mercoledì 13 luglio 2016

Sul miticismo esoterico che sopravvisse all'ignoranza e alla bestialità della “Grande Chiesa”


Dalla montagna sicura discese la verità
abbandonata da tutti tranne che dai buoni.
Le fiamme purificatrici soffocano solo la carne
e gli spiriti puri volano sopra la pira,
perché la verità, come la pietra, durerà per sempre.
Qui quercia e olmo scorgono il segno, 
com'è sopra così è sotto.
La parola diviene il perfetto.
Dentro il calice tutto è nulla,
e terribile da guardare.
(James Becker, Il Primo Apostolo)

Stimolate dalle audaci azioni del Francescano, altre città d'Occitania si ribellarono contro gli Inquisitori. Quando il Domenicano Goffredo d'Ablis — un uomo crudele, senza scrupoli, esordì come Inquisitore a Tolosa, gli abitanti della città scrissero una denuncia al re di Francia. Per paura di perdere le province che aveva appena conquistato, Filippo il Bello mandò il suo delegato da Amiens e l'arcidiacono di Lisieux a Midi, con la missione di ascoltare le lamentele della popolazione e porre fine agli eccessi degli Inquisitori. Il delegato fece aprire le carceri dell'Inquisizione e liberò tutti i loro prigionieri. Per di più, arrestò diversi funzionari del Sant'Uffizio. La gente salutò queste misure con entusiasmo, e cominciò una vera e propria persecuzione degli Inquisitori. Il disordine era tale che Filippo dovette visitare personalmenteTolosa, dove emise un editto nel 1304 che ordinava la revisione di tutti i processi condotti  dall'Inquisizione. Allo stesso tempo, ricevette Bernardo in pubblico. Il Francescano ebbe il coraggio di spiegare al re che San Pietro e San Paolo avrebbero confessato entrambi di essere eretici se fossero stati sottoposti ai metodi degli Inquisitori.
(Otto Rahn, Crusade Against the Grail: The Struggle between the Cathars, the Templars, and the Church of Rome, pag. 182, mia libera traduzione)

Mi chiamo Giuseppe Ferri e sono felice di poter affermare che non ho nulla a che fare con la Chiesa cattolica. Sono stato battezzato come quasi tutti gli altri bambini italiani, ma non metto più piede in una chiesa con sincera devozione da molti anni, perchè so che il cristianesimo è un'assurdità. Come tutte le religioni, si fonda soltanto su un mucchio di fandonie. Oso dirlo perchè ho fatto le letture giuste, che hanno contribuito di molto a indirizzarmi verso una storicizzazione radicale del cristianesimo e verso la tesi cosiddetta miticista dell'inesistenza storica di Gesù, invece di accettare le frottole dietro cui si nasconde la Chiesa cattolica. Il fatto che un enorme numero di persone creda in una cosa non ne dimostra la veridicità o la validità. In passato milioni d'individui credevano che la Terra fosse piatta e che il Sole e le stelle le ruotassero intorno. Si sbagliavano, come si sbagliano i cristiani di oggi.

Non esiste nessuna parola di Dio, solo la parola dell'uomo. Ogni trattato religioso mai redatto è opera degli uomini, che di solito scrivono per ottenere un guadagno personale o per adeguarsi alla situazione. Bisogna avere fede per credere all'esistenza di Gesù, ma io non ne ho, perchè ho studiato la religione cristiana e so che è una droga ridotta oramai a soggiogare la gente e permettere a chi comanda la Chiesa e il Vaticano di vivere nel lusso senza fare nulla di utile. E mentre i folli apologeti cristiani non possono provare che Dio esiste, io posso quasi provare che Gesù non è mai esistito. L'unico testo che accenni a Gesù Cristo è il Nuovo Testamento, e quello — che gli apologeti vogliano ammetterlo o meno, lo sanno meglio di me — è una raccolta di scritti che sono stati sottoposti ad ampie revisioni e a distorte letture e che non possono essere considerati nemmeno lontanamente contemporanei al loro argomento. Per imporre i vangeli “ufficiali”, la Chiesa ha bandito decine di altri testi che contestavano il mito di Gesù.

Se Gesù era un leader così carismatico e ispirato, e se ha fatto i miracoli e tutte le altre cose attribuitegli dalla Chiesa, perché non c'è un solo riferimento a lui nella letteratura greca, romana ed ebraica contemporanea? Se quell'uomo era così importante, se ha attirato seguaci così devoti, e se era una spina così fastidiosa nel fianco dell'esercito invasore romano, perchè nessuno ha scritto qualcosa sul suo conto, neppure chi più di tutti avrebbe dovuto accennarne anche solo di sfuggita... ...e non lo fece (ovvero Paolo)? Il fatto è che esiste soltanto nel Nuovo Testamento, la “fonte” fabbricata dai primi cristiani e rimaneggiata dalla chiesa vincente. Non c'è uno straccio di prova autonoma dell'esistenza di Gesù.

E se io sembro nutrire il sincero desiderio di non farmi invischiare più da ogni richiamo alla tradizione cristiana, se ho idee così eretiche, sono fortunato a vivere in questo secolo, visto che nel Medioevo i cristiani mi avrebbero senza dubbio incatenato a un palo e bruciato vivo per costringermi a vedere le cose a modo loro: era questa in fondo la normale reazione dei cristiani a chiunque avesse il coraggio di dubitare della veridicità del cristianesimo.

 Strano destino quello degli atei, quando si legge il meraviglioso  e illuminante libro del prof  Tim Whitmarsh (un libro che è un vero peccato non veder tradotto in italiano) sull'evoluzione dell'ateismo nel mondo antico: Battling the Gods: Atheism in the Ancient World. Un destino segnato dal paradosso che quello che è in effetti un “credo”  — o sarebbe meglio e più legittimo chiamarlo un “non-credo”? — tra i più ancestrali del mondo, se non addirittura il più antico (e come poteva non esserlo, visto che ciascuno di noi nasce già ateo senza bisogno di etichette?)  fu a tal punto ignominiosamente vituperato ed eclissato da quell'infezione cancerogena chiamata “cristianesimo cattolico”, da essere presentato a torto come un fenomeno relativamente recente e “soltanto” post-illuminista. E qui i miei pensieri di disprezzo e di disgusto profondo vanno certamente ai folli apologeti cristiani che non hanno perso tempo a diffamare la formidabile riscossa degli atei nel 700 senza neanche attendere la fine della Rivoluzione Francese:


«Fu questo tradimento ordito da una masnada infame di gente corrotta del genere abominevole di ogni vizio, che col velo di una filosofia menzognera e superba, offuscando la mente confermò sempre più la perversità del cuore, in guisa che l’indusse ad adottare tutto il guasto disseminato e sparso dai furbi massoni, da malignanti calviniani, e bugiardi giansenisti, e coll’empio sistema de’ sociniani si spacciarono deisti, quando in realtà non altro suonavano le loro teorie che un aperto ateismo. Ateismo, che la base poi divenne del famoso decantato giacobinismo e come con altro improprio nome si appella patriottismo.Ed ecco che questa gente snaturata, incredula, maldicente, all’eccesso orgogliosa, aprirsi la funesta scena memorabile, primamente in Parigi, indi divulgata per tutta l’Italia col pravo ardito disegno d’invadere anche e signoreggiare in tutta Europa»
(Cimbalo in Miccoli: A. Cimbalo, Itinerario di tutto ciò ch’è avvenuto nella spedizione dell’eminentissimo signor D. Fabrizio Cardinal Ruffo vicario generale per S.M. nel regno di Napoli per sottomettere i ribellanti popoli di alcune provincie di esso, Napoli, 1799)

  

Del resto, è sufficiente rileggere queste parole del demente folle apologeta proto-cattolico Giustino alla luce del dramma recente di Parigi per accorgersi che già allora, praticamente, un teista fortemente indottrinato come il cristiano Giustino presentava tutte le credenziali adeguate per dare ai bastardi assassini dei vignettisti di Charlie Hebdo la legittimità ideologica che occorre loro, in quanto monoteisti (al pari del cristiano Giustino), per lo sterminio di atei rei soltanto di ridicolizzare l'astrusa superstizione mediorientale di turno (col loro sfoggio di esplicito anti-teismo): 






Sul fatto che noi non siamo atei (risponderò a ogni accusa) è cosa ancor meno che ridicola confutare coloro che lo affermano.Giustamente gli ateniesi accusarono Diagora in quanto ateo, chè non solo diffondeva in pubblico la dottrina orfica e rendeva noti i misteri di Eleusi e quelli dei cabiri e fece a pezzi la statua lignea di Eracle per cuocere le rape, ma apertamente dichiarava che Dio non esiste affatto. A noi, però, che distinguiamo Dio dalla materia e dimostriamo che una cosa è la materia e un'altra cosa è Dio e che molta è la differenza (infatti la divinità è ingenerata ed eterna, contemplata dalla sola mente e dalla ragione, mentre se la materia è creata e corruttibile), non è irrazionale che ci attribuiscano il nome di atei?Se infatti pensassimo le stesse cose di Diagora — mentre siamo obbligati a venerare Dio grazie al buon ordine, all'armonia in ogni cosa, alla grandezza, al colore, alla forma, alla disposizione del mondo - giustamente ci verrebbe attribuita o la fama di non essere uomini pii o il motivo di essere perseguitati. Ma poichè la nostra dottrina sostiene che artefice di ogni cosa è un unico Dio il quale non è stato generato (poichè non si crea ciò che è, ma ciò che non è), ma ha creato ogni cosa per mezzo del Verbo che è da lui, due cose subiamo in modo irrazionale: siamo diffamati e siamo perseguitati.(Giustino, Apologia 4)

Non è tutto ciò una prova genuina che un cristiano come Giustino avrebbe approvato, se solo fosse vivo oggi, la strage di Charlie Hebdo così come approvò la condanna a morte di Diagora di Milo?
Diagora di Milo fu il primo ateo della Storia (intesa come insieme di ricordi). Se fosse rimasto ad Atene sotto l'accusa di ateismo, sarebbe stato costretto a bere pure lui la cicuta. Una morte che il folle apologeta Giustino evidentemente gli augurava di cuore, per il solo fatto che era ateo. 

Nota bene: Giustino proferì quelle parole in un tempo in cui i dementi cristiani come lui erano perseguitati e lontanissimi dalle leve del potere. Giustino, mentre invoca tolleranza per sè, invoca intolleranza contro i veri atei. Quindi nell'universo preferito da Giustino, i pagani e gli islamici meriterebbero cittadinanza e tolleranza, ma non gli atei.

Per Giustino è giusto che gli atei vengano diffamati e perseguitati.


