martedì 27 settembre 2016

Sulla cattiveria del Gesù di carta (I)


ANTROPOLOGIA: Modo di esprimersi degli scrittori profani. Consiste nel supporre che al puro spirito, che nella sua bontà governa l'universo, appartengano occhi, mani, passioni, nefandezze, malizie. Dio ha fatto gli uomini a sua immagine e i preti hanno fatto Dio a immagine dei preti. Ecco perchè lo troviamo tanto affascinante.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

Per la cronaca, io sono un agnostico quando si giunge al Gesù storico. Io non sono un cosiddetto “miticista”, nè mi preoccupo in questo libro della questione della resurrezione di Gesù. Io affermo che non possediamo dati sufficienti dal tempo reale di Gesù per corroborare pienamente ogni particolare descrizione di Gesù che si trova nei vangeli. Per me, l'incapacità a ricostruire ogni “originale” o “reale” Gesù è un problema filosofico come pure un problema storico. Senza un accesso diretto all'originale Gesù, tutto quel che avremmo sono le più antiche tradizioni su ciò che Gesù disse e fece. Identificare le più antiche tradizioni su Gesù non proverebbe alcunchè di ciò che Gesù disse o fece. Solamente possedendo un accesso diretto all'originale Gesù permetterebbe agli studiosi moderni di confrontare accuratamente le raffigurazioni esistenti con un qualche “originale”. Quell'accesso non è storicamente possibile, e quello è il motivo per cui le “più antiche” tradizioni su Gesù non dovrebbero essere eguagliate coll'“originale” o “reale” Gesù storico. Asserzioni circa cosa ognuno realizzerebbe o non realizzerebbe su Gesù in “un contesto ebraico” non sono convincenti perchè noi non possediamo un quadro completo dei giudaismi al tempo di Gesù.   Innovazioni radicali sono possibili e sono stati ipotizzati per altri aspetti di Gesù che apparentemente non si accordano coll'ebraismo del tempo.
Dal momento che noi abbiamo soltanto diverse rappresentazioni di qualche presunta forma originale degli insegnamenti di Gesù, allora gli studiosi in ultima istanza attingono e scelgono quale rappresentazione concorda colla loro opinione degli insegnamenti storici di Gesù. Non c'è nessuna ragione intrinseca, per esempio, del perchè il Gesù violento è meno “originale” del Gesù pacifico. Dal momento che alcuni ebrei del primo secolo favorivano approcci apocalittici e altri potrebbero aver favorito approcci “sapienziali” o “cinici” all'esistenza, non c'è nessun modo di sapere quale approccio favoriva un qualche “reale Gesù”. Una volta scelto uno di quei ritratti alternativi, si possono ridimensionare quelle raffigurazioni che non si conciliano come deviazioni, aggiunte o corruzioni. Ma proprio l'esistenza di possibili ritratti così radicalmente differenti è una prova che c'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato colla metodologia della maggior parte della ricerca del Gesù storico.
Nondimeno, il fatto rimane che la maggior parte degli studiosi biblici ancora vedono l'etica di Gesù come benigna e normativa per l'oggi a dispetto di tutti i problemi con l'accertamento di ciò che disse o fece veramente Gesù nella Storia. Invero, niente della diversità nei ritratti di Gesù ha distolto gli studiosi dall'attribuizione di un insieme di condotte uniformemente benigne a Gesù. La mia obiezione è che questa diversità e problemi storici sono approcciati proprio come i teologi approcciano altri problemi nella Bibbia. Loro utilizzano un insieme diverso di strumenti ermeneutici per preservare la benignità di Gesù e per eliminare o sanare qualunque cosa che potrebbe essere offensivo oggi.
Il mio argomento qui non è che ogni presunto Gesù storico fu buono oppure cattivo. L'oggetto della mia materia sono i ritratti nel Nuovo Testamento di un uomo chiamato Gesù. Come tale, il mio approccio riecheggia quello di Frank Matera, il quale aveva sottolineato che il suo studio di Matteo si focalizzava sulle “dottrine etiche di Gesù come presentate dall'evangelista Matteo piuttosto che sul Gesù storico”. Il mio progetto mira ad esplorare come i moderni eticisti del Nuovo Testamento tentano di sanare e proteggere quei ritratti, indipendentemente da quanto storici potrebbero essere. Se Gesù disse o fece qualcosa affermato nei vangeli è non tanto importante quanto il fatto che quelle descrizioni sono diventate normative per i cristiani moderni. Altrimenti, io posso concordare con Kurt Noll, che sostiene che “ogni ricerca di un Gesù storico è irrilevante ad una comprensione dei più antichi movimenti sociali che evolsero nella religione ora chiamata cristianesimo”.

