giovedì 7 luglio 2016

Su Ebrei 13:12 all'origine del Golgota — o “Luogo del Cranio”


PENTIMENTO: Per ottenere la remissione dei peccati, un cristiano deve provare sincerissimo pentimento per avere commesso azioni che gli hanno fatto un gran piacere. Un atto di contrizione è sufficiente per riconciliarsi con Dio: ciò è infinitamente comodo per tutti coloro che non hanno la minima intenzione di cambiare condotta.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, ha sofferto fuori della porta. (Ebrei 13:12)


Earl Doherty, ma ancor più Richard Carrier, sono riusciti nella mirabile impresa di farmi apprezzare l'esistenza e il valore dell'Epistola agli Ebrei, un testo altrimenti tedioso quando liquidato o letto troppo frettolosamente come storicista tout court. Sono rimasto davvero colpito dalla logica intrinseca in quell'epistola (cosa davvero rara per dei cristiani). Non si tratta di una vera lettera, ma di un vero e proprio esercizio in logica. Una logica che, quando portata fino alle sue estreme conseguenze, conduce a negare ogni possibile trascorso di Gesù su questa terra.  

Lo sfondo della lettera è il distacco che gradualmente si stava consumando tra l'ebraismo e una marginale, minuscola setta ebraica al suo interno. Tutti sanno la favola: Adamo aveva morsicato la mela meritandosi l'abbandono del paradiso, Mosè rimediò tramite un patto con YHWH: l'osservanza di quella Legge avrebbe garantito il perdono del Peccato Originale. Il corollario del patto era l'obbedienza ai sacerdoti Leviti, oltre che il dovere di gravitare il più possibile attorno al Tempio di Gerusalemme come luogo ideale per i sacrifici. La realtà storica dietro questo mito era piuttosto drammatico: il regno di Giuda si dimostrò più longevo del regno di Samaria, con conseguente riduzione al lumicino dell'importanza del tempio di Gerizim nonchè del sacerdozio di Melchisedek (percepito come rivale a quello levita).

Il monopolio levita del sacerdozio poteva permettere eccezioni alla regola solo ad ebrei consacrati al  nazireato per uno scopo particolare, il tutto ovviamente sotto stretta supervisione del Tempio. Appannaggio esclusivo del sacerdote levita era l'offerta del sangue degli animali sacrificati sull'altare. Ma lo sgozzamento degli animali poteva farlo chiunque, salvo in qualche dovuta eccezione.

Subentra ora il nuovo sommo sacerdote Gesù, con tanto di nuovo patto. Come fu colpa di un solo uomo, Adamo, l'irruzione del Peccato Originale, così fu merito di un solo uomo, Gesù, l'eliminazione di quel Peccato Originale. Non serve più su un piano teologico sgozzare animali ogni giorno (come se dovesse mai servire a qualcosa un così crudele atto di barbarie), sarà Gesù a recare il sacrificio più grande, la sua vita, e così un beneficio perenne. Non serve più nemmeno la circoncisione: basta il battesimo, ora. Pezzo dopo pezzo, al sacerdozio levita di stanza a Gerusalemme viene tolto terreno sotto i piedi, spogliato di tutte le sue precedenti funzioni.

La logica è che Adamo e Melchisedec sono entità celesti, così anche Gesù lo è. Il messia doveva essere un discendente di Davide ma solo i folli apologeti cristiani possono pretendere che ce ne fossero ancora alcuni nel I e II secolo EC. Ebrei risolve il problema senza scomodare ridicole e contradditorie genealogie davidiche per Gesù (come faranno poi i vangeli): è YHWH stesso a prelevare lo sperma di Davide in cielo per clonarvi appositamente Gesù. Così YHWH mantiene le sue promesse (come sempre) e tutti gli ebrei dovrebbero seguire Gesù se vogliono restare veri ebrei.


L'epistola agli Ebrei riesce così a debellare completamente, sul piano teologico, il sacerdozio di Gerusalemme. I sommi sacerdoti ebrei fallirono in un modo o nell'altro l'osservanza della Legge, vuoi quando tollerarono re non discendenti da Davide, vuoi quando permisero il sacerdozio ai non-Leviti: potevano giustificarsi sul piano politico (in fondo leccavano il culo ai romani), ma non possedevano un briciolo di giustificazione logica al loro fallimento. Erano inchiodati al muro dalle stesse regole del gioco fissate nella Torah. Per giunta, ora esisteva qualcuno che vantava il possesso di un argomento logico che minava dritto al cuore le fondamenta del loro potere. Qualcuno che pretendeva di farlo sulla base della stessa Torah.  L'epistola agli Ebrei non è una lettera, ma un trattato teologico che espone quella che vuole essere nelle intenzioni dei suoi autori una ragionata dimostrazione ispirata alla letteratura sacra precedente. Per dare lo scacco matto finale ai sommi sacerdoti di Gerusalemme.