Nel grandioso affresco che ne dà il prof Whitmarsh del drammatico eclissi dell'ateismo, a seguito del trionfo della “Grande Chiesa” dopo Costantino e Teodosio, non posso che trattenere a stento l'emozione (nonchè l'orgoglio per il mio personale ateismo ed anti-teismo):  
Il Codice Teodosiano definisce il cristianesimo cattolico in opposizione ad una serie di religiosi “altri”, esecrati come manifestazioni di follia e di devianza e minacciati di violenza statale. Questo fu un cambiamento enorme, infatti il politeismo greco-romano si era visto non come un sistema unificato che escludeva altri, ma come una rete infinitamente estendibile di culti locali. L'elasticità del politeismo fece sì che non aveva confini esterni: se nuove divinità erano scoperte, potevano semplicemente essere aggiunte alla lista.
Il monoteismo, al contrario, portava con sé l'idea di una fede giusta e sbagliata. In periodi precedenti, che persone diverse veneravano divinità diverse era stato visto come un fatto empirico circa il mondo; ora era un problema che richiedeva correzione, utilizzando tutta la potenza dello stato e della legge. Precedenti greci e romani non avevano nemmeno avuto una parola per l'accettazione che c'erano molti dèi, dal momento che questo era visto come una realtà etnografica di per sé evidente, piuttosto che una visione del mondo teologica. La parola “politeista”, come “pagano”, è di coniazione cristiana e implicitamente suggerisce la sua inferiorità al suo opposto polare, “monoteista”.
(Personalmente io preferisco descrivere coloro che persistevano alle vecchie abitudini come "“politeisti” piuttosto che l'ovviamente più peggiorativo “pagani” [Pagani “rustici”], ma è importante ogni volta  riconoscere che nella considerazione della tarda antichità siamo costretti ad adottare una serie di distinzioni religiose e categorie che sarebbero state estranee ad un'epoca precedente, e ciò trucca le carte a favore di una visione cristiana del mondo.)
Un crimine religioso, tuttavia, è mancante nel catalogo di Teodosio. Da nessuna parte questo libro-statuto menziona l'ateismo. È, a quanto pare, inimmaginabile in questo mondo che qualcuno possa essere senza religione. Ci sono solo due possibilità: vera religio o falsa superstitio. L'ipotesi alla base di questa posizione sembra essere la convinzione che tutti gli esseri umani sono nati con un naturale senso del divino, ma che alcune persone sono stati condotte in equivoco da falsa dottrina, una fede comune tra i cristiani del tempo. Questa dottrina creò un punto cieco culturale: con nessun ruolo da svolgere in questa costruzione binaria del mondo, senza un posto da occupare sulla scala tra vera religione e falsa superstizione, l'ateismo ora diventò effettivamente invisibile.
La cristianizzazione dell'Impero Romano pose fine al serio ateismo filosofico per oltre un millennio. La parola stessa, infatti, acquisì un significato ulteriore, che fu del tutto negativo: piuttosto che la critica razionale del teismo come un intero, venne a significare semplicemente l'assenza di fede nel Dio cristiano. Per i cristiani della tarda antichità, non vi era affatto alcuna contraddizione nel riferirsi, ad esempio, a “politeisti atei”: il politeismo era un fraintendimento della vera natura del Dio unico, che portava i suoi ottenebrati praticanti nella posizione “atea” del rifiuto del messaggio cristiano. Anche eretici cristiani potevano essere chiamati atheoi: in questi casi il problema non era nemmeno che non credevano nel Dio cristiano, ma piuttosto che non credevano in lui nel modo giusto. Il primo esempio di questo uso proviene dagli scritti di Filone di Alessandria, un intellettuale greco-giudeo che morì intorno all'anno 50. “Quelli che sono morti nella loro anima sono veramente atei”, scrive, “mentre quelli schierati a fianco del vero dio vivono una vita eterna”. Oppure: “l'Ateismo è la fonte di tutti i crimini” o più sorprendentemente: “Gli atei stanno conducendo una guerra contro gli amanti di Dio, una guerra che non ammette compromesso o diplomazia”(Questo è, per inciso, il primo esempio che conosco del tropo dell'“ateismo militante” tanto amato dai teisti odierni.) Forse Filone può essere scusato di questa paranoia, data la prevalenza di antisemitismo e pogrom nel primo secolo Alessandria. Ma era anche una paranoia radicata nella visione della Bibbia ebraica degli Israeliti
 come un popolo distinto dagli altri, fondamentalmente e irriducibilmente estraneo. Quel senso tipicamente monoteista che ci può essere una sola vera religione ha la tendenza a favorire le divisioni nette tra le comunità, e invero un senso di inevitabilità della violenza tra di loro. Anche negli scritti cristiani dal quarto secolo in poi troviamo di nuovo e di nuovo  l'idea di atheoi come nemici mortali che hanno bisogno di essere affrontati in battaglia: gli atei sono “nemici universali”! I cristiani cattolici hanno “schierato le linee di battaglia contro gli innumerevoli eretici atei”! Questa guerra figurativa poteva anche essere rapidamente letteralizzata: l'ostilità religiosa-settaria, che era stato rara nel mondo politeista, diventò un aspetto normale della vita. Un recente studio della violenza sacra fra cattolici e donatisti nel Nord Africa da solo corre per oltre ottocento pagine. L'idea funesta della guerra santa contro gli infedeli aveva fatto la sua prima apparizione. La differenza religiosa, per quasi la prima volta nell'antichità mediterranea, era diventata la causa di conflitto.
Ma non erano i cristiani stessi definiti “atei” da  Greci e Romani? Questo è spesso asserito, ma in realtà l'evidenza viene quasi interamente dalle stesse fonti cristiane. Il vescovo cristiano del quarto secolo Eusebio di Cesarea, per esempio, raffigura il rivale di Costantino Licinio come se stesso conducendo la propria “guerra santa” per conto del politeismo tradizionale. Mentre offriva un sacrificio in un boschetto, si dice che avesse inveito contro Costantino per “aver tradito la sua eredità ancestrale e aver preso una fede atea ... per porci in guerra contro gli atei!" Eusebio, naturalmente, non aveva modo di sapere che cosa Licinio disse veramente all'epoca. L'idea di una guerra santa condotta contro “atei” cristiani è la sua costruzione, proiettata su Licinio; serve solo a legittimare la risposta di Costantino, che è quella di capovolgere i termini e attaccare lui stesso gli “atei” politeisti. La reversibilità dell'accusa di ateismo è in effetti un aspetto ricorrente del discorso cristiano. La storia del martirio di Policarpo di Smirne, posta a qualche punto tra il 155 e 167 EC, offre un meraviglioso esempio. L'eroe della storia, un vecchio virtuoso cristiano, è chiamato in giudizio davanti al governatore e ad una folla assetata di sangue nell'arena. “Giura alla buona fortuna di Cesare!” comanda il governatore. "Pentiti! Pronuncia le parole: ''Basta con gli atei' ” Policarpo si volge ad affrontare la folla, agitando il pugno verso di loro, gridando:  “Basta con gli atei” reindirizzando così l'accusa di ateismo ai politeisti. Questo atto di sfida gli merita un fiammeggiante martirio sul rogo. Ma anche se l'impressionante risposta di Policarpo alla persecuzione procura un netto, incisivo apice alla storia, quella storia è di per sé di sicuro storicamente inaccurata. Nessun non cristiano avrebbe pronunciato le parole attribuite al governatore. L'idea di “pentimento” (metanoia) è un'idea giudeo-cristiana, e la frase "basta con" (aire) richiama direttamente il linguaggio usato nei vangeli per condannare Gesù. Sembra improbabile che un governatore romano, apparentemente ostile al cristianesimo, dovrebbe aver preso in prestito la fraseologia cristiana in modo così esplicito. La storia del martirio di Policarpo potrebbe essere stata inventata del tutto o (forse più probabilmente) abbellita con motivi designati a fare presa su un pubblico cristiano, e anzi a derivare paralleli con l'esecuzione di Gesù.
La conclusione sembra inevitabile che la violenta "alienazione" come atei di coloro che tengono  diverse opinioni religiose era prevalentemente una creazione giudaico-cristiana, che fu poi proiettata indietro sui politeisti. Ci sono stati, ad essere precisi, alcuni usi più sottili di questo strumento. All'incirca nel 150 EC, un siriano di nome Giustino scrisse un'opera a difesa del cristianesimo che richiamava la figura di Socrate, che (egli pretendeva) cercò di distogliere l'umanità da quei demoni usando "vera ragione ed esame critico" — ma fu condannato a morte come un empio (asebe) ateo (atheon) e per l'introduzione di un nuovo tipo di divinità. Socrate è stato reimmaginato come un martire cristiano! “È per questo che noi [vale a dire, i cristiani] siamo chiamati atei”, continua Giustino. “Certo ammettiamo di essere tali rispetto a questi supposti dèi, ma non certo rispetto a Dio verissimo, padre di giustizia e di sapienza e di ogni virtù, e immune da malvagità.” I cristiani, allora, sono davvero atei! O, piuttosto, atei di un tipo particolare. Invece di limitarsi a invertire la presunta accusa di ateismo, come altri scrittori cristiani dell'epoca, Giustino l'accetta e abbraccia: come Socrate, che volta le spalle agli dèi del politeismo.
Infatti, mentre c'erano quei primi cristiani che denigravano i precedenti atheoi classici   precedenza come il peggior tipo di miscredenti, c'erano altri che li arruolarono come alleati nella loro guerra al politeismo. Nel secondo secolo, Clemente di Alessandria scriveva del paradosso che “l'etichetta di 'ateo' è stata applicata ad Evemero di Agrigento [sic], Nicanore di Cipro [altrimenti sconosciuto], Diagora e Ippona di Melo, e in aggiunta Teodoro di Cirene, e molti altri ancora, che vissero vite caste e percepirono l'errore religioso in un modo alquanto più forte di aquanto fecero altri”. Ad opinione di Clemente, non era il virtuoso Diagora e i suoi simili che meritava di essere chiamati atei, ma i politeisti che essi criticarono.
La Storia Sacra di Evemero, infatti, era particolarmente favorita dai primi cristiani: il fatto che persino alcuni degli stessi antichi avevano visto che i loro dèi erano solo mortali divinizzati fu preso come prova certa che la fede negli dèi dell'Olimpo era fondamentalmente fuori luogo.
È a prima vista una curiosità che gli atheoi classici furono accolti con tanto entusiasmo in questa nuova era. I loro lettori cristiani, tuttavia, erano interessati solo alla levatura retorica che loro potevano esercitare su politeisti recalcitranti, ed invero su dubbiosi cristiani. Non c'era nessun serio coinvolgimento con le loro idee a livello filosofico —  e di certo non aveva senso che il cristianesimo stesso potesse essere interrogato da ragionamento ateo. Per gli apologeti cristiani, l'ateismo filosofico era necessariamente consegnato al passato pre-cristiano, la sua critica non era diretta a teismo in generale, ma al politeismo in particolare. L'ateismo, ora visto come il ridimensionamento della falsa superstizione piuttosto che la messa in discussione della fede soprannaturale, non poteva servire a niente ora che il vero messaggio cristiano era stato rivelato.
L'arrivo del cristianesimo cattolico — cristianesimo congiunto col potere imperiale— significò la fine dell'antica dell'ateismo in Occidente. Una volta che era stato stabilito che il paradigma della vera contro la falsa religione era l'unico che contava, non c'era nessun posto dove collocare l'ateismo sulla mappa mentale. Il dibattito cosmologico e filosofico rimase intenso, naturalmente, ma era impensabile al di fuori del quadro del monoteismo cristiano. Gli individui sicuramente esperivano dubbio e incredulità, proprio come hanno sempre fatto in tutte le culture, ma erano invisibili alla società dominante e quindi non lasciarono alcuna traccia nella documentazione storica.
È questo vicolo cieco che ha sostenuto l'illusione che l'incredulità di fuori dell'Occidente post-illuminista è impensabile. L'aumento apparente dell'ateismo negli ultimi due secoli, tuttavia, non è un'anomalia storica; visto dalla prospettiva più lunga della storia antica, ciò che è anomalo è il dominio globale delle religioni monoteiste e l'incapacità risultante di riconoscere l'esistenza di miscredenti.

