venerdì 4 ottobre 2024

ECCE DEUS — CACCIATA DEI DEMONI

 (segue da qui)

ADDENDUM II

CACCIATA DEI DEMONI 

La percezione che i demoni del Nuovo Testamento siano gli dèi pagani e che scacciarli significhi rovesciare l'idolatria dominante mediante l'introduzione del culto di Gesù, è così fondamentalmente importante, e persino essenziale, per una corretta comprensione del senso originale del Vangelo, che può essere opportuno esaminarla in modo ancora più approfondito di quanto sia stato fatto così finora. [1

Il conteggio degli usi di δαιμόνιον (demone, diavolo) nel Nuovo Testamento appare a prima vista piuttosto formidabile. Ricorre in Matteo undici volte, in Marco tredici, in Luca ventitré, in Giovanni sei, in Atti uno, in 1 Corinzi quattro (10:20, 21), in 1 Timoteo una, in Giacomo una, in Apocalisse tre. Inoltre, Matteo ha δαιμονίζομαι (avere un demone) sette volte, Marco quattro, Luca una, Giovanni una (10:21). Del tutto equivalente sembra essere l'espressione spirito immondo o maligno (πνεῦμα ἀκάθαρτον oppure πονηρόν) ricorrente in Matteo quattro volte, in Marco dodici, in Luca nove, in Atti sei (5:16; 8:7; 19:12, 13, 15, 16), in Apocalisse due (16:13; 18:2). Inoltre, abbiamo δαίμων (demone) una volta (Matteo 8:31), e spirito di divinazione (πνεῦμα πύθωνα) una volta (Atti 16:16). Si può quindi dire che l'idea ricorre in Matteo circa ventitré volte, in Marco ventotto, in Luca trentatré, in Giovanni sette, in Atti sette, con alcuni usi sparsi e irrilevanti in 1 Corinzi, 1 Timoteo, Giacomo e Apocalisse. Praticamente è confinata ai Sinottici, perché gli usi giovannei si riferiscono tutti all'accusa di avere un demone, sferrata al Gesù (7:20; 8:48, 49, 52; 10:20, 21). L'idea di scacciare i demoni, il vero problema in esame, non ricorre in Giovanni. Ancor più evidente è nei Sinottici; ma anche in questo caso troviamo qualcosa di notevole: tutti i riferimenti ai demoni e agli spiriti immondi appartengono al ministero galileo del Gesù, nessuno a quello giudaico. L'ultima apparizione di questo termine in Matteo è in 17:8, dopo la Trasfigurazione; in Marco in 9:38, a Cafarnao; in Luca in 13:32, apparentemente in Galilea, “in viaggio verso Gerusalemme” (versetto 22). Qui c'è qualcosa che richiede una spiegazione. I casi di possessione e di esorcismo in Galilea sono stati innumerevoli; in Giudea non ce ne sono affatto. È possibile che la follia epilettica e i disturbi mentali prevalessero così sorprendentemente in Galilea, ma non trovassero riscontro in Giudea? Certamente no, perché è un fatto etnologico che gli Ebrei siano particolarmente soggetti a tali disturbi, sebbene per il resto sono insolitamente vigorosi e sani. C'è una sola e unica spiegazione di questa curiosa distinzione evangelica tra queste due regioni contigue: le malattie in questione furono malattie spirituali che afflissero intere moltitudini nella Galilea dei Gentili, ma non gli ebrei di Giudea; furono le malattie della falsa religione, dell'adorazione dei demoni, del paganesimo. [2] 

Non si supponga per un momento che io voglia negare che ci fossero epilettici, pazzi, maniaci, nevrastenici, sia in Galilea che in Giudea. Naturalmente ci furono, ci sono e ci saranno. Per giunta il simbolista, una volta avendo deciso di rappresentare il Politeismo, quella aberrazione multiforme della mente umana, come possessione da un demone, naturalmente e quasi inevitabilmente derivò gli aspetti della sua descrizione dalla propria osservazione, o almeno dalla conoscenza, della manifestazione di tali attacchi in pazienti rilevanti. 

Naturalmente, gli antichi avevano l'idea di essere sotto il potere di un Demone, sebbene fosse espressa da δαιμονάω piuttosto che da δαιμονίζομαι, che significa propriamente essere destinato, o altrimenti divinizzato. Ma che tali afflizioni colpissero le moltitudini della Galilea, o che l'Evangelista intendesse rappresentare così afflitte le moltitudini, sembra del tutto impossibile. 

