sabato 7 novembre 2015

Se sia lecito paragonare l'imbarazzo per AUSCHWITZ con il “reale” imbarazzo per la morte di Gesù

Ingresso ad Auschwitz oggi.



Mauro Pesce parla di umiliazione, di “annientamento reale” e ci tiene a rimarcare l'aggettivo “reale”. Addirittura va a scomodare perfino la più dura e tragica realtà del secolo scorso: Auschwitz. Dimentico del fatto che i testimoni storici dell'Olocausto - gli stessi sopravvissuti - sono così tanti che tra loro si sono aggiunti di recente perfino falsi sopravvissuti, il che deve quantomeno indurre a chiedersi se sia lecito paragonare la storicità dell'Olocausto alla storicità della morte di Gesù. [1] Ma nel caso dell'“annientamento reale” di tale Gesù di Nazaret, i falsi testimoni sono in primis gli stessi evangelisti, e allora soprattutto urge la domanda: chi testimonia davvero la sua morte?

Flavio Giuseppe ?
Ma il Testimonium Flavianum è una goffa interpolazione cristiana. Idem l'ovvia glossa marginale “detto Cristo” finita accidentalmente nel testo di Antichità Giudaiche 20:200.

Tacito?
Ma Tacito si riferiva ai riottosi seguaci dell'“impulsore Chresto” svetoniano, non ai seguaci di Gesù di Nazaret, che peraltro non menzionò mai.

Paolo? Ma Paolo vide la sua morte solo in una visione. Anzi, non vide neppure la sua morte. Paolo vide l'eterno arcangelo celeste Cristo Gesù in una grandiosa visione, che gli rivelò di essere morto per mano degli arconti di questo eone e di essere ora riasceso al Terzo Cielo.  Se dobbiamo assumere autentica la lettera di Galati, Paolo gli credette sulla parola e diventò in quel preciso istante un apostolo, facendosi riconoscere come tale a Gerusalemme da chi era apostolo prima di lui, ossia da Pietro, con la presenza del solo “fratello del Signore” (perchè non apostolo) Giacomo a garantire agli altri “fratelli del Signore” che Paolo non mentiva in quello che diceva.
Paolo MAI vide o incontrò un qualche Gesù terreno. Le lettere di Paolo sono più che altro discussioni teologiche. Se Paolo avesse avuto in mano i vangeli o anche solo udito il loro primo embrione in forma orale, perchè sapeva così poco circa Gesù? A lungo è stato riconosciuto tra gli studiosi che il racconto della vita di Paolo nella propaganda di Atti non può essere riconciliato con quello delle sue epistole. Nessuno degli apostoli originari (siano essi 12 (Marco 6:7) o 72 (Luca 10:1) o 120 (Atti 1:15) ci ha lasciato qualcosa. 1 e 2 Pietro sa poco di un Gesù Storico, ma è altamente teologico.
Il cosiddetto Gesù Storico è niente più che un argomento fantoccio. Ricostruire un cosiddetto "Gesù Storico" a partire dal mito e teologia dei vangeli è pura congettura basata su idee soggettive che utilizza per giunta racconti evangelici in conflitto e in contraddizione. Ci sono state parecchie dozzine di figure di Gesù Storici fabbricati per rivendicare qualcosa che possa avvicinarsi alla realtà. Quando tagliati fuori dall'ambiente mitico dei vangeli, noi non abbiamo nient'altro che uno argomento fantoccio creato ad arte ad immagine stessa degli studiosi. Il Gesù Storico creato da Bart Errorman non ha maggior valore rispetto al Gesù Storico creato da Thomas Jefferson dopo che lui mutilò le storie evangeliche nella sua Bibbia.

L'utilizzo ideologico di “Gesù” da parte dei Primi Padri della Chiesa è puramente teologico e usato per scopi retorici e propagandistici. La confessione in ''Gesù Cristo'' è una dichiarazione di fede e non di Storia.

Gesù non è menzionato nei Rotoli del Mar Morto.  Sebbene disponiamo di circa 930 testi e frammenti di rotoli preservati dal clima secco di Israele, non troviamo nessun materiale testuale cristiano dai primi due secoli dell'Era Comune in Israele.

L'idea che Gesù fosse un profeta predicatore itinerante non-letterato è modellato secondo la stessa teoria che Elia ed Eliseo fossero anch'essi predicatori/profeti itineranti non-letterati, ma le cui esistenze ora sappiamo essere interamente di pura fantasia.

Flavio Giuseppe, come governatore di Galilea, vantava conoscenza di prima mano dell'area e ci comunica che la Galilea aveva “duecento e quaranta città e villaggi” [2], tuttavia non sa nulla circa una città o villaggio nella Galilea meridionale chiamata Nazaret ... un luogo così importante per Gesù nei vangeli. E nè è menzionata Nazaret nell'Antico Testamento, e neppure nel Talmud. 

