(segue da qui)
IV.
Ascensione e Resurrezione.
Ogni religione ha le sue difficoltà e i suoi dilemmi, e il Cristianesimo in particolare ne è pieno. Questo non verrà nascosto qui.
Come sta la questione, dunque, se le persone destinate alla beatitudine siano subito felici dopo la morte o se rimangano in uno stato di sonno fino al giorno del giudizio?
La Chiesa cattolica ha combinato entrambe le opinioni: secondo essa, subito dopo la morte si viene giudicati e si va in paradiso, all’inferno o in purgatorio, mentre nel giorno del giudizio finale avverrà un secondo giudizio, in una sorta di spettacolo teatrale sulla grande pianura.
Tuttavia, queste sono due rappresentazioni molto diverse, che non possono essere combinate senza sminuire il valore della prima opinione.
L’idea di un’ascensione dell’anima al cielo è, in realtà, di origine teosofico-gnostica e proviene dai misteri, il cui potente influsso non ha risparmiato neppure Aristotele. Sebbene egli, a differenza di Platone, non esponga pensieri allegorici, né favole o mitologie, una sua affermazione punta chiaramente in quella direzione: il riconoscimento che il pneuma dell’anima è fatto di materia stellare. Infatti, nel suo “Sulla generazione degli animali” (2:3), Aristotele afferma che lo spirito vitale della sua psyche o anima – il principio della vita e il calore che la caratterizza – deriva proprio da questa materia stellare. [1] Inoltre, nella sua Metafisica, riconosce gli astri come dèi! [2]
E proprio questo appare peculiare, se confrontato con il suo approccio estremamente astratto alla questione dell’anima, tanto che nel Medioevo fu persino deriso per la vaghezza delle sue teorie.
Alla domanda su come Aristotele sia giunto a questa convinzione, la risposta è che egli ha ipotizzato l’esistenza di una quinta essenza, una sostanza distinta dai quattro elementi classici: terra, acqua, fuoco e aria. [3] Gli astri, infatti, dovevano pur essere qualcosa! Erano visti come una sorta di fuoco celeste o manifestazioni particolari di una sostanza luminosa, che nei misteri era personificata in Phanes, l’essere di luce. Bisogna ricordare che, nel pensiero primitivo dei Greci, realtà e verità simbolica non erano concetti distinti. Non si percepiva una netta differenza e non si tracciava alcuna separazione.
Così, ad Alessandria, la teosofia ermetica ormai invecchiata si pone la domanda: “Cos'è il vero?” (Parthey 13:6), per poi rispondere con una definizione che è più che immaginifica: “Ciò che può essere afferrato da sé”.
In questo modo, Phanes, l’essere di luce, esisteva realmente, e Aristotele lo chiamò etere, sostanza che avrebbe dovuto spiegare la natura della luce. Egli affermava inoltre che la pura consapevolezza, il pensiero attivo, è l’unica cosa che entra nell’uomo dall’esterno come principio divino: “hominis intelligentiam, quae quinta pars soli homini concessa est ex aethere” – così afferma l'Asclepio ermetico (41:18). [4]
L’intento di Aristotele era quello di migliorare la dottrina filosofica, ma ciò che egli cercava di migliorare era in realtà la concezione teosofica secondo cui il pneuma dell’anima proviene dal regno astrale, dalla volta celeste eterea. “Ciò che è nato dal seme etereo ritorna al polo celeste”, aveva detto Euripide. [5] “Il pneuma torna all’etere, il corpo alla terra”. (Supplici 533-534).
Per questo motivo, alla morte l’anima tornava in cielo. Il che spiega perché l’epitaffio dedicato agli Ateniesi caduti a Potidea nel 432 A.E.C. recitasse: “L’etere ha accolto le anime, la terra i corpi”.
Aristofane, con spirito ironico, prende in giro gli Orfici ad Atene facendo dire a Trigeo, nella commedia La pace, che durante il suo volo ha incontrato due o tre anime defunte in viaggio per diventare stelle. “Divenute d'oro le mie ali sulla schiena, e in più i soavi sandali delle sirene; salgo in alto verso l'etere limpido, alla compagnia di Zeus”, dice qualcuno in Euripide (Clem. Strom. 4:26, 176). “È evidente”, osserva Cicerone (De natura deorum 1:17, 40), “che le anime, lasciando il corpo, salgono in alto”. Allo stesso modo, Arnobio (Adversus nationes 2:33) riferisce: “Essi credono che, appena liberate dai vincoli del corpo, le anime ottengano ali per salire al cielo e volare verso le stelle”.
