mercoledì 2 luglio 2014

Della totale assenza del Gesù storico nel conflitto tra Paolo e i Pilastri

Richard Carrier ha postato nel suo blog la sua recensione della recensione di Loren Rosson, confutando una per una le sue obiezioni.

Che Paolo parla evidentemente del martirio di Gesù in generale ovunque alluda alla morte di Gesù non significa che il martirio per se implichi storicità.

Come non è difficile immaginarsi nella dimensione celeste tanto di croci, chiodi, Gerusalemme celesti, città, mure, piante, strade, ecc., così non dev'essere altrettanto difficile immaginare il martirio del Figlio consumarsi drammaticamente, alla maniera più cruenta, nei cieli inferiori, sotto la Luna, ad opera di Satana.

Quanto all'insistente pretesa di Loren Rosson sul presunto conflitto tra Paolo e i Pilastri per contendersi ciascuno l'eredità di Gesù, Carrier accenna alla totale mancanza di evidenza di ogni parte avuta da un ipotetico Gesù storico come oggetto della disputa. Si tratta di un punto che non sfugge, almeno parzialmente, nemmeno all'apologeta criptocristiano Mauro Pesce (il quale se la cava con l'evidente scusa ad hoc che il Gesù storico non aveva lasciato alcuna disposizione in merito alla circoncisione et similia, lasciando i posteri a scannarsi tra di loro su quelle questioni intorno alle quali ''mancò'' di esprimersi: ma ben più di questo, quello che intende dire Carrier, è che non c'è assolutamente nulla nelle epistole che indichi anche solo un punto dove un Gesù storico si sia ''espresso'', o abbia funzionato come ottimo strumento per mettere a tacere una qualsiasi questione problematica una volta per tutte, a favore di Paolo o in contrasto a Paolo - nel cui caso costringendo l'Apostolo a dover necessariamente difendersi).

In breve,
Paolo non poteva vincere un argomento facendo finta che non esistesse.

Paolo non poteva vincere eventuali Pilastri capaci in qualunque momento di far leva sulla loro conoscenza del Gesù storico (per stroncare alla radice ogni riottosa pretesa del parvenu Paolo) semplicemente ignorando il Gesù storico nelle sue lettere.

Se fosse esistito un Gesù storico sul quale i Pilastri potessero contare per domare il riottoso Paolo, l'avrebbero semplicemente usato ad occhi chiusi come instrumentum regni con estrema rapidità, prima ancora che l'eresia (di Paolo o di Apollo) prendesse piede, mediante un banalissimo appello alla sua autorità contro chiunque reo di pervertirne il messaggio originario. Il reo in questione si sarebbe ipso facto sentito mancare il terreno sotto i piedi, perchè sconfessato agli occhi di tutte le congregazioni di ebrei cristiani. Ed all'epoca gli ebrei erano la stragrande maggioranza della chiesa primitiva. E ancor più si sarebbe fatto automaticamente terra bruciata attorno all'eretico, stroncandone ogni pretesa, qualora ques'ultimo, come Paolo, godesse già di una cattiva fama per aver in precedenza peseguito la chiesa primitiva diffamandola presso le autorità.

E se l'avrebbero usato, non solo è improbabile che non sarebbero riusciti, nonostante l'uso di quello strumento, a domare Paolo, ma è ancor più improbabile che quest'ultimo se la sia cavata al punto da fondare lui solo il cristianesimo (e non i Pilastri), come poi invece è accaduto, ed è addirittura quasi impossibile che abbia avuto successo in tutto questo senza impugnare nemmeno una volta sola l'argomento ''ma noi abbiamo conosciuto il Gesù storico, tu no'' utilizzato dai suoi avversari, senza consegnarci nelle lettere nessun riflesso di una sua anche minima apologia che non sia, sempre e soltanto, l'appello all'onnipresente Gesù mitico.

In altre parole, non esiste la benchè minima evidenza nelle lettere paoline che Paolo fosse un Folle Apologeta di sè stesso e del suo Cristo contro un ipotetico messaggio del Gesù storico da lui pervertito a dispetto dei suoi più legittimi custodi, i Pilastri.


Tu non ti difendi contro l'accusa di aver tradito x se quell'accusa non ti è mai stata lanciata.
Viceversa, corri ai ripari per difenderti da quell'accusa solo quando quell'accusa ti è effettivamente scagliata addosso. E a quel punto non potresti mai fare a meno di tradire la tua conoscenza di x, manifestandola almeno in una circostanza.