Se l'epistola fu scritta prima del 70 EC (com'è opinione comune, visto il target polemico costituito da sacerdoti ancora attivi a sacrificare al Tempio di Gerusalemme), allora non è così probabile che ci fossero altri rivali per l'autore della lettera a parte gli ebrei e/o i giudeocristiani orbitanti ancora attorno al tempio di Gerusalemme. Tuttavia è sempre possibile, anche se non vi sarebbe evidenza di questo, che tutta quell'enfasi sulle sacre scritture tradisca qualche malcelata insofferenza verso chi era percepito negativamente come un incipiente traditore delle stesse (Paolo?). Lascio aperta quella possibilità, visto che io ritengo la comunità che produsse quell'epistola non la stessa di Paolo, e nemmeno la stessa dei cosiddetti “Pilastri” di Gerusalemme, bensì l'embrione più primitivo e antico di ciò che sarebbe divenuta la famigerata comunità proto-cattolica, seppure ancora un embrione sprovvisto dell''arma teologica (il concetto di un Gesù storico) che avrebbe reso, darwinianamente parlando, quella comunità davvero “universale”, ovvero cattolica propriamente detta. Uno sfondo piuttosto ovvio per l'assenza di evidenza di un tempio distrutto nella lettera agli Ebrei è che la storia del Gesù celeste già esisteva prima del 70 EC, e che la distruzione del Tempio mosse alcuni autori a creare il vangelo di Marco dove il Gesù celeste è sostituito da un Gesù che cammina sulla Terra. Quindi le ragioni della creazione del Gesù celeste e del Gesù terreno sono diverse, ovviamente l'ultimo scaturendo dal secondo. 

Così Richard Carrier:
A dispetto di tutto questo, si sostiene talvolta che qui almeno l'autore ammette che Gesù apparve sulla terra. Ma ciò in realtà è, e piuttosto vistosamente, non detto qui. Non c'è menzione di alcunchè di questo che occorre sulla terra. L'autore dice che per eseguire il suo sacrificio di Gesù “una volta per tutte, alla fine dei tempi, è apparso [phaneroō] al fine di annullare il peccato sacrificando se stesso” (Ebrei 9:26), il verbo qui è un termine comune per rivelazioni e manifestazioni divine (in realtà significa “far conoscere, rendere chiaro, rivelare”). Poi egli “apparirà [optanomai] una seconda volta” (9:28), questa volta un verbo di vista più concreta — quindi noi osserveremo il suo prossimo arrivo con i nostri occhi. Questo è esattamente in accordo con il miticismo minimale, per cui Gesù “apparve” la prima volta in rivelazioni per comunicare che egli aveva appena eseguito questo sacrificio (1 Corinzi 15:3-8), e poi “apparirà” una seconda volta, più concretamente nella stessa aria sopra di noi, alla fine del mondo (1 Tessalonicesi 4:16-17).
Allo stesso modo che Gesù avesse un 'corpo' da sacrificare, da cui poteva riversare 'sangue', è esattamente quello che comporta il miticismo minimale: egli assunse un corpo di carne nel  firmamento sub-lunare, in modo da poter essere ucciso, poi tornò ai cieli superiori da dove proveniva. Esattamente come l'Ascensione di Isaia descrive l'azione di Gesù, e proprio come quello che molti credevano successe a Osiride (Elementi 14 e 31). In seguito l'autore della lettera agli Ebrei cita un dettaglio ulteriore su dove morì Gesù:
 
Infatti i corpi degli animali il cui sangue è portato nel luogo santo dal sommo sacerdote [come offerta] per il peccato poi vengono bruciati fuori dal campo. Per questa ragione Gesù ha sofferto fuori della porta, per santificare il popolo con il proprio sangue. Usciamo dunque fuori del campo e andiamo a lui portando il suo vituperio. Infatti non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura (Ebrei 13:11-14) 

  Dal contesto l'argomento qui è metaforico, “uscire fuori dal campo” significa dipartire dall'ebraismo e dal culto del tempio. Le due città sono metafore per i due mondi: il mondo presente di carne è dove loro non hanno nessuna città, mentre la loro vita futura nei cieli è la città che cercano (si veda Ebrei 11:16 e 12:22; Paolo disse più o meno la stessa cosa in Filippesi 3:20 — e Galati 4:25-26, su cui vedi §9).Ma perchè l'ultima metafora funzioni, l'autore non può intendere che Gesù fu crocifisso fuori le porte di Gerusalemme. Cioè in questo mondo, dove non abbiamo nessuna città, e non è certamente dove dobbiamo andare incontro a Gesù ora. Chiaramente, per noi  andare da lui, al di fuori del campo' significa al di fuori di questo mondo, in cielo (spiritualmente per ora, letteralmente solo più tardi: come spiegato in Romani 8). Ma questo funziona anche come doppia metafora: significa anche andare fuori dalle protezioni della pratica rituale ebraica, e lasciare così il giudaismo, per i quali essi devono recare biasimo come fece Gesù quando fu abusato e ucciso. Questo deve fare riferimento al fatto che Gesù terminò quel vecchio patto con il suo sacrificio, ed agì così “fuori della porta” del cielo. Come spiega l'Ascensione di Isaia (capitolo 3, § 1), Gesù doveva passare attraverso le numerose porte del cielo per raggiungere il firmamento ed essere ucciso da Satana e dai suoi demoni.  Egli quindi dovette sacrificare se stesso “fuori della porta” del tempio celeste e riportare il suo sangue in esso per effettuare il nuovo patto (come vedemmo spiegato in Ebrei 9). Non vi è perciò nessuna chiara evidenza a favore della storicità qui.
(On the Historicity of Jesus —Why We Might Have Reason for Doubt, pag. 544-545, mia libera traduzione) 

Il dr Carrier, con quel mix di eleganza e semplicità che gli è innato, dimostra validamente come la lettera agli Ebrei sia completamente priva del minimo indizio di un Gesù storico. Se dovessimo paragonare la tesi (che il concetto di un Gesù storico è assente nella mente dell'autore di Ebrei) alla proposizione che “oggi non piove”, tutta l'evidenza in Ebrei sarebbe paragonabile, lungo quella metafora, alla proposizione che “oggi c'è il Sole”: a dispetto di questo, ancora l'autore di Ebrei potrebbe essere in cuor suo storicista, così come potrebbe fare una pioggerellina, come si suol dire, “a ciel sereno”, nonostante la presenza del Sole. Ma si dovrebbe a questo punto convenire che la tesi è dimostrata nella misura in cui ciò che si vede è solo il rarefatto Gesù cosmico (proprio come è più probabile, se “oggi c'è il Sole”, che oggi non è un giorno di pioggia, piuttosto che il contrario) e nessuna traccia o indizio di un “Gesù storico”.

