Prima di trarre le conclusioni finali sul passaggio di Giacomo presente in Antichità Giudaiche 20:200 di Flavio Giuseppe, vorrei portare all'attenzione del lettore la mia libera traduzione in italiano di un articolo piuttosto recente di Ken Olson, l'accademico noto al grande pubblico per essere un convinto assertore della totale falsità del Testimonium Flavianum. Si tratta di un articolo (K. Olson, A Eusebian Reading of the Testimonium Flavianum, 2013, disponibile qui nella versione integrale) la cui lettura ha subito insinuato il dubbio fra quelli accademici che fino a quel momento si limitavano a ripetere il solito appello al consenso (ossia che ''la maggioranza degli studiosi ritiene autentico solo un archetipo del Testimonium Flavianum''), portandoli a coming out davvero sorprendenti, come questo:
Nella mia traduzione ho cercato di essere il più fedele possibile al testo originario, omettendo di riportare la traduzione delle note a piè di pagina per non appesantire la lettura. Chi vuole leggere direttamente l'originale è libero di farlo qui. Ho diviso l'articolo in tre post per renderne più comoda la comprensione.
Ken, thanks for this interesting post! I confess my guilt in being one of the people who have simply repeated scholarly consensus in publication! You've given us much to ponder. All that oversight is good for your PhD, though!Perchè ci tengo a farvi leggere questo articolo, dunque? Perchè non solo vorrei contribuire, nel mio piccolo, a sfatare la leggenda apologetica piuttosto diffusa nella blogosfera (ad opera dei soliti apologeti) di un immaginario Testimonium Flavianum scampato agli interpolatori e perciò confermante ipso facto un ''Gesù storico'', ma per un motivo decisamente più serio: mi rendo conto, infatti, che perfino accademici italiani reputati ''studiosi seri e competenti'', come Enrico Norelli, hanno espresso nei loro articoli la seria intenzione di (far finta di) ridiscutere la questione della storicità di Gesù a partire dalla certezza che vi sia un genuino Testimonium Flavianum, sia pure solo parzialmente autentico, nel libro 18° delle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio. Ecco un piccolo esempio del chiaro intento apologetico nelle parole di Norelli, nel propinarci la favola di un Testimonium Flavianum parzialmente autentico:
...alcune obiezioni avanzate da Norelli nei confronti di Dunn. Stante il fatto che non esistono «fonti neutre relative a qualche personaggio della storia, e meno che mai per l’antichità», e che questo non ha mai impedito la ricostruzione di altre figure storiche, ci si può chiedere se sia corretto liquidare in poche righe, come sembra fare Gaeta, l’importanza e l’esistenza stessa di fonti «non di parte»: malgrado il loro numero esiguo, o proprio in ragione di esso, queste dovrebbero essere attentamente riconsiderate in sede storica (Norelli porta gli esempi di Flavio Giuseppe o di Tacito).Da un accademico ci si aspetta che abbia letto in teoria tutti i libri e le confutazioni dei libri che sono pro e contro una determinata tesi: poiché perfino Enrico Norelli, come tutti gli apologeti e i teologi travestiti da ''storici'' con tanto di ''cattedra'' universitaria, mostra chiaramente di essere all'oscuro degli argomenti contro l'autenticità parziale del Testimonium Flavianum, è giusto fare una salutare opera di illuminazione delle menti.
(citazione presa da ''«Iuxta propria principia». Note a margine del Gesù moderno di Giancarlo Gaeta'', disponibile qui, mia enfasi)
Nella mia traduzione ho cercato di essere il più fedele possibile al testo originario, omettendo di riportare la traduzione delle note a piè di pagina per non appesantire la lettura. Chi vuole leggere direttamente l'originale è libero di farlo qui. Ho diviso l'articolo in tre post per renderne più comoda la comprensione.