(Tim Whitmarsh, Battling the Gods: Atheism in the Ancient World, pag. 155-157, mia libera traduzione) 

Ma paradossalmente un particolare tipo di cristiani “eretici” condivise la stessa sorte — e la stessa menzognera calunnia— degli atei, nell'essere cioè presentati ipocritamente come un eccentrico fenomeno relativamente nuovo quando altrimenti non era affatto così. Whitmarsh ha di certo dimostrato oltre ogni dubbio che l'ateismo precede storicamente tutte le grandi religioni monoteistiche (compreso l'ebraismo). Ma intanto gli esegeti stanno dimostrando via via, colla rimessa in gioco del vangelo di Marcione nel Problema Sinottico, che i tanto odiati “gnostici” non costituivano affatto l'ultimo venuto rispetto ai proto-cattolici, come certa tendenziosa propaganda cattolicheggiante tende vergognosamente ad insinuare, sulla scorta degli altrettanto tendenziosi proto-cattolici “Atti degli Apostoli” (un libro che oramai tutto il consensus è concorde nel degradare a mera fasulla pubblicità di un “passato” mai accaduto).


Non meraviglia, allora, che tracce del cristianesimo più antico — e naturalmente qui mi riferisco a quel cristianesimo originario di Paolo e dei primi apostoli del celeste “Cristo Gesù”, un cristianesimo del tutto ignaro di un sedicente Gesù itinerante per la Giudea, ecc. — siano sopravvissute, perfino se distorte nel tempo e travisate nel significato più autentico, fino all'ultimo epigono delle eresie gnostiche, al loro enigmatico risveglio in pieno Medioevo in una particolare regione d'Europa, più precisamente nella Francia meridionale.

 Mi riferisco all'Eresia perfetta, all'Eresia per definizione. 

Mi riferisco ai Catari.

Il catarismo era una religione dualistica e gnostica che forse derivava dai bogomili bizantini e, ancora prima, dal manicheismo. Secondo i catari, un dio benevolo aveva creato l'anima perchè vivesse nel regno dello spirito e della luce che esisteva oltre la dimensione terrena, ma poi una divinità malvagia l'aveva intrappolata e l'aveva costretta a soffrire nella carne corrotta del corpo umano: la salvezza era raggiungibile solo nella morte, dove l'anima poteva finalmente rifugiarsi nel regno spirituale. Poiché i catari credevano che l'anima potesse compiere quel viaggio anche dal corpo di un animale, erano vegetariani convinti.

Si consideravano cristiani, ma rifiutavano l'Antico Testamento perchè identificavano il dio descritto al suo interno con la divinità malvagia che aveva creato il mondo per rendere schiave le anime. Credevano che in realtà quel dio fosse il diavolo e che la Chiesa cattolica fosse dunque al servizio di Satana.

Il catarismo era diametralmente opposto alla Chiesa cattolica medievale da quasi tutti i punti di vista, e il contrasto non avrebbe potuto essere più marcato. A differenza della Chiesa cattolica, i catari non chiedevano nulla alle loro congregazioni a eccezione della fede. Anzi, davano contributi materiali alla società in cui vivevano e, quando un cataro pronunciava il voto del consolamentum e diventava uno dei perfecti, donava tutti i suoi averi terreni alla comunità. Il movimento non aveva chiese né proprietà e rifiutava tutti gli orpelli della ricchezza e del potere. La base del loro potere era nella Francia meridionale, e molti elementi indicano che gli abitanti di quella regione avevano sposato il catarismo come valida alternativa alla Chiesa cattolica, che quasi tutti reputavano corrotta fino al midollo. I contatti fra le due religioni erano incolmabili. L'alto clero cattolico viveva nello sfarzo che di solito si associa ai re e agli aristocratici. I sacerdoti catari non possedevano invece nessun bene materiale, a eccezione di una tunica nera e di un pezzo di corda da usare come cintura, e vivevano soltanto di elemosine e beneficenza. Cosa insolita per quel periodo, i catari consideravano le donne alla pari degli uomini e si assicuravano che i bambini della comunità ricevessero un'istruzione adeguata. L'evidente religiosità e la bontà innegabile dei perfecti esercitarono un notevole fascino sugli abitanti della Linguadoca, e l'eresia catara conobbe una larga diffusione. Particolare significativo, tra le file dei catari figuravano i membri di alcune delle famiglie locali più agiate e illustri. In un modo o nell'altro, la semplice esistenza di quella religione era una minaccia concreta per la Chiesa cattolica. 

Alla metà del XII secolo papa Eugenio III fece un tentativo di persuasione pacifica. Inviò in Francia uomini come Bernardo di Chiaravalle, il cardinale Pietro ed Enrico di Albano per cercare di ridurre l'influenza dei catari, ma nessuno di loro ottenne veri progressi. Furono vane anche le decisioni di vari concili religiosi; così, quando salì al soglio pontificio nel 1198, Innocenzo III decise di eliminare i catari con ogni mezzo possibile. 

Nel gennaio del 1208 inviò il legato pontificio Pierre de Castelnau dal conte Raimondo di Tolosa, che all'epoca era il capo dei catari. A quanto si sa, l'incontro fu burrascoso, e il giorno successivo de Castelnau fu aggredito e assassinato da misteriosi individui. Ciò fornì al papa il pretesto che gli serviva, consentendogli di organizzare una crociata contro quella setta. La crociata contro gli albigesi — un altro nome dei catari — durò vent'anni ed è stato uno degli episodi più cruenti nella storia della Chiesa cattolica. La cittadella di Montségur, che in occitano significa “montagna sicura”, è stata l'ultima grande roccaforte di quella religione e si è arresa all'Inquisizione nel 1244. 

E qui voglio essere chiaro col lettore: io sono ateo. Io liquido perentoriamente come sciocchezze tanto le stronzate cattoliche quanto quelle gnostiche o catare in materia di teologia. Entrambe non hanno nulla a che fare con il cristianesimo del I secolo. Entrambe non hanno di certo nulla a che fare colla creazione del vangelo di Marco. Marcione scrisse probabilmente ur-Luca (ovvero Mcn) ma ancora devo decidere se Marco fu una reazione proto-cattolica a Mcn (oppure fu il paolino Marco il vangelo sul quale si basò Mcn), mentre mi sembra già probabile che il vangelo di Matteo è proto-cattolico in natura ma “giudeocristiano” nella pretesa, così come il vangelo di Giovanni è un vangelo gnostico più tardi cattolicizzato. Se ora voglio introdurre alcune testimonianze sui Catari nel discorso, non lo faccio per riabilitarne la memoria (altri lo hanno già fatto), non lo faccio per concludere che la teologia catara risale al “vero” cristianesimo (giacchè il “vero” cristianesimo è morto e sepolto con la diffusione del concetto di un umano Gesù itinerante per la Giudea, ecc.), non lo faccio per spiegare ciò che viene prima con ciò che viene dopo (al contrario del ridicolo idiota di passaggio), non lo faccio neppure per reiterare la banale ovvietà che i proto-cattolici interpolarono sicuramente le originarie lettere di Paolo (altri lo hanno già fatto e meglio di me). No. Il mio interesse ai Catari è rivolto esclusivamente a tutte le tracce che posso trovare, sempre se lo posso trovare, di particolari forme di miticismo esoterico tra di loro. Avete sentito bene: miticismo esoterico. Perchè il miticismo minimale, come spiega efficacemente Richard Carrier, prevede che il più antico vangelo fu venduto ad un certo punto agli stupidi hoi polloi come “Storia Ricordata”, mentre solo gli insiders, gli iniziati ai misteri superiori, conoscevano la verità esoterica: che gli episodi salienti contenuti nel vangelo (la sequenza di passione, morte, resurrezione e rivelazione del Figlio di Dio) erano in realtà per loro allegorie di “fatti” accaduti letteralmente solo nelle sfere celesti.
Sì, noi manchiamo di una pistola fumante, come per esempio un'epistola dove Paolo dice esplicitamente che Gesù era conosciuto esistere solamente per rivelazione, ma non ci aspettiamo affatto che una prova del genere sia sopravvissuta per poterla vedere: la setta vittoriosa non preservò queste cose e persino attivamente le soppresse (si veda Capitoli 6 §7; 7, §7; e 8, §12; ed Elementi 20-22 e 44). Paolo potrebbe aver detto queste cose nelle lettere che sappiamo lui scrisse ma che non possediamo oppure in parti non preservate delle lettere che sopravvivono nel canone attuale. Molte altre lettere devono essere esistite, scritte da numerosi apostoli nella sua generazione (si veda Capitolo 8, §4). Tuttavia noi curiosamente neppure abbiamo una loro menzione, tantomeno dei loro contenuti. Questo è profondamente sospetto. Ma ancor più importante, questo fatto impedisce l'argomento che noi “dovremmo” avere più evidenza a supporto del miticismo minimale. Al contrario, che una setta storicista vinse e fu così avida da alterare e fabbricare documenti come pure da sbarazzarsi o distruggerli implica che siamo  fortunati perfino a possedere l'evidenza che abbiamo. 
(On the Historicity of Jesus, pag. 593-594, mia libera traduzione e mia enfasi)

Il punto è ribadito nell'ultimo capitolo:

Perchè avere un fondatore storico rappresentato in documenti controllati era un significativo vantaggio (Capitolo 8, §12; e Capitolo 1, §4), questa setta “storicizzante” gradualmente ottenne una superiorità politica e sociale, dichiarando sé stessa “ortodossa” mentre condannando tutte le altre come “eretiche” (Capitolo 4, §3), e preservò solo testi che concordavano con la sua vista, e falsificò e alterò innumerevoli testi a proprio supporto. Come risultato, quasi tutta l'evidenza delle originarie sette cristiane e di quel che credevano era stato perduto o espulso dal record; anche un'evidenza di quel che accadde durante l'ultima metà del primo secolo in transizione dal cristianesmo di Paolo all'“ortodossia” del secondo secolo è completamente perduto e quasi totalmente inaccessibile a noi (Elementi  21-22 e 44 ). 
(On the Historicity of Jesus, pag. 608, mia libera traduzione e mia enfasi)

Quindi, con quelle premesse, risulta estremamente probabile aspettarsi una censura, da parte della chiesa trionfante, di tutte le testimonianze scomode all'oramai inarrestabile mito di Gesù di Nazaret. Perciò, avendo sempre di mira quelle premesse — e solo quelle —, il mio interesse qui non è al catarismo per se, non sto affermando la nozione errata che i docetici Catari non fossero cristiani storicisti. Dalla fine del II secolo tutti i cristiani, proto-cattolici ed “eretici”, credevano che Gesù si fosse manifestato in un dato momento storico (perfino se tutti non concordavano ancora sul periodo storico, visto che i cristiani fuori dell'Impero romano credevano ad un Cristo vissuto 100 anni prima di Pilato, sotto Ianneo). Mi limito solo alla ben più modesta pretesa che, se è provato che alcune forme (sottolineo: alcune, non tutte) di religiosità catara erano misteriche (con la solita distinzione tra insiders ed outsiders, tra iniziati e neofiti, tra verità esoterica e verità essoterica), se è provato che i catari preservavano gelosamente alcuni testi apocrifi (non importa se giunti a loro da mani ortodosse oppure eretiche) come l'Ascensione di Isaia, allora sarebbe pienamente lecito aspettarsi che qualche minuscola, remota e vaga traccia della verità storica fosse giunta fino a loro, avendo ben presente in mente che, se una goccia della “verità” doveva sopravvivere fin nel pieno dell'oscuro Medioevo cristiano e cattolico, tale verità non poteva che venire sussurrata di bocca in bocca nell'inquieto silenzio della più gelosa segretezza. 