Ma abbiamo solo questo? Solo una maggiore probabilità del miticismo rispetto alla storicità in Ebrei? 

Earl Doherty mi ha convinto che c'è più di questo. C'è un'autentica “pistola fumante” in Ebrei: la negazione esplicita che Gesù fu un sommo sacerdote sulla Terra.


Ebrei 8:4 

Se Gesù fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge.

Richard Carrier insiste che quella è la corretta traduzione, anche se Doherty ritiene altrettanto possibile la seguente:
Se Gesù fosse stato sulla terra, egli non sarebbe stato neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge.
Tuttavia il dr Carrier concorda con la lettura che ne fa Doherty: l'autore dell'epistola sta negando esplicitamente che Gesù fu un sommo sacerdote sulla terra. Non lo è tuttora e non lo fu mai.

Perciò se è possibile dimostrare che, per l'autore dell'epistola agli Ebrei, Gesù fu Sommo Sacerdote almeno in punto di morte (e non solo quando, nel santuario celeste collocato nel cielo superiore, dovette offrire il suo sangue versato altrove), allora la logica conclusione è che, dove Gesù morì (come sommo sacerdote), sicuramente quel luogo non fu sulla Terra, dal momento che un Gesù sacerdote non può mai essere sulla Terra, secondo le esplicite parole di Ebrei 8:4. E l'ovvio corollario di questa conclusione è che, se non fu la Terra il luogo dove morì Gesù, allora egli fu crocifisso nei cieli inferiori, nel territorio arcontico sublunare, dominio di Satana e dei suoi scherani.

La dimostrazione della non-storicità di Gesù per l'autore dell'epistola agli Ebrei si riduce allora alla prova che Gesù fu a tutti gli effetti un Sommo Sacerdote in punto di morte.

Abbiamo noi quella prova?

Sembra che gli esperti sono divisi sull'istante preciso in cui Gesù divenne sommo sacerdote nella logica dell'autore di Ebrei. Alcuni si spingono addirittura a dire che l'autore non è neppure interessato a fissarne il momento, lasciandolo apposta nel vago. Chiaramente qui ogni incertezza e cautela si riverbera nella possibilità di fare di Ebrei 8:4 la “pistola fumante” a conferma del miticismo. Eppure io penso che pure qui l'approccio può essere reso genuinamente probabilistico, consegnandoci alla fine una certezza che rasenta di molto il possesso della verità pura e semplice.

Lo status quaestionis è descritto succintamente da questo studioso:
Quando nello specifico Cristo divenne sommo sacerdote è assai dibattuto. La questione non è se la morte di Cristo fosse un sacrificio espiatorio ma come si relaziona al suo ministro celeste. A favore della vista che fu alla sua esaltazione alla destra di Dio che diventò sommo sacerdote è sia la stretta connessione tra sacerdozio ed esaltazione e sia l'enfasi sullo status e ministero celesti di Cristo. Alternativamente, la vista che il suo sacerdozio cominciò sulla terra, al momento della sua morte, è supportata dal fatto che la sua morte è descritta come un'offerta (9.14, 25-26; 10:5-10). Le due possibilità non sono altrettanto discrete come potrebbero sembrare quando le vediamo in relazione al perfezionamento di Cristo (5:9; 7:16). 
(R. J. McKelvey, Pioneer and Priest: Jesus Christ in the Epistle to the Hebrews, pag. 35-36, mia libera traduzione)
Un fatto imprenscindibile intanto è l'introduzione del sacerdozio di Melchisedek per spiegare la natura di quello di Gesù:
È noto infatti che il nostro Signore è uscito da Giuda, in riferimento a cui Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. E la cosa è ancora più evidente, se sorge un altro sacerdote a somiglianza di Melchisedek, che non è diventato tale per una legge di prescrizioni carnali, ma per la potenza di una vita indissolubile. Infatti la Scrittura afferma: «Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedek».(Ebrei 7,14-17)