In realtà, le anime erano stelle invisibili, così come le stelle erano anime visibili. Morendo, si diventava freddi; il pneuma (= letteralmente vento, respiro) si disperdeva verso il cielo, tornando alle stelle, alla loro sostanza. L'uomo era dunque animato da particelle eteree, σπέρματα πνευματικά, emanate da un'entità luminosa onnipresente e pervadente, che, allo stesso tempo, metaforicamente, emanava calore. Gli iniziati orfici, infatti, non esaltavano un fuoco comune, ma un fuoco celeste, quando negli Inni orfici (524) chiamavano l'etere “l'elemento più nobile”, il che ci illumina sulla consapevolezza arcaica nascosta dietro testi come Ebrei 12:29: “Anche il nostro Dio è un fuoco divorante”.
L'idea che le stelle fossero esseri psichici, che l'aria fosse viva e che l'essenza dell'anima coincidesse con quella della luce, era una dottrina diffusa in tutta l'Antichità. Tra le credenze pitagoriche vi era l'idea che le anime provenissero dalle stelle, [6] e gli iniziati orfici collegavano anima, luce e stelle all'etere e al pneuma etereo. Aristotele stesso insegnava che doveva esistere un'estensione semplice, pura e non mescolata, che per sua natura si muoveva in un ciclo, e che al di sopra delle nostre realtà composite vi fosse un'entità estesa, più divina di tutte queste messe insieme, che come primo elemento riempiva il mondo dei moti celesti. Questo eterismo aristotelico dimostra che persino la più pura filosofia greca tra il 500 e il 300 A.E.C. non era riuscita a scrollarsi di dosso completamente le concezioni più primitive della teosofia orientale. Lo stesso Aristotele [7] ammette che questa credenza non è nuova, ma antica, il che dimostra come anche in lui abbia operato l'influsso dell'immaginario orfico e misterico. Aristotele è certamente un esempio di razionalità antica, ma nella sua idea che il pneuma provenga dalla sostanza delle stelle si avvertono le correnti teosofiche dell'Antichità, proprio come nella filosofia moderna la teologia si presenta come una forma sistematizzata di ciò che non è scientifico e che affonda le radici nella teosofia.
Ciò basta per affermare che l'ascensione dell'anima al cielo è in origine una dottrina teosofico-gnostica derivata dai misteri.
Di fronte a questa concezione, la grande comunità, l'ecclesia catholica (specialmente a Roma) del 2° secolo, insegnava invece la dottrina del sonno della morte fino al giorno del giudizio.
Ora, però, i nostri scritti neotestamentari sono stati redatti in un'epoca in cui questa dottrina era considerata ortodossa. Fino al 150 circa, il clero accettava lo gnosticismo, [8] ma questa visione era già mutata con Giustino Martire (150), Ireneo di Lione (185) e Tertulliano (220). Il primo rifiuta come non cristiana la credenza che le anime dei defunti salgano in cielo prima della resurrezione della carne; Ireneo sostiene che ogni anima deve attendere l'azione di Dio nell'oltretomba; e Tertulliano afferma che il cielo non è aperto a nessuno finché esiste la terra: “Nulli patet coelum terra adhuc salva”. Questa è una dottrina ebraica, anche se non propriamente veterotestamentaria. In origine, infatti, in Israele e Giuda le credenze escatologiche erano influenzate da Babilonia.
L'epopea di Gilgamesh mostra che a Babilonia si credeva che gli dèi avessero riservato a sé la vita eterna e destinato la morte agli uomini. Come nota H. Schneider, l'astrologo caldeo, fissando il cielo e pensando agli dèi celesti ed eterni, non prestava attenzione ai morti né ai desideri umani di una vita ultraterrena. Il dio degli abissi, per lui, non era il dio dei morti, ma un dio della natura. [9]
Si credeva in un mondo sotterraneo (la terra era ritenuta cava), dove risiedevano le ombre. La vera anima si perdeva e risiedeva nel sangue. [10] Non ci si chiedeva cosa sopravvivesse realmente, ma si immaginava una forma spettrale dell'uomo senza emozioni né pensieri.
Una dottrina di poca utilità!
Tuttavia, all'inizio dell'era cristiana, nel giudaismo si diffuse la credenza nella resurrezione. Non erano i Sadducei o l'aristocrazia del tempio, legati più conservativamente all'Antico Testamento, ma i Farisei, che condividevano su questo punto l'idea del Mazdeismo. [11] Teopompo (325 A.E.C.) riferisce che Zoroastro attendeva una resurrezione universale.
A Roma, la dottrina sugli ultimi tempi fu giudaizzata, divenendo un'aspettativa messianica. Ma il vangelo, in origine, non era immediatamente giudaico.