(Hector Avalos, The Bad Jesus; The Ethics of New Testament Ethics, pag. 11-13, mia traduzione)

Cerchiamo di riflettere su alcuni elementi di interesse che riguardano il Gesù letterario, il Gesù di carta, il Gesù dei vangeli.

Si tratta di un personaggio concettuale creato così dall'evangelista “Marco”, e manovrato dalla sua volontà per agire in determinati modi (modi che sarebbero corretti o modificati o graditi dagli altri evangelisti che si basarono su “Marco”): di fatto, questo Gesù è una marionetta dipinta, un giocattolo di pezzi snodati, presi dalle profezie dell'Antico Testamento ebraico, una finzione di carta elaborata ad arte con l'allegoria, la parabola, il mito, il simbolo e la metafora. Gesù non è mai esistito storicamente, si tratta di una montatura di alcuni ebrei che pensavano che il Messia annunciato fosse finalmente giunto e che ciò che era stato predetto nelle scritture si fosse avverato: tale circostanza ha prodotto un modo d'essere, di pensare, di dipingere e di scolpire. Il cristianesimo primitivo è stato infatti riplasmato per ruotare attorno a questa finzione — e non più attorno a visioni, apparizioni e rivelazioni di un arcangelo celeste — venduta come “storia ricordata” per volontà di chi ha voluto evemerizzare l'angelo Gesù sulla Terra.

Questa marionetta è creata a nostra immagine, ma apparentemente sembra essere stata creata senza i nostri limiti morali e fisici, visti i miracoli che compie e la descrizione idilliaca che ne fanno ogni giorno i teologi e i folli apologeti cristiani dall'alto dei loro pulpiti (ecclesiastici o accademici non fa differenza quando si tratta di loro). Se fosse creata così, la sua somiglianza con la nostra miseria morale sarebbe una cosa strana e terribile da dire di un sedicente “Figlio di Dio”, troppo strana e terribile per essere accettata senza preoccupazione. Dato che allarmare le persone non aiuta a commercializzare le marionette, queste non vengono create con tale e sgradevole somiglianza a noialtri da poterle scambiare per reali esseri umani, a maggior ragione quando, come nel caso del fittizio Gesù “soprannominato Cristo”, dovrebbero posare nientemeno che come il “Figlio di Dio” — se non nella penombra di un'oscura cella o di un solaio dimenticato.

Abbiamo bisogno di sapere che le marionette sono marionette. A maggior ragione avevano bisogno di saperlo i reali fabbricatori della finzione di Gesù, nei riguardi della loro creatura. Ciononostante, una marionetta come Gesù potrebbe ancora farci paura. Perchè, se osserviamo la marionetta Gesù in un certo modo, è come se ci guardassimo dentro, per scorgervi i nostri stessi difetti morali. Ma come? Non avevano forse preso tutte le migliori precauzioni, i fabbricatori della fittizia biografia per Gesù, nel presentarlo come la migliore marionetta possibile, impeccabile avatar terrestre di un meraviglioso angelo cosmico e pre-esistente di luce? Non avevano fatto in modo di riflettere ad ogni occasione la sua santità, perfino se artificiale?

E invece ecco che il Gesù del vangelo non è così idilliaco come se lo immaginano continuamente i folli apologeti cristiani, criptocristiani ed ex-cristiani, e perfino un cospicuo numero di atei (quelli troppo inclini a dare addosso al povero Paolo per averlo tradito, come sosteneva Nietzsche, crocifiggendolo “alla sua croce”, quando Paolo invece di un “Gesù storico” non ne sapeva assolutamente nulla, neppure che fosse esistito davvero su questa Terra!). Parrebbe anche Gesù, questo personaggio di carta, questa marionetta letteraria, sul punto di manifestare la stessa miseria morale che assilla da sempre l'umanità. In questi momenti di lieve confusione, si manifesta un conflitto psicologico, una percezione dissonante che attraversa il nostro essere con una convulsione di orrore soprannaturale.