 Il targum 11QMelch ritrovato a Qumran, preservato in due colonne, dice un particolare di enorme valore circa Melchisedek, che pongo in grassetto:  
Col. II 
1 [...] il tuo Dio [...] 2 [...] e poiché ha detto: “In [questo] anno giubilare[ciascuno torni nei suoi possessi” E come è scritto: “Questa] 3 è la modalità della [remissione]: ogni creditore condonerà ciò che aveva prestato [al suo prossimo, non avrà pretese sul suo prossimo né sul suo fratello, perchè è stata proclamata] la remissione 4, per Dio” [L'inter]pretazione [del passo] per gli ultimi giorni si riferisce ai prigionieri, [di cui] si dice: “per procalamare ai prigionieri la liberazione” E 5 incatenerà i loro ribelli ... e dall'eredità di Melchisedek, poiché [...] ed essi sono l'ere[dità di Melchi]sedek, che 6 li farà ritornare ad essi. E proclamerà per loro la liberazione, affrancandoli [dal peso di] tutte le loro iniquità. Questa cosa [avverrà] 7 nel primo settennio del giubileo che segue i no[ve] giubilei. Il gior[no dell'e]spiazione è la fine del giubileo decimo, 8 quando si dovrà espiare per tutti i figli di D[io e gli u]omini della parte di Melchisedek. [Nelle altez]ze si esprimerà [a loro] favore, secondo le loro parti, poichè 9 questo è l'anno di grazia per Melchisedek, per esalta[re nel pro]cesso i santi di Dio per il dominio del giudizio, come è scritto 10 nei canti di Davide, che dice: “Dio si alza nell'assemblea [divina], in mezzo agli angeli emana la sentenza” E lui dice: “Sopra di essa 11 torna alle altezze, Dio giudicherà i popoli” E poiché ha [etto: “Fino a quando giu]dicherete ingiustamente e onorerete il volto degli empi? Selah” 12 l'interpretazione del passo si riferisce a Belial e agli spiriti della sua parte, che si ribellarono deviando dai comandamenti di Dio [per fare il male]. 13 E Melchizedek eseguirà la vendetta dei giudizi di Dio [in quel giorno ed essi saranno salvati dal potere di] Belial e dal potere di tutti gli spi[riti della] sua [parte]. 14 In suo aiuto ci saranno tutti gli angeli di [giustizia]; è lui che [in questo giorno starà al di sopra di ] tutti i figli di Dio e pre[siederà] questa 15 [assemblea]. Questo è il giorno della pa[ce, di cui] parlò [Dio con le parole di Isai]a il profeta, che disse:  [“Come] sono belli 16 sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messag[gero di bene che annuncia la salvez]za, dicendo a Sion: [Regna] il tuo Dio” 17 L'interpretazione del passo: i monti sono i profe[ti ...] 18 il messaggero è l'unto dello spirito di cui parlò Danie[le: “fino a un Unto, a un Principe, sette settimane” Il messaggero del] 19 bene che annuncia [la salvezza] è colui di cui è scritto [che lo invierà “per consolare tutti gli afflitti, per vigilare sugli afflitti di Sion”]. 20 “Per consolare [gli afflitti”: l'interpretazione del passo]: per istruirli per tutti i tempi dell'etern[nità ...] 21 in verità ... [...] 22 [...] si è separata da Belial e tor[nerà (?) ...] 23 [...] nei giudizi di Dio, come è scritto di lui: [“Che dice a Si]on: il tuo Dio regna”: Sion è 24 [la congregazione dei figli della giustizia] che stabilisce il patto e che evita di procedere sulla via del popolo e il tuo Dio è 25 [Melchisedek (9) che] li ha salvati da Belial. E quando dice: “Farete suonare il corno nel [settimo] me[se in] tutta [la ter]ra”, 
Col. III 
1 [L'interpretazione del passo ...] 2 e sapete ... [...] 3 Dio ... [...] 4 e molti [...] 5 [...] ... [...] Melchi[sedek ...] 6 distruggeranno Belial col fuoco [...] ... [...] Belial e si ribelleranno [...] 8 i desideri dei loro cuori [...] ... [...] 9 le mura di Giuda ... [...] e le mura di Ge[rusalemme ...] 10-20 (Resti minimi)

Perchè è fondamentale questa testimonianza? Perchè ci dice quando precisamente Melchizedek avrebbe dovuto operare come Sommo Sacerdote: al Giorno dell'Espiazione. 

Il giorno dell'espiazione è la fine del giubileo decimo, quando si dovrà espiare per tutti i figli di Dio e gli uomini della parte di Melchisedek.

Il Giorno dell'Espiazione, o Yom Kippur, non era sicuramente una festa come un'altra per un sommo sacerdote ebreo, dal momento che rientrava a tutti gli effetti tra le particolari eccezioni nelle quali lui, e solo lui, avrebbe potuto officiare ad un atto rituale particolare: lo sgozzamento dell'animale da offrire a YHWH. In qualsiasi altro giorno ogni ebreo poteva offrire e sgozzare l'animale, ma in quel particolare giorno solo il sommo sacerdote affondava il pugnale nelle viscere dell'animale sacrificale. Perchè non si trattava dell'offerta fatta a beneficio di qualche singolo ebreo, ma piuttosto a beneficio dell'intera nazione. 