È molto significativo il fatto che, sebbene questa cacciata dei demoni sia rappresentata nei Vangeli (e anche nella loro eco in Atti 10:38) come l'attività principale del Gesù, sebbene sia il potere principale che conferì agli Apostoli, tuttavia non ascoltiamo mai della sua azione. I passi in Atti (5:16; 8:7; 19:12) sono le generalità più vaghe e più semplici: frasi simboliche senza alcun contenuto storico specifico. Non è possibile che un'attività di tale significato supremo durante la vita del Gesù, e di speciale capacità conferita ai suoi successori, debba cessare immediatamente e permanentemente, non alla sua morte, ma ancor prima, al suo ingresso in Giudea. Se il trattamento di tali malattie fosse stata parte dell'attività degli Apostoli, ne dovremmo certamente averne ascoltato, sia in Atti che nelle Epistole. 

Quale è allora la spiegazione? È proprio semplicissima: gli autori dei Sinottici sono poeti e simbolisti, ma gli autori del resto del Nuovo Testamento hanno definitivamente lasciato da parte questo simbolismo. Scelsero di affermare la propaganda in termini più diretti, letterali e non metaforici, e meno sotto il velo del linguaggio simbolico. Rarissimamente, come nei casi menzionati, l'autore di Atti ritorna per un momento alla fraseologia simbolica degli autori dei Sinottici. 

Possiamo quindi essere certi che i predicatori primitivi non esorcizzarono e non pretesero di farlo. È un grande sollievo sapere che la nostra nobile religione non ebbe come forma iniziale di attività la consolazione magica e temporale della condizione di malati senza speranza. Che una religione che fece di tale ciarlataneria una dei suoi aspetti principali potesse conquistare l'intelligenza dell'Impero Romano rimarrebbe un'ipotesi tutta da dimostrare. In proposito non va dimenticato che persino Schmiedel ha cercato di mostrare che tali guarigioni di demoniaci prevalessero nei primi giorni della Chiesa; e non va negato che alcuni entusiasti possano talvolta aver intrapreso una simile cura, e persino, in condizioni immaginabili, con un successo parziale o apparente. Questi casi eccezionali, talvolta difficili o impossibili da capire, possono essere contatati occasionalmente.  Ma che non facessero praticamente nessuna figura nella Chiesa antica è la cosa che si evince più chiaramente dalle stesse testimonianze di Schmiedel. Ascoltiamole in dettaglio. 

Schmiedel dice (E. B., “Vangeli”, § 144):

Secondo Marco 6:5 s. (si veda § 140b [che abbiamo già considerato, pag. 201]), dobbiamo intendere che Gesù guarì dove trovò fede. Questo potere è così fortemente attestato per tutto il primo e il secondo secolo che, vista la grandezza spirituale di Gesù e il carattere carismatico della sua personalità [tutto ciò è immaginario], sarebbe davvero difficile negarglielo. Anche i Farisei non negano i suoi miracoli di guarigione [solo di “cacciata dei demoni” vi è menzione nei testi], anche se li riconducono a un accordo [?] con Belzebù (Marco 3:22; Matteo 9:34, xii, 24; Luca 11:15). Secondo Matteo 12:27 = Luca 11:19, pure i discepoli dei Farisei operarono tali miracoli [proselitismo ebraico?]; l'uomo che non seguiva i discepoli di Gesù scacciava i demoni [ma solo “nel tuo nome”] (Marco 9:38-40 = Luca 9:49 s.); lo stesso è detto di quelli  che in Matteo 7:22 s., Gesù respinge nel suo giudizio finale [anche costoro “scacciarono i demoni” “nel tuo nome”: cioè, rovesciarono l'idolatria predicando il culto di Gesù]. Paolo asserisce che un potere simile fu posseduto da lui stesso (2 Corinzi 12:12; Romani 15:19) e da altri cristiani (1 Corinzi 12:8-11, 28); Giustino menziona espulsioni di demoni (Apologia 26, Dialogo 30, 35, 39, 76, 85); così pure Tertulliano (Apologetico 23), Ireneo (2:31 s., Eusebio, H.E. 5) e Quadrato (Eusebio, H.E., 4:3:2). 

