martedì 30 settembre 2014

Del perchè l'Apocalisse non celebra la Resurrezione dell'Agnello Gesù, ma solo il Suo Sacrificio

AVVERTENZE PER L'USO: quanto dirò in questo post riflette solo la mia opinione personale, e dunque andrebbe considerato al livello del solo possibile e non del più probabile, qual è invece il modello delle origini cristiane proposto da Carrier/Doherty (per quanto riconosco di essere profondamente influenzato da quel modello).


Penso sia oramai maturo il momento di una rivalutazione del libro dell'Apocalisse. A quel libro bisogna guardare per comprendere cos'era il cristianesimo pre-paolino dei Pilastri.

Si tratta di un libro dalla visione esacerbata, certo, per quanto antica possa essere considerata, dallo strazio della disfatta del 70 e dal desiderio di vendetta verso Roma e i seguaci di Paolo. Il consensus pensa che a scrivere l'Apocalisse sia stata una sorta di ''cellula impazzita'' dell'antica comunità giudeocristiana dei Pilastri che avevano radicalizzato invano le loro posizioni a dispetto del fatto che i Pilastri avessero fatto ''pace'' (per modo di dire) con Paolo & co.

Ma non penso proprio che i Pilastri avessero risolto il caso Paolo, con tutte le mie migliori speranze che quello fosse stato il caso. Se non loro, sicuramente i loro successori (sia di Paolo sia dei Pilastri) avrebbero di certo radicalizzato il conflitto già vividamente descritto da Paolo in Galati.

Quindi non sono d'accordo con Richard Carrier quando costui, sull'onda del consensus, minimizza totalmente il libro dell'Apocalisse, relegandolo al 95 EC e dicendo che non riflette il vangelo degli originali Pilastri. Per quanto possa non farlo, date le mutate condizioni storiche, di certo però è più probabile che la rozza cristologia dell'Apocalisse sia molto più simile a quella dei Pilastri di quanto lo fosse quella di un Paolo sospetto di insubordinazione e d'eresia in tutte le lettere che ci ha lasciato. Almeno in questo, Bruno Bauer aveva ragione.

L'Apocalisse è l'unico libro cristiano che può perfino essere stato scritto alla fine del II secolo, e tuttavia meritare di diritto il riconoscimento della relativa ancestralità della sua rozza cristologia.

È l'unico libro del Nuovo Testamento, insieme alla lettera di Giacomo, che si può definire senza alcun timore di sorta GIUDEOCRISTIANO. Neppure il vangelo di Matteo, considerato tale dal consensus, potrebbe meritare quell'aggettivo con altrettanta fiducia da parte mia.

Le avversità del 70 e post-70 potrebbero aver avuto l'effetto di radicalizzare le posizioni dei Pilastri, ma non di tradirle nella loro essenza. Il Cristo che predica odio dalle pagine infuocate dell'Apocalisse potrebbe essere una reazione alle calamità della Guerra, ma non per questo potrà costituire un tradimento dell'originario Cristo dei Pilastri, ma al più solo una sua radicalizzazione

Il suo presunto autore è Giovanni. Chi altri se non Giovanni il Pilastro può essere inteso?

I suoi veri autori sono giudeocristiani oppositori di Paolo. Qual è la lettura più facile? Che quei giudeocristiani, traboccando di odio anti-paolino e anti-romano, fossero venuti meno ad un'ipotetica pace instaurata tra i Pilastri e Paolo pur richiamandosi all'autorità del Pilastro Giovanni? Oppure che stessero continuando, impugnando l'arma della profezia, la stessa guerra che i Pilastri loro precursori avevano intrapreso per spegnere l'insubordinazione paolina?


Fossero stati gnostici, allora avrei ritrattato queste parole. Ma sto parlando di giudeocristiani.
È sicuramente pura follia apologetica, perfino se proviene dalla penna di Richard Carrier, credere che gli autori dell'Apocalisse avessero tradito, mossi dal loro odio antiromano, un ipotetico vangelo dei Pilastri più vicino al pensiero di Paolo.