Era il sacerdote levita,  Aronne e solo lui (e solo la sua discendenza), a sgozzare gli animali durante lo Yom Kippur:
Aronne offrirà dunque il proprio giovenco in sacrificio espiatorio per sé e, fatta l'espiazione per sé e per la sua casa, immolerà il giovenco del sacrificio espiatorio per sé....Poi immolerà il capro del sacrificio espiatorio, quello per il popolo, e ne porterà il sangue oltre il velo; farà con questo sangue quello che ha fatto con il sangue del giovenco: lo aspergerà sul coperchio e davanti al coperchio.(Levitico 16:11, 15)
Sembra una pratica talmente consolidata da rimanere immutata perfino nell'ebraismo talmudico post-70 EC, visto che il Mishnah riconosce l'azione al sommo sacerdote in persona in Yoma 4.3, proprio come in Levitico: 
Lo sgozzò e catturò il suo sangue in una ciotola, e la diede a lui che la versò sulla quarta piattaforma del Santuario, in modo che possa non congelarsi. Prese il turibolo, e salì in cima all'altare, e rastrellò i carboni ardenti qua e là, e li raccolse fuori dalle braci interne. E scese giù e lo mise sulla quarta piattaforma nella corte.
E ancora Yoma 5.4 dello stesso testo:
Gli portarono il capro, egli lo sgozzò e catturò il suo sangue in una ciotola. Entrò nel luogo dove egli entrava, e rimase nel luogo dove rimaneva, e cosparse di esso una volta in alto e sette volte di seguito, e non agì con intenzione per cospargere né in alto né in basso, ma senza intenzione; e così contò, "uno, uno e uno, uno e due", ecc. Uscì fuori, e lo pose sul secondo piedistallo, che era nel Santuario. Rav Giuda disse che "non c'era che solo un piedistallo." Prese il sangue del giovenco e versò il sangue del capro, e cosparse di esso il velo opposto dell'arca, all'esterno, una volta in alto e sette volte di seguito, e non agì con intenzione, ecc, e così contò. Egli prese il sangue del capro e versò il sangue del giovenco, e  cosparse di esso il velo opposto dell'arca, all'esterno, una volta in alto e sette volte di seguito, e così via. Riversò il sangue del giovenco sul sangue del capro, e infuse il tutto nel vuoto.  
Così McKelvey descrive l'enorme importanza del Giorno dell'Espiazione:
Di tutti i privilegi e responsabilità del sommo sacerdote il più importante da lontano fu il suo diritto all'accesso nel santo dei santi al Giorno dell'Espiazione. La più grande di tutte le feste di Israele, acquistò così importanza che fu chiamata semplicemente “Il Giorno” oppure “La Festa” (Atti 27:9). Filone lo descrive come un digiuno che fu una festa, “la più grande delle feste” (Spec. 2:194; Mos. 2:23). Tenuta al decimo giorno del settimo mese, Tisri, richiedeva da entrambi i residenti israeiliti e non-israeiliti il digiuno e il divieto di ogni forma di lavoro. A tutti gli effetti e obiettivi fu un Sabato (Lev 16:31). Col tempo acquistò significato escatologico (11QMelch). Quest'ultimo è di particolare importanza per la comprensione di ciò che Ebrei dipinge come il Giorno dell'Espiazione di Cristo.
(ibid., pag. 190, mia libera traduzione)
In Appendice mi permetto di quotare alcune osservazioni del prof Andrei Orlov che vanno nella stessa direzione. 

L'evidenza testuale conferma le nostre attese. In Ebrei 5:9-10: 
ed essendo stato reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchìsedek.
...è piuttosto facile individuare la corretta sequenza degli eventi:

Ed essendo stato reso perfetto,
divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono,
essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchìsedek.

La tabella aiuta a comprendere il parallelismo tra la designazione di Gesù a sommo sacerdozio (a destra) e la sua perfezione (a sinistra): l'apice della sofferenza e obbedienza dell'angelo Gesù corrisponde al drammatico istante in cui la sua perfezione fu completata. Quando la sua sofferenza raggiunse il culmine, la sua perfezione fu completa e l'arcangelo fu quindi proclamato sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchizedek. Solamente a quel punto, come conseguenza, sopravviene la sua morte, ovvero l'atto salvifico per definizione (si veda Ebrei 2:14-16).  

Penso che l'evidenza trovata sia a questo punto sufficiente per fare il mio punto:
1) a sgozzare il capro espiatorio durante il Giorno dell'Espiazione era il sommo sacerdote in persona.
2) Melchisedek era adorato a Qumran come un arcangelo sacerdote escatologico, che espiava i peccati di tutti i “Figli di Dio” al Giorno dell'Espiazione.
3) Ebrei dice che Dio, “parlando” nelle scritture, ha proclamato Gesù “sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedek”.
4) Perciò: durante la sua morte, che coincide col sacrificio stesso, Gesù è il Sommo Sacerdote.
Dunque come a Qumran, la comunità di Ebrei vede nelle afflizioni del proprio tempo un periodo di prova e di espiazione, cominciata con la morte dell'arcangelo Gesù e prossima a culminare nella imminente Parousia