Un termine migliore sarebbe “perturbante”, dato che si riferisce ad una marionetta apparentemente animata come Gesù, costruita pezzo per pezzo allo scopo di posare debitamente come il “Figlio di Dio”, che eppure non è la perfetta figura morale che sembra designata a figurare, ma manifesta invece tutte le pecche morali dei peggiori esseri umani in circolazione, che non esiteremmo a condannare all'istante se a mostrarle non fosse proprio lo stesso Gesù dei vangeli.

Così una marionetta come Gesù che si rivela un autentico mostro morale sarebbe definita come orrore, perchè negherebbe tutte le concezioni positive che ci eravamo fatti di lui fino ad un attimo prima, e affermerebbe una metafisica del caos e dell'incubo. Sarebbe ancora una marionetta — è questo il punto! — ma una marionetta che compie e dice azioni totalmente condannabili sul piano etico. Una marionetta programmata per essere cattiva.

Ma questa cattiveria morale manifestata suo malgrado dalla marionetta “Gesù di Nazaret” non sarebbe d'altronde colpa sua. Essendo stata fabbricata come effigie terrena di un angelo mai sceso su questa Terra (ma nei cieli inferiori), la marionetta “Gesù di Nazaret” è attore in un mondo proprio che esiste dentro il nostro e su di esso si riflette. Cosa vediamo in quel riflesso? Soltanto ciò che i creatori del Gesù “Figlio dell'Uomo” vollero farci vedere, in fin dei conti. E tuttavia, attraverso il profilattico dell'auto-inganno, hanno tenuto nascosto, loro stessi, i cospiratori che fabbricarono “Gesù di Nazaret” interamente a tavolino, quello che non volevano finisse nelle nostre teste, come se rivelassero altrimenti a noi stessi un segreto troppo terribile da conoscere.
In fondo, a tutto potevamo credere, noi stupidi hoi polloi, ma non ad inventori di un Gesù intrinsecamente malvagio sul piano strettamente morale. Eppure il miracolo è avvenuto che proprio questo fosse il caso: gli evangelisti credevano, e noi con loro, di essere loro stessi a far funzionare tutto della marionetta “Gesù di Nazaret” da loro ideata attraverso un gioco sottile di simboli, di allegorie, di montaggi, di metafore, di apologhi, di favole, di miti e di finzioni. E chiunque avesse contraddetto questa loro intima e segreta convinzione sarebbe stato accusato di essere matto: quale creatore della Non-Vita di un dio inesistente sulla Terra sarebbe stato così scemo da creare inavvertitamente un autentico mostro morale? Come prendere sul serio un marionettista che è passato al nemico?


Quando la marionetta “Gesù di Nazaret” ha finito il suo spettacolo, torna nel suo baule. È semplicemente un oggetto, il personaggio letterario di un racconto, l'eroe della favola. Se dovesse rivelarsi un mostro morale, il nostro mondo diverrebbe un paradosso e un orrore in cui tutto sarebbe incerto, a cominciare dalla nostra certezza, tenuta fino all'altro ieri, che il Gesù dei vangeli fosse intimamente e moralmente buono, perfino se mai esistito.

Come testimonia, con un'analisi freddamente scientifica, il prof Hector Avalos nella sua opera The Bad Jesus; The Ethics of New Testament Ethics, ci siamo fin troppo illusi a credere passivamente, dando retta alle ipocrite rassicurazioni del folle apologeta cristiano di turno, che il Gesù letterario, la figura descritta nei vangeli, sia moralmente buona e ineccepibile. 

In realtà le verità morali emergono prima o poi nelle storie di fantasia così come nelle storie della vita reale, e una critica della moralità perversa del Gesù evangelico è fattibile totalmente al di là dell'inesistenza dell'uomo Gesù.