Poi in una nota a margine:

Per quanto riguarda Giuseppe, confronta Guerra Giudaica 2:8:6, 7:6:3, Antichità 3:11:3, 8:2:5, e Contro Apione 1:31; per Plinio, N.H. 30:2; per Luciano, Philopseudes 16 s. Secondo Tacito (Hist. 4:81), Vespasiano effettuò diverse guarigioni meravigliose (cfr. sopra, col. 1456). 

Certamente una serie formidabile di autorità, che invero potrebbe essere ampiamente allungata. Abbiamo bisogno di considerare solo le presunte testimonianze di una letterale cacciata dei demoni. Per quanto riguarda i Vangeli, le osservazioni che abbiamo inserito tra parentesi [ ] sono sufficienti a mostrare che non esiste affatto una tale testimonianza; i passi sono interpretati molto più naturalmente come la messa al bando dell'idolatria tramite la predicazione del Gesù. Quanto a Paolo, abbiamo già visto che lui non è mai nominato in relazione a tale esorcismo, né lo nomina mai. Il primo passo citato (2 Corinzi 12:12) dichiara semplicemente: “In verità i segni di un apostolo sono stati compiuti tra voi con ogni pazienza, con segni, prodigi e potenze”. In Romani 15:19 (che ho provato [si veda J. B. L., 1901, 129-157; 1902, 117-169] essere un'aggiunta tardiva all'epistola), il linguaggio è ancora più vago: “in potenza di segni e prodigi”. Non c'è alcun accenno all'esorcismo. 

In 1 Corinzi 12:8-11, sono menzionati vari “doni dello Spirito”, tra cui “doni di guarigione”; anche nel versetto 28, “doni di guarigione”: in entrambi i casi senza ulteriori specificazioni. Chiaramente non si può dedurre nulla. 

Saltando ora oltre quasi cento anni di silenzio, in Apologia 26  di Giustino leggiamo: “Anche dopo l'ascesa di Cristo al cielo i demoni inviarono alcuni uomini che si spacciavano per dèi e che non solo non furono perseguitati da voi, ma furono addirittura ritenuti degni di onori: come un certo Simone, un samaritano di un villaggio chiamato Gitta? che sotto Claudio Cesare, grazie all'arte di lavorare i demoni, avendo operato poteri magici nella vostra città reale di Roma, fu stimato un dio e fu da voi onorato come un dio con una statua, che fu eretta nel fiume Tevere tra due ponti, recante questa iscrizione romana: A Simone Dio Santo (Simoni Deo Sancto). Su ciò sembra sufficiente osservare, in primo luogo, che non accenna affatto alla cacciata dei demoni, e anche se lo facesse non proverebbe nulla, perché Giustino qui si condanna irrevocabilmente. L'iscrizione reale era: Semoni Sanco Deo. Fidio Sacrum Sex. Pompeius. S. P. F. Col. Mussianus Quinquennalis Decur Bidentalis Donum. Dedit. 

Questo Semo, che Giustino scambia per Simone, era un dio sabino dei giuramenti o dei patti (“sancus a sanciendo”), da cui chiamato pure “Fidius a fide”, e non aveva più a che fare con Simon Mago che con Simon Pietro. Soprattutto, però, è perfettamente chiaro che Giustino stesso considera i demoni alla stregua di falsi dei. 

Questo fatto è pienamente confermato dal successivo testo di prova, Dialogo 30: “Poiché dai demoni, che sono estranei al culto di Dio, che prima adoravamo, preghiamo Dio di essere sempre preservati per mezzo di Gesù Cristo, affinché dopo la conversione a Dio possiamo essere irreprensibili per mezzo di lui. Per lui chiamiamo l'Aiuto e il Redentore, alla cui potenza anche i demoni tremano e oggi, esorcizzati nel nome di Gesù Cristo Crocifisso sotto Ponzio Pilato, che era procuratore della Giudea, sono sottomessi; così che anche da questo è evidente a tutti che il Padre suo gli ha dato un tale potere che anche i demoni sono sottomessi dal suo nome e dalla dispensazione della sua passione”. Chiaramente Giustino identifica i demoni con gli dèi pagani, e se intende qualcos'altro con l'esorcismo e la sottomissione di questi demoni al nome di Gesù che non sia la caduta delle divinità pagane dinanzi alla predicazione del Gesù, è solo per una tardiva applicazione errata della vecchia frase familiare “cacciata dei demoni” o “sottomettere demoni al Gesù”. Chiaramente il passo non può essere citato come testimonianza della realtà di un tale esorcismo. 

