lunedì 3 febbraio 2014

Del Gesù che evapora (II)

Continua in questo post il mio riassunto/recensione del capitolo 5 di Proving History (la parte che trovo più interessante in attesa di vedere la prima applicazione pratica del Teorema di Bayes alla Storia, nel prossimo volume di Richard Carrier).



Occorre sempre avere sotto gli occhi queste parole di un Folle Apologeta della rete, per constatare col disincanto che merita la pietosa condizione della ricerca attuale del Gesù storico:
Il criterio di molteplice attestazione indipendente, dunque, temo che in questo caso non ci porti molto lontano ... 

Possiamo forse provare con il criterio d’imbarazzo in rapporto alla liceità di parlare contro il Figlio dell’uomo? Direi proprio di no ...

E la discontinuità? Personalmente, salvo casi molto lampanti, tendo a non fare grande ricorso a considerazioni di discontinuità, dissomiglianza e originalità, ... In ogni caso, al momento non mi viene in mente niente di rilevante rispetto al nostro logion. 

Restiamo quindi con quello di coerenza, il meno potente nel singolo caso, ma in realtà il più importante e utile tra tutti i criteri nella misura in cui il processo di ricostruzione storica viene condotto non tanto attraverso un'analisi atomistica dei detti, bensì cercando di stabilire - in un continuo vai-e-vieni tra ipotesi e dati - quale immagine o modello di Gesù riesca meglio a spiegare il complesso, o la maggior parte, dei dati.
E qui, in effetti, mi sembra che il nostro problema possa trovare risoluzione.
Il secondo grande problema, dice Carrier, intrinseco all'uso del criterio di imbarazzo nei vangeli è lo straordinario grado della nostra ignoranza.

Non sappiamo granchè di cosa pensavano i primi cristiani.
Perfino il Folle Apologeta conservatore di turno è costretto ad ammettere, con frustrazione, che ''una storia per noi imbarazzante potrebbe non esserlo sembrato all'antica chiesa''  e ''ci potrebbero anche essere ragioni che non possiamo immediatamente riconoscere per la creazione'' di dettagli apparentemente imbarazzanti.

Ciò che imbarazza l'evangelista x poteva non imbarazzare i cristiani che venivano prima di x.

(questo mi ha indotto a pensare che perfino nell'estremo scenario dove i primi cristiani, prima di Marco, fossero degli zeloti, o dei filo-zeloti, comunque, in quel caso, non si avrebbe ancora prova che il materiale evangelico imbarazzante perchè zelota o filo-zelota risalga, solo per il suo finale depositarsi nei vangeli, ad un Gesù storico zelota o filo-zelota).

Solo una conoscenza più profonda del giudaismo o della prima chiesa permetterebbe di determinare con sicurezza la terza eventuale incognita, ossia Gesù. Ma siamo privi di quella conoscenza.

Le divinità omeriche praticavano l'incesto e altre nefandezze, provocando per reazione lo sdegno di Plutarco e di Platone, contro i poeti e i mitografi, al punto che il filosofo ateniese volle bandirli dal suo Stato ideale. Ma non si può applicare il criterio di imbarazzo per dedurre che i poemi omerici erano veri per quanto riguarda le vicende degli Déi olimpici.

A noi moderni i vangeli presentano ciascuno un mare di contraddizioni e paradossi. Perfino alcune parabole di Gesù sono create apposta per suonare paradossali.

Eppure, ''tuttavia, erano tutti ancora abbracciati da una singola chiesa''.

Quindi c'era una ragione, per ciascuna di quelle apparenti inconsistenze, per trovarsi lì.

Che non significa negare la loro natura di inconsistenza.

Carrier fa l'esempio di come il cattolicesimo difende ostinatamente il concetto decisamente ostico della Trinità (e inconsistenze relative) a dispetto del fatto di quanto sia molto più facile difendere l'Unitarianismo (ossia il credo che Dio sia una sola Persona e non tre) al posto del Trinitarianismo (Dio è tre Persone o qualcosa del genere, per i cattolici) e a dispetto del fatto che Gesù, se esistito, probabilmente non credeva alla Trinità ma al Dio unico degli ebrei.