Lo studio di Hector Avalos è un esempio da manuale di come dovrebbe essere condotta una vera ricerca scientifica: la sua critica alla moralità perversa di Gesù dovrebbe essere una lettura obbligatoria in tutti i corsi di metodologia comparativa tra teologia e storia, l'esatto frangente in cui i folli apologeti cristiani delle università cristiane e dei seminari nascondono il loro idolo taroccato sotto la rassicurante etichetta di oggettiva verità storica.
Del resto, che cos'è il cristianesimo se non un parassita della storia? Come un tumore canceroso che cresce in un corpo sano (la storia oggettiva dei fatti), gli apologeti cristiani hanno potuto continuare totalmente indisturbati nel dissimulare i concreti fatti storici pur di servire la propria schifosa apologetica ipocrita spacciandola impunemente per 'analisi scientifica', da cui sfornare in continuazione nuovi, indottrinati folli apologeti cristiani. Non meraviglia che l'ultimo vero residuo medievale rimasto sono i dipartimenti universitari dove si insegna il “Gesù storico”, proclamando fuori discussione (!) la sua esistenza storica. Un'università che si chiama “Fides et Ratio” oppure “Cattolica” è tutto fuorchè una vera università scientifica, quando vi si insegna la chimera del “Gesù storico”!

In realtà esiste anche un Gesù moralmente cattivo nei quattro vangeli canonici. Se un Gesù storico fosse esistito, allora sarebbe lui stesso il responsabile del suo negativo ritratto morale, sempre qualora fosse veritiero e fedele quel ritratto (e il prof Avalos ammette in tutt'onestà di non saperlo, come ogni Jesus Agnostic degno di questo nome), ma che esiste un negativo ritratto morale di Gesù nei vangeli è già provato da Avalos oltre ogni ombra di dubbio. Perciò, se Gesù non è esistito, come io penso e credo essere il caso, allora perchè il suo inventore lo ha ideato così cattivo e ripugnante sul piano morale?

L'unica ragione possibile da offrire è che la creatura riflette immancabilmente i limiti e i difetti anche morali del suo creatore. Prendete la più bella scultura o la più bella pittura: perfino essa presenterà i limiti intrinseci del suo scultore e del suo pittore, chi in maggiore e chi in minore misura. Se il creatore di una storia è lui stesso cattivo, la sua cattiveria si rifletterà per forza nella storia che sta inventando, e sarà ancor più così specie se quella storia volesse venderla agli stupidi e ignoranti hoi polloi come la sua verità, la sua testimonianza, il suo dogma, la sua pretesa, la sua visione del mondo: tutti fattori che non possono che contribuire a manifestare e a riflettere il lato morale più oscuro della natura del creatore nella natura stessa della sua creatura. La marionetta diventa così il riflesso del marionettista. L'albero si riconosce dai frutti.

Il neoateo Richard Dawkins disse giustamente una volta del Corano:



E il Corano non era stato dettato dall'arcangelo Gabriele, ovviamente, quindi la cattiveria contenuta nel Corano vi è stata riversata direttamente dai suoi reali creatori.
Ne consegue con logica necessità che la cattiveria del Gesù di carta è la stessa cattiveria morale dei suoi creatori, dei suoi marionettisti.

E quindi sì: il marionettista è davvero passato al nemico. Hanno creato un mostro morale, e, a causa della loro stessa cecità morale, gli inventori non se ne resero conto.

E così, a due millenni di distanza, l'umanità sconta ancora gli effetti nocivi e dannosi dei loro errori morali nella misura in cui la loro legittimazione è osannata nei vangeli stessi, presi dogmaticamente a modello di ogni possibile morale moderna consentita. Un perverso idolo taroccato diventa così il perpetuatore inconsapevole e inanimato della miseria morale intrinseca dei suoi stessi creatori: gli evangelisti “Marco”, “Matteo”, “Luca” e “Giovanni” (ma soprattutto il primo, sul quale gli altri tre si basarono tutti).

Contro la marionetta “Gesù di Nazaret” non andrebbe usato come antidoto al suo veleno morale il pur crudele monito di Deuteronomio 18:20-22:
Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire. Se tu pensi: Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detta? Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore; l'ha detta il profeta per presunzione; di lui non devi aver paura.
...Perchè Gesù si può considerare un fallito profeta apocalittico come lo fu Daniele: totalmente inesistente.