La citazione successiva (Dialogo 35) non menziona demoni, ma solo “le potenze che anche ora procedono dal suo nome”, su cui sembra del tutto inutile soffermarsi. Neppure la successiva (Dialogo 39), ma parla semplicemente di uno che ha lo spirito di guarigione (ὁ δὲ ἰάσεως), forse accennando al passo di 1 Corinzi 12:8-11. 

In Dialogo 76: “E ora noi che crediamo in Gesù, nostro Signore crocifisso sotto Ponzio Pilato, abbiamo tutti i demoni e gli spiriti maligni sottomessi a noi, esorcizzandoli”. Ricorda che Giustino ha identificato chiaramente questi demoni con gli dèi pagani, e percepisci che questo passo è al più una trovata retorica. Se qualcuno avesse invitato Giustino Martire ad un'illustrazione, lui avrebbe potuto riferirsi a qualche conversione in cui davvero qualche dio-demone pagano fu abbattuto e scacciato dal potere del (culto di) Gesù. 

Infine (Dialogo 85): “Perché per il nome di lui, questo Figlio di Dio e primogenito di tutta la creazione, nato da una vergine e fatto uomo e crocifisso sotto Ponzio Pilato dal vostro popolo, morto e risorto e asceso al cielo, ogni demone esorcizzato è vinto e sottomesso. Ma se esorcizzate con tutti i nomi di coloro che tra voi sono stati re, giusti, profeti o patriarchi, nessuno dei demoni sarà sottomesso; ma se qualcuno di voi esorcizza con il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe, forse sarà sottomesso. Ma ho già detto che i vostri esorcisti, usando l'arte come fanno i Gentili, esorcizzano e usano fumigazioni e legami magici”.  Ho citato questo lungo passo perché è il più forte nella lista di Schmiedel e perché mostra il Credo degli Apostoli in fase di formazione. Non è questa la sede per approfondire il grande significato di quest'ultimo. 

Non va supposto per un momento che il presente scrittore neghi o metta in dubbio il fatto stesso dell'esorcismo nel periodo in considerazione. La parola stessa è una testimonianza del fatto, e come tale è inconfutabile. Anzi, per di più, l'immensa letteratura magica delle fedi antiche, gli innumerevoli incantesimi e scongiuri, ne recano una testimonianza inequivocabile. Soprattutto, certi passi su cui lo scrittore ha richiamato più volte l'attenzione mostrano decisamente che i nomi “Gesù” e “Nasarya” furono realmente utilizzati come nomi di divinità nelle evocazioni in una data estremamente antica all'inizio del cristianesimo. Infatti, la stessa frase “Nel nome di Gesù” reca testimonianza certa, come Heitmueller ha esposto mirabilmente, all'uso di quel grande nome come formula magica. Che debba essere stato usato per esorcismi di demoni come pure per altri scopi è probabile in anticipo e può essere ammesso pienamente. [3] Alla luce di questo stato del caso, non sembra improbabile che la formula di Giustino, estesasi rapidamente nel Credo degli Apostoli, possa essere stata realmente pronunciata in alcuni esorcismi, specialmente perché sappiamo che la formula magica era ritenuta rafforzata da tali recitazioni quasi storiche. Così Origene (Contra Celsum 1:6): “Perché non sembra che prevalgano per mezzo di incantesimi, ma per mezzo del nome di Gesù dopo la recita delle storie che lo riguardano”

D'altra parte, questa stessa formula è diventata il credo della Chiesa, una cerimonia di ammissione alla Chiesa stessa. Così questa espulsione dei demoni è vista ancora stare chiaramente in strettissima relazione con la rinuncia al paganesimo e l'adozione del culto di Gesù. Che tali dovessero essere stati almeno il significato e l'uso prevalenti tra i cristiani appare piuttosto evidente da questa considerazione, che questa formula poteva essere stata usata al massimo solo in pochi casi relativamente eccezionali di esorcismo di indemoniati, mentre dovette essere stata usata in migliaia di migliaia di casi di conversione dal paganesimo. Perfino allora, qualora concediamo tutta la forza possibile a queste parole di Giustino, esse non riescono ancora a indicare una reale possessione ed esorcismo come un fatto certo, o almeno importante, nella vita iniziale della Chiesa; esse si trovano in relazione con la rinuncia formale al paganesimo e l'accettazione del cristianesimo. Ciò fu davvero un esorcismo, ma un esorcismo nel senso neotestamentario, che abbiamo già trovato necessario. 