Morale della favola: mere inconsistenze e vulnerabilità dottrinali sparse qua e là nei vangeli (e qui personalmente penso agli indizi gnostici nel vangelo di Giovanni) non permettono di soddisfare i due prerequisiti di un corretto utilizzo del criterio di imbarazzo [1].
In realtà, la maggior parte delle religioni per tutta la storia hanno sepolto se stesse in inconsistenze, tuttavia persistono imperturbate.

E a quel punto Carrier coglie l'occasione per scagliare una crudele critica all'indirizzo del Folle Apologeta nonchè pomposo Mostro Sacro (e prete cattolico) John P. Meier.

Costui ha la colpa di dare per scontato che gli evangelisti indulgiano negli stessi amori, condividano lo stesso desco e la stessa intima corrispondenza o ''profonda sintonia'' (che è di moda questi giorni). In altre parole, che i vangeli hanno il marchio di fabbrica della stessa chiesa monolitica, mai passibile di cambiamento o di scismi al suo interno. Quando in realtà è tutto il contrario. Qui posso benissimo citare Mauro Pesce senza timore di smentite, che suona come Earl Doherty su questo punto critico.
All’inizio sta la pluralità
Negli studi di storia del cristianesimo antico si è affermato sempre di più un mutamento di paradigma interpretativo, e spetta ai futuri storici di fare un’indagine che appuri l’esatto inizio di questo mutamento all’interno della nostra disciplina. Secondo questo schema interpretativo, il cristianesimo si presenta fin dall’inizio con una pluralità di gruppi con pratiche e idee religiose almeno in parte diverse. Fin dall’inizio, avremmo quindi una molteplicità di cristianesimi e non un cristianesimo unitario. Al vecchio paradigma secondo il quale il cristianesimo unitario degli inizi si sarebbe poi differenziato in una pluralità di gruppi, differenti fra loro, in modo tale che la pluralità dei cristianesimo nasce dal disgregarsi dell’unità originaria, è stato sostituito il paradigma secondo il quale all’inizio non esiste un cristianesimo unitario, ma una pluralità di gruppi cristiani differenti per pratiche e dottrine. A livello terminologico è perciò divenuto consueto parlare di “cristianesimi” al plurale. Un cristianesimo considerato maggioritario si sarebbe formato per reazione a questa pluralità, senza però riuscire mai a imporre una sola forma cristiana, in quanto la pluralità avrebbe comunque continuato ad esistere. In alcuni casi, le forme differenti di cristianesimo sarebbero rimaste marginali, mentre in altri casi la differenza sarebbe rimasta massiccia e numericamente molto consistente.

John P. Meier non ha il diritto di parlare di cosa fu imbarazzante ''alla chiesa'' perchè ''non c'era un tale animale''. C'erano più chiese, non una sola chiesa. Più cristianesimi. Non un solo cristianesimo.

Cosa era imbarazzante ad una chiesa non lo era per un'altra, e viceversa. E non sappiamo con certezza chi fu imbarazzato da chi e dove e perchè.

Addirittura un certo Craig Evans intende applicare il criterio di imbarazzo ovunque identifica una ''tradizione contraria alla tendenza editoriale degli evangelisti''. Ma cosa garantisce che quella ''tradizione contraria'', ammessa che la si individui, risalga ad un Gesù storico e non ad una diversa chiesa, o ad un anteriore credo, poi abbandonato, della chiesa più tarda?

Ecco l'esempio di John P. Meier.

Gesù grida disperato sulla croce.
Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
(Marco 15:34)

Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
(Matteo 27:46)

Così John P. Meier:
''questo sembra un chiaro caso di imbarazzo: il gemito non edificante è sostituito in Luca dalla fiduciosa raccomandazione di Cristo del suo spirito a suo Padre (Luca 23:46) e in Giovanni da un grido di trionfo (Giovanni 19:30)''.
Finalmente John P. Meier ammette controvoglia che Luca e Giovanni avevano un'agenda diversa da Marco e da Matteo. E ammette che questo grido di Gesù serviva ''ad una funzione mitico-letteraria che superava di gran lunga ogni imbarazzo che potrebbe aver generato (propriamente, l'assimilazione di Gesù alla sua morte ad una venerabile tradizione ebraica dell'''uomo giusto sofferente'')''.