Mauro Pesce allora ricorre al Criterio di Imbarazzo, l'unica cosa apparentemente di sostanza che raffiora nel suo tono fin troppo affettatamente melodrammatico (un difetto aihmè riscontrabile nel suo libro).
Pesce ripete per ben quattro volte la parola “realtà” e per ben due volte l'aggettivo “reale” a proposito della crocifissione di Gesù.

Se non fosse per ribadire la presunta “realtà” della morte di Gesù, Pesce neppure si scomoderebbe a parlare per contrasto della “fantasia del credente”, del “sogno di quello che avrebbe dovuto succedere”, ecc.

Per Pesce, quella presunta morte “reale” di Gesù sarebbe all'origine del cristianesimo. Ma pure una morte di Gesù tanto “reale” quanto quella esperita in una visione, ancor più se neppure vista ma solo sussurrata da un possente celeste arcangelo immagine di Dio, poteva altresì scatenare quell'effetto. Paolo non abbisognò di essere presente sul Golgota per divenire l'apostolo delle genti. Tutto ciò che dovette muovere Paolo all'azione fu solo una visione, un sogno o una rivelazione divina. In altre parole: una meravigliosa allucinazione. Avente per oggetto esclusivamente un mistico avatar celeste, non un mondano maestro itinerante galileo con tanto di discepoli e dottrine al seguito.

Ma Mauro Pesce insiste: la morte di Gesù fu “reale” perchè costituì un'umiliazione troppo grande da sopportare, come troppo grande era il potere di Roma, il temporaneo rappresentante terrestre dei demoniaci sublunari “arconti di questo eone”, la cui malefica influenza sulla Terra neppure la morte di Gesù sembrava aver messo in discussione.

 

Il dio che muore e risorge Attis morì, pure. E morì giovane. Dissanguato dal troppo sangue fuoriuscitogli a seguito di una violenta castrazione (per giunta, da parte di una ninfa o di una dèa). L'umiliazione della morte per lui non è garanzia di storicità. Ma perchè dovrebbe esserla per Gesù?

Non abbiamo una testimonianza di prima mano da qualcuno che conosceva Gesù oppure che scrisse qualcosa su di lui durante il tempo della sua esistenza. (Tutti i vangeli sono tardi e anonimi). Nessuna persona vissuta nella Palestina romana vide, conobbe ed udì Gesù o i suoi seguaci.

Non abbiamo niente di scritto dallo stesso Gesù. Ironicamente, Gesù viene raffigurato come un ebreo altamente istruito parlante ebraico (Luca 4:16-20), aramaico (Matteo 27:46), greco (Matteo 16:6) e latino (Matteo 8:5-13), tuttavia rimase incapace di scrivere qualunque cosa. (La storiella di Gesù che scrive nella sabbia in Giovanni 8:2-11 è una tarda interpolazione e ridicolizza la questione sul perchè Gesù non scrisse nulla. Ciò poteva essere perchè l'autore (o gli autori) di quei racconti inventati non conoscevano nè l'ebraico nè l'aramaico.)  Perfino un contemporaneo di Gesù, il taumaturgo itinerante Apollonio di Tiana vantava opere a lui attribuite. In breve, l'assenza di ogni scritto lasciato da Gesù poteva essere dovuta al fatto che i fabbricatori delle tradizioni evangeliche videro totalmente insufficienti le loro creazioni dettate parola per parola.

Il Gesù dei vangeli non può essere separato dal contesto del mito. Gesù rimarrà (e deve) rimanere una parte integrante di mito e fede uniti per la testa proprio come sono uniti dei gemelli siamesi con degli organi vitali in comune.
Rimuovere un qualche tipo di ricostruito “Gesù Storico” dal suo mondo di fede e mito distruggerà solamente entrambi.


I vangeli non ci dicono dove erano composti. Comunque, il fatto che erano composti in greco e non in una lingua semitica che era nativa della Palestina romana (come l'aramaico o l'ebraico) punta alla loro composizione al di fuori di Israele. 

Mentre la Giudea è il teatro principale degli eventi evangelici, non è mai stato trovato alcun manoscritto antico di ogni vangelo o sezione di un vangelo o graffito murario che confermasse l'esistenza di Gesù nell'intera regione dalla Galilea fino a Gerusalemme. In breve, quando gli studiosi guardano alla Palestina romana del primo secolo in cerca di una qualche evidenza del Gesù evangelico, non trovano niente di nulla!

Le antiche date tradizionali per i vangeli (65 -90 EC) sono basate puramente su congettura e fede.