Nel primo caso non necessiti di un'apologia a tua discolpa. Nel secondo caso, sì.

E Paolo si colloca evidentemente nel primo caso.

Paolo allora poteva ben essersi associato a congregazioni già esistenti, insegnando un nuovo vangelo, proprio come Apollo a Corinto insidiava la sua congregazione promuovendo un vangelo diverso dal suo, costringendo Paolo a correre ai ripari per respingere l'intruso: in quel caso, contro Apollo Paolo si sarebbe ritrovato, mutatis mutandis, nella stessa posizione in cui Pietro & Giacomo si ritrovarono rispetto al nuovo venuto Paolo. Ma perfino se Paolo avesse formato qualche nuova congregazione, lui era già famigerato ai cristiani per essere stato un nemico della chiesa della quale era ora divenuto tenace promotore. Se solo avesse continuato ad agire come un nemico,  o a destare il minimo sospetto in tal senso, magari il sospetto che minacciava di dividere la chiesa spargendo la sua eresia, le sue missioni sarebbero inevitabilmente fallite: coloro che godettero di uno status speciale fin dalla prima ora per aver ricevuto le prime rivelazioni del Gesù celeste avrebbero facilmente rinfacciato a Paolo di essere un usurpatore e un seminatore di zizzania, e a quel punto il povero Paolo non avrebbe potuto difendersi in alcun modo, dal momento che solo loro, i Pilastri, ''videro'' Gesù ben prima di lui e già lo stavano predicando anni prima della sua conversione, prima perfino della sua persecuzione. Paolo dunque era costretto - costretto, dico! - a ricercare, volente o nolente, la loro approvazione.

Si trattava dell'unico e solo modo con cui poteva ottenere potere ed influenza e non venire stigmatizzato come pretendente e usurpatore intento alla distruzione della vera chiesa: un'accusa che era quasi ad un passo dal subire e che lo mosse evidentemente a convincere i Galati di aver ottenuto finalmente l'approvazione degli originari apostoli, con tanto di lasciapassare e di libero transito tra i gentili.

Paolo aveva bisogno di questo anche per mantenere il sostegno dall'intera chiesa sparsa  lungo la frangia orientale dell'Impero: Paolo di frequente si riferisce al suo non esser di troppo e non pesare finanziariamente sulle tasche di chi lo ospitava di volta in volta nelle sue missioni tra i gentili, come pure al suo bisogno di soldi dai proseliti gentili da inviare regolarmente ai Pilastri di Gerusalemme, come d'accordo (impegno che Paolo già assumeva volentieri per ingraziarsi i Pilastri).

Soltanto ingranziandosi i Pilastri Paolo poteva ottenere il potere necessario come Apostolo tra i pagani, solo così poteva meritare l'influenza che ricercava e solo così poteva accedere con discreto margine di libertà alle risorse che le comunità cristiane potevano offrigli quando necessario ad ogni momento. Solo così il fariseo Paolo poteva fare carriera dentro la chiesa primitiva, praticamente. Una carriera fulminea che l'apostolo Paolo non avrebbe mai avuto, qualora avesse cercato di fondare la sua propria chiesa interamente da zero, un'attività che non richiedeva a dire il vero neppure la sua conversione: ma evidentemente era troppo faticoso per Paolo fondare da zero il proprio movimento, mentre al contrario gli era decisamente più facile passare di grado fino al ruolo di leader in un sistema già edificato mediante rapide promozioni. Il denaro, la giusta influenza, e l'adulazione erano già pronti e disponibili all'uso: Paolo davvero non necessitò di fondarsi una chiesa per conto suo se veramente mirava a guidare un movimento.

Paolo cercò di cambiare l'intero sistema, ed ebbe successo. Nella misura in cui si può ipotizzare che Paolo vide nel cristianesimo il modo migliore per correggere seri difetti sociali e/o morali dell'ebraismo tradizionale (stando alla sua parola, se non altro), segue per mirabile necessità che Paolo avrebbe ovviamente cercato in tutti i modi di cooptare e di espandere un movimento religioso già esistente, non di scimmiottarlo per costruire da zero uno simile. Per il bene dell'umanità, Paolo doveva cercare di riformare la chiesa esistente, non di fondarne una nuova.