Conclusione di John P. Meier: non puoi applicare qui il criterio di imbarazzo, perchè non hai a che fare con Storia, ma con il Mito.
Marco attinse dalle Scritture il particolare del grido di disperazione sulla croce, in questo modo ''realizzandole''. Perciò: nessun imbarazzo, altrimenti ti dovresti imbarazzare di Dio, che parla attraverso le Scritture, il che capisci bene che è pura blasfemia.

Ed ecco il passo falso grande come una casa del Folle Apologeta John P. Meier: aver appena concluso che non si può applicare sul grido di disperazione del Gesù di Marco il criterio di imbarazzo, e tuttavia ammettere immediatamente dopo che , è vero, i successivi evangelisti ne furono imbarazzati a tal punto da doverlo omettere perchè non sia mai che il loro Gesù fosse un debole nel momento più critico della sua missione sulla terra firma.
Quindi John P. Meier si auto-confuta da solo.

Con una punta di orgoglio posso dire di aver intuito questo stesso problema prima di leggere Proving History, parlandone con il blogger di Vridar.

Potrei immaginare un dialogo del genere tra ''Luca'' e ''Marco'':
Marco: che te ne pare, o Luca, del materiale imbarazzante introdotto apposta perchè imbarazzante, in Marco 15:34, sul Gesù disperato a morte?

Luca: penso che me ne vergogno profondamente.

Marco: ma tu lo sai che non ti dovresti affatto vergognare, perchè l'ho preso dalle Scritture (nulla di serio dunque). Vergognati di Dio, che me l'ha suggerito attraverso le Scritture, se hai coraggio!

Luca: hai ragione. In teoria non dovrei vergognarmene. Però non condivido la tua linea editoriale. Sei troppo favorevole a quel rinnegato di Paolo quindi decido di modificarti volentieri. Inoltre Gesù è diventato più divino al mio giorno.

Marco: dunque non sei veramente ''scioccato'' dall'ironia che ho veicolato apposta da un Gesù disperato sulla croce secondo parola per parola di quanto recita il Salmo, perchè sai benissimo che quel materiale imbarazzante per gli outsiders l'ho inserito perchè non veramente tale per gli insiders, in linea con l'esortazione di Paolo a comprendere ciò che gli altri, gli esterni, non comprendono affatto [2].


Luca: miserabile eretico apologeta! Ti rispondo autocitandomi in Atti 19:15: ''Conosco Gesù, e so chi è Paolo: ma voi chi siete?''
[3]
Torniamo a Carrier. 

Costui dunque fa un suggestivo accenno all'essere l'intero racconto della passione in Marco una intera creazione letteraria (come ne parlerà più diffusamente nel suo attesissimo prossimo volume) senza alcun appiglio alla sedicente testimonianza oculare, concludendo che
P(e|INVENTED) >>> P(e|HAPPENED)

che non ha bisogno di traduzione [4].
Marco sta quasi certamente inventando.
Marco non aveva imbarazzo del grido di dolore di Gesù perchè serviva al suo scopo squisitamente letterario, perchè altrimenti non avrebbe avuto alcun motivo di inserire un grido di dolore così compromettente.

Il criterio di imbarazzo fallisce clamorosamente, almeno su Marco.

Ed è un esempio dell'errore che farà ripetutamente John P. Meier: questo Folle Apologeta non capisce che non c'è alcuna differenza tra questo esempio del grido del Gesù marciano e quelli esempi dove il prete cattolico è erroneamente convinto si possa invece applicare il criterio di imbarazzo direttamente su Marco.

John P. Meier sul grido di disperazione del Gesù marciano riesce cioè a fiutare che la natura di quel grido appartiene al dominio della bibliografia di Marco, non della biografia di Gesù, nonostante le sirene che possono indurlo facilmente in tentazioni storiciste a fronte dell'''imbarazzo'' di Luca e Giovanni per quello stesso grido, e tuttavia lo stesso Meier inciamperà su altri episodi simili di Marco, credendoli storici e non mitici perchè fonte di ''imbarazzo'' alla luce delle correzioni apportate dai successivi evangelisti, nonostante si potrebbe altrettanto facilmente impugnare, per quelli episodi, una spiegazione più semplice e probabile determinando la funzione mitico-letteraria degli stessi.

