lunedì 30 dicembre 2013

Gesù è ''storico'' come Talete: il profondo Errore Metodologico di John P. Meier e l'evidente Agenda Apologetica che lo anima

Lo storico, secondo John P. Meier, affronta, essenzialmente, due difficoltà: determinare cosa è ''reale'', e cosa è ''storico''. La conoscenza della storia non è la stessa cosa della conoscenza del reale, poichè la storia è solo una ricostruzione teorica e artificiale filtrata dai documenti disponibili. Il reale invece è ciò che veramente è accaduto nel passato. La storia è tanto più ''vera'' e ''certa'', quanto più interseca il dominio del reale, anche se la piena identificazione tra la storia (fenomenica) e il reale non si raggiungerà mai. Perchè è il reale ad essere in ultima istanza irraggiungibile, una specie di noumeno kantiano. Come omaggio al relativismo post-moderno, non è male.
Ne consegue che lo storico, per Meier, ha lo stesso problema nel conoscere qualcosa sul Gesù ''reale'' e nel riconoscere qualcosa sul ''reale'' Reagan. E ha lo stesso problema nel conoscere qualcosa sul Gesù ''storico'' e nel riconoscere qualcosa del Talete ''storico'' o dell'Apollonio di Tiana  ''storico''.
D'altra parte, possiamo avvicinarci di più al Reagan ''reale'' di quanto possiamo fare rispetto al Talete ''reale'', perchè abbiamo una gran quantità di materiale disponibile su Reagan, i suoi scritti autentici, i suoi discorsi registrati, le sue interviste rilasciate, i resoconti contemporanei, le notizie, i memoriali, le dicerie dell'epoca, gli archivi, e così via, laddove invece tutto ciò che sappiamo di Talete viene da riferimenti a lui e alle sue idee recuperati in pochissime opere antiche da parte di altri autori, come Aristotele e Diogene Laerzio. Ma il Reagan ''reale'' ancora si nasconde alla nostra vista, e cosa abbiamo tra le mani sono solo vari Reagan ''storici'', tanti quante sono le interpretazioni dei vari storici.

Così gli atei possono figurarsi il Gesù ''reale'' secondo i loro gusti: un ridicolo e allucinato predicatore apocalittico fallito delirante e schizofrenico. E parimenti gli apologeti possono essere liberi di immaginare nella ghiandola pineale di cartesiana memoria del Gesù ''reale'' il link diretto nientemeno alla Seconda Persona della Trinità, o qualcosa del genere. L'ascia di guerra è seppellita, apparentemente.

Eppure, scrive il Meier:
 ''la difficoltà di conoscere qualcosa su Gesù deve essere situata nel più grande contesto della difficoltà di conoscere qualcosa circa Talete, Apollonio di Tiana, o qualsiasi altro personaggio dell'Antichità'' [1]. 
Siamo evidentemente meno capaci di costruirci un Talete ''storico'' o un Gesù ''storico'', perchè i materiali su entrambi, come sulla maggior parte delle figure antiche, sono scarsi e limitati.

Si presti la dovuta attenzione a come opera l'argomento del Meier.

Passo 1: il ''reale'' è più difficile da recuperare rispetto allo ''storico'' ed è essenzialmente inconoscibile, una sorta di noumeno kantiano: come con Gesù, così con Reagan.
Passo 2: lo ''storico'' diventa più difficile da valutare nella misura in cui il soggetto in questione è assai remoto nel tempo: come con Gesù, così con Talete.

Una conseguenza esiste da questo doppio confronto, ed è che Gesù è tanto reale quanto Reagan e tanto storico quanto Talete, ma il punto esplicito è che ci sono meno dati di ''realtà'' su Gesù che su Reagan, ed egualmente meno dati ''storici'' su Gesù che su Talete. E allora scopro che la prima questione da esaminare da ogni libro che parla del ''Gesù storico'' -- la questione se Gesù è esistito o non è esistito -- deve essere sbrigativamente e puntualmente elusa ridicolizzandola a dovere. E perchè? Perchè, mi viene risposto, la ''realtà'' è impossibile da recuperare, ed è possibile ma difficilissima la ricostruzione della ''storia'', così dobbiamo assumerle entrambe per Gesù, come facciamo con Reagan e con Talete.