E a quale “verità” mi riferisco diventa subito chiaro quando faccio parlare direttamente uno per uno i particolari testi catari da me collezionati (per illustrare infine il più suggestivo e inquietante di tutti).

Prima di tutto, mi va di cominciare con questa bellissima parabola di un predicatore cataro del 1306 :

«Esiste un uccello chiamato pellicano, che è splendente come il sole e che lo segue (nel suo tragitto). Il pellicano aveva dei piccoli. Li lasciava nel nido e se ne andava a seguire il sole. Arrivava allora una bestia, che mutilava questi piccoli e staccava loro il becco. Quando il pellicano ritornava dai suoi piccoli, trovandoli mutilati e senza più becco, li curava. Poiché il fatto si ripeteva spesso, al pellicano venne alla fine in mente di nascondere il suo splendore e, fatto ciò, di celarsi in mezzo ai suoi piccoli, di modo che, quando la bestia fosse venuta, potesse catturarla e ucciderla, affinché non mutilasse più i suoi piccoli  e togliesse loro il becco. Così fece. In tal modo i piccoli pellicani furono liberati dalle mutilazioni che infliggeva loro la bestia, quando fu catturata dal pellicano.Allo stesso modo il Dio buono aveva fatto le sue creature, mentre il dio malvagio le rovinava, fino a quando Cristo depose o dissimulò il suo splendore e si venne ad incarnare nella Vergine Maria. Allora catturò il dio malvagio e lo chiuse nelle tenebre dell'inferno. Da quel momento il dio malvagio non poté più distruggere le creature del Dio buono».(Registre de Jacques Fournier)

Il lettore dotato di qualche conoscenza di Paolo avrà da subito rammentato in questa suggestiva parabola catara il tema del “Cristo in incognito” mentre era crocifisso (nel più antico credo cristiano, il Principe di Questo Mondo crocifisse Gesù senza sapere chi fosse - 1 Cor 2:8 -, perchè Dio tenne nascosto tutto su di lui - 1 Cor 2:7 - e lo rivelò solo spiritualmente, tramite rivelazione, ai suoi eletti: 1 Cor 2:10), un tema destinato a figurare nel vangelo di Marco sotto l'artificio letterario noto come “Segreto Messianico”

Più precisamente, la parabola del pellicano era il modo particolare che aveva il predicatore cataro per esporre ai semplici fedeli il contenuto di un antico testo, forse risalente (chi lo sa?) addirittura a prima del 70 EC. Un testo evidentemente a cui i catari tenevano moltissimo (perfino se fosse arrivato nelle loro mani da scribi ortodossi):
«Quelli che pongono due princìpi dicono che i profeti furono buoni. Una volta li condannavano tutti, salvo Isaia, del quale dicono che esiste un libriccino nel quale si narra che il suo spirito fu rapito fuori del corpo e portato al settimo cielo, dove vide e intese certi arcani ai quali essi tengono molto» (Moneta, Adversus Catharos et Valdenses) 
«Dicono che esiste una potenza superiore che ha il suo trono al di sopra dei sette cieli, secondo l'esecrabile Visione falsamente attribuita ad Isaia».(J. P. Migne, Patrologia Graeca, t. 131, c. 44)

«Quelli che pongono due principi dicono che i profeti furono buoni. Ma in passato li condannavano tutti eccetto Isaia. Dicono di possedere un suo libriccino, nel quale è scritto che lo spirito d'Isaia, rapito fuori del corpo, fu condotto fino al settimo cielo e che là vide e intese certi segreti, di cui fanno gran conto».(Moneta, Summa contra haereticos) 
«Alcuni di loro aggiungono anche che tutti i profeti sono condannati, eccetto Isaia. Hanno infatti un libriccino nel quale è scritto che lo spirito d'Isaia, rapito fuori del corpo, fu condotto fino al settimo cielo e che là vide e intese certi segreti. Tale libro, essendo pieno di siffatte fantasie, è da loro adottato con ardore. Penso che detta Scrittura sia un apocrifo, rifiutato in passato dalla fede cattolica, che hanno conservato presso di loro fino ad ora».(Giacomo de Capellis, Summa contra haereticos)

Non è un mistero ovviamente che il testo noto come “Ascensione di Isaia” fosse utilizzato e tenuto in gran conto dai catari. Però trovo suggestivo che si tratti di un testo che nella versione originale riecheggia forse la più antica storia di un angelo senza nome che muore e risorge, secondo il quale Cristo, affinché la sua missione restasse segreta, rivestì successivamente, durante la sua discesa attraverso i sette cieli inferiori, le sembianze degli “angeli” di ogni cielo, per assumere infine un corpo di carne così da poter essere ucciso da Satana e dai suoi demoni (se sulla parte bassa del Firmamento o sulla Terra è purtroppo ancora controverso):
«Il Padre santo, vedendo che era stato impoverito di spiriti ed era rimasto quasi solitario, e accortosi che i seggi sui quali questi spiriti si trovavano usualmente erano vuoti, se ne addolorò, e si turbò per la perdita di questi spiriti. E pensò a come gli spiriti... sarebbero potuti ritornare al loro posto. E si mise a scrivere un libro, che compose in quarant'anni, nel quale era registrata una quantità di dolori, di angustie, di pene, d'invidie, di odi, di rancori e in generale tutte le tribolazioni che possono toccare agli esseri umani in questa vita. E vi era detto che colui che avesse voluto sopportare tutte queste tribolazioni, e vi si fosse impegnato, sarebbe stato il Figlio del Padre santo.(E allorché il Padre dette inizio a questo libro, il santo profeta Isaia cominciò a profetizzare che sarebbe venuto un rampollo o un virgulto che avrebbe riscattato gli spiriti umani).Quando il Padre santo ebbe composto il libro, lo pose in mezzo agli spiriti celesti rimasti con lui in cielo, e disse: “Colui che avrà messo in pratica ciò che è scritto in questo libro sarà mio Figlio”. Ci furono molti spiriti celesti che, desiderando essere figli del Padre santo, ed essere onorati più degli altri, si accostarono a questo libro e l'aprirono. Lessero le tribolazioni che vi erano contenute e che avrebe dovuto sopportare chi avesse voluto venire tra gli uomini e onorare il genere umano e, dopo aver letto per un pò, venivano meno e si facevano da parte, e nessuno voleva rinunciare alla gloria di cui godeva per sottoporsi alle tribolazioni di questa vita, onde essere Figlio di Dio.Visto ciò, il Padre santo disse: “Non c'è dunque nessuno tra di voi che voglia essere mio Figlio?”. Uno degli spiriti presenti, che si chiamava Giovanni, allora si alzò e disse che lui voleva essere Figlio del Padre e compiere tutto quello che stava scritto in quel libro. Si avvicinò al libro, lo aprì, vi lesse quattro o cinque pagine e cadde svenuto accanto al libro. E rimase così tre giorni e tre notti. Poi, risvegliatosi, pianse a lungo. Ma, poiché aveva promesso di compiere quanto il libro conteneva, e poiché non doveva mentire, disse al Padre che voleva essere suo Figlio e che avrebbe fatto tutto quello che c'era nel libro, per quanto penoso fosse».(Registre de Jacques Fournier)
Una deposizione più sintetica, del 1244, fornisce un'uguale informazione:
«Quando Dio ebbe visto il suo regno impoverito dalla caduta dei cattivi, chiese a quelli che lo circondavano: “Qualcuno vuol essere il mio vero Figlio, e che io sia suo Padre?”. Poichè nessuno rispondeva, Cristo che era il vicario di Dio gli rispose: “Io voglio essere tuo Figlio e andrò dove mi manderai”. E Dio allora inviò Cristo come suo Figlio nel mondo a predicare il nome di Dio, e così Cristo venne».(Deposizione di Guglielmo Ferraut)

Per rendersene conto del valore di questo testo per la comprensione del cristianesimo originario, traduco la parte più interessante della versione originale dell'Ascensione di Isaia :