McKelvey continuava ad investigare se secondo l'epistola Gesù è o no sacerdote quando morì inchiodato alla croce:
La soluzione al dilemma che in molti vedono qui è da trovarsi nell'uso tipologico dell'autore dell'immaginario collegato al Giorno dell'Espiazione in quel che abbiamo visto è il contesto cosmologico dell'universo come un santuario. Proprio come il sommo sacerdote durante lo Yom Kippur sacrificava la sua offerta al di fuori del santo dei santi per completare la sua opera sacerdotale, così per analogia, quel che Gesù fece sulla terra e quel che fece all'ingresso del santuario celeste sono, in modo simile, una singola indivisibile azione sacerdotale. La sua offerta nel cielo non è pensata come una offerta separata da o successiva alla sua offerta sulla croce. Quel che abbiamo qui sono due modi di riferirsi ad un solo e lo stesso atto. Il complesso immaginario che utilizza Ebrei per il santuario celeste ancora deve essere considerato ma, senza anticipare il risultato, io credo che abbiamo nell'immaginario del Giorno dell'Espiazione la soluzione al dilemma sulla questione di quando Cristo diventò sommo sacerdote. Quel che Cristo fece sulla croce e quel che egli fa ora in cielo sono il suo Giorno dell'Espiazione, che il nostro autore rende nel definitivo Giorno dell'Espiazione in virtù della sua unica offerta.
Cristo nella sua morte è sacrificio e sacerdote—un evidente paradosso che è fondamentale a tutto quello che dice l'autore circa Cristo che diventa sommo sacerdote. L'offerta che fa è il mezzo mediante cui il sacerdote pionere è in grado di procedere sulla sua via verso il santuario celeste.
... Coerentemente, Ebrei, con  in mente davvero definitivamente l'azione del sommo sacerdote al Giorno dell'Espiazione, dipinge Cristo mentre presenta il suo sangue nel celeste santo dei santi (9:12), che dichiara che “senza il versamento del sangue non c'è perdono dei peccati” (9:22). Ciò che fece Cristo sulla croce e ciò che fa in cielo sono un'unica continua azione. 
...
La parte esterna non è semplicemente un vestibolo o ingresso al santo dei santi, ma come il luogo dove risiede l'altare è il luogo prescelto per il sacrificio da offrire. Si ricordi di come pensava il giudaismo ellenistico del cielo e della terra che formano un vasto tempio, con la terra come il cortile esterno e il cielo come il santuario interno (Flavio Giuseppe, Antichità 3:123, 181; Filone, Spec. 1:66; Mos. 2:88). Nei termini dell'analogia con lo Yom Kippur ciò che sta dicendo Ebrei è che proprio come il servizio del sommo sacerdote presso l'altare e nel santo deisanti è una singola azione, così l'azione di Cristo sulla croce (la parte esterna del santuario) e in cielo (il santo dei santi) è un'unica azione, che implica che dovremmo comprendere Ebrei 9:11-14 a significare che Cristo offre il suo sangue (metaforicamente) attraverso lo spirito eterno nel santuario celeste (9:14). C'è una simultaneità nell'offerta di Cristo sulla terra e in cielo. Questo è in marcato contrasto al pensiero apocalittico che fa prendere luogo la consacrazione al sacerdozio celeste soltanto in cielo (T Levi 4:2; 18:6-7). Come dice Himmelfarb, commentando l'ascesa di Levi in cielo, “Lo scopo dell'ascesa è la costituzione di Levi come sacerdote da parte di Dio, e la consacrazione è quindi il compimento dell'ascesa.” In altre parole, solo il cielo è qui pensato come uno spazio sacro.
Davvero importante, ci è detto cos'è precisamente che rende Cristo un sommo sacerdote. ...
L'importanza di Gesù che è diventato un essere umano per il suo sacerdozio è ulteriormente elaborata, con enfasi maggiore,, in 4:15-16 e 5:7-8. Ma Cristo ha un'altra qualifica davvero importante per essere sommo sacerdote. È la sua offerta. “Ogni sommo sacerdote infatti viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anch'egli abbia qualcosa da offrire.” (8:3). Quel che è questa offerta è stata dichiarato in 7:27 (“offrì sé stesso”) e sarà elaborato ancora in 9:12-14, 23-26 e 10:5-10, dove sono sottolineate la sua natura ed efficacia.   
...
Facendo la sua offerta sacerdotale sulla croce Cristo ha reso il Golgota un suolo consacrato. Esso è, per così dire, divenuto il cortile esterno del santuario cosmico.

 (ibid., pag. 36-39, mia libera traduzione)

Ovviamente McKelwey, da buon storicista, ha in mente il Golgota come luogo “scontato” della crocifissione del sommo sacerdote Gesù. Ma così facendo incorre suo malgrado nel divieto esplicito di un Gesù sacerdote sulla Terra rappresentato da Ebrei 8:4 : 
Se Gesù fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge.
Siamo arrivati ad una apparente nuova contraddizione:

1) da un lato McKelwey ha dimostrato oltre ogni dubbio che Gesù era sacerdote del definitivo Giorno dell'Espiazione quando morì sulla terra.

2) dall'altro Ebrei 8:4 nega esplicitamente che Gesù sulla terra è competente a fare il sacerdote.


Ebrei 8:4 dice che dove c'è già un sommo sacerdote, Gesù semplicemente non può situarsi là ed essere contemporaneamente a sua volta un sacerdote. 

Visto dalla prospettiva del luogo dove opera il sommo sacerdote, il Golgota non può divenire affatto, come dice Kelwey, “un suolo consacrato”, “il cortile esterno del santuario cosmico”, dal momento che il Golgota si trova sulla terra, e Gesù non può morirvi là, perchè farlo lo renderebbe ipso facto un sommo sacerdote sulla terra, proprio il luogo che Ebrei 8:4 ritiene esclusivo appannaggio dei sacerdoti leviti, non del sommo sacerdote Gesù. 

La soluzione dell'enigma è una sola: Gesù non può essere morto sulla terra, ma nella sfera della mortalità, ovvero la regione tra la terra e la Luna. In pieno territorio arcontico. 

Così Earl Doherty:
Se l'autore pensava che Cristo era stato sulla terra e crocifisso sul Calvario, anche lui, come gli studiosi moderni, avrebbe sicuramente trovato impossibile non considerare quella fase terrena come parte del sacrificio. In effetti, diversi studiosi hanno imposto quella comprensione su di lui. Ma se dovesse considerare il Calvario come parte del sacrificio, allora Cristo ha de facto eseguito — almeno parzialmente — il suo sacrificio sulla terra. Il suo sacerdozio sarebbe stato in parte condotto sulla terra, e quindi le dirette affermazioni che Cristo ha eseguito — e doveva eseguire — il suo sacrificio in un santuario non fatto da uomo (8:2),  non appartenente a questo mondo creato (9:11), sarebbero errate, o avrebbero bisogno di essere qualificate. Se il sacrificio di Cristo che prende luogo in Cielo è considerato come ciò che lo rende perfetto, spirituale ed eterno (9:11-14), se la purificazione delle cose celesti richiede un sacrificio celeste (9:23), allora tali affermazioni sono contraddette se parte del sacrificio non fu in realtà affatto celeste. E se fu eseguito nello stesso luogo come i sacrifici dei sacerdoti terreni, questo produrrebbe una incompatibilità assoluta con la dichiarazione di 8:4. Questo è davvero il nocciolo della questione.
(Jesus Neither Gor Nor Man — The Case for a Mythical Jesus, pag. 237-238, mia libera traduzione e mia enfasi)


