martedì 30 settembre 2014

Non ci sono dubbi: “Marco” Conobbe E Usò Paolo Per Fabbricare Il Suo Gesù

Continua l'ottava e ultima parte della mia recensione di Mark, Canonizer of Paul, di Tom Dykstra. Per l'intera serie si veda qui
  
Tutti concordano che gli autori del Nuovo Testamento fecero parecchi riferimenti all'Antico Testamento, tra implicite allusioni e citazioni dirette. Un più piccolo ma crescente numero di studiosi ha identificato un più profondo e più vasto uso dell'Antico Testamento da parte del Nuovo Testamento, in particolare esempi dove gli evangelisti sembrano aver scelto certi testi dell'Antico Testamento e, senza nessuna base storica, li hanno riscritti come storie su Gesù. Quelli studiosi comprendono John Dominic Crossan (che parla di ''profezia storicizzata''), Randel Helms (che parla di ''Gospel fictions''), Thomas L. Brodie (che parla di ''riscrittura creativa''), ed Earl Doherty, che ha suggerito che, quando i primi cristiani dicevano che questo o quell'episodio evangelico accadde ''secondo le Scritture'', non stavano offrendo delle ''dimostrazioni'' post factum di noti eventi dell'esistenza di Gesù. Piuttosto, essi ''scoprivano'' per prima che Gesù aveva fatto così e così. E solo dopo, setacciando a dovere le Scritture alla ricerca di parole chiave (''il figlio'', ''quel giorno'', ecc.), pensavano di alludere a certe storie passibili di essere interpretate quasi cabalisticamente così da derivare a partire da esse intere nuove storie: storie di quel che Gesù ''doveva aver'' fatto, o altrimenti ''Come dunque si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?'' (Matteo 26:54).

Il numero di questi studi è cresciuto a dismisura, fino ad offrire quel che considero fortissimi argomenti, per considerare automaticamente ogni storiella evangelica (e parecchie di Atti) nient'altro che una riscrittura di qualche storiella dell'Antico Testamento, con un sacco di detti che sono derivati a loro volta da letteratura sacra precedente.

Earl Doherty, Richard Carrier e altri miticisti hanno richiesto invano agli studiosi storicisti cristiani (i folli apologeti del nostro giorno) migliori spiegazioni del fatto impressionante e sorprendente (=inatteso,=improbabile) che le epistole del Nuovo Testamento mai una volta citano il presunto insegnamento autorevole di Gesù per definire questioni di interesse, perfino quando un sacco di detti del genere abbondano nei vangeli.

 

Come può accadere una situazione del genere?

 
 Doherty, seguito da Carrier e altri, puntano ad una semplice soluzione: quando le lettere furono scritte, non c'era questo corpus di detti attribuiti a Gesù perchè Gesù non era ancora per nulla considerato come una figura storica, bensì come un salvatore celeste la cui morte nel remoto passato (al pari del Puruṣa vedico) o in qualche celeste terra-che-non-c'è (al pari dello gnostico Uomo di Luce, o Uomo Primigenio) aveva recato salvezza agli iniziati.

Fu solo nel corso del processo di storicizzazione della figura di Gesù (talvolta ritenuta propizia per consolidare il potere del cattolicesimo nascente in via di progressiva istituzionalizzazione, consentendo ai suoi vescovi di rivendicare per sè un legame diretto ad un recente fondatore) che quei vari detti finirono per essere attribuiti ad un terrestre Gesù storico.

I folli apologeti hanno ritenuto 1 Corinzi 7:10
Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito


 come un esempio di una citazione delle parole ricordate di Gesù, ma si tratta di una mossa disperata: sicuramente alla luce di 1 Corinzi 14:37
Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto vi scrivo è comando del Signore.


si devono ritenere quelle parole dei decreti divini che lo stesso apostolo Paolo istituì essendo ispirato, per diretta rivelazione, dal Cristo celeste. 