CAPITOLI 6-11


[6.1] Nel ventesimo anno del regno di Ezechia, re di Giuda, Isaia figlio di Amoz andò da Ezechia. . . . [6.10] E là, mentre Isaia stava parlando dallo Spirito Santo in presenza di tutti. . . egli vide una visione.[6.13] E l'angelo che fu inviato a fargli assistere la visione non venne né dal firmamento, né dagli angeli della gloria di questo mondo, ma dal settimo cielo. . .[6.15] E la visione che il santo Isaia vide non era di questo mondo, ma del mondo che è nascosto alla carne. [6.16] E dopo che Isaia aveva visto questa visione, la narrò ad Ezechia, e a Josab suo figlio e agli altri profeti che dovevano venire, [7.1]. . . dicendo:[7.2] Io vidi un angelo sublime. . .[7.3] ed egli mi afferrò. . . [7.9] e salimmo al firmamento, io e lui, e là vidi Sammael [cioè, Satana] e le sue schiere, e una grande lotta era in corso lì, e gli angeli di Satana erano invidiosi l'uno dell'altro.[7.10] E com'è sopra, così è anche sulla terra, infatti l'aspetto di ciò che è nel firmamento è anche sulla terra. . . . [7.13] E dopo questo l'angelo mi portò sopra il firmamento, nel primo cielo. . . . [E così via ripetutamente fino al sesto cielo, vedendo esseri sempre più gloriosi ad ogni livello]. . .[8.18] e tutti gli angeli [nel sesto cielo] osannavano al Padre primordiale, e al suo Prediletto il Cristo, e allo Spirito Santo, tutti con una sola voce. . . .[8.25] E l'angelo che mi condusse vide quello che pensavo e disse, 'Se tu gioisci già in questa luce del sesto cielo, quanto più tu ti gioirai quando al settimo cielo vedrai quella luce dove sono Dio e il suo Prediletto. . . che nel tuo mondo sarà chiamato 'Figlio'.[8.26] Non ancora si è rivelato colui che entrerà in questo mondo corrotto, e né vesti, troni e corone che sono posti per i giusti, coloro che credono in quel Signore che un giorno scenderà nella tua forma.[9.1] E mi veicolò nell'aria del settimo cielo. . . [9.5] E l'angelo mi disse, 'Colui che diede il permesso a te di essere qui è il tuo Signore, Dio, il Signore Cristo, che sarà chiamato 'Gesù' sulla terra, ma il suo nome tu non puoi udire finchè non sarai asceso dal tuo corpo. . . .[9.12] E questo Prediletto scenderà nella forma in cui tu presto lo vedrai scendere, vale a dire, negli ultimi giorni, il Signore, che sarà chiamato Cristo, scenderà nel mondo. [9.13]. . . E dopo che egli è disceso e diventa come te in apparenza, loro penseranno che egli è carne ed un uomo.[9.14] e il dio di quel mondo allungherà la sua mano contro il Figlio, e loro porranno le mani su di lui e lo crocifiggeranno su un albero, senza sapere chi è. [9.15] Così la sua discesa, come tu vedrai, è nascosta dai cieli in modo che rimanga inosservato chi egli è.[9.16] E quando egli ha fatto spoglie dell'angelo della morte, egli sorgerà al terzo giorno e rimarrà in quel mondo cinquecento e quarantacinque giorni [vale a dire, un anno e mezzo].[9.17] E allora molti dei giusti saliranno con lui'. . . .[9.26] E allora l'angelo mi disse: 'Qui sono preparate vesti celesti che molti da quel mondo ricevono, se credono nelle parole di colui che, come io ti ho detto, sarà nominato, e se osservano quelle parole e credono in loro, e credono nella sua croce '. . . .[9.27] E io vidi qualcuno stare in piedi, la cui gloria superava quella di tutti . . . [9.29] e tutti gli angeli si avvicinarono e lo adorarono e gli davano lode. . . . [9.31] Allora l'angelo che condusse me mi disse, “adoralo”, e lo adorai. [9.32] E l'angelo mi disse: “Questo è il Signore di tutta la gloria che tu hai visto”. . . .[10.7] E io udii le parole dell'Altissimo, il Padre del mio Signore, mentre parlava al mio Signore Cristo che sarà chiamato Gesù [10.8] “Và e scendi attraverso tutti i cieli, scendi al firmamento e a quel mondo, anche all'angelo nel regno dei morti, ma all'Inferno tu non andrai. [10.9] E tu diventerai come la forma di tutti coloro che sono nei cinque cieli. [10.10] E con precisione tu rassomiglierai alla forma degli angeli del firmamento e anche degli angeli che si trovano nel regno dei morti. [10.11] E nessuno degli angeli di questo mondo conoscerà che tu, insieme con me, sei il Signore dei sette cieli e dei loro angeli. [10.12] E loro non sapranno che tu sei mio finchè con la voce del cielo io ho richiamato i loro angeli e le loro luci, e la mia potente voce è fatta risuonare al sesto cielo, che tu possa giudicare e distruggere il principe e i suoi angeli e gli dèi di questo mondo, e il mondo che è governato da loro. [10.13] Infatti loro hanno negato me e dicevano, “Noi siamo soli, e non c'è nessuno accanto a noi”.[10.14] E dopo tu salirai dagli angeli della morte al tuo posto, e questa volta tu non sarai trasformato in ciascun cielo, ma nella gloria tu ascenderai e sederai alla mia destra. [10.15] E i principi e le potenze di questo mondo adoreranno te.' . . .[10.17] Allora io vidi che il mio Signore uscì dal settimo cielo al sesto cielo [l'angelo poi dice ad Isaia di osservare come Gesù si trasforma mentre scende]. . .[10.19] E quando lo videro gli angeli che sono nel sesto cielo lo lodavano e lo esaltavano, perché non era ancora stata trasformato nella forma degli angeli là. . . . [10.20] Ma allora io vidi come egli scese nel quinto cielo, e prese l'apparenza degli angeli là, e loro non lo lodarono, infatti la sua apparenza era come la loro. . . . [E allo stesso modo al quarto cielo; e al terzo cielo, dove ora deve anche dare una password ai custodi per entrare attraverso la porta di quel cielo; e allo stesso modo al secondo cielo; e poi al primo]. . .[10.29] E poi scese nel firmamento dove dimora il principe di questo mondo , ed egli fornì la password. . . e la forma fu come la loro, e loro non lo lodarono là, ma lottarono tra loro per invidia, perché là la potenza del male domina, e l'invidia di cose banali. [10.30] E io vidi, quando egli discese tra gli angeli dell'aria ed era come uno di loro. [10.31] Allora egli non fornì nessuna password, perché loro stavano depredando e facendo violenza l'uno all'altro.[11.1] Dopodichè, io vidi, e l'angelo che parlava con me e conduceva me mi disse: 'Capisci, Isaia, figlio di Amoz, perché per questo scopo sono stato mandato da Dio'. . . .[11.23] E allora io vidi lui ed egli era nel firmamento, ma egli non era cambiato alla loro forma, e tutti gli angeli del firmamento e Satana videro lui, e loro lo adorarono. [11.24] E grande tormento fu causato là, mentre loro dicevano, “Come fece il nostro Signore a scendere in mezzo a noi, e noi non percepimmo la gloria che era su di lui?” . . . [E questo Signore continua l'ascesa quindi attraverso i primi cinque cieli, e poi il sesto][11.32] E io vidi come egli ascese al settimo cielo, e tutti i giusti e tutti gli angeli lo lodavano. E poi io vidi come egli si sedette alla destra di Dio. . . .[11.37] Sia la fine di questo mondo [11.38] e sia tutto di questa visione sarà consumato nelle ultime generazioni.[11.39] E allora Isaia gli fece giurare che non avrebbe detto questo al popolo d'Israele, né permetterebbe ad ogni uomo di scrivere quelle parole.[11.40] “Nella misura in cui tu capisci dal re ciò che viene detto nei profeti, così tu leggerai e quello è tutto”.
TESTO LATINO: 

[11.1] Dopo di questo, l'angelo mi disse: “Capisci, Isaia, figlio di Amoz, perché per questo scopo sono stato mandato da Dio, che tutto sia rivelato a te. Infatti prima di te nessuno mai vide, né dopo di te nessuno sarà in grado di vedere, ciò che tu hai visto e udito”. [11.2] E io vidi uno simile a un figlio di uomo, dimorante tra gli uomini, e nel mondo, e loro non conoscevano lui. [11.23] E lo vidi salire nel firmamento ma egli non cambiò sé stesso in un'altra forma, e tutti gli angeli sopra il firmamento lo videro, e loro lo adorarono.

Curiosamente, il Figlio nell'Ascensione non si chiamava 'Gesù' prima di espiare il sacro dramma di morte e resurrezione. Curiosamente, il pre-paolino Inno ai Filippesi ammette una possibile lettura per la quale il risorto riceve il nome “Gesù” soltanto DOPO che ha portato a termine la sua missione sulla croce (nelle parole del miticista francese Couchoud: "Il Dio-Uomo non riceve il nome di Gesù fino a dopo la sua crocifissione. Un fatto che da solo, a mio giudizio, è fatale alla storicità di Gesù."). 
Curiosamente, i catari sembravano concordare: 
«Non c'è che il Padre celeste che sia Dio. Il Figlio di Dio, cioè Cristo, non è Dio per natura, ma è un angelo, poiché prima di venire in questo mondo si chiamava Giovanni».(Registre de Jacques Fournier)

Chiunque rammenta quelle parole di Bart Ehrman a proposito di Galati (parole che rivelano quanto Errorman abbia subito senza ammetterlo l'influenza del miticista Richard Carrier):
Io ho letto la lettera di Paolo ai Galati centinaia di volte sia in inglese che in greco. Ma li chiaro importo di quel che dice in Galati 4:14 semplicemente mai mi si mostrò, fino a, francamente, un pò di mesi fa. In questo verso Paolo chiama Cristo un angelo ... Paolo scrive  ‘e voi non disprezzaste né aveste a schifo la prova che era nella mia carne ma mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesú stesso’ … Io ho sempre letto questo verso a indicare che i Galati avevano ricevuto Paolo nel suo stato da infermo al modo in cui avrebbero ricevuto un visitatore angelico, o perfino Cristo stesso. Ma il verso non sta in realtà dicendo che i Galati hanno ricevuto Paolo come un angelo o come Cristo; sta dicendo che lo hanno accolto come farebbero ad un angelo, come Cristo. In virtù di una chiara implicazione, allora, Cristo è un angelo.
 (Bart Errorman, How Jesus Became God, mia libera traduzione, pag. 252-253, mia enfasi)

...non può che sorprendersi nel vedere come anche per i catari Gesù era stricto sensu un angelo (in questo decisamente più fedeli al cristianesimo originario di quanto lo fosse il cattolicesimo) che aveva nomi diversi da Gesù:

«Per loro quel Verbo e quel Figlio è l'arcangelo Michele. È scritto: Il suo nome sarà Angelo consigliere merabiglioso (Isaia, 9,6). Viene chiamato arcangelo, perchè è al di sopra di tutti gli altri, Gesù (ebraico: salvatore) perchè guarisce ogni malattia e ogni dolore, Cristo perchè si è consacrato nella carne».(J. P. Migne, Patrologia Graeca, t. 131, c. 44) 

 «I patarini... credono in genere che Cristo non ebbe che una sola natura. Dicono, bestemmiando, che non fu identico nella sostanza al Padre e allo Spirito Santo, né una persona uguale a loro. Ma si dividono sulla sua natura, poiché gli uni sostengono che fu semplicemente un angelo (dividendosi anche su questo punto, in quanto certuni dicono che apparteneva agli angeli inferiori, mentre altri dicono che apparteneva agli angeli superiori); gli altri dicono non fu né angelo né Dio, ma Figlio di Dio. Alcuni, per la verità, lo chiamano Dio, ma non uguale al Padre. Ve ne sono altri che dicono che non è eterno, altri ancora che è eterno, ma gli rifiutano la divinità».(Une somme contre les hérétiques de saint Pierre martyr)
Non solo circa la natura angelica del Figlio i catari vantavano di certo maggiore fedeltà all'originario cristianesimo rispetto al proto-cattolicesimo (nonostante il fatto che per gli eretici il Figlio non fosse ovviamente figlio del dio degli ebrei), ma c'è dell'altro di cui potevano tranquillamente vantarsi: una lettura allegorica dei vangeli e non (o non solo) volgarmente letteralista alla maniera cattolica. 

A detta di Luca di Tucy (inizi del 1200), i catari dicono:

Quello che si trova nel Nuovo e nell'Antico Testamento è vero, se lo si intende in senso mistico; stando alla lettera si riduce a nulla quel che vi si trova contenuto, poiché quando si legge che Cristo ha reso la luce ai ciechi e fatto altri miracoli, bisogna intenderlo riferito a quelli che erano nel peccato, e che soffrivano di un accecamento dello spirito, e non del corpo.(De altera vita fideique controversia adversus Albigenses)
Naturalmente non sto insinuando che la loro particolare lettura allegorica fosse quella originaria, però nota le implicazioni: allegorizzare significa riconoscere l'esistenza di interpretazioni che non emergono prima facie nel testo. Una distinzione tra insiders (in grado di riconoscere le sottili allusioni dietro i simboli) e outsiders (gli stupidi hoi polloi) è in atto qui. A poco a poco riemergono tracce di cristianesimo esoterico: il linguaggio dei misteri sarebbe stato utile almeno a preservare una debole eco del passato, per quanto ostacolato, distorto ed equivocato col tempo?

 Aspetta a dirlo. 