Se ci chiediamo in cosa affondi le radici il cristianesimo, la risposta è: nello stesso terreno della filosofia, l'unica filosofia europea, poiché gli asiatismi non possono essere considerati tali. La filosofia, da Anassimandro di Mileto a Bolland, è una sola, divisa in greca, medievale e moderna, ma in realtà un'unica espressione del pensiero europeo. Perché ormai la Grecia non fa più parte dell'Europa! [12]
Oggi ogni dottrina è relativa e anche nella filosofia esiste una fede che il vero filosofo non può condividere. Allo stesso modo, il cristianesimo si dissolve. Viviamo in un'epoca di senilità: gli studiosi si sono esauriti e sono pieni di scoraggiamento. [13] Non sappiamo più cosa fare con la nostra ricchezza intellettuale, né riusciamo a sintetizzare tutto.
Ma anche la filosofia ebbe una giovinezza. Intorno al 550 A.E.C., troviamo Anassimandro di Mileto, sulla costa occidentale dell'Asia Minore, che doveva andare in giro con l'abito di Orfeo, guidando le iniziazioni orfiche. In ogni caso, egli è pieno di idee orfiche, il che significa che era un teosofo.
Ora, la teosofia non è affatto una saggezza divina; è un modo di pensare molto egoista e settario, che mette sempre e ovunque in primo piano: cosa devo aspettarmi? Se si tolgono i suoi messaggi piacevoli e le sue aspettative, non rimane nulla. Per questo Rudolf Steiner poteva chiamarla antroposofia, cioè saggezza che riguarda l'uomo stesso. La teosofia non si occupa mai di Dio, ma è sempre soteriologica e si chiede: come si salva l'uomo? È un egoismo trascendente, un egoismo d'oltretomba.
Tuttavia, ovunque essa riemerga, sia nei tempi antichi che moderni, può forse rappresentare una certa libertà nei confronti della religione tradizionale, ma rimane sempre un gioco dell'immaginazione, in cui si crede, con al centro la dottrina della metempsicosi, un’applicazione antropologica di un'intuizione cosmologica dei Babilonesi. [14]
E così come noi, ai giorni nostri, attraverso le nostre concezioni sociali attuali, tradiamo la nostra origine cristiana, la filosofia greca rivela la sua origine nella teosofia dei misteri. Soprattutto nella misura in cui essa ha fornito lo spunto per la critica, grazie alla quale la filosofia si è elevata al di sopra di essa, come emergendo da un oscuro abisso di incomprensione. È un pensiero sublime il fatto che, in un angolo così piccolo della terra, si sia filosofato, ed è al tempo stesso tragico, nello studio di queste questioni, rendersi conto di quanto i filosofi greci abbiano lottato e lottato, senza tuttavia riuscire a liberarsi del tutto. Con qualche riserva, solo Aristotele riuscì a distaccarsene, per essere scientifico e filosofico senza secondi fini, per far emergere il pensiero libero, il pensiero conforme alla logica, anche contro i propri desideri. Inizialmente, teosofia e filosofia non erano nemmeno separate; e sebbene Aristotele abbia affermato con forza che non valeva la pena dedicare troppa attenzione a coloro che ragionavano in modo mitico, egli stesso ha dovuto riconoscere che la filosofia, agli inizi, balbettava su ogni cosa (Metaph. 2:4; 1:10). Ciò significa, in sostanza, che essa ha dovuto elevarsi, o svilupparsi, a partire da un substrato mitico.
Chi dunque cerca la filosofia alle sue origini, non trova altro che teosofia. E là dove la filosofia declina, la teosofia riappare, [15] sia dall'interno che dall'esterno. Dall’interno, quando la filosofia regredisce all'infanzia e la fede torna a giocare con l'immaginazione.
La filosofia greca è germogliata dalla teosofia e in essa è svanita. È svanita nella sua stessa primitiva antichità; è svanita anche a causa di una nuova filosofia, rinata ancora una volta dalla vecchia. Infatti, la stessa teosofia greca, che scomparve con il cristianesimo, costituisce anche il substrato da cui si è elevata la dottrina cristiana, così come aveva fatto in passato la filosofia. Non a caso Eusebio definì la dottrina cristiana una nuova teosofia, e non è un caso che, con il declino del cristianesimo, il fondamento teosofico dell'antichità riemerga ancora una volta in una forma diversa. L'uomo comune vuole avere qualcosa in cui sperare nell'aldilà; tuttavia, l'aspettativa ebraica della resurrezione o della rinascita, che a Roma era stata sostituita come autentica dall'ascensione dell'anima originaria o alessandrina, trova ormai pochi credenti e, nella Chiesa, si indebolisce l'altra speranza, quella che in realtà contava davvero. Ora emerge qualcosa di nuovo, che però si rivela essere antico. Un'iscrizione di Antioco di Commagene, un orientale di lingua greca proveniente dal nord-ovest della Mesopotamia (69–34 A.E.C.), recita queste parole: “Il corpo, avendo la sua anima amata da Dio inviata alla sede celeste di Zeus Oromasdes, riposerà per l'eternità infinita”.