Una Lettura Eusebiana
del Testimonium
Flavianum
(Ken Olson, 2013)
Nella sua elogiativa Vita di
Costantino, scritta quasi dopo la morte dell'imperatore avvenuta
nel 337, Eusebio di Cesarea fornisce un resoconto della battaglia
combattuta da Costantino contro il suo collega e rivale, Licinio,
l'imperatore della parte orientale dell'impero. Eusebio presenta un
discorso che pretende Licinio abbia fatto alle sue truppe appena
prima che fu sconfitto in battaglia da Costantino. Eusebio fà dire a
Licinio:
L'occasione presente proverà quale di noi è in errore nel suo giudizio, e deciderà tra i nostri déi e quelli che i nostri avversari professano di onorare. Infatti o dichiarerà la vittoria dei nostri, e così molti giustamente evinceranno che i nostri déi sono i veri salvatori e benefattori; o altrimenti, se questo Dio dei seguaci di Costantino, che viene da dove non sappiamo, risulterà superiore alle nostre divinità (che sono numerose, e in fatto di numeri, almeno, hanno il vantaggio), che nessuno dubiti da qui in poi di quale dio dovrebbe adorare, ma unisca sé stesso senza esitazione al potere superiore, e attribuisca a lui gli onori della vittoria. Supponi, allora che questo strano Dio, che ora consideriamo ridicolo, dovesse davvero risultare vittorioso; allora veramente dobbiamo riconoscergli e tributargli onore, e così offrire un lungo congedo a quelli per i quali abbiamo illuminato i nostri ceri invano. Ma se i nostri déi trionfano (come senza dubbio faranno), allora, nella misura in cui abbiamo assicurato la presente vittoria, che si prosegui noi la guerra senza esitazione contro questi spregiatori degli déi.Eusebio Vita di Costantino 2.5.3-4
Eusebio poi assicura i suoi lettori:
''Tale fu il suo discorso a quelli presenti. L'autore della presente
opera ricevette questa informazione subito dopo da quelli che
ascoltarono personalmente le sue parole'' (Eusebio, Vita 2.5.5).
Gli studiosi moderni sono stati a lungo scettici riguardo al discorso
di Licinio ricordato da Eusebio. Alcuni hanno difeso Eusebio
affermando che lui meramente riporta in buona fede cosa gli dicevano
le sue fonti. Nella ricerca recente, comunque, sembra esserci una
propensione tra i commentatori ad attribuire la composizione del
discorso di Licinio allo stesso Eusebio. Nella loro traduzione del
1999 e commentario sulla Vita di Costantino, Averil Cameron e
Stuart Hall commentano:
Eusebio pretende (2.5.5) di aver sentito del discorso di Licinio (2.5.2-4) subito dopo da quelli realmente presenti, sebbene non lo abbia affatto menzionato nella sede adatta in Storia Ecclesiastica 10.9; molto probabilmente si tratta di una sua personale invenzione. Egli utilizza il discorso ai fini di illuminare il carattere religioso del conflitto, e fa ammettere allo stesso Licinio che la sua disfatta proverà la verità del cristianesimo.
Se Cameron e Hall sono corretti,
Eusebio fornì la sua personale presunta testimonianza esterna alla
verità del cristianesimo. Potrebbero esserci stati altri casi dove
Eusebio ha impiegato questa tecnica di prosōpopoeia,
“face-making” (o “lavorazione del carattere”), per promuovere il
suo personale argomento sotto la voce altrui?
Questo ci porta all'argomento di questo
capitolo. Nella corrente ricerca, il breve passaggio su Gesù trovato
nei manoscritti delle Antichità di Giuseppe, chiamato
Testimonium Flavianium (Antichità 18.63–64) è
spesso considerato una fonte indipendente riguardo il Gesù storico.
Questo lo colloca insieme al vangelo di Marco e a Giovanni e
all'ipotetico documento Q come una delle numerose fonti a cui
potrebbe essere applicato il criterio di multipla attestazione.
Questo criterio, comunemente considerato uno dei più forti dei
criteri di autenticità usati nella ricerca del Gesù storico,
prevede che ogni dato trovato in più di una fonte indipendente è
più probabile che sia storico. Parti del Testimonium sono
usate comunemente nella ricerca del Gesù storico come prova a
sostegno della ricostruzione dei vari aspetti della carriera di Gesù,
specialmente quelli aventi a che fare con la sua attività
taumaturgica, il suo insegnamento, e il suo processo ed esecuzione.
Il passaggio è stato controverso per
qualche tempo. C'è qualche evidenza che il Testimonium sia
stato rifiutato dagli ebrei nel Medioevo, ma poichè questa evidenza
giunge attraverso fonti cristiane di seconda mano, non abbiamo
un'idea particolarmente buona riguardo al motivo per cui agirono
così. Nel sedicesimo secolo, alcuni studiosi cristiani iniziarono a
rifiutare il testo sulla base del fatto che sembrava essere una
confessione cristiana di fede assai inconsistente con cosa l'ebreo
non cristiano Giuseppe dice altrove nelle sue opere. Alcuni antichi
interpreti cercarono di riconciliare questa discrepanza suggerendo
che Giuseppe in realtà confessò la verità a proposito di Gesù e
tuttavia continuò ad essere un ebreo e non un cristiano.