  
Naturalmente l'epistola di Giacomo e il capitolo 12 della lettera ai Romani sono pieni zeppi di detti che suonano piuttosto simili ai detti evangelici, e i folli apologeti vogliono farci credere che quelli parimenti SONO citazioni di Gesù, sebbene le epistole stesse mancano clamorosamente di riconoscere tale paternità. I folli apologeti sono così fantasiosi da accampare come scusa, per spiegare queste mancate allusioni al Gesù storico malgrado se ne citavano a profusione i detti, l'idea davvero fantasiosa che gli autori di epistole in qualche modo pensarono apparentemente di dare maggiore gravità e autorevolezza a quelle asserzioni se lasciavano solamente trapelare sottobanco la loro paternità gesuana, lasciando che fossero i lettori a riconoscerla tra le righe. Ecco: quella è solo una scusa tra le tante piuttosto fantasiose che si inventano i folli apologeti cristiani quando ''vogliono'' affrontare la sfida miticista. Così funziona l'apologetica.

Sembra assai più probabile, invece, almeno a me che non mi ritengo un folle apologeta  - e dunque che non cerco furiosamente di trarmi d'impiccio da un evidente problema nella mia errata interpretazione - che quei saggi detti fossero nient'altro che ovvi truismi solo più tardi attribuiti a Gesù, come quando sentii una volta in TV il presentatore di turno chiedersi retoricamente ''Questo detto è una vera perla di saggezza: chi l'ha detto, Gesù o Buddha?''.
 

In realtà, parecchi studiosi hanno elencato numerosi paralleli tra l'Antico Testamento e passi del vangelo, suggerendo che i secondi derivano dai primi, Solo negli ultimi anni, numerosi studiosi stanno procedendo a identificare molte, troppe sezioni parallele tra le epistole paoline e i vangeli, suggerendo che decine e decine di detti isolati (che trovano paralleli nelle epistole e che dalle epistole sono derivate) finirono incorporati nei vangeli e ascritti a Gesù.
Ecco la verità, dunque: gli evangelisti stavano impiegando le lettere di Paolo per farne parte del materiale sorgente del loro vangelo, insieme all'Antico Testamento.

I folli apologeti si stracceranno le vesti e grideranno ''parallelomania!'' ma la verità è che si tratta di genuino parallelismo, e che quel genuino parallelismo richiede pura dipendenza letteraria dei vangeli dalle epistole.


Earl Doherty, nel suo libro Jesus: Neither God Nor Man, esprime nella seconda parte del libro l'opinione che Marco non conobbe le lettere di Paolo. Anche se credo che il libro di Doherty è un capolavoro di ricerca scientifica (nella prima parte), non sono d'accordo con Doherty su questo punto. Doherty crede all'esistenza della fonte Q. Nella mia opinione Doherty è stato il primo a dimostrare con successo, prima ancora di Richard Carrier (il quale ha rafforzato ulteriormente quella dimostrazione, portando addirittura maggiore evidenza), che è più probabile che Paolo considerò Cristo un essere spirituale celeste e non un uomo di carne e ossa che ha camminato di recente sulla Terra.
 

Tutta l'evidenza portata da Doherty sulla questione della storicità di Gesù, da Paolo ai vangeli fino agli apologeti cristiani del secondo secolo passando per le cosiddette ''testimonianze'' pagane, dimostra che un uomo terreno, Gesù di Nazaret, è l'invenzione di vescovi e padri della chiesa della seconda metà del secondo secolo e dei secoli successivi.

Dopo la lettura di Jesus: Neither God Nor Man di Earl Doherty e di On the Historicity of Jesus di Richard Carrier ho letto Mark, Canonizer of Paul di Tom Dykstra al fine di soddisfare la mia curiosità riguardo a chi dei due, Doherty o Dykstra, presenta il miglior argomento riguardo la relazione tra Marco e Paolo. Io concordo ora con Dykstra quando afferma, a chiare lettere:

“Mark deliberately created a literary Jesus whose words and actions parallel the words and actions of Paul”.
(Mark, Canonizer of Paul, pag. 149)

 
 Ciò significa che se Paolo non poteva aver preso i suoi insegnamenti dai vangeli e se non li attinse dalla tradizione orale, allora è improbabile che gli evangelisti presero gli insegnamenti di Gesù dalla tradizione orale, visto anche le reali proporzioni in cui si basavano, per quella materia, solo sul primo vangelo. Dunque non solo i vangeli furono scritti dopo le epistole, ma dove quei vangeli concordano, gli autori dei sinottici attinsero i loro insegnamenti ''di Gesù'' dalle epistole di Paolo.