A conferma di questa tesi possiamo fare un appello ulteriore e decisivo a Giustino stesso; infatti il passo più importante non è citato da Schmiedel, forse perché trovato nella Seconda Apologia, 6: “Ma Gesù ha il nome e il significato sia di uomo che di Salvatore. Perché anche lui è stato fatto uomo, come abbiamo detto prima, secondo il consiglio di Dio e Padre, creato per il bene degli uomini credenti e per dissolvere [4] i demoni”. Qui, allora,  la natura e la missione di Gesù sono definite. Egli è un Salvatore, come indica il nome. Da cosa salva? Dai demoni. Chi salva? I credenti. Qui, allora, ogni dubbio appare fugato. È del tutto impossibile intendere questa salvezza dei credenti dai demoni come se si riferisse alla cura di qualche sporadico indemoniato. Giustino sta definendo il significato generale del Gesù come salvatore, e lo definisce nel senso che è per il bene dei credenti e per l'abbattimento dei demoni. Sembra certo che ciò dovette significare la conversione degli idolatri pagani al culto di Gesù. Ma si notino i termini singolari con cui specifica e descrive ulteriormente tale conversione: “E ora potete imparare da ciò che avviene sotto i vostri occhi. Infatti, molti posseduti dai demoni in tutto il mondo e nella tua città, molti dei nostri uomini, i cristiani, esorcizzando con il nome di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio Pilato, da tutti gli altri esorcisti e incantatori e maghi non guariti, hanno guarito e guariscono tuttora, annullando ed espellendo i demoni che ossessionano gli uomini”

Qui l'attività distintiva dei cristiani è descritta come questa espulsione dei demoni. Pare incredibile che questa, nel senso letterale delle parole, potesse essere stata la vocazione tecnica e professionale dei cristiani a Roma verso la metà del secondo secolo. Ci fu solo una cosa che poteva essere stata attribuita a loro come loro vocazione peculiare, e ciò fu la conversione degli uomini al cristianesimo, al culto del Gesù. Questa, dunque, è l'espulsione dei demoni, considerata dal Martire. L'espressione “non guarito da tutti gli altri esorcisti”, ecc. sembrerebbe riferirsi alla moltitudine di credi e di culti di cui Roma abbondava.

Oltretutto, questa nozione e designazione degli dèi pagani come demoni non è occasionale, ma costante e persino universale in Giustino. Egli li definisce figli di angeli malvagi, che hanno come Principe il Diavolo, Satana, il Serpente, che esigono vittime e culto da malviventi, che schiavizzano gli uomini, che appaiono sotto forme e nomi simulati preservati in santuari e templi, corrompendo e spaventando per mezzo di prodigi, che sono chiamati dèi, ognuno scegliendo il proprio nome, che inviano eretici con l'intento di allontanare gli uomini da Dio e da Cristo, che calunniano i cristiani, che sfuggono al potere degli uomini e che sono sottomessi dal nome di Gesù. Su quasi tutti questi punti Giustino esprime il sentimento generale dei cristiani. Neppure fu sostenuto in questo argomento degli stessi pagani, come Porfirio, l'acerrimo antagonista del cristianesimo. Possiamo dire, allora, con rinnovata e accresciuta fiducia, che per espulsione dei demoni Giustino Martire intese, in generale, se non proprio in ogni caso, il rovesciamento del politeismo per mediante la conversione al culto del Gesù. 