L'idea che l'anima sia imprigionata nel corpo umano e che, una volta spezzate le catene della carne, possa ascendere al cielo come liberata da una lunga schiavitù era condivisa anche dagli Esseni palestinesi (affini ai Terapeuti di Alessandria). [16] E questa credenza, non la resurrezione della carne, costituì la dottrina evangelico-teosofica o gnostica. “Il Signore mi ha rivelato”, si legge nel Vangelo gnostico di Filippo, “cosa deve dire l'anima mentre ascende al cielo e cosa deve rispondere a ciascuna delle potenze superiori”.
In un antico epitaffio greco della cristiana Evaristia si legge: “La carne giace qui; l'anima, rinnovata dallo spirito (= pneuma) di Cristo e divenuta un corpo angelico (= etereo), è stata accolta con i santi nel regno celeste di Cristo”.
Anche il Catechismo di Heidelberg, sebbene su questo punto sia in realtà poco calvinista, fa sperare che “la mia anima, subito dopo questa vita, sarà accolta da Cristo, suo capo.”
Ma nelle Institutiones, Calvino ha stabilito che i pii defunti rimangono a riposare fino al ritorno di Cristo, [17] riprendendo la fede di Giustino, Ireneo e Tertulliano. [18] Un’antica iscrizione cristiana trovata a Como riporta in latino: “Vi scongiuro tutti… per il Signore e per il terribile giorno del giudizio, di non profanare mai questa tomba, ma di conservarla fino alla fine del mondo, affinché io possa tornare alla vita senza ostacoli, quando verrà colui che giudicherà i vivi e i morti”.
E il 15 gennaio 1911, il defunto Dr. A. Kuijper affermò sul Heraut che nessuno si trova ancora né in paradiso né all’inferno, ma che tutti i defunti si trovano in un luogo intermedio fino alla resurrezione dei morti e al ritorno di Cristo. Così egli ha turbato le anime, e così la dottrina stessa, alla fine, infligge il colpo di grazia alla speranza, la vecchia speranza, che un tempo era stata nuova.
Infatti, nell'antica Babilonia, il regno dei morti era semplicemente chiamato “la terra senza ritorno”. “Da lì,” scrive ancora il greco Pausania (5:20,1), “nessuno torna”. E anche Gesù figlio di Sirach (28:21) esclama: “non ci sarà ritorno!”
Ma pochi si accontentano di questo. E l'immaginazione, in cerca di conforto, di molti che hanno perso nel cristianesimo la fede nella resurrezione dei morti, si volge spontaneamente di nuovo alla dottrina, in realtà altrettanto priva di consolazione, della ripetuta rinascita della stessa anima in un altro corpo. Questa dottrina, ispirata agli antichi misteri, era originariamente associata, nei circoli teosofico-evangelici di Alessandria, alla fede cristiana, ed è per questo che ancora risuona nei nostri Vangeli. [19]
Infatti, il Vangelo fu originariamente una questione legata a ebrei ellenizzati, che non comprendevano più il cananeo e desideravano avere i loro misteri, motivo per cui, in realtà, l’intero Antico Testamento avrebbe dovuto rimanere fuori dal cristianesimo. Il primo, il secondo e il terzo Vangelo provengono sì da Roma, mentre il quarto viene da Efeso, [20] ma il loro Vangelo originario, che non ci è giunto nella sua interezza, era quello egiziano o alessandrino. Questo Vangelo fu alterato e deliberatamente falsificato dalle tre versioni romane. Non contemplava la resurrezione, non aveva conferito al Salvatore il ruolo di Messia e considerava l’unica vera sequela di Cristo come un cammino di automortificazione. [21]
Ma con una tale dottrina non si può conquistare il mondo, ed è per questo che, poco prima del 150 E.C., venne ammorbidita e falsificata, cosa di cui, del resto, non si può nemmeno biasimare gli artefici.
Per gli antichi gnostici, la resurrezione era già avvenuta in senso simbolico nel loro risveglio alla vita spirituale.
Dietro il Vangelo si celano i misteri. Esso stesso è un mistero, una rappresentazione messa in scena sotto forma di racconto. Un mistero, in breve, è una rappresentazione esemplare della morte e della rinascita, della discesa agli inferi e dell’ascensione al cielo di un certo dio, come garanzia per i fedeli e gli iniziati che anch’essi avrebbero potuto ottenere la vita eterna. Questo tipo di rappresentazione si trovava, fuori dalla terra di Israele, nel 1° secolo della nostra era in varie forme e sotto diversi nomi; le speranze consolatorie che ne derivavano erano, in fondo, sempre le stesse. I devoti di Osiride, che nel Libro dei Morti è chiamato “Re dell’eternità e signore degli immortali”, erano convinti di ottenere la beatitudine eterna in un corpo senza difetti, poiché Osiride aveva vinto la morte ed era risorto dai morti, dopo di che viveva ora in un corpo perfetto in ogni sua parte.