Intanto constato la drammatica consapevolezza catara di un'amara quanto prevedibile verità. La concreta possibilità che Paolo, le nostre amate “autentiche” lettere paoline, potrebbero non essere sfuggite del tutto alla mano dei falsari proto-cattolici:   
«Tutti dicono che accettate il Vangelo; le altre scritture del Canone le rifiutate o le dichiarate dubbie. Vi chiedo: le lettere di San Paolo e degli altri apostoli, per non parlare delle altre scritture divine, perchè non le accettate? Rispondete: “Perché finora la loro autorità non è abbastanza certa perché vi prestiamo fede”».(Pietro il Venerabile, Adversus Petrobrusianos hereticos)
E ritrovo puntualmente l'orgoglio tipico di “chi ha orecchie per ascoltare” e “occhi per vedere” (come ben sa ogni amante del vangelo più allegorico di tutti: quello di Marco):
«Vi sono due “lettere”, una delle quali è la nostra, che il Figlio di Dio ci ha donato quando venne in questo mondo, ed è vera, sicura e buona; ma, dopo che il Figlio di Dio l'ebbe fatta, venne Satana e, imitando questa prima “lettera”, ne fece un'altra, falsa, cattiva e difettosa, ed è quella che ha la Chiesa romana. Se quelli della Chiesa romana vedessero la “lettera” originale, pochi di loro la riconoscerebbero, perché sono ciechi; e benché ve ne siano tra di loro che la conoscono, essi la nascondono agli altri e non vogliono seguirla, tanto sono attratti dal mondo».(Registre de Jacques Fournier)
Il tema della “cecità” della chiesa rivale di turno, contrapposto alla “conoscenza” (in greco: γνῶσις) dei perfetti insiders, non è esattamente cataro, ma caratteristico del più antico vangelo:
Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché  guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato»(Marco 4:11-12)
Cristo non ha compiuto miracoli materiali.
«Quelli sono soltanto allegorie. I peccati sanati, nei Vangeli sono stati raffigurati come infermità».(A. Vaillant-H.C. Puech, Le traité contre les Bogomiles de Cosmas le Prêtre, pag. 58, 82-83)

Questo è sorprendente da parte catara, dato che converge con i risultati più recenti dell'esegesi storico-critica sul vangelo di Marco, proprio a proposito di quelle presunte “infermità” ma reali “allegorie”. Si veda cosa si nasconde ad esempio dietro l'episodio dell'Emorroissa in Marco: 
Se Marco è un'allegoria paolina il suo quinto capitolo contiene un buon candidato per la controversia sulla circoncisione: la coppia di guarigioni della donna che aveva perdita di sangue per dodici anni e della morente figlia dodicenne del capo di una sinagoga (Marco 5:21-42). Per mezzo della tecnica sandwich di Marco e dei numerosi paralleli da lui stabiliti tra le due guarigioni Marco illustra la sua volontà di comprenderli come un composto. Il tocco è un elemento in entrambi: il capo della sinagoga domanda a Gesù di porre le sue mani sulla bambina morente (5:23), e Gesù afferra le mani della piccola (5:41); nel caso dell'emorroissa, il suo tocco del mantello di Gesù è riferito per quattro volte (versi 27, 28, 30 e 31). Ed entrambe le “figlie” (5:23 e 34) sono “salvate” (5:23 e 34) per mezzo della fede (5:34 e 36). Riguardo al loro comune numero dodici, Mary Ann Tolbert dice “è davvero attraente notare che il solo uso di dodici prima della loro apparizione” (in quelle guarigioni) “è relativo ai discepoli, i Dodici” (Sowing the Gospel, pag. 168, n. 58).
Ora mi colpisce che questo episodio di Marco si presta facilmente al genere di interpretazione allegorica che Paolo offrì della donna schiava e della donna libera in Galati. Qualcosa lungo le linee di: “Ora questo è un'allegoria”. La figlia morente del capo di una sinagoga corrisponde alla missione dei Dodici ai giudei. Quella missione si estinse o quasi si estinse (dopo il 70 EC). La donna che aveva versato sangue per dodici anni corrisponde alla missione gentile. Lei è descritta mentre perde sangue perchè i Dodici stavano insistendo che i convertiti gentili siano circoncisi. L'azione di Gesù nella guarigione dell'emorroissa mediante la fede prefigura la predicazione di Paolo della salvezza per fede e il suo rifiuto di permettere ai suoi convertiti gentili di venire circoncisi. E Gesù che riporta in vita la figlia del capo della sinagoga prefigura la definitiva salvezza della missione ai giudei da parte di Paolo.
Forse si poteva attaccare significato allegorico ad altri dettagli del racconto. Per esempio, la donna “spese tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando” (Marco 5:26). Fu la “spesa” un riferimento alla colletta gentile per la chiesa di Gerusalemme? Non lo so. Ma io penso che Richard Carrier ha ragione quando dice che “L'integrazione di quei racconti ovviamente aveva qualche importanza simbolica per Marco, anche se noi non possiamo discernerla ora” (On the Historicity of Jesus, pag. 411). Alla luce degli altri paralleli paolini in Marco, io suggerisco che l'importanza simbolica era molto probabilmente collegata a Paolo. 

(fonte: Roger Parvus,  A Simonian Origin for Christianity, Part 16:  Mark as Allegory)

L'attuale esegesi critica, a dire il vero, si è spinta anche più oltre degli stessi catari, visto che non risparmia all'interpretazione meramente allegorica e simbolica non solo le presunte “infermità” guarite da Gesù ma anche gli stessi “insegnamenti” che Gesù, stando al vangelo di Marco, avrebbe impartito “come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Marco 1:22), addirittura “Un insegnamento nuovo, dato con autorità” (Marco 1:27), talmente “nuovo” da ridursi... ...a che cosa? Alla modesta prescrizione di  seguire i “comandamenti” della Torah!!? Chiaramente è in vista qualcos'altro qui. Ma ἀλληγορία non significa appunto "parlare d'altro"?
Una degli aspetti più sorprendenti del secondo vangelo è che promette di offrire un “vangelo” che consiste di ciò che insegnò Gesù, ma non mantiene mai la promessa. Il libro si apre annunciando che è circa “il vangelo di Gesù Cristo” e il racconto rapidamente chiarifica che questo vangelo è ciò che predicò Gesù:
L'inizio del vangelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio . . .(Marco 1:1)...Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo». (1:14-15)
La parola “vangelo” è quindi la chiave all'intero libro. La parola allude a dottrine provenienti dalla bocca di Gesù, e la gente deve crederci se vuole ottenere il regno di Dio — tuttavia poco di quel che Marco riporta detto realmente da Gesù nel resto del libro è chiaramente identificabile come “il vangelo” in questo senso.
...
Il lettore moderno di Marco che prende per garantito gli abbondanti detti di Gesù in Luca e Matteo tende a sorvolare ciò senza offrirgli dovuta attenzione. Ma gli uditori originali del racconto di Marco ascolterebbero il testo sottolineare di nuovo e di nuovo che Gesù impartì qualcosa di nuovo, autorevole, impressionante, e peino di sapienza, mentre l'attesa sollevate da quelle promesse sarebbero deluse ogni volta. Al punto preciso dove quella stessa domanda è posta direttamente a Gesù, una risposta è restituita che frustra tutte le speranze e le attese raccolte dall'uditore: “Tu conosci i comandamenti”. In altre parole, Gesù stesso risponde dicendo che non ha nulla di nuovo da dire. Egli può solo riportare il suo questionante all'Antico Testamento. Cos'è allora questo “nuovo” vangelo che lui sta predicando per tutto il tempo?
...
Si deve concludere che l'obiettivo di Marco nella scrittura del vangelo non poteva essere stato la preservazione di qualche dottrina o dottrine che potevano essere state nuove, uniche, oppure speciali per Gesù. 

(Tom Dykstra, Mark, Canonizer of Paul, pag. 13, 19, mia libera traduzione e mia enfasi)

Ripongo allora, con maggiore insistenza, la domanda: è possibile, in tutto questo enigmatico manifesto esoterismo cataro, che qualche verità del passato riemerga finalmente alla luce, sopravvissuta per vie traverse ed oscure all'ostilità e all'ignoranza della “Grande Chiesa” nonchè alla fertile immaginazione degli stessi “eretici” ?

La previsione di una sorprendente risposta, al limite del sensazionalismo, aumenterebbe alla luce di una glossa catara di Giovanni 16, 25-33 :
«Cristo (disse agli apostoli) che era venuto il tempo che ritornasse al Padre; disse loro di predicare la sua parola, scritta dal Padre, attraverso il mondo e di non abbandonare la fede in lui per alcuna pena o tribolazione del mondo. Disse loro di avere nove pene: egli ne voleva patire otto, ed essi avrebbero patito la nona; ma nella nona avrebbe dato loro tanto aiuto da poterla sopportare facilmente».(Registre de Jacques Fournier)
Come non pensare alla “spina nel fianco” che tormentava l'apostolo per eccellenza, Paolo:
Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. (2 Corinzi 12:7)
Il passo citato è rivelatore del credo cataro che Paolo fosse proprio ciò che il Paolo storico pretese di essere: ovvero una sorta di Christus redivivus, almeno nella misura in cui, a detta del prof Stevan L. Davies:
Anche Paolo credeva che senza l'esperienza dello Spirito Santo una persona semplicemente non era per nulla un cristiano: per lui, anche, la possessione spirituale era la condizione sine qua non. E Paolo era là.
Lui insiste che la possessione spirituale è il fattore determinante dell'appartenenza al movimento cristiano. Essa è la definitiva esperienza cristiana; senza possessione, si è fuori pure dal movimento. In Romani Paolo rende assolutamente chiaro questo: “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene” (Romani 8:9). Della sua personale cosiddetta esperienza di conversione Paolo scrive che Dio “ si compiacque di rivelare suo Figlio [in] me” (Galati 1:16). Di qui in avanti, apparentemente, Paolo poteva affermare che “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Galati 2:20). Sebbene un genio, Paolo non è ua figura solitaria rimossa da quelli che sono cristiani con lui. Paolo scrisse Romani ad una chiesa che lui non fondò e che non aveva ancora visitato, ma lui assume che la sua audience sia completamente d'accordo che lo spirito è cruciale alla vita cristiana.
In nessuno dei conflitti di Paolo con i suoi avversari cristiani egli li accusa mai di mancare dello spirito di Cristo. Dalla sua prospettiva, e dalla prospettiva delle sue congregazioni, questa sarebbe stata un'accusa devastante. Perfino in Galati lui non sostiene che lui e i suoi cristiani galati posseggono lo spirito, mentre i suoi avversari no. Invece, sostiene che l'insistenza dei suoi avversari che i cristiani seguano la Torah non causerà possessione spirituale, mentre lo farà la fede nel suo discorso. Nel corso di quell'argomento lui chiarisce che l'esperienza iniziale dei cristiani è possessione (3:2-4). Nella seconda lettera ai Corinzi egli obietta ad altri apostoli che fin troppo drammaticamente dimostrano i loro “doni dello spirito”. L'idea che la possessione spirituale sia un fattore cruciale nella vita cristiana non è un'invenzione di Paolo; egli assume di condividere quell'idea con tutti gli altri cristiani.

(Spirit Possession and the Origins of Christianity, pag. 212, mia libera traduzione)  
A questo punto, se i catari si sono spinti al punto da vedere il Cristo sofferente nello stesso Paolo (confermando indirettamente le stesse parole del Paolo storico), l'esistenza di una doppia esegesi del vangelo non può, perciò, essere messa in dubbio, come del resto il suo carattere cauto ed “esoterico”. E l'evidenza, se pur ci viene incontro tremendamente frammentata, conferma a poco a poco le nostre più recondite attese. 

La Somma di Pietro da Verona ci dice: 
«Ve ne sono altri tra di loro i quali pensano che Cristo non è morto una volta sola, ma più volte; e arrivano fino a dire che ha sofferto ed è stato messo a morte in ciascuno dei sette cieli»

Gesù crocifisso nei cieli inferiori?  