Ma vado ad esaminare più in profondità l'implicazione che Gesù è tanto ''storico'' quanto Talete, e che i dati storici disponibili su entrambi sono in egual misura assai scarsi. In generale, mi sembra pacifico che tutte le figure antiche siano difficili da documentare, e occupano uno status ''storico''  relativamente più difficile da immaginare rispetto a figure storiche più recenti. Ma l'equazione tra il Gesù storico e il Talete storico è ad un tempo imprecisa ed errata, poichè trascura un principio fondamentale di criticismo letterario che impone una distinzione tra le due figure.

L'equazione è imprecisa perchè il tipo di letteratura che abbiamo riguardo Gesù è qualitativamente diversa dal tipo di letteratura che abbiamo circa Talete.

E l'equazione è errata perchè colloca Gesù sullo stesso livello di storicità occupato da Talete, quando un esame obiettivo e imparziale dello stato dell'evidenza, che tenga conto debitamente delle reali differenze nella qualità della letteratura su ciascuna delle due figure, non va affatto a collocare Gesù e Talete sullo stesso livello di storicità verificabile da occhi moderni.

I critici letterari sono soliti confrontare opere letterarie tra di loro per meglio distinguerli e spiegare le loro differenze. Se si applica un confronto serrato del genere ai vangeli (la principale informazione, per Meier, su Gesù di Nazaret, e io aggiungerei l'unica indipendente, poichè il Testimonium Flavianum e il Testimonium Taciteum sono tutte probabilmente interpolazioni cristiane, se non notizie di seconda mano)  e alla Vita di Talete scritta da Diogene Laerzio (la principale informazione su Talete disponibile), arrivo a comprendere che quelle opere non sono neppure lontanamente simili nella loro natura letteraria e nel loro obiettivo.

Ovviamente, i vangeli sono pieni zeppi di miracoli, offerti al lettore per persuaderlo a credere più volentieri. La trasformazione dell'acqua in vino, la quiete della tempesta, il camminare sulle acque, la trasfigurazione, i miracoli, le resurrezioni, gli zombi, le ascensioni al cielo, ecc., ecc. Tutte storie conosciute ai cristiani, mentre quasi nessuno legge Diogene Laerzio. Ma al di là dell'accuratezza di Diogene Laerzio, balza subito all'occhio che i suoi fatti sono ovviamente di una natura differente dai ''fatti'' del vangelo, e sono presentati in uno spirito del tutto diverso.

Non ci sono miracoli in Diogene Laerzio.

Invece dei miracoli, veniamo a sapere i nomi dei genitori di Talete, il suo probabile luogo d'origine, i nomi dei suoi trattati sull'astronomia, le sue dottrine filosofiche basilari, le sue scoperte e i suoi esperimenti (come la misurazione dell'altezza delle piramidi), e robe del genere. E per tutto il tragitto, Diogene Laerzio non fa altro che rivelare le fonti della sua informazione su Talete: Platone, Aristotele, Ippia, Pamfila, Ieronimo, Eleusi, Alexo, Ermippo, e tanti altri. Mentre è vero che quelle fonti non possono essere verificate perchè tutte desolatamente perdute, la tecnica dell'attribuizione di ciascuna informazione alla fonte corrispondente è osservata costantemente in maniera non dissimile da un articolo accademico scientifico dei giorni nostri. E la stessa calma che rassicura il lettore di quest'ultimo quando ad esempio si accorge chi viene citato in bibliografia a supporto di cosa vien dato per scontato senza dimostrazione, si ritrova leggendo Diogene Laerzio. L'accademico e lo scienziato che scrivono articoli da sottoporre alla peer-review non richiedono affatto dai lettori una cieca fede in quanto da loro scritto, e nè necessitano di re-inventare la ruota, e pertanto indicano adeguatamente opportuni puntatori al lettore desideroso di verificare o condurre personalmente la sua verifica personale. Solamente Luca tra gli evangelisti adopera un linguaggio di gran lunga vagamente rassomigliante al linguaggio dell'attribuizione, e lo fa solo all'esordio del suo vangelo:
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola,
(Luca 1:1-2)
Anche in Luca il linguaggio della narrazione è assai più simile al linguaggio tipicamente associato ai raccontastorie: 
Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria,
(Luca 1:5)
 E i ''testimoni'' di Luca sembrano essere testimoni di qualcosa che potrebbe o non potrebbe riferirsi ad eventi reali: quindi ''testimoni e ministri della Parola''.