“Noi saremo simili a lui”, insegna anche la Scrittura cristiana in (1 Giovanni 3:2); “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” (1 Corinzi 15:17).
Coloro che non hanno pregiudizi noteranno già qui come la dottrina cristiana sia imparentata, nel suo nucleo, al culto dei misteri attici, nei quali, al culmine della liturgia, il sacerdote sussurrava ai misti: “Abbiate coraggio, o misti! Poiché il dio è salvo, anche noi, dopo la morte e la sofferenza, saremo salvati.” [22]
Questa natura del Vangelo come rappresentazione è ancora rivelata in Galati 3:1, nell'esclamazione: “O insensati Galati! Chi vi ha ammaliati, voi, ai quali Gesù Cristo è stato rappresentato come crocifisso davanti agli occhi?” Comprendiamo: rappresentato davanti agli occhi in un mistero, una rappresentazione segreta, e forse, come ha cercato di dimostrare John M. Robertson nei suoi libri Christianity and Mythology e Pagan Christs, originariamente un dramma in cinque atti: l'ultima cena, l'arresto nell’orto, la scena davanti al governatore, la crocifissione e infine la resurrezione. “Il lettore,” dice, “consideri attentamente la sequenza degli episodi nella loro forma meno elaborata, nei Vangeli di Matteo e di Marco. Da Matteo 26:17 o 26:20 in poi, si nota come il racconto sia semplicemente la rappresentazione di un'azione drammatica e di un dialogo, e gli eventi si susseguano rapidamente l'uno sull'altro, esattamente come accade in ogni dramma che non è strutturato con una particolare attenzione alla verosimiglianza”. “Per comprendere appieno il carattere teatrale della storia evangelica, è necessario tenere presente questa compressione dell'azione nel tempo, così come il suo contenuto puramente drammatico; la questione non è solo che la compressione degli eventi dimostra che il racconto è pura finzione, ma che essi sono compressi per una ragione, e la ragione è che sono presentati in un dramma”. [23]
E inoltre si chiede: “Perché ricorrere a questa impossibile sovrapposizione degli eventi, questa concentrazione del tradimento e del processo in una sola notte? Non aiuta la storia come racconto da leggere; al contrario, la rende così improbabile che solo l'abitudine alla reverenza impedisce a chiunque di riconoscerne la falsità. La soluzione è immediata e decisiva quando ci rendiamo conto che ciò che stiamo leggendo è la semplice trascrizione di un dramma sacro, costruito sul principio dell'unità di tempo”, [24]
Non dimentichiamo che, in modo innocuamente ingannevole, un mistero, una rappresentazione segreta, viene tradotto sempre come “segreto” o “arcano”, ad esempio in Efesini 6:19. Mentre in Colossesi 1:27 si dice che ora è stata rivelata la ricchezza e la gloria di questo mistero tra i pagani, che è Cristo in voi; in altre parole: ciò che tra i pagani si chiama mistero, tra noi è Cristo. In Colossesi 4:3 viene poi menzionato il mistero di Cristo, e non vi è alcun dubbio: nell’antichità tutti sapevano immediatamente cosa fosse un mistero! Così, nella Lettera ai Colossesi, Gesù appare ancora come il dio di una confraternita misterica.
Osserviamo ora Efesini 4:9-10: “Ora, questo ‘è asceso’, cosa significa se non che egli è anche disceso nelle regioni inferiori della terra? Colui che è disceso è lo stesso che è anche asceso al di sopra di tutti i cieli, affinché potesse riempire tutte le cose.” Qui si dice dunque che discesa agli inferi e ascensione al cielo sono collegate. Secondo il significato originale, il corpo scendeva nell'Ade, mentre l’anima saliva in cielo. E Cristo sale al di sopra delle stelle, domina e governa tutto, cosa che il Dio degli ebrei non fece. “Ogni ginocchio si pieghi, di quelli che sono nei cieli, sulla terra e sotto terra.” (Filippesi 2:10). Qui appare chiaramente l’esistenza di un mondo sotterraneo, e Cristo, secondo 1 Pietro 3:19, vi è stato: “nel quale egli andò a predicare agli spiriti in prigione”. Dunque, per insegnare la buona novella alle ombre. Questo è suggerito anche dal Vangelo degli Egiziani di Alessandria, anch’esso attribuito a Pietro e che verrà trattato più approfonditamente come sfondo apocrifo dei Vangeli sinottici. “E,” si dice in quel testo, “mentre ancora raccontavano ciò che avevano visto, videro tre uomini uscire dalla tomba, e i due sostenevano il terzo, e una croce li seguiva, e le teste dei due arrivavano fino al cielo (cfr. Sapienza 18:16 ed Ebrei 7:26), mentre la testa di colui che conducevano superava i cieli. E udirono una voce dai cieli che diceva: ‘Avete predicato al dormiente?’ E dalla croce si udì come risposta: ‘Sì’.” (Vangelo di Pietro 39-42).
“Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a coloro che dormono, affinché non siate rattristati come gli altri, che non hanno speranza. Poiché, se crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così anche Dio porterà con lui coloro che si sono addormentati in Gesù.” (1 Tessalonicesi 4:13-14). Questa è la fede originale, dunque una dottrina misterica dei pagani espressa con termini giudaici. Così, il padre del cristianesimo non è un ebreo e la madre non è più ebrea, e il Vangelo, nato da questa fusione, non può nemmeno essere tradotto in ebraico; vi si trova il linguaggio emotivo, toccante ed esaltante dei misteri. [25]
In questo contesto, è interessante Romani 6:8-9, un'antica formula misterica, applicabile a qualsiasi dio dei misteri: “Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, dopo essere risorto dai morti, non muore più: la morte non ha più dominio su di lui.” Dunque, si doveva morire con Cristo, e questo avveniva nel battesimo, la cui forma più antica era l’immersione completa, teosoficamente intesa. Originariamente, doveva avvenire in acqua viva, come avviene ancora oggi presso la setta dei Mandei in Bassa Mesopotamia, battisti che tuttavia non hanno nulla a che fare con il cristianesimo, e sui quali il Codex Nazareus, il Grande Tesoro, il Libro dei Mandei ci fornisce informazioni. Sono in realtà battisti e osservanti del sabato di origine non evangelica e gnostica. Ancora gnostica è la loro fede nell’ascensione dell’anima al cielo, che li porta a esclamare con fiducia: “Come mi rallegro, come il mio cuore esulta, come mi rallegro nel giorno in cui la mia lotta sarà finita e andrò nella dimora della vita! Io volo; già sono alla guardia di Shamesh. Io grido: chi mi condurrà oltre la guardia di Shamesh? – la tua ricompensa, la tua opera, la tua rettitudine, la tua virtù, essi ti condurranno oltre!” (Ginzā sinistro 88:24).
Se ora affianchiamo Romani 6:8-9 a 1 Corinzi 15:16-17, leggiamo: “Infatti, se i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto; e se Cristo non è risorto, la vostra fede è vana; voi siete ancora nei vostri peccati.” Come va inteso questo passo?
La credenza originaria era considerata una narrazione misterica. Ma nel 2° secolo, i portavoce della ecclesia catholica, o chiesa universale, che sempre più coprivano le voci dello gnosticismo, si presentavano come i veri cristiani. Ora sappiamo bene che i settari del 100 circa non insegnavano le stesse cose di quelli del 200 circa, ma mentre lo gnosticismo diventava sempre più bizzarro, conservava tuttavia molte credenze antiche.
Ora, il Salvatore veniva anche chiamato therapeutēs, guaritore, presso il quale si potevano trovare cure per il corpo e l’anima; basti pensare alla frase di Matteo 9:12: “Non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati.” [26]
La dottrina gnostica, che non accettava la resurrezione, poteva quindi interpretarla simbolicamente e sosteneva che essa fosse già avvenuta nel risveglio alla vita spirituale. Tuttavia, accettava la rinascita. Anche questo concetto appare nel Nuovo Testamento: se in Malachia 4:5 si afferma che Elia, il grande profeta dell'antichità, sarebbe tornato, in Matteo 11:13-14 Gesù dichiara che Giovanni è quell'Elia. Ed è molto probabile che il versetto 14 provenga dal Vangelo alessandrino, poiché Giustino Martire, come risulta dal Dialogo 51, aveva ancora questo testo nei Memorabilia di Pietro, ovvero nel Vangelo di Pietro degli Egiziani alessandrini. In tale contesto, il termine “quel” era probabilmente inteso nel senso della dottrina della trasmigrazione delle anime. In generale, l'idea della reincarnazione, che era molto diffusa, viene troppo spesso trascurata; basti ricordare il passo citato nel primo capitolo di Giovenale, in cui Nerone viene chiamato Domiziano.
Così, l'antica fede credeva nell'ascensione dell'anima al cielo, a cui era collegata la rinascita. Dov'è quindi la resurrezione, se Cristo dice al buon ladrone: Oggi sarai con me in Paradiso?
Nel quarto Vangelo, scritto intorno al 150 a Efeso da un presbitero, un capo di comunità e uomo influente che aveva sicuramente davanti a sé due, se non tutti e tre, i Vangeli romani, si ritorna alla rappresentazione alessandrina, precedentemente sconfessata. Infatti, in Giovanni 9:1-2, i discepoli suppongono che il cieco nato possa essere stato punito per aver peccato prima della sua nascita. Si tratta, dunque, della dottrina del Karma! È vero che Gesù, nel versetto 3, prende le distanze da questa idea, ma ciò dimostra comunque un'influenza alessandrina nel Vangelo di Giovanni.