Di conseguenza andrebbe usato invece come antidoto il comandamento più sublime donatoci dall'ebraismo contro ogni forma di religione feticistica e che dovrebbe essere fatto proprio in tal senso da tutte le religioni:
Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.
(Esodo 20:5)

“Gesù di Nazaret”
è un idolo taroccato, una chimerica montatura, una perversa marionetta dipinta. Una finzione designata a trasformare le vite dei credenti in altrettante finzioni.

Che bruci dunque al rogo dello stesso inferno da lui provocato sulla Terra!
APPENDICE:
L'invenzione nell'invenzione

Fu molto inquietante per noi riscontrare in alcune delle sculture più recenti e in rovina, un mamifero primitivo, usato talvolta come cibo e a volte come buffone per il divertimento di quegli Esseri, nel quale gli indizi della futura umanità erano inequivocabili.
(Howard P. Lovecraft, Alle Montagne della Follia)

Una religione esige numerose relazioni dicotomiche. Ha bisogno di credenti e di non credenti. Di gente che conosca i misteri, e di altri che soltanto li temano. Di iniziati e di profani. Ha bisogno di un dio e di un diavolo. Di assoluti e di relativi. Di ciò che è privo di forma (e tuttavia si sta formando) e di ciò che è formato.
Ingegneria Religiosa,
scritti segreti di Amel