Filone (la sola fonte contemporanea durante il tempo della vita di Gesù) non menziona Gesù di Nazaret sebbene Filone fosse acutamente interessato al Tempio di Gerusalemme e ad ogni cosa che vi ruotava attorno. E nonostante Filone avesse fatto di un altro Gesù l'allegoria del suo eterno Logos. Un Gesù in conflitto con i leaders e i sacerdoti ebrei del Tempio di Gerusalemme avrebbe molto probabilmente catturato l'attenzione di Filone, dal momento che per lui un Gesù Sommo Sacerdote del Tempio citato in Zaccaria era allegoria del celeste Logos. 

Il punto è che Mauro Pesce ha introdotto un elemento rivoluzionario nella sua lettura della passione che in realtà non è affatto presente nei vangeli. Non esiste nei vangeli il minimo cenno di critica al potere romano. L'elemento rivoluzionario, sovversivo, è semmai introdotto contro i discepoli di Gesù, contro i rappresentanti della tradizionale, ufficiale, religione ebraica (considerata già come una religione altra da quella cristiana). Ma nessun cenno di critica contro Pilato. Neppure la necessità di doverne rimuovere una, da parte di Gesù. Ponzio Pilato entra ed esce nella scena totalmente immacolato, neutrale, imparziale, per nulla infetto dall'odio cieco e inspiegabile che suscita intorno a sé la sola presenza di Gesù a Gerusalemme.
La sola critica al potere politico romano nei vangeli, o latente oppure esplicita, sembra essere evidente in una tacita mancanza di impegno alla giustizia pacificando l'agitazione e le accuse levate contro Gesù al suo processo. (Richard C. Miller, Resurrection And Reception In Early Christianity, pag. 136, mia libera traduzione)
 
Ponzio Pilato è criticato solo da questo punto di vista: nel suo essere fin troppo giusto e neutrale, quasi assente di fronte all'ineluttabile e fatale piega degli eventi. Tutto il contrario di quanto ci si aspetterebbe invece se il suo originario “peccato mortale” agli occhi di un testimone dei presunti eventi fosse stato quello semmai di essere intervenuto fin troppo crudelmente ad intralciare i piani del Messia galileo Gesù di Nazaret, crocifiggendolo ad una morte senza scampo sulla croce senza neppure potergli concedere il lusso di un ordinario processo.

Eppure Mauro Pesce insiste col dire che fu Pilato e solo Pilato il responsabile della morte “reale” di Gesù. Non che lui possa migliorare in credibilità la sua esegesi semplicemente spostando la colpa da Pilato a Caifa. Giacchè il vizio d'origine nella sua interpretazione consiste nel credere che l'imbarazzo di una crocifissione romana non fosse voluta nell'intimo dell'autore del primo vangelo. E, come tale, non ricercata al contrario fin dal principio.

 Esiste una scena, in Flavio Giuseppe, che potrebbe aiutare a gettare maggiore luce sull'interpretazione del mistero Pilato.

E che guardacaso riguarda proprio lui, Pilato, e proprio la stessa folla. 

Quella di Gerusalemme.
Pilato, governatore della Giudea, quando trasse l'esercito da Cesarea [3] e lo mandò ai quartieri d'inverno di Gerusalemme, compì un passo audace in sovversione delle pratiche giudaiche, introducendo in città i busti degli imperatori che erano attaccati agli stendardi militari, poiché la nostra legge vieta di fare immagini.
È per questa ragione che i precedenti procuratori, quando entravano in città, usavano stendardi che non avevano ornamenti. Pilato fu il primo a introdurre immagini in Gerusalemme e le pose in alto, facendo ciò senza che il popolo ne avesse conoscenza, avendo compiuto l'ingresso di notte. Quando il popolo ne venne a conoscenza una moltitudine si recò a Cesarea e per molti giorni lo supplicò di trasferire le immagini altrove. Ma egli rifiutò, in quanto, così facendo, avrebbe compiuto un oltraggio contro l'imperatore; e seguitando a supplicarlo, nel sesto giorno armò e dispose le truppe in posizione, ed egli stesso andò sulla tribuna. Questa era stata costruita nello stadio per dissimulare la presenza dell'esercito che era in attesa.
Quando i Giudei incominciarono a rinnovare la supplica, a un segnale convenuto, li fece accerchiare dai soldati minacciando di punirli subito di morte qualora non ponessero fine al tumulto e ritornassero ai loro posti.
Quelli allora si gettarono a terra, si denudarono il collo e protestarono che avrebbero di buon grado salutato la morte piuttosto che trascurare le ordinanze delle loro leggi. Pilato, stupito dalla forza della loro devozione alle leggi, senza indugio trasferì le immagini da Gerusalemme e le fece riportare a Cesarea.

