mercoledì 12 novembre 2025

Gerard Bolland: IL VANGELO — Un ‘rinnovato’ tentativo di indicare l’origine del cristianesimo 2:18

 (segue da qui)


La riconciliazione, non con il Signore giusto, ma con il Padre celeste, in comunione di Spirito santo: questo è, fin dalle origini, la differenza tra il Mosaismo legalista e il Gesuanesimo evangelico. Nell'antica letteratura greca la divinità appare concepita in molti punti come Padre; così, ad esempio, in Omero, Iliade 1:503.544; 2:371; Esiodo, Theog. 36.71-72.542; Eschilo, Suppl. 86-101.139; Sept. 116; Trach. 275; Pind. Isthm. 5:54. E in particolare nella Stoà, sistematicamente “panteistica”, la comunanza di essenza tra il finito e l’Infinito fu proclamata come “paternità” della divinità, il che, nell’ellenismo di ebrei alessandrini, divenne il punto di partenza dei “Minim”, cioè del vangelo ebraico teosofico e gnostico. Si confronti qui, fra l’altro: D.L. 7:147; Filone, De leg. alleg. 2:17; De sacr. Ab. et Cain. 9; Vit. Mos. 3:39; De prof. et poen. 6; Musonio in G. Stob. Flor. 79:51; Epitteto Diss. 1:3,1; 1:9,7; 1:13,3; 3:22,82; Massimo di Tiro, Diss. 17:5. Da pensare, inoltre, che in accordo con Matteo 5:9.45; 6:9 ecc., secondo il vangelo alessandrino, non è per caso “Dio” (Marco 10:18) ma il Padre (Giustino, Dial. 101) a essere buono. Che poi già da subito la dottrina trinitaria del vangelo degli (alessandrini) Egiziani (cf. Epifanio, Haer. 62:2) e della successiva Chiesa cattolica sia sorta come un superamento del Mosaismo, in relazione con lo Stoicismo, originariamente spiegabile non per la massa dei membri psichici della comunità ma soltanto per gli iniziati “Minim” – e perciò manifestatasi anzitutto presso i cosiddetti “Naasseni” (Ippolito 5:8) – lo si può sospettare già in D.L. 7:137-138. In ogni caso, tra la concezione “gesuana-chrestiana” e il mondo di pensiero stoico ci sono numerosi punti di contatto; il terzo evangelista, per fare solo un esempio, ha in comune con Epitteto (Diss. 3:1,15) un “ritorno a sé stessi” (Luca 15:17), che è sicuramente altrettanto ellenistico quanto il mondo concettuale evangelico, che si dice provenuto dalla terra di Israele, difficilmente può aver avuto da quella terra le mandrie di porci di Matteo 8:30, o il giudizio dei morti insinuato in Luca 16:22-24 da un altro luogo che non fosse l’Egitto. All’osservazione di Epitteto, che la legge di Dio è molto giusta (Diss. 1:29,13), rimanda anche Romani 7:7; e se Epitteto, con Diogene, afferma che la morte non è un male, l’autore di 1 Corinzi 15:55 lo ha fatto intendere persino meglio. Se Epitteto si è chiesto, in un’occasione a Roma (Diss. 2:16,18), “come” sia la legge divina, ai Galati (3:19) la domanda viene posta, da parte di “Paolo”, riguardo “a che scopo” serva la legge giudaica. Se questo “Paolo” – che in Romani 12:19; 13:14 e 2 Corinzi 12:5 si esprime come Seneca – fu ancora per un certo tempo membro della sinagoga, avrà nondimeno udito di rado la legge giudaica chiamata Torà. Epitteto ha considerato come suo compito di tutta la vita glorificare Dio con inni (Diss. 3:26,30); egli parla di un dovere di cantare a Dio l’inno che egli fa iniziare con “Grande è Dio” (Diss. 1,:16,17). E in Efesini 5:12 e Colossesi 3:16 non ci si ferma ai salmi giudaici, ma si consiglia l’uso di salmi, inni e canti spirituali. Invano, presso i nostri fortemente giudaizzanti “Riformati” che invocano “Signore, Signore” !

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