Il critico letterario di oggi riconoscerebbe all'istante e troverebbe significativo il fatto che i vangeli da una parte, e la Vita di Talete a cura di Diogene Laerzio dall'altra, sono due tipi di libri totalmente diversi, la cui natura conduce a diverse conclusioni sulla affidabilità dei ''fatti'' presentati da ciascuna. È sicuramente ironico e paradossale che John P. Meier presenta un finto ossequio ad una istanza di questo principio del criticismo letterario, senza applicarlo veramente ai vangeli nel loro complesso, quando scrive:
Il criticismo letterario contemporaneo fornisce un salutare monito rammentandoci di interrogare cos'è la funzione letteraria di un verso o di una pericope nell'opera più grande prima di dichiararla frettolosamente una fonte affidabile di informazione storica [2].
Meier quindi intende limitare il ruolo del critico letterario all'analisi delle parti all'interno degli interi, rifiutandosi di commentare debitamente le differenze tra interi, eppure ha appena concesso che la percezione della funzione ha un legame stretto con la considerazione di cosa va inteso ''fatto'' storico. E tuttavia sfortunatamente lo stesso John P. Meier rinnega quella cortesia intellettuale appena ostentata con quelle parole, dichiarando dogmaticamente che il riconoscimento della natura letteraria di un testo non ha assolutamente nulla da dire nella determinazione di cosa è o non è Fatto storico.

Poichè John P. Meier non è un critico letterario, i suoi lettori potranno perdonarlo.

Ma i lettori onesti non potranno mai perdonarlo quando scoprono che il suo ridimensionare il criticismo letterario, unito alla sua errata equazione di Reagan/Talete/Gesù, è meramente parte di una ben nota politica apologetica già ampiamente collaudata nella ricerca del Gesù storico, dove una metodologia pseudo-storica si pone sfacciatamente al servizio della teologia e della fede religiosa.

Questa politica parte in pompa magna con la sottolineatura della povertà relativa delle fonti storiche a disposizione -- i limiti di Tacito, la problematicità del Testimonium Flavianum, la fantomatica fonte Q e l'ancor più fantomatica tradizione orale, i vangeli apocrifi (soprattutto quelli) -- per poi concludere, inevitabilmente e puntualmente:
I quattro vangeli canonici risultano essere i soli grandi documenti contenenti blocchi significativi di materiale adeguato ad una ricerca del Gesù storico. [3]
Questa sarà sempre la conclusione di coloro che nascondono un interesse nella storicità di Gesù, ma il cui interesse è di fatto tutto teologico e apologetico.

E perchè, di grazia, il Gesù storico si deve pescare dai quattro vangeli canonici e non dai vangeli apocrifi? Quanto a questi ultimi, la prevedibile obiezione va a puntare il dito inquisitorio sui loro innumerevoli passi dove il Gesù bambino crea con la creta 12 uccelli, per farli volare cinguettando al solo batter le mani, oppure dove il falegname Giuseppe sta allestendo una bara per un uomo ricco, e avendo solo due travi troppo corti, se li vede allungare magicamente della lunghezza esatta grazie al pronto intervento del bimbo Gesù. Il Folle Apologeta per una volta ci vede giusto, quando riconosce che materiale del genere è ovviamente solo il prodotto della fervida immaginazione di un pio e devoto cristiano, e quindi può essere rifiutato come una fonte valida di informazione sul Gesù storico.
Difficilmente c'è bisogno di far notare che i vangeli canonici contengono racconti  non meno miracolosi, e che la descrizione appena data calza loro a pennello, di essere cioè ''solo il prodotto della fervida immaginazione di un pio e devoto cristiano'', e tuttavia non sono affatto, a dire il vero, rifiutati come ''una fonte valida di informazione sul Gesù storico'' dal Folle Apologeta.

In questo caso, l'errore non è quello di un John P. Meier o di un Mauro Pesce, cioè l'incapacità di distinguere tra due diversi tipi di libri, bensì consiste nel creare una falsa dicotomia tra due tipi di libri (i vangeli canonici e i vangeli apocrifi) che sono ovviamente (e significativamente) simili. Senza dubbio si possono evidenziare delle differenze tra i vangeli canonici e i vangeli apocrifi, ma di certo quella distinzione non può essere sottolineata denunciando solamente la presenza di un ''episodio'' miracoloso. Perchè, se ''eventi'' del genere smentiscono l'affidabilità di un vangelo apocrifo, devono parimenti smentire l'affidabilità di un vangelo canonico.

Ma chi glielo dice ai Folli Apologeti?

[1] A Marginal Jew, pag. 24.

[2] A Marginal Jew, pag. 12.

[3] A Marginal Jew, pag. 139.