(Antichità Giudaiche 18:55-59)
Gesù è fondamentalmente alieno alla popolazione di Gerusalemme, soprattutto agli scribi, ai farisei e ai sadducei.
Talmente alieno da suonare blasfemo ai loro occhi, nella sua apparente pretesa messianica (nonostante il proclamarsi messia non costituisse affatto peccato di blasfemia per l'ebraismo di ieri come di oggi).
Pilato è introdotto nel vangelo perchè Pilato fu il primo a sperimentare con mano cosa significò per un romano, e per un pagano, assistere all'opposizione di un intero popolo scatenata da ragioni essenzialmente religiose (qualcosa di sconosciuto, fino ad allora, al mondo antico): il rifiuto di introdurre idoli pagani, idoli e simboli da ultimo ALIENI, nel Tempio di YHWH l'Altissimo.

 Ma nel vangelo ora è lo stesso Gesù, lo stesso apparente Messia, l'ALIENO da espellere e rigettare a tutti i costi. Pena altrimenti “la sovversione” delle medesime “pratiche giudaiche”. Pilato potrà solo soccombere, nonostante la sua incredulità e sincera riluttanza, alle soverchianti pressioni della folla di Gerusalemme. Incedibilmente coesa ed unita nell'identificazione dell'alieno da uccidere. Poichè la loro legge “vieta di fare immagini”.  E Gesù ha il solo torto di essere l'immagine dell'eterno Dio.


[1] Pesce non è il solo ad aver scomodato addirittura l'Olocausto. Prima di lui ci ha pensato il folle apologeta cristiano Richard Bauckham. Si legga la critica che gli muove il prof Kurt L. Noll:
Bauckham ha passato in rassegna ogni dato che suggerisce una diretta continuità tra i testimoni oculari di uno storico Gesù e i vangeli del Nuovo Testamento, dimostrando che un numero significativo dei cristiani proto-ortodossi a noi noti (ad esempio Papia, Policarpo, gli autori [finali] del vangelo di Giovanni e il vangelo di Luca) tentarono di inculcare tra i loro seguaci una forte fede nell'esistenza di tale continuità. Lui conclude che le narrazioni evangeliche si possono identificare con un genere da lui chiamato “testimonianza”, e suggerisce che gli storici che richiedono una triangolazione di flussi di dati indipendenti sono eccessivamente scettici. Se i dati comprendono una “partecipante testimonianza oculare” lo storico dovrebbe sospendere lo scetticismo e credere alla testimonianza. Bauckham introduce testimonianze dei sopravvissuti dell'Olocausto per illustrare il suo punto, il che è una scelta sfortunata, dal momento che l'esempio chiarisce la fallacia da lui commessa. Noi crediamo alla testimonianza di un sopravvissuto ad Auschwitz perchè simili atrocità sono documentate mediante altri mezzi (ad esempio, gli impianti ad Auschwitz, record nazisti) e perchè la testimonianza oculare non invoca mai elementi del soprannaturale. Il solito metodo di ricercare una triangolazione da flussi indipendenti di dati è accolto, non compromesso, nell'esempio di Bauckham. Per contrasto, le narrazioni del Nuovo Testamento, se viste come testimonianza, ci chiedono di credere in una narrazione per la quale non esiste alcuna evidenza esterna e che si aspetta da noi che crediamo nel concepimento di un uomo mediante partenogenesi, che camminò sulle acque, che risorse dai morti e che ascese al cielo su una nuvola.
Sebbene l'obiettivo apologetico di Bauckham sia un fallimento, la sua ricerca è di grande interesse, per il modo in cui Bauckham ha mancato di esporre e chiarire prove significative che non dovrebbero essere trascurate.

(Investigating Earliest Christianity without Jesus, in “Is This Not the Carpenter?”, edito da Thompson & Verenna, Copenhagen International Seminar: Equinox 2012, pag. 239-240, mia libera traduzione e mia enfasi)  
[2]
«Se volete assolutamente che io venga da voi, in Galilea vi sono duecentoquattro tra città e villaggi. Mi presenterò in quello che tra questi scegliere­te, fuorché a Gabara e a Giscala: l’una infatti è la patria di Giovanni, l’altra è in rapporti d’alleanza e d’amicizia con lui» (Flavio Giuseppe, Vita 235)
[3] È curioso che anche il viaggio di Gesù alla volta di Gerusalemme ebbe come sede di partenza la stessa Cesarea di Filippi (Marco 8:27, Matteo 16:13). Che sia una coincidenza? Sono troppo cauto per rispondere con un sonoro “sì” ad una tale domanda, però aspetto di vedere da parte di un accademico un commentario al vangelo usato da Marcione e dai marcioniti per esaminare in che misura io potrei aver ragione di pensare che l'introduzione di Ponzio Pilato nella Non-Vita di Gesù sulla Terra risponde al disegno del primo evangelista di presentare Gesù come l'ALIENO per eccellenza rispetto al giudaismo e al dio degli ebrei.

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