Se dal davanzale della finestra cade un petalo rosso, è più probabile che sia caduto dal vaso di soli fiori rossi oppure dal vaso di soli fiori gialli?

Allo stesso modo, se l'Apocalisse è un libro giudeocristiano, è più probabile che suoni più paolino oppure che rifletta meglio qualcosa di un ipotetico vangelo dei Pilastri?

Inoltre quali altri giudeocristiani potrebbero esservi (in Giudea o nella Diaspora) così diversi dai Pilastri, quando l'alterità teologica (rispetto al credo degli originari Pilastri) è direttamente proporzionale alla non-ebraicità dei cristiani in questione?

Il sereno autore della lettera di Giacomo potrebbe sembrare diverso dall'autore dell'Apocalisse perchè, pur insistendo sulle opere in funzione chiaramente anti-paolina, non si fa travolgere da un odio quasi schizofrenico e ossessivo - e quando dico ossessivo intendo davvero OSSESSIVO - contro i falsi profeti e i nemici degli Eletti. Ma tolti l'odio, la schizofrenia e l'ossessione - tutte comprensibili reazioni per chi stava scrivendo in quella sorta di ''Dopo Auschwitz'' del tempo (la Distruzione di Gerusalemme del 70 EC) -, quello che rimane al fondo è sicuramente quanto di più vicino, cristologicamente inteso, rimanda ad un ipotetico vangelo dei Pilastri, un vangelo che purtroppo non abbiamo (perchè altrimenti non starei a scrivere questo post).


Non voglio tentare un'analisi serrata del libro dell'Apocalisse. A quello ci ha già pensato di recente la seria studiosa Elaine Pagels.

Però alcuni punti precisi sono interessanti, se assumo come ipotesi-guida a priori la ragionevolissima pretesa di considerare la cristologia dell'Apocalisse quella più autenticamente cristiana. E cristiana delle origini.  (e si badi bene: perfino nell'improbabile ipotesi di un Gesù storico).


Quel che colpisce subito all'occhio è che il solo riferimento alla risurrezione in tutto il libro dell'Apocalisse è quel misero verso 1:18:
Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le mani della morte e dell'Ades.


A dire queste parole è uno ''simile a un figlio d'uomo''. E che viene poi identificato come l'Agnello.


Della risurrezione non si parla più. Si allude alla crocifissione di questo ''Signore'' in Apocalisse 11:8 ma l'esegesi di quel passo è già stato fatto da Richard Carrier nelle pagine di On the Historicity of Jesus, e ad ogni caso non parla di risurrezione.

Dunque solo Apocalisse 1:18 è l'unico cenno alla resurrezione in tutto il libro dell'Apocalisse. Nel resto del libro si parla delle mille cose che realizzerà questo Agnello alla sua venuta - la prima! - sulla Terra, ma mai si accennerà più alla risurrezione di Gesù.

Che Gesù è considerato risorto è implicito in come è chiamato: Agnello. Ma certamente il più esplicito, tra i più impliciti significati associati alla parola Agnello, è l'idea che Gesù è considerato una vittima sacrificale nel tempio celeste di Dio, sacrificato da Dio stesso per purificare col suo sangue - il Sangue dell'Agnello - i peccati degli Eletti sulla Terra, al fine di poterli riscattare come futuro veniente, e apocalittico, Figlio dell'Uomo.


Nell'Apocalisse il celeste sommo sacerdote che compie il sacrificio dell'Agnello non è Gesù (come è invece nella protocattolica Lettera agli Ebrei), ma Dio stesso.

È Dio stesso che sacrifica l'Agnello celeste sull'altare celeste.

È Dio il killer.