Quel che è impressionante è che in questa azione Paolo ebbe in ultima istanza successo:
ci fu una rottura con alcuni estremisti giudeocristiani del movimento (gli stessi che poi si inventarono di sana pianta le visioni xenofobe e antipaoline del Cristo celeste guerriero dell'Apocalisse) ma quelli che ruppero i ponti con Paolo furono così pochi e ininfluenti che la loro setta non sopravvisse al Disastro del 70 (salvo per esalare l'ultimo canto del cigno nell'Apocalisse, appunto).


L'enorme successo di Paolo è chiaramente qualcosa che gli sarebbe riuscito impossibile sotto l'ipotesi di un Gesù storico: come diamine avrebbe mai potuto Paolo reclamare per sè la pretesa autorità di conoscere meglio lui Gesù di ogni uomo che lo aveva accompagnato passo passo in vita mentre ancora calcava il suolo polveroso della Judaea?

Soltanto a patto che Gesù fosse conosciuto unicamente per rivelazione Paolo poteva aver avuto successo in quello che fece, dal momento che solo a quella condizione il legame tra Paolo e Gesù sarebbe stato identico al legame che univa gli stessi Pilastri a Gesù: Paolo avrebbe avuto la medesima visione di Gesù che ricevettero prima di lui i Pilastri, Paolo sarebbe stato istruito appositamente da Gesù allo stesso modo in cui prima di lui i Pilastri furono istruiti da Gesù, e i Pilastri non avrebbero avuto nulla da rimproverargli, tanto a lungo in cui Paolo continuava a meritare la loro fiducia con la sua buona condotta morale, l'unico e solo test per verificare se si trattasse o meno di un falso profeta.

Paolo litigò seriamente con i Pilastri solo su un singolo punto, e su nient'altro: se i cristiani dovevano convertirsi all'ebraismo o meno. Quella fu l'unica disputa che ebbe con loro. E lo sappiamo perchè Paolo ce lo dice a chiari lettere in Galati 1-2. Non avrebbe potuto mentire, perchè altrimenti avrebbe ottenuto l'effetto esattamente opposto tra i Galati: la sua menzogna sarebbe stata immediatamente denunciata, e quindi Paolo sarebbe stato ipso facto screditato come mendace ed eretico.

Nessun'altra disputa su nessun'altra questione turbò Paolo e i Pilastri all'infuori della circoncisione o meno per i gentili, nelle circa 20000 parole della lettera ai Galati.

Dunque Loren Rosson non può semplicemente ''inventarsi''
dal nulla una disputa non attestata da nessuna parte in Paolo e usarla come premessa in un argomento. Se ci fossero state altre dispute tra Paolo e i Pilastri (tipo quelle descritte vividamente dal miticista Roger Parvus, o dallo storicista Robert Eisenman, ad esempio) non sappiamo nulla di loro. Nulla di nulla. Vuoto totale.


E non mi sto riferendo a dispute marginali o banali sulla politica della chiesa o su aspetti poco importanti della dottrina, ma dispute degne di questo nome, dispute capaci da un momento all'altro, se mal gestite o mal controllate, di sfociare in autentici scismi o dissidi insanabili.


La sola tensione tra Paolo e i Pilastri di Gerusalemme
nacque dalla pretesa di Paolo che il suo Cristo Gesù gli aveva comunicato per rivelazione celeste che i gentili potevano diventare cristiani senza passare per la circoncisione.

Un permesso divino che divenne ancor più tale dopo che ricevette l'approvazione anche dai Pilastri, e dunque, poco dopo, anche dai Galati a cui si rivolgeva Paolo.

Se fosse esistito un Gesù storico, è molto strano che i Pilastri approvarono in un primo momento la politica di apertura ai gentili che Paolo diceva di essergli stata comandata da Cristo per rivelazione: è molto strano perchè indica evidentemente che non passò loro neppure per idea la possibilità di contrastarla su due piedi, il che diventa ancor più strano, fino al limite dell'assurdo, sotto l'ipotesi che i Pilastri avessero accompagnato Gesù in vita e potevano quindi denunciare da un giorno all'altro che quanto andava proclamando Paolo era contrario ad ogni cosa detta o approvata dal Gesù storico durante la sua esistenza, mentre se tutto quel che sapevano su Gesù proveniva da visioni celesti, allora non potevano in nessun modo contraddire le visioni di Paolo senza a loro volta minare la propria fonte di autorità, a meno di non poter cogliere sul fatto Paolo in qualche atto immorale: al contrario, dopo la sua conversione, Paolo si assicurò con estrema facilità l'approvazione dei Pilastri con tanto di baci sulla guancia, ottenendo quasi del tutto carta bianca nella sua azione tra i gentili.