Sacconi afferma che l'eretico Giovanni di Lugio:
«accetta la Bibbia per intero, ma pensa che sia stata scritta nell'altro mondo, là dove furono formati Adamo ed Eva. Crede pure che Noé, Abramo, Isacco, Giacobbe e gli altri patriarchi, Mosè, Giosuè e tutti i profeti, e Giovanni Battista, furono graditi a Dio e che furono uomini in un altro mondo.Così pure, che Cristo nacque secondo la carne dai progenitori nominati prima, che prese una vera carne dalla santa Vergine, che ha realmente sofferto, è stato crocifisso, è morto, è stato sepolto ed è risuscitato il terzo giorno, ma crede che tutto questo sia avvenuto in un altro mondo, superiore, e non in questo qui... Così pure, che il vero Dio ha dato la Legge a Mosè in quel medesimo mondo. Là vi erano sacerdoti che offrivano, per i peccati del popolo, sacrifici ed olocausti disposti secondo la Legge. Così pure là, Cristo fece veramente dei miracoli, risuscitando i morti, dando la vista ai ciechi e saziando con cinque pani d'orzo cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Insomma, tutto ciò che si legge nella Bibbia essere accaduto in questo mondo, lui lo riferisce alla lettera ad un altro mondo».(R. Sacconi, Summa de Catharis)
E ancora:
«Credere a due crocifissioni è una delle loro dottrine più segrete. Non osano predicarlo pubblicamente, per timore che la gente se ne scandalizzi».(Salvo Burci, Liber supra stella)

Ma non ricorda a grandi linee lo stesso punto esposto da Carrier in OHJ a proposito di come il mito di un Gesù storico prese piede velocemente tra gli hoi polloi? Ossia che i vangeli — per gli insiders — riflettevano allegoricamente solo le sacre verità metafisiche che si svolsero letteralmente in cielo, a totale insaputa degli outsiders? 
Quindi è plausibile che, come altri culti misterici, anche il cristianesimo venne ad essere provvisto di un insieme di racconti terreni del suo salvatore che non erano intesi ad esser presi letteralmente, tranne che dagli outsiders - ed insiders di rango insufficiente, i quali venivano variamente definiti perfino dai loro stessi leaders “fanciulli” oppure “sempliciotti”.
(On the Historicity of Jesus, pag. 124, mia libera traduzione)

E cosa dire allora del disprezzo cataro per il Cristo ritenuto a torto storico dai cattolici?
Gli albanisti avrebbero detto in segreto: «Che non mi assista colui che ha detto: “La mia anima è triste fino alla morte” (Matteo 26,38)». (È il Figlio del Dio malvagio che cita il Salmo 42,5).

Era solo mero odio gnostico della carne, oppure tale odio rifletteva per puro spirito di antitesi la conoscenza di un altro Cristo, un altro Figlio di Dio, un altro angelo, pensato morente e risorgente non sulla Terra, ma nelle remote sfere celesti? Se la risposta è —se soltanto la risposta fosse ! — questo collocherebbe il catarismo a diretto contatto con la principale verità circa il cristianesimo originario, a dispetto di tutta l'enorme lontananza culturale e temporale che separa il primo dal secondo: che il Gesù spirituale di Paolo e dei primi apostoli di Cristo non camminò mai sulla Terra nel passato recente. Che fu crocifisso da Satana nel cielo, sotto la Luna, in pieno territorio arcontico e demoniaco. 

Non sappiamo con certezza, purtroppo, cosa credevano segretamente questi catari particolari così furtivi e guardinghi dei loro misteri. In fondo, il rischio, quando si ha a che fare con venditori di allegorie, è che rimane sempre lasciato un ampio margine di mistero sul loro significato, quell'amara sensazione di non possedere la verità, o perchè irridimediabilmente perduta, oppure perchè tenacemente occultata. Che i vangeli siano dimostrabilmente allegorie non prova l'inesistenza di Gesù, e noi neppure sappiamo se le letture non-letterali dei catari coincidevano con la lettura originaria di un “Marco”, per dire. Probabilmente non fu così. E qui non resisto alla tentazione di citare chi di scritture se ne intende per reiterare questa mia percezione di sconsolata ignoranza mista a latente frustrazione, dovuta ad una precisa ragione: che se quel che avessimo fossero soltanto i vangeli e le letterature allegoriche annesse e connesse (senza le epistole di Paolo), ancora non riusciremmo a dimostrare che Gesù non fu mai esistito. 
Molti si lamentano che le parole dei saggi siano sempre soltanto delle allegorie, ma non applicabili alla vita quotidiana che è la sola cosa che possediamo. Quando il saggio dice «Vai nell'al di là», non vuol dire che dobbiamo andare dall'altra parte, cosa che potremmo sempre fare se il risultato ne valesse la pena; ma intende un leggendario al di là, qualcosa che noi non conosciamo, che neppure egli può chiaramente indicare, e che perciò non ci è di nessun soccorso quaggiù. Tutte queste allegorie in fondo vogliono soltanto dire che l'Inafferrabile è inafferrabile, e questo lo sapevamo già. Ma quelle che ci travagliano ogni giorno sono altre cose.
Allora uno disse: «Perché resistete? Se voi seguiste le allegorie, diverreste allegorie voi stessi e sareste liberi dal quotidiano travaglio».
Un altro disse: «Scommetto che anche questa è un'allegoria».
Il primo disse: «Hai vinto».
Il secondo disse: «Ma purtroppo soltanto in allegoria».
Il primo disse: «No, nella realtà. Nella allegoria hai perso».

(Franz Kafka, Delle allegorie)  
Ma se tutto quello che ho finora illustrato a proposito di questo esoterismo cataro non so nemmeno io se sia sufficiente o meno a concludere la presenza, tra le loro opinioni, anche del credo che il vero Gesù letterale (dunque non quello cattolico) non camminò mai sulla terra, allora io posso sempre consolarmi col pensiero che basterà almeno la seguente testimonianza a convincere, almeno me, che davvero alcuni catari erano riusciti, in gran segreto, a penetrare qualcosa delle vere origini del cristianesimo, seppure nella forma più annebbiata e contorta, a dispetto di tutte le avversità e del tempo e dello spazio e soprattutto nonostante l'alacre censura esercitata fin dal III secolo dalla “Grande Chiesa” ai danni di ogni possibile documento compromettente.

Pietro di Vaux de Cernay così scrive: 

Innanzitutto si deve sapere che gli eretici sostengono l'esistenza di due creatori, uno delle cose invisibili, che chiamano il Dio benigno, e uno delle cose visibili, che nominano il Dio maligno.
Attribuiscono il Nuovo Testamento al Dio benigno e il Vecchio al Dio maligno, e ripudiano tutto l'Antico Testamento, ad eccezione di alcuni passaggi inclusi nel Nuovo Testamento, che reputano appropriati a causa del loro rispetto per il Nuovo Testamento. Affermano che l'autore del Vecchio Testamento è un bugiardo, perché disse al primo uomo creato:  “Ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai”, ma non morirono dopo averne mangiato, come aveva detto che sarebbero, anche se, in realtà, dopo aver mangiato il frutto proibito divennero soggetti alla morte. Lo chiamavano anche assassino perché incenerì gli abitanti di Sodoma e Gomorra, distrusse il mondo colle acque del Diluvio, e travolse il faraone e gli egiziani col mare.
Dichiaravano che tutti i patriarchi del Vecchio Testamento furono dannati; asserivano che Giovanni il Battista fosse uno dei più grandi demoni.
E dissero anche nelle loro riunioni segrete che il Cristo che era nato nella terrena e visibile Betlemme e fu crocifisso a Gerusalemme era cattivo; e che Maria Maddalena fosse sua concubina; e che lei era la donna colta in adulterio di cui si legge nella Scrittura [Giovanni 8:3].
Anzi, dicono, il Cristo buono né mangiò né bevve e né assunse la vera carne, e neppure fu mai in questo mondo tranne che spiritualmente nel corpo di Paolo. Ma proprio per questa ragione noi diciamo “nella terrena e visibile Betlemme”:  infatti gli eretici credono che ci sarà un'altra terra, nuova e invisibile, e in questa seconda terra, alcuni di loro credono che il Cristo buono fu crocifisso.
Allo stesso modo, gli eretici dicono che il Dio buono aveva due mogli, Colla e Colliba, e da queste generò figli e figlie.
C'erano altri eretici che dicevano che esisteva un unico Creatore, ma che aveva come figli sia Cristo che il Diavolo.
Dicevano che un tempo tutte le creature erano buone, ma che dalle coppe di cui leggiamo nell'Apocalisse [Apocalisse 16:1-21], tutti furono corrotti.

(Petrus Vallium Cernaii monachus, Historia Albigensis 10-11, mia enfasi)

Sfrondiamo pure, senza farci tanti scrupoli, il testo di tutta la zavorra gnostica e catara propriamente detta (perchè solo frutto di speculazione posteriore rispetto al I secolo EC), per limitarci ad evidenziare soltanto quelle fatidiche parole con tanto di maiuscoletto:

ANZI, DICONO, IL CRISTO BUONO NÉ MANGIÒ NÉ BEVVE E NÉ ASSUNSE LA VERA CARNE, E NEPPURE FU MAI IN QUESTO MONDO TRANNE CHE SPIRITUALMENTE NEL CORPO DI PAOLO. MA PROPRIO PER QUESTA RAGIONE NOI  DICIAMO “NELLA TERRENA E VISIBILE BETLEMME”: INFATTI GLI ERETICI CREDONO CHE CI SARÀ UN'ALTRA TERRA, NUOVA E INVISIBILE, E IN QUESTA SECONDA TERRA, ALCUNI DI LORO CREDONO CHE IL CRISTO BUONO FU CROCIFISSO.  

Cosa c'è qui che non descrive precisamente quel che fu il mito cristiano originario? Soltanto la menzione di un “Cristo buono” inteso come figlio non del dio degli ebrei ma del dio alieno introdotto da Marcione e dalla gnosi nel II secolo EC.

Tutto il resto descrive perfettamente il più antico mito di Gesù: egli fu crocifisso in un'“altra terra” —  vale a dire: nel reame spirituale —  di cui la nostra costituisce il riflesso terreno, per poi immergersi e manifestarsi solo nell'uomo chiamato Paolo: Gesù ora riveste il corpo di Paolo, così che l'apostolo può affermare “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Quello che valeva per Paolo doveva sicuramente valere per tutti i primi apostoli. Ma a differenza loro, destinati a rimanere per sempre nella nebbia della Storia e della leggenda, Paolo fu privilegiato dall'essere il solo apostolo la cui vita e il cui insegnamento finirono allegorizzati nel più antico vangelo (Marco canonico oppure ur-Marco) per dare una vita sulla terra a Gesù. Ad esempio, secondo il miticista Roger Parvus, l'incipit di ur-Marco (e la sua chiave interpretativa) sarebbe qualcosa come:

Incipit di Marco
Dall’Epistola ai Galati
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea. E subito vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare suo Figlio in me perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, (Gal 1:15-16)
E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. (Gal 1:17)
Dopo Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mento. Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilìcia. Ma non ero personalmente conosciuto dalle Chiese della Giudea che sono in Cristo; avevano soltanto sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunciando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio per causa mia. (Gal 1:18-24)


E i paralleli tra il vangelo e le epistole potrebbero continuare.

Ma perfino se si rifiuta qualsiasi ur-Marco dietro il nostro Marco canonico, i pur storicisti Tom Dykstra e Bartosz Adamczewski hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il Gesù di Marco ha così tanto le caratteristiche “del Figlio di Dio che fu rivelato nella persona del suo Apostolo particolarmente eletto” (Adamczewski, The Gospel of Mark, pag. 40, mia libera traduzione), da relegare come mera ipotesi astratta e inutile ogni possibilità che “Marco” (autore) avesse perfino qualche remota conoscenza di un ipotetico “Gesù storico”.