 



Il Drago, Satana, il Serpente Antico, è la controparte nell'Apocalisse degli ''arconti di questo eone'' in Paolo, i demoniaci esseri spirituali che crocifissero Gesù. Ma nell'Apocalisse Satana non riesce ad afferrare con i suoi artigli Gesù, neppure per un istante. Satana è espulso dal cielo e scaraventato sulla Terra. Non ha nessun potere su Gesù, bensì sugli altri figli della Donna, ovvero sui veri ''fratelli del Signore'' (i veri cristiani), come lo era il Pilastro Giacomo:
Scoppiò quindi una guerra nel cielo:
Michele e i suoi angeli
combattevano contro il drago.
Il drago combatteva
insieme ai suoi angeli,
ma non prevalse
e non vi fu più posto per loro in cielo.

E il grande drago,
il serpente antico,
colui che è chiamato diavolo e il Satana

e che seduce tutta la terra abitata,
fu precipitato sulla terra
e con lui anche i suoi angeli.

(Apocalisse 12:7-9)


Per un breve interregno Satana, cacciato dal cielo, devasterà la Terra. Ha il potere di vita e di morte su tutti i santi della Terra, gli Eletti. Sulla Terra ci saranno due potenze sataniche, controparti infernali di Gesù e della Donna sua madre, ovvero la Bestia e la Prostituta:
E vidi salire dal mare
una bestia che aveva dieci corna e sette teste,
 sulle corna dieci diademi
e su ciascuna testa un titolo blasfemo.

(Apocalisse 13:1)

Quei nomi, che solo a pronunciarli evocano terrore e blasfemia contro Dio, sono i nomi di falsi dèi. La Bestia è la sintesi di tutte le false divinità e veri demoni, e perciò pura blasfemia contro il solo, unico Dio. Uno di quei demoni attrae particolare attenzione, al punto da esser scambiato per la Bestia stessa:

Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita. Allora la terra intera, presa d’ammirazione, andò dietro alla bestia...
(Apocalisse 13:3)


Sembra in mostra quasi una sorta di crudele e blasfema parodia del sacrificio e della risurrezione di Gesù.

 Come tale, perfino nell'irriverente imitazione satanica del sacrificio di Gesù, è possibile rischiarare qualcosa dell'originale, divino sacrificio: quella ferita, che appariva parodisticamente mortale per la Bestia al punto da ritenerla magicamente ''risorta'', fu inferta dalla ''spada''.

 
Per mezzo di questi prodigi,
che le fu concesso di compiere in presenza della bestia,
seduce gli abitanti della terra,
dicendo loro di erigere una statua alla bestia,
che era stata ferita dalla spada
ma si era riavuta.

(Apocalisse 13:14)

Questo potrebbe essere un ulteriore indizio che nell'originale sacrificio dell'Agnello celeste, di cui la ferita della Bestia rappresenta una esecrabile parodia, la morte del Figlio fu provocata da un colpo di ''spada'' o ''coltello''.

L'Agnello fu ucciso dalla SPADA.

E fu ucciso da Dio. Non da demoni. Tantomeno da marionette umane dei demoni.

Dio, novello Abramo, sacrifica per davvero il suo Primogenito celeste, come puro Agnello sacrificale (a sostituzione di tutti gli inefficaci sacrifici animali compiuti nel Tempio fisico) e novello Isacco, sgozzandolo con la SPADA sulla croce e facendone fuoriuscire il Sangue purificatore, una volta per sempre, dei peccati del vero Israele.

Quasi a ribadire la totale identificazione della volontà di Gesù con la volontà del Dio che lo sacrifica sull'altare celeste, per cui Gesù diventa nel contempo sacrificio e sacrificatore, immolato e immolatore, l'autore dell'Apocalisse si spinge a fare dei Gesù un:


....un Agnello, in piedi, come immolato;
aveva sette corna e sette occhi,
i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra.