 Quindi la critica di Loren Rosson a Richard Carrier è che la storicità di Gesù dev'essere vera perchè c'era qualcosa di più, in quella tensione, oltre alle differenze dottrinali. Ma se non sappiamo nulla di nulla di quella tensione oltre alle trite e ritrite differenze dottrinali, allora non possiamo neppure dire ''c'era qualcosa di più, perciò dev'esserci stato un Gesù storico''. E se non possiamo dire che ci fu qualcosa di più, allora tutto quel che sappiamo è solo quanto riporta Paolo di quel dissidio con i Pilastri: ovvero nulla che possa implicare la storicità di Gesù (e addirittura marcia contro la sua possibilità).


Sarebbe argumentum ad ignorantium covare dei meri sospetti che dietro quella tensione tra Paolo e i Pilastri si potesse nascondere qualcosa di ancor più importante della pur problematica questione della circoncisione dei gentili.

Ma i fatti si svolsero pressapoco così:

Paolo insegnò ai Galati che non avevano bisogno della circoncisione: non dovevano diventare ebrei rinnegando la loro matrice culturale precedente.

Qualche giudeocristiano ''di ultradestra'', non necessariamente Pietro o Giacomo, disse loro che si trattava di zizzania eretica.

Paolo perciò assicura i Galati che costoro stavano mentendo e dovevano essere isolati.

E poi procede a spiegare come aveva ottenuto definitivamente il beneplacito alla sua politica da parte dei Pilastri di Gerusalemme, seppure indugia in qualche misura nel descrivere vividamente il drammatico scontro che si consumò tra lui e Pietro, per spiegare ai Galati la genesi della diceria a suo sfavore (evidentemente, un interessato soffiare sul fuoco) che lo dipingeva a tinte fosche in irreparabile rotta di collisione con i Pilastri.

Non sapremo mai se la comunità di Galati fu fondata o meno da Paolo: se lo fu, di certo aveva più libertà di contraddire i Pilastri. Ma ad ogni modo, quella comunità, per quanto isolata dalle altre comunità cristiane, doveva versare il proprio contributo in moneta ai ''poveri'' di Gerusalemme. E così doveva fare qualunque comunità fondata o o incontrata da Paolo. Perchè Paolo aveva bisogno di appoggiarsi a quelle comunità per pura sopravvivenza. Non poteva assolutamente partire da zero.

Ecco perchè speculare su possibili altre dispute tra Paolo e i Pilastri in merito ad un Gesù storico mai da nessuna parte entrato in ballo, significa solo annebbiare ancora di più il già limitato quadro in nostro possesso. Non si possono far seguire conclusioni così forti (come la storicità di Gesù) da premesse così deboli e di dubbia verità (presunte dispute tra Paolo e i Pilastri che vanno al di là dall'ebraizzare o meno i gentili).

Ho parlato diffusamente sul movente che spingeva Paolo a ingraziarsi i Pilastri per poter spiccare il volo come voleva tra i gentili.


Ma vedo ora di descrivere meglio il movente dei Pilastri (Pietro, Giacomo, Giovanni), alla luce di Galati 2:11-14, il cosiddetto incidente di Antiochia.
Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?
Cosa successe di preciso? La questione verteva principalmente sulla circoncisione, e come corollario si estendeva alla dieta alimentare da seguire. I giudeocristiani ''venuti da Giacomo'', al di là se istruiti o meno in tal senso da Giacomo in persona, andavano dicendo ai Galati che dovevano circoncidersi se desideravano condividere il desco in pari diritti con gli ebrei. Era dunque necessaria la piena conversione all'ebraismo, se davvero la circoncisione era così necessaria, più necessaria delle stesse regole alimentari: nessun compromesso paolino era permesso.