Dobbiamo quindi comprendere che il cristianesimo apparentemente sembra derivare dall'ebraismo, ma in realtà proviene dal mondo misterico di Alessandria, essendo nato tra ebrei che applicarono il linguaggio dell'Antico Testamento a nuovi insegnamenti.
Se fosse stato di origine ebraica, avrebbe dovuto predicare la resurrezione sin dall'inizio. Ciò può sembrare vero oggi, ma ciò è dovuto a distorsioni e falsificazioni: originariamente, i misteri di Gesù avevano accettato l'ascensione dell'anima come il luminoso opposto della cupa discesa agli inferi, che faceva anch'essa parte dei misteri orfici. L'inferno è semplicemente il regno delle ombre, il mondo sotterraneo, e la discesa agli inferi una sepoltura mitologicamente interpretata. Gli antichi non si ponevano problemi di logica, e la relazione tra l'alto e il basso è una domanda moderna; non possiamo chiedere loro più di quanto ci abbiano dato.
Che la fede nella resurrezione non sia così pura come si vorrebbe far credere, nemmeno tra gli eretici, che sono giustamente considerati irriflessivi dall'ortodossia e preferiscono non sentire parlare di miracoli ma restano legati a questa dottrina ebraica, lo si vede in 2 Timoteo 2:18. Gli gnostici del 2° secolo insegnavano infatti che erano già risorti dalla morte spirituale. Questo viene qui condannato e si parla con grande disapprovazione di Imeneo e Fileto, “i quali si sono allontanati dalla verità, dicendo che la resurrezione è già avvenuta, e così sconvolgono la fede di alcuni".
Ma in Efesini 5:14 si cita per i credenti un passo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo risplenderà su di te”. Non si sa da quale scritto sia tratto. Ma questo versetto si riferisce a un futuro lontano o a noi stessi come peccatori?
E in Efesini 2:5-6 si afferma che Dio ci ama, “noi che eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo, e con lui ci ha resuscitati e ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù”. Eravamo dunque morti, ma siamo stati resi vivi in Cristo, attraverso l'immersione nel battesimo, il simbolo della morte e della sepoltura. Il battesimo è infatti una sepoltura simbolica, e uscendo dall'acqua si entra in una nuova vita.
Qui non si trova dunque una dottrina ortodossa della resurrezione, ma piuttosto un'interpretazione spirituale della lettera. Lo stesso si vede in Colossesi 2:12-13, dove si dice che si è stati “sepolti con Cristo nel battesimo, in cui anche siete stati resuscitati con lui per la fede nella potenza di Dio, che lo ha resuscitato dai morti. E voi, che eravate morti nei vostri peccati, egli vi ha vivificati con lui”.
“Questo, fratelli, è ciò che vi dico: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio” (1 Corinzi 15:50). Questo versetto irritava tutti i padri della Chiesa.
Ireneo di Lione, istruito a Roma, osserva con tono aspro che questo testo è citato da tutte le sette per sostenere le loro eresie. Tuttavia, è questa la parola apostolica paolina, che precede i Vangeli, di natura teosofico-gnostica, e che rifiuta la resurrezione della carne, oggi considerata ortodossa.
Infine, leggiamo Romani 6:4-5: “Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella morte, affinché, come Cristo è risorto dai morti per la gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in novità di vita”.
Dunque, dietro lo sfondo del Nuovo Testamento emergono dottrine gnostiche: l'ascensione dell'anima secondo i misteri orfici e mitraici, non una resurrezione dopo tanti secoli.
Che ne è di noi, quando condividiamo la speranza cristiana? [27] Una risposta chiara a questa domanda non può essere data: vi è un conflitto tra la visione teosofica offuscata e la dottrina che a Roma era considerata ortodossa.
NOTE AL CAPITOLO IV.
[1] Cfr. De An. 2:1, 5.
[2] Metaph. 1074b. Cfr. soprattutto su “l’anima come particella eterea” Ragion pura³, p. 905 ss. e L’origine della filosofia greca³, p. 44 ss.
[3] Zuivere Rede³, p. 304 ss.
[4] Cfr. Cicerone, De natura deorum 5:38 e De senectute 78.
[5] Fragm. 836 Dind. Cicerone: “inflammata anima” [=“anima infiammata”]. (De nat. deor. 1:42). “Sunt autem stellae natura flammae” [=“Le stelle sono per natura fiamme”] (De nat. deor. 2:118). “Animus datus est ex illis sempiternis ignibus, quae sidera et stellas vocamus” [=“L’animo ci è stato dato da quei fuochi eterni che chiamiamo astri e stelle”] (Somn. Scip. 3:7).
[6] Ippolito 6:24.
[7] Sul cielo 1:2, 10, Meteorologica 1:3, 4.