(Apocalisse 5:6)


Un tale Gesù è Agnello non solo perchè è la vittima scelta da Dio per il sacrificio. Ma anche perchè la sua risurrezione non muta la sua natura originaria. Agnello celeste era e Agnello celeste rimane dopo che viene immolato. Non diventa Agnello solo durante il sacrificio. Non è importante il suo ritorno alla vita dopo che viene immolato: quello che è importante è l'azione in sè, il fatto che si è offerto volontariamente e senza esitazione come Agnello. La sua opera, il suo gesto, non la sua fede o ubbidienza. Dell'animalità dell'Agnello ha non solo la sua impersonalità, ma anche la sua mancanza di libertà nella decisione. Se l'Agnello Gesù fosse stato libero di scegliere di essere sacrificato, e dunque se il sacrificio fosse stato visto almeno in apparenza come un'umiliazione o un abbassamento della propria divinità originaria, sarebbe in qualche modo inferiore rispetto all'Agnello Gesù che ciecamente e deterministicamente, al limite dell'inconsapevolezza tipica di un animale condotto al macello, si sottopone al sacrificio voluto da Dio dalla notte dei tempi.

L'Agnello Gesù non doveva morire per risorgere trionfalmente, quasi a rischiare di fare impropriamente della risurrezione una specie di rivincita rispetto alla stessa sacra volontà di immolarlo. L'Agnello Gesù doveva morire immolato per acquistare, con il suo ''sangue'':
..gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione . . . un regno e dei sacerdoti...
(Apocalisse 5:9)

i quali
regneranno sulla Terra
(Apocalisse 5:10)

A causa del suo sacrificio sull'altare di Dio, poichè è stato immolato da Dio sul suo altare celeste senza opporre la benchè minima resistenza e senza tradire nessun sconforto e sentimento di abbandono e di umiliazione (sentimenti che, se espressi, rischiavano di far sembrare il Dio immolatore un ingiusto tiranno, per contrasto alla pietà suscitata dal Figlio/Agnello), allora:

«L’Agnello,
che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza, onore,
gloria e benedizione».

(Apocalisse 5:12)

Ecco perchè solo fino ad un certo punto il Gesù Agnello dell'Apocalisse è un novello Isacco mentre il Dio che lo immolava era un novello Abramo.
Perchè l'episodio di Abramo e di Isacco fu inventato apposta per suscitare pietà rispetto ad un sacrificio apparentemente crudele e irrazionale ordinato da Dio ad Abramo: immolare il proprio primogenito. Tant'è vero che quel sacrificio di Isacco fu impedito da Dio stesso all'ultimo momento.

Il sacrificio dell'Agnello Gesù invece non deve suscitare nessuna pietà: perchè è Gesù stesso, l'Agnello Gesù, a non volerla ricevere.


L'immolatore, Dio, non deve minimamente apparire crudele e tirannico di contro alla bontà dell'Agnello immolato, Gesù. Insinuare solo il sospetto in tal senso sarebbe blasfemo, sarebbe eretico, sarebbe satanico.

Come dicevo all'inizio, non è importante la data precisa dell'Apocalisse, se prima o dopo il 70, o prima o dopo il 130 EC (seconda guerra giudaica). Quel che importa sapere è che l'Apocalisse riflette la grande guerra degli ebrei contro Roma, quel conflitto che apparentemente vide il Tetragramma arrendersi di fronte ai falsi dèi pagani, salvo in realtà presagirne la loro imminente fine (e dei popoli loro sottomessi) nei deliranti disegni dell'autore dell'Apocalisse

Come tale, porta il marchio di un tempo di orrore, di crudeltà e di terrore.

 L'Apocalisse del Pilastro Giovanni è contro Paolo. 

La comunità che scrisse l'Apocalisse era la stessa comunità dei Pilastri.


Sono loro i bersagli polemici di Paolo a Corinto. Nelle due lettere ai Corinzi Paolo ridicolizza il facile trionfalismo dei Pilastri e la loro pomposa Rivelazione apocalittica di un regno conquistatore voluto da Dio.
 “Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi.”
(1 Corinzi 4:8)

La predicazione di Paolo sembra folle agli occhi dei giudeocristiani ma il suo vangelo è pur tuttavia quello autentico. Perchè è basato su Cristo crocifisso, non su enigmi apocalittici circa futuri rivolgimenti terreni e sul giusto spirito profetico con cui interpretare quelli enigmi. Per Paolo il solo mistero, la sola sapienza, è quella ignota ai principi di questo mondo:

 “Parliamo invece della sapienza di Dio misteriosa e nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta. Perchè, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
(1 Corinzi 2:7-8)

Lo stesso Paolo si era lasciato incantare dalle assurde promesse millennaristiche della comunità che produrrà il testo dell'Apocalisse, ma successivamente realizzò per suo conto che le loro speranze intra-mondane di una vittoria militare su Roma grazie all'intervento celeste di Cristo e l'insediamento di una nuova Gerusalemme su questa Terra erano solo chimeriche speranze ''nella carne'' (κατα σαρκα):

“Cosicché non guardiamo più nessuno nella carne; se anche abbiamo conosciuto Cristo nella carne, ora non lo conosciamo più così. ”
(2 Corinzi 5:16)


Paolo definì ''falsi fratelli'' del Signore gli intrusi inviati dai Pilastri a spiarlo in Galazia.

L'autore dell'Apocalisse considerò ''falsi fratelli'' del Signore:
...quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana.
(Apocalisse 2:9)


È sempre schifoso guardare alle lotte settarie all'interno di una stessa religione. L'odio dei cristiani per gli ebrei o per i pagani non è mai stato così ossessivo e schizofrenico come l'odio dei cristiani per altri cristiani. E se quella lotta partorì come effetto il Dogma cristiano, allora quel Dogma è per definizione un mostruoso aborto apologetico grondante sangue.

  
Vinse Paolo.

Ma al tempo in cui fu scritto il libro dell'Apocalisse, Paolo era morto da un pezzo. E da nessuna parte nel I secolo - e nella prima parte del II secolo - riesco a trovare qualcuno che celebri la risurrezione di Cristo al modo in cui lo ha fatto Paolo nelle sue lettere autentiche.

Se Paolo stava perdendo inesorabilmente, col passare del tempo, una battaglia, è proprio nel tentativo di far passare la sua importanza della risurrezione di Cristo.

I suoi nemici potevano perdere.  I nuovi ''fratelli del Signore'' potevano diventare sempre più gentili, come voleva Paolo. La Torah era oramai abbandonata con tutte le sue ridicole prescrizioni, come voleva Paolo.

Ma quello che Paolo non riusciva (stranamente) a insediare e a stabilire sulla roccia era la preziosità che nella sua visione assumeva la risurrezione di Cristo.


In qualche modo, sembrava che Paolo fosse incapace di far accettare agli altri cristiani l'importanza che riservava alla risurrezione di Cristo. Come se avesse fondato il suo concetto di risurrezione sulla sabbia, e non sulla roccia. Permettendo al tempo inesorabile di far svanire del tutto quel concetto e di non porlo al centro della nascente fede cristiana.


Quanto all'Apocalisse, io faccio mie e condivido in pieno queste parole del grande miticista francese Paul-Luis Couchuod, tratte dal suo The Creation of Christ:

L'Apocalisse di Giovanni ci mostra il limitato, tuttavia fiammeggiante, mondo di pensiero e immaginazione che fu anche quello di Giacomo e di Pietro, dei Dodici e dei 500. È la vera linea, e nella sua sostanza, se non nella data, è il più antico documento documento; e dall'autentico profeta, il pilastro apostolo, il ''discepolo prediletto'', noi potremo aspettare il ritratto di Cristo che avrà subito l'ultimo rifinimento — la più fedele descrizione di Gesù.
(mia libera traduzione e mia enfasi)


Alcune correzioni sono però d'obbligo
(in fondo Couchoud scriveva all'inizio del secolo scorso): Giovanni il Pilastro potrebbe pure non essere stato l'autore dell'Apocalisse ma un suo seguace. Giovanni non può essere stato il ''discepolo prediletto'' del vangelo di Giovanni: Richard Carrier ha dimostrato che quello era Lazzaro nell'allegoria. E Giovanni era Pilastro ma non apostolo, perchè non sappiamo se ricevette il vangelo direttamente da Gesù, conformandosi così alla definizione di vero apostolo. Se però è Giovanni il Pilastro l'autore dell'Apocalisse, allora oltre ad essere un Pilastro è anche un vero apostolo.