Nelle parole di Carrier:
Meier quindi fallisce di applicare i suoi propri principi e conoscenza di background coerentemente. Egli sa molto bene (dal suo personale esempio del ''grido di disperazione'' di Gesù) che entrambi questa prova e questo ragionamento falliscono di implicare la conclusione intesa (che il grido è storico), e tuttavia egli ricorre esattamente a questo tipo di prova ed esattamente allo stesso ragionamento per dimostrare che altre affermazioni sono storiche, quindi impugnando un metodo che egli già sa che è invalido.
Ma andiamo più a fondo nella mente del Folle Apologeta John P. Meier: dove precisamente ha sbagliato?
Nel fare due mosse:

1) puntare il dito accusatore contro i successivi evangelisti: guardateli, dice Meier, sono chiaramente imbarazzati! Hanno corretto Marco dove suona imbarazzante!

2) i successivi evangelisti non tollerano che Dio in persona emetta un grido di disperazione sulla croce, o che parli di Sé in terza persona quasi non fosse sempre Lui, o che si faccia battezzare da un mortale!

La mossa 1 può andar bene, ma dov'è l'errore di fondo nella mossa 2 ? Nel ripetere l'errore dei successivi evangelisti alle prese con Marco: presumere erroneamente di conoscere a priori cosa un precedente autore sta facendo con una storiella.

Meier scambierà la correzione di turno apportata dai successivi evangelisti per imbarazzo di cosa dice Marco, e crederà alla storicità di Marco senza chiedersi se, come invece ha fatto benissimo nel caso del grido di disperazione sulla croce del Gesù marciano, ci possano essere altre spiegazioni per quell'apparente imbarazzo. E per giunta senza fornire spiegazioni del perchè in un caso ci vede giusto (considerando il grido non storico) e negli altri casi ci vede malissimo, quando l'evidenza sotto i suoi occhi è la stessa e il ragionamento è lo stesso nel primo caso (del grido) come in tutti gli altri (del battesimo, ecc.).

Per quanto riguarda l'imbarazzo degli altri evangelisti di cosa dice Marco in questo o quel punto, potrebbe essere o non essere reale imbarazzo, o semplice correzione letteraria, a seconda della distanza dottrinale che separava la chiesa di Marco dalle chiese degli altri evangelisti.

Personalmente penso a due concrete possibilità storiche, entrambe suggestive, che permettono di ricostruire due scenari completamente diversi tra loro:

1) se Matteo o Luca o Giovanni era di una chiesa ostile a quella di Marco, si sarebbe più volentieri imbarazzato a priori di cosa dice Marco, al di là se quanto diceva Marco di imbarazzante fosse reale testimonianza oculare o pura invenzione letteraria. Ne deriva cioè che mentre per Marco il suo vangelo era una pura fantasia o allegoria (semplicemente non sappiamo a priori), i successivi evangelisti, se si vergognavano della sua storiella, vuol dire che la prendevano per Storia e la correggevano con la pretesa di venderla come Storia. Erano in gioco le loro teologie.

2) se viceversa Matteo o Luca o Giovanni era di una chiesa tutto sommato amica o vicina a quella di Marco, allora non si può nemmeno parlare di ''imbarazzo'' del tutto, ma solo di banale correzione letteraria per riflettere meglio le nuove ''altezze cristologiche'' alle quali stava ascendendo il Gesù dei vangeli. In altre parole, al di là se i vangeli tutti fossero venduti dai loro autori come Storia o Mito (e non sempre si vende la verità), il loro Gesù doveva via via fare sempre miglior figura, perchè stava diventando Dio in persona.

Ma a questo punto, a smorzare i miei facili entusiasmi e le mie semplificazioni, subentra l'ignoranza di cui Carrier parlava prima: semplicemente non sappiamo decidere tra le due opzioni egualmente suggestive 1 e 2 perchè non abbiamo una sicura conoscenza di chi fosse veramente ''Marco'' e chi fosse veramente ''Matteo'' o ''Luca''.