Passiamo ora alle altre autorità citate. Nell'Apologeticum di Tertulliano (22, 23) troviamo esposte le sue idee sugli dèi pagani, demoni e spiriti maligni. Già nel Capitolo 21 ha definito la missione di Cristo, non come quella di Numa, di educare all'umanità i bruti e i selvaggi spaventandoli con una moltitudine di dèi da propiziare, ma di aprire alla conoscenza della verità gli occhi di uomini già molto colti e ingannati dalla loro stessa raffinatezza (sed qui iam expolitos et ipsa urbanitate deceptos in agnitionem veritatis ocularet). Dobbiamo sicuramente ammirare l'ampiezza e la giustezza della sua visione. Non c'è bisogno di argomentare che questo significa che Numa compì la sua missione tramite l'espediente passeggero del culto pagano, e ciò il Cristo venne a rimuovere e abolire. Proprio così (come abbiamo visto) pensava Giustino, che preferì l'espressione simbolica “dissoluzione dei demoni”. Tertulliano procede ora (Capitolo 22) a dichiarare:

Infatti noi affermiamo che esistono certe sostanze immateriali, né il nome è nuovo; i filosofi conoscono i demoni......Ma dai libri sacri noi conosciamo la vicenda, come da certi angeli volontariamente pervertiti sia discesa la più pervertita schiatta dei demoni, condannata da Dio con gli autori di tale razza e con quello che nominammo il loro principe (Satana)......Ma per ora basterà indicare quale sia la loro attività. Essa consiste nella rovina dell'uomo; e la malizia degli spiriti fin dall'origine si è dedicata alla perdita dell'uomo.......attraverso furori orribili e pazzie, terribili passioni e aberrazioni d'ogni genere, delle quali la principale è quella di raccomandare quei vostri dèi alle menti ingannate e circonvenute......Ogni spirito è alato: vuoi gli angeli, vuoi i demoni......La loro rapidità è ritenuta sinonimo di divinità......Ma se gli angeli ed i demoni operano le stesse cose dei vostri dèi, dove è mai la superiorità della divinità?......Non sarà perciò meglio presumere che sono i demoni stessi che si spacciano per divinità......piuttosto che ritenere gli dèi pari agli angeli ed ai demoni?......Si dirà che la differenza dei luoghi costituisce la distinzione (fra dèi e demoni), giacché nei templi voi considerate dèi coloro che non ritenete tali altrove......Basta con le parole; dobbiamo dimostrare il fatto in sé, provandovi che una sola è la natura di tali forze che hanno due diversi nomi. Si convochi qui subito, davanti al vostro tribunale, un uomo che consti essere posseduto dal demonio: se da un cristiano qualsiasi a tale spirito è ordinato di parlare, egli confesserà di essere un demonio, il che è vero, mentre altrove egli si è detto dio, ciò che è falso. Parimenti......se la stessa vergine Celeste (la Giunone cartaginese?), propiziatrice di piogge, o lo stesso Esculapio, rivelatore di rimedi, che rese la vita a Socordio, a Tanazio e ad Asclepiodoto che dovevano morire il giorno dopo, se, non volendo mentire davanti a un cristiano, essi non confessano di essere stati dei demoni, subito spargete il sangue di quel cristiano impostore”.

Così traspare attraverso la retorica nebulosa di Tertulliano che egli ritiene che un dio sia solo un demone adorato in un tempio. Oltretutto, egli dichiara che un posseduto da un demone si sarebbe confessato tale se interrogato da un cristiano. Il significato del passo conclusivo è quasi irrisolto; potrebbe forse riferirsi a qualche episodio di cui non abbiamo conoscenza. Dice Oehler: “Ho ricostruito per ipotesi questo passo quasi disperato per la ragione che non si sa assolutamente a quale storia Tertulliano si stia riferendo”. Chiaramente nessuna argomentazione può basarsi su un tale passo. Forse non ci fu nessun episodio del genere. Il vanto di Tertulliano che il posseduto interrogato da un cristiano si sarebbe confessato indemoniato forse significa solo che qualche persona, in qualche condizione del genere, era stata o poteva essere convertita al cristianesimo, aveva rinunciato al paganesimo e accettato il culto di Gesù. Dobbiamo ricordare che Tertulliano è un principe dei retori, a cui il discorso semplice, diretto è quasi impossibile.  Dopo molte altre declamazioni, poco pertinenti a questo argomento, dichiara: “Ma tutto questo nostro dominio e potere su di loro deriva dal fatto che nominiamo Cristo......Temono Cristo in Dio e Dio in Cristo, e sono perciò sottoposti a noi, servitori di Dio e di Cristo. Questa sembra essere solo una vaga declamazione, per cui forse l'unica base è la reale conversione al cristianesimo di zelanti devoti pagani. Notiamo che Tertulliano non rivendica nulla per sé stesso personalmente e non attesta nulla come sua osservazione personale. Il nostro sospetto è rafforzato dall'osservazione seguente: “Queste in breve sono proprio le testimonianze che dei vostri dèi sogliono fare i cristiani: quanto maggiormente noi crediamo ai demoni, tanto più crediamo in Dio attraverso Cristo”. Visto il noto sacrificio di Tertulliano di tutto il resto all'effetto oratorio, sembra difficile convincersi che avesse in mente qualcos'altro se non conversioni, talvolta di malati, al cristianesimo.