Il Gesù dell'Apocalisse è un essere celeste. Prossimo a venire, la prima volta, sulla Terra. Al momento si è manifestato solo in visioni. Partecipa fin d'ora del Trono di Dio. La sua essenza è la Gloria di Dio e la sua immagine è l'Agnello Benedetto con gli occhi dello Spirito sotto le corna della Potenza. È nel contempo il sommo sacerdote celeste e il suo sacrificio per l'eternità. È privo di un'esistenza terrena. Ma assumerà un'esistenza terrena nell'imminente futuro, per instaurare un regno di mille anni, quando irromperà dal cielo in groppa ad un cavallo bianco, ''vestito di una veste tinta di sangue''. È il Re dei re e Signore dei Signori.

Ma quel Gesù si rivelò al Pilastro Giovanni o al suo fedele seguace dell'ultim'ora, in modo diverso da come si rivelò a Paolo.
Gesù rivelò a Paolo, perfino da Risorto, la sua umiliazione e debolezza sulla Croce.
Per l'Apocalisse Gesù era rimasto inviolato, implacabilmente sereno, perfino quando fu sacrificato da Dio sull'altare. In questo modo preservò la dignità di Agnello sacrificale e insieme la potenza del Figlio di Dio che si sottomette serenamente, senza tradire alcun'emozione o umiliazione, alla volontà di Dio di ucciderlo, perchè sa già di risorgere e di vincere: è nel suo destino.  È stato programmato per essere ucciso da Dio e per risorgere. Ha di un agnello la stessa animalesca impersonalità, quasi a momenti inconsapevolezza di venire ucciso. Si sottomette alla volontà di Dio con la stessa docilità, con lo stesso automatismo, con lo stesso ''cieco'' determinismo, di Isacco quando fu posto sull'altare del sacrificio dal padre Abramo obbediente a Dio. La sua morte è lo spettacolo di un festival passeggero, di un rito pianificato da Dio dall'inizio alla fine fin nei minimi particolari, senza mai lo zampino di Satana ad interferire neppure una volta. Il quale Satana ha però potere sulla Terra fino al giorno in cui verrà scaraventato nello stagno di fuoco.

Assente è ogni scandalo della Croce che si portava con sè invece il Gesù predicato da Paolo (ai giudei).


Il celeste guerriero dell'Apocalisse è il Messia ebraico che porterà alla vittoria i veri ''fratelli del Signore'' contro i falsi ''fratelli del Signore'' introdotti da Paolo nella chiesa. È il condottiero celeste giunto a sterminare gli idolatri e a vendicare il vero Israele.


 Fondamentalmente, i Cristi dell'Apocalisse e di Paolo sono incompatibili tra loro come le loro due religioni di riferimento. L'autore dell'Apocalisse si purifica nel Sangue dell'Agnello, ma non ammette nessun'umiliazione o sofferenza per quell'Agnello. Paolo vede sè stesso nel Cristo crocifisso, con tutte le sue fragili paure di uomo.  L'autore dell'Apocalisse si immagina già al seguito della legione di angeli che farà irruzione dal cielo sotto la guida di Gesù. Paolo continua sulla propria carne le piaghe del suo Gesù. Le porte della Gerusalemme futura e terrena si chiuderanno nell'Apocalisse ai pagani e ai loro amici come Paolo. Laddove Paolo si affrettò ad aprirle, nel cielo, ai pagani del mondo intero divenuti come lui veri ''fratelli del Signore''.
 
Il solo modo di riconciliare quelle due visioni fu o con la vittoria di una sull'altra o viceversa, oppure con la loro reciproca cooptazione da parte di un terzo contendente subentrato più tardi: il cattolicesimo nascente. Una volta che l'ansia apocalittica era passata, una volta che la nebbia della gnosi segreta si sarebbe dispersa, la leggenda cristiana prenderà la forma popolare di un racconto ''storico'' abbastanza verosimile, soddisfando i latenti desideri di salvezza degli ignari οἱ πολλοί.