L'ironia in tutto questo è come Kelwey, parlando del Golgota come di “un suolo consacrato”, “il cortile esterno del santuario cosmico”, non si accorge che ha creato un'enorme contraddizione in termini che smonta l'intera logica di Ebrei: se Gesù infatti è sommo sacerdote sia quando opera nel cortile esterno del santuario cosmico sia quando opera entro di esso, allora entrambe le strutture — cortile esterno e santuario — non possono trovarsi sulla terra, dal momento che sulla terra ci sono già sacerdoti leviti, “quelli che offrono i doni secondo la legge”. E Gesù non può essere un loro mero clone terreno, altrimenti distruggerebbe l'intera logica di Ebrei. 

Il vero “cortile esterno del santuario cosmico” dove il sacerdote Gesù muore crocifisso non può che essere allora una mera estensione a livello cosmico, quella sfera di mortalità, più precisamente, la parte bassa del Firmamento, per raggiungere la quale Gesù doveva oltrepassare la “porta” del cielo così da venire ucciso da Satana e dai suoi demoni nel loro stesso reame sublunare:
Infatti i corpi degli animali, il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario per il peccato, sono bruciati fuori del campo. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, ha sofferto fuori della porta(Ebrei 13:11-12)

Sappiamo già il resto della storia: l'intera geografia celeste, col luogo “fuori della porta” nei cieli inferiori sublunari mentre il “santuario” celeste nei cieli superiori incorruttibili, è stata calata sulla Terra, grazie all'autore del più antico vangelo, con tanto di vivida rappresentazione della città Gerusalemme, riflesso terreno della Gerusalemme celeste (ovvero dei cieli superiori incorruttibili), e del Golgota situato fuori Gerusalemme, riflesso terreno del cielo infestato dagli spirituali arconti di questo eone (ovvero i cieli inferiori corruttibili). Da questo punto di vista, è curioso che alcuni vedono nel nome “Golgota” o “luogo del cranio”  un riferimento al Colle Capitolino, a Roma: il nome “Capitolino” deriva dal latino CAPUT che significa il teschio di un cadavere, vale a dire il suo CRANIO. Apparentemente un guerriero etrusco di nome Olus fu ucciso e seppellito sul colle che prese il nome dal suo cranio: “il cranio di Olo”caput OliCapitolium…luogo del cranio. Di solito questa “coincidenza” non è ritenuta essere tale da chi interpreta il racconto della crocifissione di Gesù in Marco come un tentativo d'emulazione del trionfo del generale romano, culminante generalmente sul Colle Capitolino con tanto di ostentazione delle spoglie vinte (l'ironia essendo che Gesù aveva davvero vinto la morte, morendo sulla croce, rivelandosi perfino più potente del romano di turno). Io ritengo altrettanto probabile che l'allusione implicita al Colle Capitolino è parte del tentativo di allegorizzare sulla Terra ciò che il mito originario prevedeva svolgersi nei cieli inferiori sublunari: e così, se i romani sono i meri rappresentanti terreni dei malvagi “arconti di questo eone”i veri responsabili della morte dell'arcangelo Gesù—, il “luogo del cranio” o Colle Capitolino come sede della crocifissione dell'ebreo Gesù rimanda allegoricamente al vero luogo della morte del Gesù celeste, ovvero nella parte bassa del Firmamento, sotto la Luna.

Ma questo, naturalmente, solo gli insiders potevano saperlo, mica gli stupidi hoi polloi



APPENDICE : 

L'INFLUENZA DELLO YOM KIPPUR SULL'EPISTOLA AGLI EBREI

Lo studioso Andrei Orlov ha reso pubblico un estratto del suo libro, The Atoning Dyad: The Two Goats of Yom Kippur in the Apocalypse of Abraham, dove investiga l'influenza del rituale dello Yom Kippur in documenti del giudaismo ellenistico, tra cui proprio l'epistola agli Ebrei, offrendo ulteriore evidenza conclusiva che se lo Yom Kippur è inteso come il sacrificio definitivo espiato da Gesù che compendia tutti i sacrifici, allora Gesù non può che figurarvi in quel sacrificio come il sommo sacerdote nell'atto stesso in cui figura come vittima (sulla croce), e non solo come mera offerta (sull'altare celeste).  

Traduco le parti salienti che interessano l'argomento di questo post: 