Questo poteva significare solo una cosa:
che i Pilastri avevano appena fatto carta straccia del precedente accordo con Paolo. In Gerusalemme avevano concesso con riluttanza in un primo momento a Paolo di lasciare i gentili liberi da ogni obbligo di diventare ebrei con tanto di circoncisione:
Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi - poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani - e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.
(Galati 2:7-10)

Perchè il drastico voltafaccia di Antiochia, allora?


Onore e vendetta. Nient'altro.

Nel suo primo incontro con Pietro, Paolo era riuscito a strappargli il riconoscimento della sua politica di apertura ai gentili senza dare nulla in cambio se non quello che stava già facendo piuttosto volentieri, ovvero ''ricordarsi dei poveri''. Col risultato che i Pilastri si ritrovarono de facto con nulla tra le mani, dopo quel primo abboccamento con Paolo. Perchè Pietro doveva considerare un dono gratuito da parte di Paolo quello che era già suo per la mera realtà delle cose?

Si trattava chiaramente di una vittoria diplomatica di Paolo.

Paolo approfittò di quel successo, e il successo attira successo. Infatti riuscì a isolare i ''falsi fratelli'' di Galati 2:4-5, proprio in virtù della carta bianca che aveva strappato ai Pilastri:
E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi. 

Ma la sconfitta diplomatica del partito dei circoncisi alimentò in loro il desiderio di rivincita. Il loro onore era stato sporcato da quel profittatore di Paolo, dopo che aveva ottenuto il meglio per sè al primo incontro con Pietro, e dunque in questa cultura era inevitabile aspettarsi prima o poi una reazione da parte dei Pilastri per restituire il colpo subito e riparare al torto ricevuto, lavando l'onta di essere stati in qualche modo turlupinati da Paolo. Prima o poi avrebbero colto l'occasione di rovesciare il tavolo delle trattative con Paolo.

E Paolo se lo aspettava.
Non aveva appena finito la fortunata trattativa con Pietro, che si guardò bene le spalle da ogni sua possibile reazione.

In quella cultura chi riceveva un'onta di tal fatta non perdonava né dimenticava. I giudeocristiani più oltranzisti fecero sempre più pressione sui Pilastri, dopo la partenza di Paolo, per costringerli a revocare il loro patto, a farne carta straccia.

Questa diffidenza dei Pilastri non significa affatto che erano bugiardi e dunque immorali, come potrebbe sembrare a noi moderni. Menzogne e inganni erano cose onorevoli e attese in culture basate sulla vergogna e sulla difesa ad oltranza del proprio onore. La categoria di Cultura di vergogna (shame culture) o Civiltà di vergogna fu applicata al modello sociale su cui si basa la civiltà omerica. Infatti i grandi eroi, quali per esempio Achille o Agamennone, non si sentivano realizzati sapendo nella propria coscienza di essere gloriosi, e pieni di onori, ma dovevano sentirsi considerati tali dagli altri del gruppo. Solo in questo modo sapevano di esistere. Appare quindi ovvio capire che non bastava il sentimento interiore, ma il giudizio degli altri. Nel caso in cui un eroe avesse perso la pubblica stima, arrivava anche a uccidersi, come fece Aiace. Si tenga conto che l'onore, da cui poi deriva la gloria, non è un concetto astratto, ma il risultato di atti e comportamenti concreti secondo questa logica.
Paradossalmente, per esempio, un omicida nella cultura della vergogna non si sente neanche tale fino a quando non viene “scoperto” dagli altri e su di lui ricade la denuncia e la riprovazione pubblica dei componenti della società, così come l’onore, anche il reato è tale solo quando “di dominio pubblico”. Ovviamente avviene diametralmente l’opposto nella civiltà della colpa in cui l’omicida di prima sarebbe il primo a patire e “autocondannarsi” consapevole del proprio sbaglio, proprio come all’eroe sarebbe dovuta bastare la consapevolezza del proprio valore.
Come apostoli rivali, i Pilastri non erano per nulla obbligati a mantenere una qualunque delle ''promesse'' fatte a Paolo, anzi se l'avessero fatto, questo sarebbe stato oltre che ingenuo, quasi infantile da parte loro, anche un evidente sintomo di debolezza agli occhi dei loro seguaci. I Pilastri potevano e dovevano dunque sparigliare i giochi come e quando lo volevano. Paolo, dal suo canto, non si faceva alcuna illusione sulla durata della difficile tregua, a lui così conveniente, che aveva strappato così abilmente al suo primo incontro con Pietro. Quella tregua, quella concessione, era del tutto precaria. E Paolo lo sapeva.