Pochi studiosi ricorrerebbero a tale
spiegazione oggi. Più comunemente, studiosi che desiderano
trattenere il Testimonium come
autentico testo flavianeo hanno adottato uno solo o
entrambi di due metodi. Il primo consiste nell'interpretare il testo
in modi che sembrano meno cristiani o perfino ostili verso Gesù.
Mediante questo metodo di interpretazione, Giuseppe potrebbe aver
scritto il testo, ma esso non significa cosa i cristiani pensarono di
esso prima dell'Illuminismo. Giuseppe potrebbe aver inteso che almeno
alcune parti del testo, specialmente quelle che altri hanno preso
come confessioni cristologiche, fossero da dover leggere
ironicamente. Il secondo metodo consiste nell'alterare il testo, di
solito mediante omissione del materiale più chiaramente cristiano, e
possibilmente alterando o aggiungendo materiale così che il
passaggio diventi più negativo verso Gesù e il cristianesimo.
Probabilmente l'opinione dominante sul Testimonium Flavianum
nella recente ricerca del Gesù storico segue il secondo metodo e
suppone che il testo ricevuto non sia cosa scrisse Giuseppe, ma che
possiamo recuperare cosa scrisse Giuseppe correggendo a suon di
congetture il passaggio. Rimuovendo le tre dichiarazioni palesemente
cristiane dal testo, siamo lasciati con un ''nucleo'' testuale che è
flavianeo nel linguaggio e non-cristiano nel contenuto. Questo è
l'approccio preso da John Meier nel suo trattamento ampiamente citato
e influente della questione nel primo volume di A Marginal Jew:
Rethinking the Historical Jesus. Questo approccio è seriamente
difettoso. Il testo non si divide facilmente in sezioni cristiane e
non-cristiane sulla base del linguaggio o del contenuto. Sia il
linguaggio sia il contenuto hanno vicini paralleli nell'opera di
Eusebio di Cesarea, che è il primo autore a mostrare una qualche
conoscenza del testo. Eusebio cita il Testimonium in tre delle
sue opere esistenti: la Dimostrazione del Vangelo 3.5.106, la
Storia Ecclesiastica 1.11.8, e la Teofania 5.44. La più
probabile ipotesi è che Eusebio o compose l'intero testo o lo
riscrisse così completamente da rendere impossibile ora recuperare
un originale flavianeo. Mentre difende la sua affermazione che questa
descrizione sommaria di Gesù non è concepibile in bocca ad un
antico cristiano, Meier chiede: ''Quale sarebbe il punto di
un'interpolazione cristiana che farebbe affermare a Giuseppe l'Ebreo
una tale e imperfetta considerazione del Dio-uomo? Cosa intenderebbe
ottenere uno scriba cristiano mediante una tale asserzione?'' Questa
è una eccellente domanda e una che merita una risposta. La domanda
stessa rivela un'assunzione chiave fatta da Meier e altri studiosi
che hanno esaminato la questione. Essi assumono che l'interpolazione
(o le interpolazioni) nel testo di Antichità 18 fu composta
dagli scribi impegnati nella copiatura dei manoscritti di Giuseppe e
apparve per prima nel suo presente contesto tra Antichità
18.62 e 18.65. Questo è possibile, ma c'è un'alternativa più
probabile. Il passaggio si adatta meglio nel più esteso contesto
letterario che ecco occupa nell'opera di Eusebio. Eusebio utilizza il
passaggio come parte di un esteso argomento che lui fa nella
Dimostrazione e più tardi riproduce nella Teofania. In
questo contesto, il Testimonium suona davvero diverso dal modo
in cui suona quando Meier e altri studiosi lo leggono come opera di
Giuseppe. La teoria della paternità flavianea controlla la loro
interpretazione del testo. Io perciò offro una diversa lettura del
testo che illumina cosa il testo potrebbe significare nel contesto
dell'opera di Eusebio. Eusebio scrisse la Dimostrazione per un
pubblico cristiano, sia per istruirli nella verità della fede
cristiana sia per contrastare le critiche pagane ed ebraiche del
cristianesimo. Tra i critici pagani a cui stava rispondendo Eusebio
figura Porfirio di Tiro, ma tra loro si contava pure Ierocle,
contemporaneo di Eusebio, e il più antico critico Celso. La tecnica
retorica di Eusebio è di presentare i criticismi fatti dai critici
pagani del cristianesimo in forma anonima. Egli cita esplicitamente
Porfirio numerose volte, ma sempre per stabilire un punto a favore
del cristianesimo. Questo rende difficile conoscere esattamente quale
critico realizzò il criticismo a cui sta rispondendo Eusebio, tranne
quando quel criticismo può essere documentato da una fonte esterna.