Si può notare che la sua concezione dei demoni trova ampia conferma e reiterazione nelle pagine della letteratura cristiana antica. Ireneo (2:6, 2) dichiara che “perciò a colui che è chiamato Altissimo e Signore dell'universo sono soggette tutte le cose, e invocando questo, anche prima della venuta del Signore nostro, gli uomini si salvavano dagli spiriti iniqui, da tutti i demoni e da tutti gli spiriti apostati......Certamente non l'hanno visto, ma tutte le cose sono soggette al nome del nostro Signore (Gesù? Oppure l'Imperatore?), e così sono soggette al nome di colui che ha creato e fondato tutte le cose, sebbene non sia altri che colui che ha creato il mondo. Perciò i Giudei fino ad ora mettono in fuga i demoni con questa invocazione, dal momento che tutte le cose temono la invocazione di colui che le ha create”. Qui Ireneo sembra avere in mente il passo profetico: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Gioele 2:32). Tale invocazione fu un riconoscimento del dio invocato, quindi venne ad essere associata intimamente alla conversione al suo culto. Tuttavia, la magia e l'incantesimo ebraico non sono naturalmente negati in tal modo. Ma non si evince ancora nulla di esorcismi reali, distinti dalle conversioni, tra i primi cristiani. Volgendoci al riferimento di Schmiedel (2:32, 4; Harvey, 1:375), troviamo la questione alquanto chiarita. Parlando dei doni spirituali posseduti dai cristiani, egli dichiara: “Alcuni infatti allontanano i demoni con fermezza e verità, così che spesso credono quegli stessi che sono stati purificati dagli spiriti cattivi e sono nella chiesa”

Qui, allora, il segreto sembra essere trapelato. Il legame tra la cacciata dei demoni e la conversione alla fede è presentato così stretto e intimo che sembra quasi impossibile dubitare che l'una non sia che una variante dell'altra. A dire il vero, Ireneo dice “spesso”, e sembra fare una distinzione; ma questo non è altro da quanto dovremmo aspettarci: non è che una parte del processo generale di letteralizzazione, di trasformazione dei simboli spirituali in eventi materiali, che egli, insieme a “Ignazio”, fece così tanto per favorire e che l'Antica Chiesa Cattolica deve ringraziare in così vasta misura per la sua esistenza. [5]

In ogni caso, questo sembra un passo davvero pericoloso per il professor Schmiedel. Al più e al meglio esso non potrebbe dimostrare nulla per la sua causa, visto che subito dopo leggiamo che “già” “alcuni morti sono resuscitati e sono rimasti con noi molti anni”. Siccome egli rifiuterà certamente questa dichiarazione in quanto incredibile, nonostante la nota di Harvey, che credito può prestare a quanto immediatamente precedente? 

Più illuminante a questo proposito è il seguente passo della dotta opera di Carl Schmidt su Gnostische Schriften in koptischer Sprache, a pag. 510: “Questo ci rammenta fin troppo distintamente gli esorcismi che nel tempo antico svolsero un rôle altamente significativo al Battesimo, in quanto tutti i candidati erano perciò ritenuti posseduti da demoni (Täuflinge), [6] e di conseguenza ci fu di fatto una categoria di esorcisti che godeva di reputazione elevata”. In questa profonda discesa dalle vette serene della propaganda primitiva sembra impossibile non riconoscere il fatto che la Cristianizzazione fu originariamente concepita come una cacciata di demoni, come una conversione dal paganesimo al culto di Gesù, il Dio Salvatore. 

