mercoledì 2 ottobre 2024

ECCE DEUS — CONCLUSIONE

 (segue da qui)

CONCLUSIONE 

44. Ecco, dunque, che i Nove Pilastri sono stati disintegrati. Nessuno di essi reca testimonianza a favore della posizione critica accettata, mentre alcuni di essi recano una testimonianza eloquente contro di essa. Ma questo crollo e questo sgretolamento di questi pilastri significa molto di più del semplice fatto che questi particolari supporti si sono dissolti in polvere. Perché questi erano i brani scelti su cui lo studioso e il critico aveva poggiato e rischiato il suo caso, e senza i quali avrebbe considerato quel caso senza speranza. [1] Essi gli fornivano le argomentazioni più plausibili che poteva trovare, gli indizi meno equivoci che poteva scoprire in qualsiasi parte dei Vangeli. E questi testimoni eletti, ad un esame incrociato, producono una testimonianza del tutto negativa o decisamente contraddittoria rispetto all'idea nel cui interesse furono chiamati in causa. Quando questi testimoni cambiano pelle, dove troveremo nei Vangeli qualcosa che rimanga saldo? La risposta è: “Da nessuna parte”. Non ci sono testi nei Vangeli che indichino che il Gesù fosse un uomo. Naturalmente, egli è rappresentato mentre parla, mentre va da un luogo all'altro, persino mentre dorme e (in una evidente parabola) mentre ha fame, mentre compie prodigi, mentre viene consegnato, arrestato, processato, condannato, giustiziato, sepolto e resuscitato. Ma tutto questo è solo immaginario; non è che la tela di lino che è avvolta attorno alla forma divina dell'“insegnamento nuovo”; non è che la storicizzazione di un sistema di idee religiose. I pensatori profondi che inventarono queste parabole e questi simboli furono perfettamente consapevoli del significato nascosto, e lo furono anche i primi che li ascoltarono, li ripeterono e li misero per iscritto. 

45. Sì, questa coscienza sopravvisse acuta e chiara per generazioni, almeno in molti gruppi di cristiani. Nel primo quarto del secondo secolo (secondo la cronologia comune), forse duecentocinquant'anni dopo che cominciò la prima propaganda segreta, troviamo che l'ardente Ignazio ha a cuore una rigorosa interpretazione storica del Vangelo, almeno nei suoi temi principali, e denuncia ferocemente coloro che vi si oppongono. Ha lo zelo ardente di chi sta avanzando qualcosa di relativamente nuovo, non la calma fiducia di un conservatore sostenitore dell'antico. In Giustino Martire, alquanto più tardi, troviamo compendiate le pretese degli storicizzatori in una formula che suggerisce fortemente il Credo degli Apostoli. In Ireneo e in Tertulliano, alla fine del secondo secolo, troviamo gli storicizzatori che combattono energicamente contro tutte le forme più antiche del pensiero cristiano, denunciandole con veemenza come eresie di formazione recente. L'assurdità della loro pretesa è evidente a prima vista, eppure riuscirono nella loro lotta ad avere la meglio su antagonisti molto più spirituali e di elevato intelletto. Chiunque legga con senso imparziale le opere dei cacciatori di eresie deve intuire che Marcione, Basilide, Valentino e molti altri erano di gran lunga superiori ai loro detrattori in tutte le qualità più elevate dell'intuizione religiosa e della speculazione teologica. Non si può negare che questi nobili gnostici, ai quali l'illustre Harnack concede che dobbiamo tanto, fossero troppo spesso visionari e irrimediabilmente fantasiosi nelle loro ardite costruzioni. Le loro speculazioni erano sognanti, fantasmagoriche e piene di vuoto, non adatte alle condizioni sociali e religiose generali del tempo. Non c'è da stupirsi che fallissero nella lotta con le storicizzazioni concrete e fattuali di Ireneo, di Tertulliano e degli altri. Non dobbiamo rammaricarci che avessero fallito, perché si erano abbandonati in ogni sorta di stravaganza e non meritarono di avere successo. Nondimeno, abbiamo un incalcolabile debito di gratitudine nei loro confronti, perché senza i loro indizi sarebbe stato impossibile scoprire il senso e lo spirito originario della propaganda cristiana, così intrisa come è ora di una mole millenaria di storicizzazione degenerata. Questa, però, è una digressione da cui ci affrettiamo a ritornare. 

46. Per concludere, si richiama ancora una volta l'attenzione sui pesanti obblighi che il professor Schmiedel ha imposto alla critica storica con la sua acuta e accurata formulazione delle condizioni logiche del problema in questione. Disvelando e segnalando le roccaforti dell'opinione critica prevalente, egli ha reso possibile un confronto preciso e definitivo, una sfida diretta e un risultato inequivocabile. Finché i difensori della storicità si accontenteranno di vaghe e impalpabili rapsodie sull'imponente personalità del Gesù, in cui nessuna di esse presenta una rassomiglianza riconoscibile con l'altra o con l'originale evangelico, allora anche la controreplica più vigorosa e più rigorosa risulterà in qualche misura in un mero esercizio di facciata. A che serve abbattere tali nubi che, al pari dello spirito di Loda, cadono senza forma nella nebbia, solo per poi riunirsi di nuovo e riprendere la loro voce di tuono e scuotere le loro lance crepuscolari? Ma nel caso dei Pilastri di Schmiedel noi incontriamo qualcosa di reale, di tangibile, di ben ragionato e di sottilmente escogitato. Per queste colonne rimanere in piedi equivale per la concezione storica di Gesù a diventare un possesso permanente dello spirito umano, inalienabile e indefettibile. Per loro cadere e sgretolarsi, come abbiamo visto fare, equivale alla scomparsa dell'attuale struttura del cristianesimo e alla sostituzione con un tempio più antico, più sublime e più spirituale.

Mächtiger 

Der Erdensöhne, 

Prächtiger 

Baue sie wieder, 

In deinem Busen baue sie auf!

[«Poderoso

 tra i figli della terra,

 più splendido

 ricostruiscilo,

 rialzalo dentro il tuo petto!», N.d.T.]

NOTE

[1] Vedi citazione, pag. 33. 

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