Tutte le speculazioni sulle complicate partite a scacchi tra Marco, Matteo, e Luca sono, appunto, solo speculazioni. Quindi la mia saggia conclusione è di badare alla natura del testo. Non alle inconsistenze che il testo inevitabilmente si porta dietro. Le quali non significano nulla e non permettono di estrapolare un ragno dal buco.
Ma il criterio di imbarazzo avrà da fallire ancora, in un prossimo post.

[1] ricordo dal post precedente quali erano quei due prerequisiti: 

1) l'imputato è veramente nella posizione di conoscere la verità,

2) la dichiarazione dell'imputato è a tal punto contraria ai suoi interessi che non l'avrebbe mai pronunciata se non vi fosse costretto dalla consapevolezza della sua verità e dal punto 1.
[2]
Sta scritto infatti: 
Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti. 
Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti;

(1 Corinzi 1:19-27)

Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito.
 (1 Corinzi 2:14)

Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani.
 (1 Corinzi 3:18-20)

Riguardo alle carni sacrificate agli idoli, so che tutti ne abbiamo conoscenza. Ma la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica. Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna conoscere.
(1 Corinzi 8:1-2)

[3] Così Robert Price nel suo The Amazing Colossal Apostle, The Search for the Historical Paul (Signature Books, Salt Lake City, 2012):
In Atti 19:13-17, Luca decide di non concordare decisamente con la pericope del lupo solitario esorcista di Marco 9:38 e Luca 9:45-50, dove Gesù dava il benvenuto agli sforzi di un esorcista che usa il suo nome ma non è a lui affiliato:
Or alcuni esorcisti itineranti giudei tentarono anch'essi di invocare il nome del Signore Gesù su quelli che avevano degli spiriti maligni, dicendo: ''Io vi scongiuro, per quel Gesù che Paolo annunzia''. Quelli che facevano questo erano sette figli di un certo Sceva, ebreo, capo sacerdote. Ma lo spirito maligno rispose loro: ''Conosco Gesù, e so chi è Paolo: ma voi chi siete?'' E l'uomo che aveva lo spirito maligno si scagliò su due di loro; e li trattò in modo tale che fuggirono da quella casa, nudi e feriti.
In Marco e Luca, esorcisti indipendenti di successo ricevettero l'approvazione di Gesù: ''Chi non è contro di noi è per noi''. Qui abbiamo una coppia di esorcisti giudei che sembrano basati su Jannes e Jambres, che si opposero a Mosè (2 Timoteo 3:8). Come ipotizza Schonfield, c'è confusione sulla parola sheva, che significa sette, e Sceva, un nome proprio, l'essere demoniaco basato sull'indemoniato geraseno in Marco e Luca. Il punto del racconto è che nessuno se non l'eroe stesso può realizzare con successo l'impresa in questione. Non è sufficiente semplicemente invocare l'autorità dell'eroe. Gehazi non può resuscitare il figlio della Sunnamita, perfino usando il bastone di Eliseo: solo lo stesso Eliseo può (vedi 2 Re 4:31). Allo stesso modo, nessuno può esorcizzare l'epilettico sordo-muto in Marco 9 - non Giuda, Andrea, Tommaso, Bartolomeo, Simone Zelota, Matteo, Lebbeo, Giacomo di Alfeo, o Filippo (9:17-18). Solo Gesù. Quindi potremo aspettarci di vedere Paolo entrare in scena per riuscire dove la coppia di fachiri ha fallito - ma egli non lo fa! Quando le convenzioni della forma sono quindi cospicuamente violate, qualche punto è sicuramente in procinto di esser fatto, come quando Marco omette la solita acclamazione della folla dopo che Gesù guarisce la figlia di Giairo in Marco 5, rinforzando il segreto messianico (v. 43). Il punto in questo caso è che Paolo non è presente e stiamo avendo a che fare con l'eredità di Paolo -- il proprio e improprio uso di essa da coloro che, nelle successive generazioni, invocherebbero il suo nome (vedi Matteo 7:22-23).
(pag.178-179, mia libera traduzione)  
[4] ''La probabilità che dato tutta l'evidenza disponibile e quel grido di dolore è inventato è assai maggiore della probabilità che dato tutta la stessa evidenza disponibile e quel grido di dolore accadde veramente''.