Ma la testimonianza di quei catari esoterici dice qualcosa di più. Dopo aver ricordato che Gesù si rivestì solo apparentemente di carne e non perfino in questa terra ma in un'“altra” (quindi nella regione della mortalità che gli antichi identificavano nella parte bassa del Firmamento, circoscritta dall'orbita della Luna) dove fu crocifisso (naturalmente da Satana), contrappone a questo Cristo celeste crocifisso “mai in questo mondo” tutt'altro tipo di Gesù, quello “cattivo” venerato dai cattolici e quindi anche dal relatore del passo cataro di interesse, Pietro di Vaux de Cernay:

  ...MA PROPRIO PER QUESTA RAGIONE NOI  DICIAMO “NELLA TERRENA E VISIBILE BETLEMME”...

Consegnandoci nel modo più illuminante e chiaro possibile la vera ragione per cui i progenitori della futura Chiesa cattolica avrebbero insistito così tanto, colla bava alla bocca, che Gesù ebbe una nascita a Betlemme, o per dirla colla strana enfasi traditrice del folle apologeta proto-cattolico Ignazio
Siate sordi quando qualcuno vi parla prescindendo da Gesù Cristo, della stirpe di Davide, nato da Maria, che fu veramente generato, mangiò e bevve, veramente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato, veramente fu crocifisso e morì, al cospetto delle creature celesti terrestri e infernali.(Lettera ai Tralliani IX)

La nascente religione cattolica, interamente imperniata su un personaggio concettuale storicamente inesistente e costruita interamente sulla tomba vuota di un corpo inesistente, gravita così, nelle stesse parole di Ignazio, attorno a questo centro vuoto, a questo cuore cavo, a quest'invenzione umana che ha richiesto la confisca della letteratura precedente per rendere possibile un'incarnazione, per dare forma e forza a questa finzione a forza di folli e insistenti pretese, di metafore e di allegorie prese goffamente alla lettera, di favole, di miti e di profezie ebraiche riciclate e/o cooptate, e così guadagnare consenso, prestigio, potere tra gli hoi polloi. Si giustifica così la feroce e strana insistenza di Ignazio: lui sta difendendo ostinatamente il suo Gesù contro la predicazione di cristiani ancora sprovvisti dell'intero concetto di un Gesù crocifisso “sotto Ponzio Pilato” e quindi gli occorre costruire una storia attorno a una finzione. 

Un Gesù del genere era abominio secondo l'esoterismo cataro: 

...E DISSERO ANCHE NELLE LORO RIUNIONI SEGRETE CHE IL CRISTO CHE ERA NATO NELLA TERRENA E VISIBILE BETLEMME E FU CROCIFISSO A GERUSALEMME ERA CATTIVO... 

Avendo appena esplicitato in tutta segretezza che il “Cristo buono” , il vero Gesù, “neppure fu mai in questo mondo” ma fu crocifisso — secondo solo “alcuni di loro” (si noti il tipico linguaggio dei misteri) — in un altro, del tutto “invisibile” (perchè celeste), allora questi catari potevano pure permettersi di concedere ai loro persecutori cattolici l'esistenza “storica” del loro Gesù, a patto però di sfruttarlo come mero bersaglio polemico delle loro accuse anti-cattoliche, tanto da definirlo il “Cristo cattivo” e accusarlo di fornicazione con la “puttana” Maria Maddalena (quindi, checchè ne dica quell'idiota di Dan Brown, la vera origine delle dicerie attorno ad una presunta moglie del Gesù storico risponde al bisogno cataro di denigrare l'impostura di un Gesù “vero Dio e vero uomo” imposto dal dogma cattolico). 

La testimonianza sui catari che ho riportato conferma così l'esistenza in pieno Medioevo, seppure in forma esoterica, di un credo miticista cristiano eretico che non poteva essere un puro prodotto medioevale, per la semplice ragione che quel credo sembra essere, su pressochè ogni punto, l'esatto opposto di ciò che Ignazio (collocato da Bart Errorman nel 110 EC) si affannava drammaticamente ad imporre ai suoi contemporanei (e perciò indirettamente confermandone l'esistenza già nel 110 EC (se si è d'accordo con Errorman sulla datazione delle lettere di Ignazio):

Cosa dicevano alcuni catari “nelle loro riunioni segrete”, secondo Pietro di Vaux de Cernay:
Cosa scriveva pubblicamente il proto-cattolico “Ignazio”:
Anzi, dicono, il Cristo buono … né assunse la vera carne, e neppure fu mai in questo mondo tranne che spiritualmente nel corpo di Paolo.
Siate sordi quando qualcuno vi parla prescindendo da Gesù Cristo, della stirpe di Davide, nato da Maria, che fu veramente generato,
né mangiò
mangiò
né bevve
e bevve
Ma proprio per questa ragione noi diciamo “nella terrena e visibile Betlemme”: infatti gli eretici credono che ci sarà un'altra terra, nuova e invisibile, e in questa seconda terra, alcuni di loro credono che il Cristo buono fu crocifisso.
veramente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato, veramente fu crocifisso e morì, al cospetto delle creature celesti terrestri e infernali.


Quindi il miracolo è avvenuto che, grazie al contenuto preservatoci (grazie a Pietro di Vaux de Cernay) delle “riunioni segrete” di alcuni catari, noi abbiamo esattamente, a distanza di così tanti secoli e da parte cristiana (perchè i catari erano sinceri cristiani), ciò che Richard Carrier aveva descritto altrimenti come fatalmente non in evidenza, quando osservò, sempre a proposito di Ignazio:
Sfortunatamente noi non possiamo rivelare che tipo di Doceti gli Ignaziani stanno attaccando, se un Docetismo rivelatorio (che insegna che gli eventi della vita di Gesù erano visti solamente in visioni) oppure un Docetismo storicista (che insegna che gli eventi della vita di Gesù erano testimoniati nel modo normale, ma erano nondimeno illusioni). 
(On the Historicity of Jesus, pag. 319, mia libera traduzione e mia enfasi)

Ora lo sappiamo: i Doceti attaccati da Ignazio o chi per lui, erano più probabilmente i cristiani miticisti del tempo. 

Così, nonostante ciò che sentiamo predicare ogni domenica dai pulpiti di tutte le chiese del mondo, l'unica prova dell'esistenza di colui che porta sulle spalle il peso della più grande religione della Storia si trova nelle pagine di una selezione della Bibbia, una fonte non contemporanea pesantemente riveduta. Questa constatazione è stata — e senza dubbio continuerà a essere ancora per secoli — causa di dibattiti tra teologi e filosofi, e tra credenti e non credenti, in tutto il mondo. 

Ma per me, con la prova qui riportata, a meno di non identificare nell'uomo chiamato Paolo il vero “Gesù storico” , una volta che perfino l'impensabile accade sotto i nostri occhi — che dei cristiani medievali potessero essere così evidentemente “miticisti” (non so proprio come altrimenti definirli!) da affermare a chiare lettere che il vero Gesù “neppure fu mai in questo mondo” ma fu addirittura “crocifisso” in un'“altra terra” — diventa pressochè certo che nessun Gesù storico degno di questo nome è mai esistito, che il cristianesimo ha preso le mosse dalle credenze in una mitica figura spirituale, che i vangeli sono essenzialmente allegoria e racconto, letteratura, mito. 

E così sì: io sono miticista. 






«Ciò che ci rende liberi è la conoscenza 
di chi eravamo, 
che cosa siamo divenuti; 
donde eravamo, 
dove siamo stati gettati; 
dove ci affrettiamo, 
da dove siamo redenti; 
che cosa è nascita 
e che cosa è rinascita»
(antica formula gnostica)

3 commenti:

walter ha detto...

Buongiorno, seguo il tuo blog è vi devo aver lasciato qualche commento qui e là. . Sulla base delle letture che includono un 15 registri inquisitoriali, gli scritti ritrovati di quelli stessi che oggi definiamo catari, e una parte delle opere dei teologi cattolici, che polemizzarono contro i catari ti annoto qui qualche imprecisazione:
1) Otto Rahn colora il suo inchiostro in modo da ottenere qualche credenziale in quello che per l'Occidente era un argomento nuovo e poter far rimarcare sia la differenza tra catari e cattolici per ottenere dall'opinione pubblica un credito nella sua battaglia teorica contro la chiesa che stermino i catari. Otto Rahn É figlio del tempo in cui l'unica élite che si occupa dei catari é un ambiente esoterico. I loro scritti sono apparsi dopo e contraddicono molto di quello che questi precursori avevano definito. Quel specifico inquisitore non mostró particolari crudeltà al di là della sua condizione e per alcuni catari era anzi un credulone che rilasciava facilmente i suoi indagati.

2) Manichei - É universalmente suffragata l'idea che il catarismo abbia avuto una radice o legame con il manicheismo. Gli stessi catari ignoravano il manicheismo fino al momento in cui i teologi hanno copiato gran parte dei loro scritti antieretici rifacendosi ai testi anti-manichei, e Agostino in primis. I catari conobbero il manicheismo attraverso gli inquisitori e i teologi cattolici.
Lo stesso dualismo Cataro è differente da quello del Dio buono e malvagio dei manichei. Ma arriveremo poi a quel punto.

3) L'elemosina: affatto vero, i catari lavoravano tutti, cosa un po' rivoluzionaria in un tempo in cui la nobiltà non s'era mai sporcata le mani e doveva apprendere a lavorare come condizione di cristiano/a.
4) il conte di Tolosa capo dei catari É un pó grossa, É un conte libertino e tollerante con un Cristianesimo che non intende regolare il mondo. Suo padre invece cercó l'aiuto della chiesa per combatterli, foss'anche a livello teologico. (Segue)

Giuseppe Ferri ha detto...

Ciao Walter,
pensavo di essere stato abbastanza chiaro circa quello intorno a cui volevo essere preciso nel mio post in questione, quando ho scritto:

Il mio interesse ai Catari è rivolto esclusivamente a tutte le tracce che posso trovare, sempre se lo posso trovare, di particolari forme di miticismo esoterico tra di loro.

Stantibus rebus, è chiaro che non pretendo affatto il grado di precisione da te richiesto riguardo aspetti dei catari marginali rispetto al tema del post. Ergo non mi interessa affatto se i catari “lavoravano tutti” o meno, nè il grado di coinvolgimento nell'eresia del conte di Tolosa, tantomeno eventuali legami col manicheismo. E se ho citato il Rahn, è solo per far gustare al mio lettore l'ironia della sua frase finale nella citazione: “San Pietro e San Paolo avrebbero confessato entrambi di essere eretici se fossero stati sottoposti ai metodi degli Inquisitori” (l'ironia essendo che Pietro e Paolo, non avendo mai conosciuto un Gesù storico — non ne è mai esistito uno — sono per quel solo fatto già eretici a tutti gli effetti per i moderni cattolici, senza scomodare affatto gli Inquisitori).

Perciò risparmiami eventuali digressioni marginali sui catari e illustrami piuttosto, se proprio vuoi offrire un contributo al mio blog, cosa ne sai a proposito del “miticismo esoterico cataro” come da me definito nel post. Per la cronaca, io ho attinto quelle citazioni in chiaro odore di miticismo dal libro piuttosto serio La religione dei Catari : fede, dottrina, riti di Jean Duvernoy ; prefazione di Francesco Zambon; traduzione di Adriano Lanza (Edizione Mediterranee).


Cordiali saluti

Giuseppe Ferri ha detto...

E per i miei lettori interessati, rimando alle osservazioni datemi in risposta da Richard Carrier intorno a quelle enigmatiche credenze catare che sembrano non lasciare apparentemente dubbi su cosa vogliano dire in relazione alla storicità di Gesù.