Gesù come Capro Immolato nella Lettera agli Ebrei

Con riferimento alla Lettera agli Ebrei, è diventato comune in accademia evidenziare il ritratto di Gesù come il sommo sacerdote del rito dello Yom Kippur. Ciò che è sfuggito all'attenzione, tuttavia, è la possibile l'identificazione di Gesù con i capri del rito espiatorio.
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Uno dei loci cultuali intriganti a questo proposito sembra essere situato nel primo capitolo dell'epistlola. Ebrei 1:3-4 dice: "dopo aver compiuto la purificazione dei peccati (
καθαρισμὸν τῶν ἁμαρτιῶν) si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato". Diversi studiosi hanno notato che l'espressione καθαρισμὸν τῶν ἁμαρτιῶν (purificazione dei peccati) è simile alla formula presente nella versione septuaginta di Esodo 30:10, il passo che descrive alcune delle azioni del sommo sacerdote che si svolgono durante lo Yom Kippur: “E Aaronne farà una volta all'anno l'espiazione sui suoi corni; col sangue del sacrificio di espiazione per il peccato farà su di esso l'espiazione una volta l'anno, di generazione in generazione. Sarà cosa santissima, sacra all'Eterno».  A causa di questa importante connessione terminologica, gli studiosi tradizionalmente comprendono Ebrei 1:3-4 come uno dei "passi dello Yom Kippur" trovati nell'epistola.
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L'espressione καθαρισμὸν τῶν ἁμαρτιῶν trovata in Ebrei 1:3 combina la formula di purificazione col concetto di peccato. A questo riguardo, è da notare che la rimozione dei peccati rappresenta una funzione cruciale del capro immolato, che è chiamato “sacrificio per il peccato” in Levitico 16:5 ed in altri passi.
C'è un'altra possibile connessione cultuale in Ebrei 1:3 poichè assegna una funzione espiatoria all'agente del culto situato sul lato destro. Gesù, che realizzò la purificazione dei peccati, è posizionato alla destra della deità. Anche se i lati destro e sinistro non sono menzionati alla selezione dei capri in Levitico 16:7-10, il simbolismo dei due lati diventa altamente significativo nelle successive rappresentazioni mishnaiche e talmudiche del rituale. Lì, il capro immolato è ripetutamente associato al lato destro, mentre Azazel è costantemente associato col sinistro.
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In considerazione di queste tradizioni, è probabile che il posizionamento di Gesù alla destra della deità assume un significato sacerdotale.
Il fatto che a Gesù viene assegnato un nome superiore agli angeli in Ebrei 1, è anche un importante dettaglio che allude al capro per YHWH nella tradizione dello Yom Kippur. Interpreti di questo passo spesso sostengono che l'epistola sta tentando di fare un riferimento al Nome divino. Se il protagonista è infatti dotato del nome divino, potremmo presumere che tale denominazione prende un significato sacerdotale. Si pone la domanda: in quale altro posto nelle tradizioni cultuali ebraiche si può trovare questo peculiare attributo ad un agente espiatorio? L'elenco di tali personaggi rimane piuttosto limitato. Tuttavia, viene subito in mente la festa delloYom Kippur, dove il capro immolato responsabile della purificazione dei peccati è a sua volta dotato del Nome divino, ed è chiamato precisamente il capro per YHWH.

Vi è un altro aspetto importante che rende gli elementi sacerdotali di Ebrei 1:3-4 persino più complessi; vale a dire, la tendenza dell'autore ad assegnare contemporaneamente diversi ruoli rituali a Gesù. Gesù assume non solo le funzioni dei capri del rito espiatorio, ma anche quella del Sommo Sacerdote. Questo è chiaramente dimostrato dalla sua capacità di eseguire la purificazione dei peccati attraverso l'uso del Nome divino e il suo ingresso nel celeste Santo dei Santi, poichè ciò ricorda le azioni del Sommo Sacerdote, a cui capita di essere decorato con il Tetragramma.
Quindi sembra probabile che Ebrei 1:3-4 dota Gesù di molteplici funzioni sacerdotali. Queste includono sia i compiti del Sommo Sacerdote sia del capro immolato.  Questa strategia è molto simile ad un amalgama concettuale utilizzato poi in Ebrei 9:11-12.
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Gli studiosi hanno già notato che i principali attori del dramma sacerdotale che prende luogo durante lo Yom Kippur stanno misteriosamente specchiandosi a vicenda. Nei miei precedenti studi, ho esplorato un paradossale riflesso degli attributi del sommo sacerdote e del capro espiatorio. Ho sostenuto che nella cornice cultuale del rito espiatorio il Sommo Sacerdote e il capro da mandar via si ergono in inversa opposizione. La simmetria degli attributi cultuali sembra essere presente anche in un'altra coppia sacerdotale dello Yom Kippur 
 il sommo sacerdote e il capro immolato, in quanto entrambi entrano nell'adytum del santuario  l'uno come il servo e l'altro come l'offerta di purificazione. A differenza del capro espiatorio, le corrispondenze simmetriche tra il Sommo Sacerdote e il capro immolato non sono inverse, il che rende il loro discernimento ancora più difficile. In effetti, alcune caratteristiche di entrambi gli agenti sacerdotali sono molto simili, se non identiche. A differenza del capro espiatorio, che si muove dal centro sacro alla periferia (rappresentato dal deserto) sia il sommo sacerdote che il capro immolato condividono la stessa direzione del sacro ingresso. Entrambi sono predestinati ad entrare alla presenza divina rappresentata dal Santo dei Santi. Entrambi gli agenti cultuali condividono anche un importante attributo comune: entrambi sono dotati del nome divino. È già stato detto che il capro immolato porta il nome di Dio essendo stato chiamato il capro per YHWH. Anche il sommo sacerdote è dotato del nome divino, poichè le lettere dell'Tetragramma brillano sulla targa d'oro del suo copricapo. Questo rispecchio di attributi, ingressi, e destinazioni, che sono condivisi da entrambi gli agenti di culto, sembra fornire un importante quadro interpretativo della rappresentazione delle funzioni di culto di Gesù nella Lettera agli Ebrei, dove egli è visto come sia il servo sacerdotale, che sta portando il sacrificio espiatorio, e sia l'offerta stessa.

(mia libera traduzione da qui)

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