Ma com'era riuscito Paolo a ottenere così tanto per sé senza dare nulla in cambio al suo primo incontro con Pietro? In realtà Paolo ottenne da quell'incontro con Pietro solo il mantenimento dello status-quo precedente, evidentemente assai vantaggioso per lui: l'apocalisse era vicina, dunque i gentili dovevano essere salvati in quanto gentili. Nessuna necessità di diventare ebrei all'ultimo momento, prima della fine.

Così dando libertà d'azione a Paolo,
Pietro non stava facendo nient'altro che sancire l'approvazione di quanto già i giudeocristiani stessi stavano permettendo, prima ancora dell'ingresso in scena di Paolo: ovvero convertire i gentili senza richiedere loro la circoncisione. Pietro disse di sì a Paolo perchè Paolo si proponeva di fare su vasta scala tra i gentili dell'impero nient'altro che quello che Pietro aveva da tempo iniziato a fare tra i primi gentili avvicinatisi al movimento: battezzarli senza farli diventare ebrei a tutti gli effetti. Di certo c'erano fin dall'inizio cellule impazzite di giudeocristiani oltranzisti duri e puri (coloro che poi avrebbero rovesciato tutto il loro odio xenofobo e antipaolino nello schizofrenico libro dell'Apocalisse). Ma queste cellule impazzite accrebbero la loro influenza nella misura in cui l'enorme successo di Paolo tra i gentili rischiava davvero di rovesciare i rapporti di forza tra gentili ed ebrei a tutto vantaggio dei primi e a totale discapito dei secondi. I poli inevitabilmente dovevano polarizzarsi. E i Pilastri non più a lungo si sarebbero dovuti mantenere indifferenti al drammatico mutare della situazione (così fatale per l'ebraicità del movimento).


E dunque i Pilastri ruppero la loro promessa (e dunque anche la loro pratica del passato) per amore del loro onore appannato, per riparare all'onta subita. Così facendo, si considerarono in dovere di tenere in vita la chiesa in un'epoca di grandi stravolgimenti, entro i limiti dell'ebraismo, in un'epoca che prometteva, a dispetto di tutte le più impazzite e allucinate previsioni apocalittiche più nere, di prolungarsi indefinitamente. Naturalmente Paolo non poteva accusare Pietro di mendacia e di tradimento dei patti stabiliti. E come poteva? Sarebbe sembrato folle imporre ad un disonorato (agli occhi di tutti) di non doversi sentire in disonore. Paolo non si aspettava minimamente che i Pilastri avrebbero tenuto fede ai patti convenuti con lui la prima volta. Sapeva fin dal primo istante che non avrebbero mantenuto la parola data. Perchè così era nell'ordine delle cose. Nelle leggi non scritte di una società basata sulla vergogna. Al più, quello che poteva fare Paolo per reagire a sua volta alla defezione di Giacomo e Pietro dalla sua linea politica, era di accusare Pietro di ''ipocrisia'' e di incoerenza.
Ma i più accorti sapevano benissimo che non si trattava affatto di mera ipocrisia. Al contrario, si trattava di pura reciproca diffidenza: manifestazione di slealtà al servizio del costante tentativo di aggiornare i credi e le pratiche e renderle meno imbarazzanti al senso comune sempre cangiante, tipica caratteristica di ogni movimento millennaristico della Storia.

E in tutta questa disputa tra Paolo e i Pilastri, l'UNICA davvero consumatasi, non c'entra nulla il Gesù storico. Dunque nessuna necessità di farlo entrare in scena.

Richard Carrier, intanto, si dice impressionato dal fatto che Loren Rosson abbia inserito OHJ nella sua lista delle dieci letture raccomandate, accanto al nome di un Dale Allison, per dire. 

Carrier shows that Jesus-mythicism is a viable theory after all.

Qualcosa che evidentemente i folli apologeti non potranno mai digerire.

Ma ormai è chiaro quanta verità sta in questa frase di Robert Price:

Ci troviamo di fronte ad una guerra per procura in cui l'apologetica teologica schiera le sue truppe, come i soldati di Vladimir Putin invasori della Crimea: non contrassegnati da insegne nazionali, la loro identità era comunque fin troppo chiara.
(Robert Price)