[8] La parola “clero” è a suo modo una prova o un segno dell’origine gnostica o teosofica del cristianesimo. Essa significa propriamente parte… di Dio, e Filone di Alessandria dice in “Sulla piantagione di Noè” 13 che la comunità dei sapienti è il clero speciale di Dio; “clero” significava originariamente l’élite dei meno carnali e dei più spirituali e colti. Poiché il “clero” romano non è mai stato propriamente clero o élite nel senso della santità, e non l’ha mai neppure sistematicamente affermato, l’amministrazione ecclesiastica romana del 2° secolo dovette conservare per sé nel termine clerus un predicato che era servito in origine come qualifica dei circa 150 capi gnostici soppiantati ed espulsi.
[9] Cfr. A. Jeremias, “Die Babylonisch-Assyrischen Vorstellungen vom Leben nach dem Tode”.
[10] Cfr. anche Cartesio, Traité des passions de l’âme, la cui dottrina degli esprits animaux [=“spiriti animali”] corrisponde ancora interamente a quella di Galeno.
[11] “Zoroastro predice che un giorno vi sarà una resurrezione di tutti i morti; così testimonia (325 A.E.C. circa) Teopompo”. Enea di Gaza (ca. 525): C. Müller FHG 1:289. “Costui dice che secondo i Magi gli uomini risorgeranno e saranno immortali”. Diogene Laerzio 1:9. “Casa dell’eternità” sembra essere stato il nome della tomba di Sennacherib; bēt ʿolām (cfr. Qohelet 12:5) si chiama ancora oggi il cimitero ebraico, e Flavio Giuseppe ha atteso soltanto la resurrezione dei giusti; la Mishnà professa la dottrina di una resurrezione universale. Cfr. anche Erodoto 3:62, nonché l’Avesta Yaçna 30:2 e 36:6.
[12] Questa espressione è stata presumibilmente presa da Bolland da Spengler, Il tramonto I, p. 22.
[13] Ma Bolland, con la sua visione sintetica, ha superato ciò. Egli si considerava un sopravvissuto che non rientrava più nello schema moderno. Come Kant, Fichte, ecc., considerava la religione come l’opposto della propria attività, e tuttavia comprendeva che la filosofia condivide con religione e sociologia il medesimo destino oscuro nel futuro.
[14] Cfr. Bolland, I misteri orfici² (1917) e Origine della filosofia greca³ (1921).
[15] S. Reinach, Orphée, p. 567: Partout où la religion officielle s'est affaiblie, la magie privée et le charlatanisme ont pris le dessus [=“Ovunque la religione ufficiale si è indebolita, la magia privata e il ciarlatanesimo hanno preso il sopravvento”]. — Napoleone: “Sapete dove vanno gli uomini, quando non vanno a Messa? Da Cagliostro o da mademoiselle Lenormand.”
[16] Flavio Giuseppe, Guerra giudaica 2:8, 11.
[17] Institutio 3:25.
[18] Giustino, Dialogo 80; Ireneo di Lione 5:31, 2; Tertulliano, De An. 55. (cfr. Lattanzio, Inst. div. 7:21).
[19] Ireneo 5:31, 1; 1:25, 4; 2:33, 1; Ippolito, Ref. 6:26, 7:32; Origene 6:336 e 7:47 Lomm.; Matteo 11:13-14; 16:13-14; 17:11-12; Giovanni 9:1-2.
[20] Cfr. Lo sfondo dei vangeli e Il Vangelo².
[21] Su ciò diffusamente Bolland, Il Vangelo², pp. 131–172.
[22] Firmico Materno, Sulle false religioni 22. Sui misteri attici: Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten, a cura di A. Dieterich e L. Wünsch. Vol. I: Hugo Hepding, Attis, seine Mythen und Kult. Inoltre Frazer, Adone, Attis, Osiride.
[23] J. M. Robertson, Pagan Christs², p. 197.
[24] Ibid., p. 203.
[25] Ἄγιος, ἀθανασία, αἰῶνες, ἀνάπαυσις, ἀνάψυξις, ἀόρατος, ἀποκατάστασις, ἄρχοντες, βάθος, βαπτισμός, γνῶσις, καθαρός, κόλπος, μετάνοια, μονογενής, μυστήριον, ὃσιος, παθήματα, παλιγγενεσία, πλήρωμα, πνεῦμα, πρωτόγονος, σπέρμα, σύμβολον, σωτηρία, φωτισμός ecc. ecc. sono termini dei misteri.
[26] Possiamo allora prescindere dal Cristo? Oggi abbiamo perso proprio la bussola etico-morale. Ma ormai sappiamo, per così dire, tutto. Nessun Kant o Hegel ha potuto fare chiarezza su tali questioni quanto Bolland, che in certo modo ne trae le conclusioni definitive.
[27] Cfr. Zuivere Rede³, p. 365 ss.
Nessun commento:
Posta un commento