Nella Dimostrazione, Eusebio sta rispondendo all'argomento che
il cristianesimo sia un credo insensato. I cristiani non solo
abbandonarono le tradizioni greche dei loro antenati ma, avendo
adottato le scritture degli ebrei, abbandonarono pure il Giudaismo,
ed interpretano erroneamente le scritture ebraiche e le profezie
messianiche ivi contenute riferendole non agli ebrei ma a sé stessi.
Eusebio utilizza la Dimostrazione per difendere la
rispettabilità intellettuale del cristianesimo. Il principale
argomento dell'opera è che Gesù e il cristianesimo sono davvero il
soggetto delle scritture ebraiche e della realizzazione delle loro
profezie. Nel Libro III della Dimostrazione, il libro in cui è
trovato il Testimonium, Eusebio si sta impegnando in una
estesa difesa dell'incarnazione rispondendo alle accuse dei critici
del cristianesimo. Una di quelle è l'argomento di Porfirio contro la
divinità di Gesù. Scostandosi dagli altri critici pagani come Cleso
che avevano disprezzato Gesù, Porfirio disse che Gesù fu soltanto
uno dei saggi uomini degli ebrei, ma che i cristiani lo avevano
erroneamente preso per divino. Porfirio attribuisce la sua
informazione agli oracoli degli déi Apollo ed Ecate. Eusebio cita
una forma troncata di un oracolo nel capitolo finale del Libro III,
ma noi possiamo stabilire un più esteso testo di quelli oracoli a
partire da citazioni di Agostino nella Città di Dio 19.23 e
di Lattanzio nelle Istituzioni Divine 4.11. Cosa Eusebio sta
cercando di dimostrare nel Libro III è che Gesù possiede non solo
una natura umana, ma pure una natura divina. Egli procede a far
questo dimostrando che la venuta di Gesù come Cristo fu predetta
nelle profezie, che lui non fu un impostore ma un maestro di vere
dottrine, che eseguì imprese sovrumane, e che non eseguì quelle
imprese mediante sortilegio. Alla fine del Libro III, Eusebio
conclude che un uomo che non fu un mago ma un uomo di buon carattere
(come Porfirio stesso concedeva che fosse), che tuttavia poteva
operare meraviglie al di là dell'umana abilità, deve
necessariamente essere stato sovraumano nella sua natura. In quanto
una testimonianza ostentatamente indipendente del fatto che l'uomo
Gesù non fosse meramente umano nella sua natura ma realizzò le cose
predette a proposito del Cristo nelle profezie, il Testimonium
rappresenta un incapsulamento dell'argomento di Eusebio. Esso perciò
ha il suo più plausibile Sitz-im-Leben nelle controversie
pagano-cristiane del quarto secolo. Questo fu il periodo in cui la
questione se Gesù fu veramente un uomo saggio o qualcosa di più era
sul punto di venir discussa. La prima metà del Testimonium
sembra considerare precisamente questa questione. Mentre i
manoscritti e le testimonianze esterne contenfono significative
varianti, per semplicità io fornirò una traduzione del testo basata
sulla edizione critica di Niese delle Antichità di Giuseppe,
con in corsivo le sezioni che Meier ritiene essere interpolate:
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: perchè era autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a se molti Giudei e anche molti dei Greci. Egli era il Cristo.
Meier pensa che “Egli
era il Cristo” è un'interpolazione, sia perchè è
chiaramente una professione di fede cristiana sia perchè ''sembra
fuori posto nella sua posizione presente e disturba il flusso del
pensiero. Se fosse stata presente veramente, ci si aspetterebbe la
sua occorrenza immediatamente dopo o ''Gesù'' oppure dopo ''saggio
uomo'' dove un'ulteriore identificazione avrebbe senso''. Ma la
lettura di Meier non rende giustizia al testo come sta. Meier è
piuttosto corretto nel dimostrare che la dichiarazione “Egli
era il Cristo” sia una palese confessione cristiana, ma la
sua asserzione che essa sia fuori dalla sequenza nella sua posizione
attuale manca di riconoscere la logica interna del passaggio. Il
Testimonium inizialmente etichetta Gesù un uomo saggio, ma
poi immediatamente dopo pone in discussione se la parola ''uomo'' sia
adeguata a descriverlo, e offre tre ragioni per fare così: primo,
“perchè era autore di opere straordinarie”; secondo, perchè fu
“maestro di uomini che accolgono con piacere la verità”; terzo,
perchè “attirò a se molti Giudei e anche molti dei Greci”.
Immediatamente seguendo quei tre fatti circa Gesù, il Testimonium
dichiara: “Egli era il Cristo”.
continua...