lunedì 30 giugno 2014

REQUIEM AETERNAM HISTORICO JESU

In questo luogo nel 1987 non è accaduto nulla.
—Targa sul muro di Woody Creek Tavern,
Woody Creek, Colorado

Nella sua ultima lettera «al nobilissimo e dottissimo» E. Oldenburg (Ep. LXXVIII), scritta da Spinoza il 7 febbraio 1676, e che ha quasi il sapore di un commiato), il filosofo dice:
«Sono d'accordo con voi nell'intendere letteralmente la passione, la morte e la sepoltura di Cristo; ma intendo allegoricamente la sua risurrezione».
(mia enfasi)


Certo, il mistico, il santo Spinoza non aveva forse il coraggio di dichiarare apertamente la morte di Dio. Ma la coerenza coi suoi principi speculativi non gli impediva affatto di affermare senza esitazione che Cristo (al quale, del resto, non riconosce la natura divina: e come avrebbe potuto farlo, se Deus = Natura? In realtà, affermare che Dio è la Natura, significa affermare tout court che Dio è morto) era inesorabilmente morto per sempre.
E Spinoza iniziò, con quelle parole, il criticismo dei testi sacri del cristianesimo, essendo stato dunque il primo a separare nei vangeli quello che riteneva pura invenzione, letteratura, allegoria, mito da quello che riteneva (sebbene ancora a torto) Storia letterale.

Scoprire, a distanza di secoli, che Gesù è mito non significa altro che immergere il caro, vecchio ''Gesù storico'' -- ormai divenuto tutt'uno col Cristo della fede per i cristiani più liberali, come pure per i teologi travestiti da storici nonchè folli apologeti -- nell'impersonalità assoluta del Nulla, sicchè l'itinerario della ''Ricerca del Gesù Storico'' che è stato tracciato negli ultimi 200 anni, considerato nella sua realtà più vera, cioè deterso da quello spirito apologetico cristiano di fondo che troppe volte ne ostacola un'esatta comprensione anche al critico ateo più scaltro, si riduce ad un ben poco attraente viaggio verso l'impersonalità: al che vuol dire alla negazione della realtà intima di Gesù per gli antichi cristiani, di quel nucleo personale che ne costituì in qualche modo, sia pure da puro mito, l'essenza più umana e, tolto il quale, ora, il cristianesimo diventa nient'altro che un flatus vocis.

Al pari di qualsiasi altra religione morta dell'Antichità.


Una volta intravista la concreta possilità di concepire l'originario Gesù come frutto di sogni, visioni e rivelazioni dei primi apostoli come Paolo, pensare Gesù diviene per logica conseguenza un facile sforzo di depersonalizzazione del Gesù - di ogni Gesù - precedentemente inteso, comunque immaginato. E dunque della negazione stessa della Tradizione cristiana sopravvissuta finora. La quale, non avendo più consistenza ontologica, poichè non è che l'esito della storicizzazione di quell'entità cosmica e indifferenziata che è il Gesù arcangelo celeste di Paolo, deve farsi riassorbire da quel mito che, avendola prima generato, ne richiede ora la morte. Morte che va intesa in senso metafisico prima ancora che naturale. Infatti, una volta che il cristiano antico aveva posto quale principio ontologico quello del ''Gesù storico'' - principio che gli derivava dall'aver egli storicizzato il Gesù mitologico sulla Terra come un uomo divino, con una famiglia terrena, amici e nemici, completo di atti e detti,  - ha costretto ogni cristiano successivo per raggiungere il summum bonum a tendere necessariamente verso il ''Gesù storico'', e quando lo ha fatto senza più infingimenti di sorta, al vaglio della ragione critica finalmente sprigionata, culminando nell'inevitabile annullamento del proprio essere più sinceramente cristiano.

E qui non posso fare a meno di notare come troppi sedicenti storici, ma in realtà meri dementi folli apologeti (vedi Mauro Pesce), quando affrontano il caso ''Gesù storico'',  non s'immedesimano, a mio avviso, quant'è necessario con il significato che il termine ''Gesù'' aveva negli antichi cristiani e ne parlano come se avessero a che fare con un essere storico in realtà mai morto e sempre esistito, sempre presente nel mondo nonostante non l'averlo mai calcato.

Se invece, si tenesse presente che il Gesù dei primi cristiani è un arcangelo celeste, e nient'altro, tanti discorsi, tante tesi e supposizioni vane cadrebbero da sé, e non si complicherebbero le cose inutilmente!

Ma uno strumento, e tale è stato finora e magnificamente il ''Gesù storico'', è perfetto solo quando compie la funzione assegnatagli.

Perchè, come ben spiega Spinoza:
«...quando un artigiano, nella fabbricazione di un pezzo d'opera, s'avvale di un'ascia, che ben fa il suo servizio, quest'ascia ha adempiuto al suo fine e alla sua perfezione. Se tuttavia, questo artigiano pensasse che quest'ascia lo ha ben servito e, perciò, dsiderasse lasciarla riposare... quest'ascia sarebbe distratta dal suo scopo, e non sarebbe più un'ascia. Così l'uomo, fino a che è una parte della natura, deve seguire le leggi della natura, e sta qui il culto di Dio; e così, fino a che fa ciò, è beato».
(Breve Trattato, II, cap. XVIII, mia enfasi)

Non si può non vedere allora nella ricerca del Gesù storico una tensione davvero unica verso Dio, ma è una tensione destinata a cadere miseramente come il volo di Icaro, poichè il ''Gesù storico'', come s'è visto in maniera oramai più che evidente, può dire tutto, può fare tutto, fuorchè accogliere le aspirazioni dei suoi devoti «ricercatori» verso di lui: ovvero essere esistito.

E qui mi sovviene ancora una volta l'immensa profondità, più attuale che mai, della sentenza spinoziana:

«chi ama Dio non può sforzarsi affinchè Dio lo ami a sua volta»
(Etica, V, 19)


Perchè riscoprire l'originario, mitologico Gesù di Paolo significa dover negare l'elemento essenziale che costituisce la vitalità della Tradizione cristiana: l'individualità, ovvero la stessa personalità, del ''Gesù storico'', poichè tale elemento non può rientrare nella logica di un'entità angelica invisibile mai scesa sulla Terra.