martedì 13 maggio 2025

Thomas Whittaker: LE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO — Gli Atti di Paolo

 (segue da qui)


Gli Atti di Paolo.

Qui l'Apostolo si presenta da contemporaneo più giovane dei primi discepoli, non da membro della loro cerchia. In poco tempo questi sono rappresentati solo da un sopravvissuto occasionale come Mnasone (ἀρχαῖος μαθητής, 21:16). Il cristianesimo si è diffuso nel mondo. Apollo di Alessandria ha già predicato a Efeso “le cose relative a Gesù” (18:25). Paolo è un cittadino di Tarso, all'inizio legato al giudaismo o per nascita o da proselita; lo scrittore non dice come. Di professione egli è un fabbricante di tende (18:8). All'inizio ostile alla nuova setta, egli è convertito in seguito da una visione di Gesù ed è inviato ai pagani direttamente dal Signore. Egli è subito ricolmato di Spirito Santo (9:17) e rimane sempre sotto la sua guida. Fa tutti i suoi piani in accordo con le ispirazioni e le visioni a lui concesse. Egli ha il potere di impartire lo Spirito ad altri mediante l'imposizione delle mani. La sua possessione è il segno dei suoi convertiti. Egli non opera tra gli ebrei, ma tra le “nazioni”. Per la loro gioia egli è il loro apostolo (13:47-48). I discepoli più anziani di Gesù possono ricevere un'istruzione più accurata da lui e dai suoi discepoli; come, ad esempio, Apollo da Aquila e da Priscilla (18:26). È lui e quelli del suo orientamento che sono chiamati per la prima volta “Cristiani” ad Antiochia (11:26). Con i “discepoli” dell'orientamento più antico egli entra talvolta in conflitto. Elima, il “figlio di Gesù”, tenta di allontanare gli ascoltatori di Paolo “dalla fede” (ἀπὸ τῆς πίστεως, 13:8). Il movimento contro di lui a Gerusalemme comincia con i credenti “zelanti per la legge” (21:20). In origine, forse, esso fu condotto da loro e non dai “Giudei”, sulle cui spalle Luca cerca di scaricare la responsabilità. Forse può essere stato anche da loro che i “fratelli” che Paolo era riuscito a guadagnare alla sua dottrina lo salvarono e lo misero al sicuro a Cesarea; ma non è più possibile chiarire quanto spesso “discepoli” del vecchio tipo, “figli di Gesù”, siano celati dietro la maschera dei “Giudei” di Luca, ostili a Paolo e alla sua predicazione. 

La nuova “dottrina” che Paolo predica è frutto di una rivelazione a lui concessa in visioni. Essa si distingue da quella degli antichi discepoli per il fatto di vedere in Gesù non tanto il Messia promesso a Israele, quanto il “Figlio di Dio” (9:20). Egli è ancora chiamato “il Cristo” (ὁ χριστός, la traduzione greca del nome ebraico) o semplicemente “Cristo” (ora diventato un nome proprio), ma è pensato sotto questo nome come un'entità soprannaturale. Cristo, o il Figlio di Dio, è identificato col Gesù manifestatosi per un breve periodo sulla terra e ora vivente in cielo. Non ci è dato sapere come Paolo concepisse questa unità tra Cristo e Gesù. Il problema della “Cristologia” fu lasciato per il futuro. Nel frattempo Gesù stesso recede sullo sfondo. L'essenziale è credere in Cristo e perseverare nella “fede” (14:22). In lui è data una nuova rivelazione di Dio, fino ad ora sconosciuta. Ebrei e pagani, anche i semplici “figli di Gesù”, stanno fuori e dimorano nelle tenebre, sono “in potere di Satana” (26:18), “figli del diavolo” (13:10); ma ora possono giungere alla conoscenza della luce, del Dio supremo e della sua vera natura. Perché la nuova rivelazione è per “tutti gli uomini, ovunque” (17:30). La legge è stata abolita. C'è il perdono dei peccati mediante la fede in Cristo. La fede viene “per grazia”. La grazia è comunicata mediante lo “strumento scelto” (σκεῦος ἐκλογῆς, 9:15), alla cui predicazione credono quanti sono destinati alla vita eterna (13:48). 

Anche questa presentazione di Paolo, nonostante la sua maggiore verosimiglianza, è una che non può essere ritenuta storica nel suo complesso. L'Apostolo non è proprio un uomo in carne e ossa, ma ha molto dell'eroe dei romanzi, della personalità idealizzata. Molte delle storie intorno a lui hanno un carattere ovviamente leggendario, dello stesso tipo, anche se non così fortemente connotato, di quello delle successive vite apocrife dei santi. Il contenuto della sua dottrina offre poi una difficoltà. Lo sviluppo della speculazione sull'unità di Gesù con un'entità soprannaturale, un “Cristo Figlio di Dio”, può essersi spinto così lontano in un tempo non successivo a quello pure qui assegnato a Paolo? C'è il paradosso che un ebreo o un greco convertito al giudaismo, che non è stato un seguace della nuova “via”, ma un persecutore dei suoi seguaci, non appena si accorge del suo errore si presenta come un riformatore delle loro idee, predicando un sistema che, a prescindere da qualsiasi altra cosa si possa pensare di esso, testimonia una profonda vita religiosa e una lunga e seria riflessione. Il Paolo di questa narrativa è tra i primi predicatori del cristianesimo al di fuori della Palestina; eppure in ogni paese dove arriva — in Siria, in Asia Minore, in Grecia, in Italia — incontra “discepoli” e persino “fratelli”. Perché questo stadio sia raggiunto e perché la “nuova dottrina” si manifesti, sembra necessario più tempo di quello permesso quando egli è supposto un contemporaneo dei primissimi discepoli, anche se un contemporaneo più giovane. Un Paolo reale può aver dato il punto di partenza per lo sviluppo, e alcuni fatti relativi a lui possono essere stati conservati; ma non fu lui stesso il creatore del “vangelo della grazia” paolino, il padre spirituale dei “Cristiani” di Antiochia. Un'unione di incompatibilità come quella dell'eroe degli Atti di Paolo non può mai aver vissuto e operato. In questa veste, egli può essere concepito come il capostipite glorificato di un partito che attribuisce a lui le proprie idee al fine di esaltarle in suo nome: egli non è una figura tratta dalla vita. 

Siamo nella posizione di scoprire una qualche realtà dietro questa apparenza?

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