai, Maat, Mattatia, Simei, Giuseppe, Giuda, Gioana, Resa, Zerubabele, Sealtiel, Neri, Melchi, Addi, Kosam, Elmadam, Her, Giuseppe, Elieser, Giorem, Mattat, Levi, Simeone, Giuda, Giuseppe, Giona, Eliakim, Melea, Menan, Matatai, Nathan, Davide. La scusa dei cristiani e la loro argomentazione dicono essere conformi alle regole che sono fissate nella Torah, che dicono che se un uomo è morto e lasciato la consorte senza figli, il suo posto è preso dal fratello dal defunto, affinchè egli assicuri la discendenza. Cosicchè poi ciò che da lui è procreato al posto del fratello defunto, appartiene al morto da parte dell'albero genealogico, al vivente per quanto riguarda la procreazione e la realtà. Loro dicono: Giuseppe è disceso conformemente a ciò, da due padri, e precisamente da Eli che era suo padre da parte dell'albero genealogico e Giacobbe che era suo padre da parte della procreazione. Gli ebrei hanno rimproverato a Matteo il modo in cui ha classificato la genealogia di Giuseppe. Loro dicono: la genealogia non è corretta, perché in essa non vi è riferimento con l'albero genealogico. In conseguenza di ciò Luca si è adattato a loro (agli ebrei), ha calcolato il suo albero genealogico in conformità della norma. Entrambi gli alberi genealogici risalgono a Davide. È stata l'intenzione delle collocazioni, poiché è riconosciuto che il Messia sarebbe un figlio di Davide. Per il resto l'albero genealogico del Messia è stato collegato solo a Giuseppe, non anche a Maria, perché la legge dei figli di Israele dice che nessuno di loro si sposa al di fuori della sua tribù o del suo clan, in modo che le genealogie non sono diverse, e per usanza, solo l'albero degli uomini esiste, quello delle donne non deve essere menzionato. E Giuseppe e Maria erano entrambi di un ceppo, così per entrambi si è andati indietro allo stesso punto di partenza, e questo era lo scopo della determinazione della genealogia e la sua comunicazione. Tra i sostenitori di Marcione e quelli di Bardasane vi è un Vangelo che per alcuni aspetti di questo (di cui sopra) è diverso dagli altri Vangeli. Tra i seguaci di Mani è valido un Vangelo tutto a sè, che pone tutto in contrasto, dall'inizio alla fine, ciò che i cristiani insegnano. I Manichei osservano ciò che il loro Vangelo contiene; affermano che il loro è giusto e corrisponde a ciò che ha rappresentato il Messia e ciò che ha portato, e che tutti gli altri Vangeli sono nulli e i loro sostenitori bugiardi per ciò che concerne il Messia».

(Al- biruni,  Cronaca, 20, 12 ss.)

«"Egli disse che Origene andò a dare insegnamenti ai Pagani in un villaggio, e loro gli dissero: 'Prega con noi, e tutti saremo uniti e ci lasceremo battezzare', ma quando iniziò a pregare i pagani si misero a ridere e non credevano"».
(Barebreo,  Storia ecclesiatica,   I, 51, 12 ss.)

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