— Creeremo un dio — dichiarò l'Abate Halmyrach.
Era un uomo di bassa statura, scuro di pelle, avvolto in una vesta arancione pallido che gli ricadeva in soffici pieghe fino alle caviglie. Il suo volto lungo e liscio era dominato da un lungo naso, sospeso come un precipizio sopra una bocca dalle labbra sottili. La testa calva era bruna e lucida.
— Non sappiamo ancora da quale creatura, o cosa, nascerà il dio — disse l'Abate. — Potrebbe essere uno di voi.
Agitò la mano in direzione degli accoliti, seduti sul pavimento spoglio di un'austera sala dominata dai raggi a perpendicolo del sole al meriggio. La sala era una fortezza Psi, corazzata da strumenti e incantesimi. Aveva venti metri di lato e un'altezza di tre metri dal pavimento al soffitto. Undici finestre, cinque da un lato e sei dall'altro, guardavano sui tetti del complesso cintato di Amel, in mezzo al parco. La parete dietro all'Abate, e quella di fronte, sembravano rivestite di pietre bianche solcate da un sottile mosaico di linee brune, simili a tracce lasciate da insetti: la configurazione di una macchina Psi. Le pareti risplendevano di una luce bianca, uniforme, simile a latte scremato.
L'Abate sentì la forza che fluiva tra quelle due pareti, il lampo premonitore di colpevolezza-paura, condiviso dalla classe degli accoliti. Ufficialmente, quello era un corso d'Ingegneria Religiosa, ma i giovani accoliti persistevano nella loro irriverenza. Per loro, era Creazione di un Dio.
Ed erano sufficientemente avanti nelle lezioni per conoscerne i pericoli.
— Quello che io dico e faccio in questo luogo è stato progettato e calibrato con estrema precisione — riprese l'Abate. — Qui, le influenze del caso sono troppo pericolose. Perciò, appunto, questa stanza è volutamente così semplice. Qui la più piccola, imprevedibile intrusione potrebbe apportare incalcolabili differenze in quello che stiamo facendo. Vi dico, perciò, che se qualcuno di voi, in questo momento, desidera lasciare la stanza e non partecipare alla creazione di un dio, non vi sarà nulla di vergognoso.
Gli accoliti, accovacciati, si agitarono sotto le vesti bianche, ma nessuno accolse l'invito.
L'Abate annuì, soddisfatto. Fino a quel momento, tutto era andato secondo le previsioni. Disse:
— Come tutti sappiamo, il pericolo nel creare un dio è legato a un nostro eventuale successo. Nella scienza Psi, un successo dell'ordine di grandezza di quello che stiamo progettando in questa stanza comporta un pericolo profondo, e riflessivo... Noi creiamo davvero un dio. E, una volta creatolo, abbiamo ottenuto qualcosa che, paradossalmente, non è più la nostra creazione. Noi potremmo perfino diventare una creazione di ciò che abbiamo creato.
L'Abate annuì dentro di sè, riflettendo sugli dèi creati lungo l'intera storia dell'umanità: selvaggi, tenaci, primitivi, sofisticati... ma tutti imprevedibili. Non importava come lo si creasse: il dio andava sempre per la propria strada. Non si potevano prendere alla leggera i capricci di un dio.
— Ogni volta, il dio esce sempre dal caos — continuò l'Abate. — Su questo non abbiamo controllo: noi sappiamo soltanto come creare un dio.
Avvertì l'acre sentore della paura crescere nella sua bocca, colse l'indispensabile tensione che cresceva intorno a lui. Il dio doveva provenire in parte dalla paura, ma non soltanto da essa.
— Dobbiamo aver timore della nostra creazione — insistette. — Dobbiamo esser pronti ad adorarla, a obbedirla, a implorarla e a supplicarla.
Gli accoliti sapevano la lezione. — Adorarla e obbedirla — mormorarono. Il timore s'irradiava da essi.
Oh, sì, pensò l'Abate, infinite possibilità e infiniti pericoli, ecco la nostra condizione. La trama stessa dell'universo s'intreccia con questi attimi.
Riprese: —Per prima cosa chiamiamo all'esistenza la larva: il concetto del dio che vogliamo creare. — Alzò le braccia, troncando il flusso di forza tra le due pareti e disseminandolo in tanti vortici alla deriva nella stanza. Muovendosi, colse una simultaneità, una fenditura temporale nel suo universo, legata alla consapevolezza delle immagini, dentro di lui, che gli parlava di altre cose che stavano accadendo. L'immagine di suo fatello Ag Emolirdo prese forma nella sua mente: un essere umano simile a un uccello, dal lungo naso, in piedi sotto la pallida luce della lontana Marak, che singhiozzava senza ragione. I contorni di una mano scivolarono dentro la visione; un dito che premeva il pulsante di una piccola scatola verde. Nel medesimo istante vide se stesso con le braccia alzate, mentre uno Shriggar, la mortale lucertola di Chargon, usciva dalla parete Psi alle sue spalle.
Un rantolo uscì dalle bocche degli accoliti.
Con la squisita lentezza del terrore, l'Abate abbassò le braccia e si voltò. Sì, era un autentico Shriggar, una creatura dalla statura così imponente che era costretta a restare accovacciata, in quella stanza. Grandi artigli taglienti pendevano dalle sue corte braccia. La testa sottile, col becco a uncino, si aprì, rivelando una lingua biforcuta che si torse, prima a destra e poi a sinistra. I suoi peduncolati si contorsero e il suo fiato riempì la stanza dei miasmi della palude.
All'imporvviso, la sua bocca si chiuse con uno scatto: — Chunk!
Quando la riaprì, da essa uscì una voce profonda, incorporea, articolata senza alcun sincronismo con le labbra e la lingua d'uno Shriggar. Disse:
— Il dio che create potrebbe morire nel preciso istante in cui nasce. Queste cose richiedono un loro tempo e un loro modo. Io starò attento e mi terrò pronto. Vi sarà un gioco di guerra, una città di vetro, dove creature con alte potenzialità vivono la loro esistenza. Vi sarà un tempo per la politica, e un tempo in cui i preti avranno paura delle conseguenze di ciò che hanno osato. Ma tutto ciò dev'essere, per raggiungere uno scopo sconosciuto.
Lentamente, lo Shriggar cominciò a dissolversi: dapprima la testa, poi il grande corpo giallo ricoperto di scaglie. Una pozza di un liquido caldo, bruno, si formò là dove si era trovato, spargendosi nella stanza ai piedi dell'Abate intorno agli accoliti accovacciati.
Nessuno osò muoversi. Ben sapevano quanto fosse sconsigliabile introdurre una loro forza casuale in quel luogo, prima che le lampeggianti correnti Psi si fossero acquietate.

(Frank Herbert, Creatori di dèi)

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