Il fatto è che i cristiani più spirituali anche di quel tempo — chiamati comunemente gnostici in termini di biasimo, sebbene Clemente di Alessandria definisce gnostici i cristiani a titolo di onore — compresero perfettamente che tutte queste guarigioni si riferirono principalmente e propriamente a malattie non del corpo, ma dell'anima, e lo insegnarono esplicitamente. Per la loro perspicacia e il loro candore ricevettero un brusco rimprovero ad opera di Ireneo: “Ma sono talmente lontani dal resuscitare i morti, come li resuscitarono il Signore e gli apostoli per mezzo della preghiera, e come tante volte nella fraternità per necessità......che non credono neppure che ciò possa mai avvenire, ma che la resurrezione dei morti è la conoscenza della verità insegnata da loro” (2:31, 2; Harv., 2:48, 2). In maniera simile, ma naturalmente più violenta, Tertulliano, De Resurr., 19: “Anche la resurrezione dei morti, apertamente annunciata, essi la distorcono in senso immaginario, sostenendo che anche la stessa morte è da intendersi spiritualmente”. Come in molti altri punti, anche qui il pensiero moderno respinge l'interpretazione ortodossa e adotta l'interpretazione gnostica.

Il professor Schmiedel si riferisce successivamente a Eusebio, H. E., 5:7. Questa, tuttavia, è solo una citazione imperfetta da parte di Eusebio del passo precedente di Ireneo, e quindi non può trattenerci. Il suo riferimento successivo è pure a Eusebio, H. E., 4:3, 2, una citazione dello storico dall'“Apologia in difesa della nostra religione” di Quadrato indirizzata ad Elio Adriano. Essa dichiara solo che “le opere del Salvatore nostro erano sempre presenti perché erano vere: quanti furono guariti, quanti furono resuscitati dai morti......così che alcuni di loro arrivarono persino ai nostri giorni. Nulla è detto di altre opere oltre a quelle del Salvatore, e nulla di nulla è detto di demoni. 

La citazione successiva è di Giuseppe, B. J., 2:86, parte della famosa descrizione degli Esseni, ma non contenente alcuna allusione a demoni o esorcismi o a qualsiasi tipo di prodigi. Ma è detto che cercassero radici medicinali e particolarità di pietre per il trattamento di malattie, il che ci porta alla seguente citazione (B. J. 7:6:3) — una storia banale di una specie di ruta, grande come un fico, che era durata dal tempo di Erode, e sarebbe durata molto più a lungo se non fosse stata tagliata; e di una radice chiamata Baaras, dal luogo dove cresce, in una valle presso Macheronte a nord — una radice miracolosa in tutti i sensi, ma preziosa: infatti basta solo avvicinarla a chi ne è afflitto per liberarlo immediatamente dai cosiddetti demoni, i quali sono spiriti di uomini malvagi che penetrano nei corpi dei viventi e li uccidono se non li si soccorre. Tutto ciò che questa storia può provare, se può provare qualcosa, è solo ciò che non è mai stato messo in discussione: cioè che i maghi cercarono di esorcizzare persone ritenute possedute da demoni. Giuseppe ritiene questi ultimi spiriti di uomini malvagi: non divinità, come fecero i cristiani. Con questa testimonianza la questione della concezione neotestamentaria della cacciata dei demoni non è sfiorata.

Passando per il riferimento successivo (Giuseppe, Antichità 3:11:3), che parla solo di certe impurità e non di demoni, arriviamo al passo classico (Antichità 8:2:5). Esso racconta come Dio concesse a Salomone la conoscenza dell’arte da usare contro i demoni a sollievo e vantaggio degli uomini; come Salomone “lasciò varie forme di esorcismi con i quali si scacciano i demoni da coloro che ne sono posseduti, e non ritornano più”: un metodo valido a questo giorno, poiché egli stesso (Giuseppe) aveva visto un certo suo conterraneo, di nome Eleazaro, che, in presenza di Vespasiano e di tutto il suo esercito, applicando un anello, avente una radice prescritta da Salomone sotto il sigillo, alle narici di un indemoniato, espulse il demone dalle narici, il quale demone, al comando di Eleazaro, avrebbe poi rovesciato un catino pieno d'acqua per far sapere a tutti di essere davvero fuoriuscito. Non sappiamo quale fosse l'inganno qui, né se l'intera storia non sia una sciocca invenzione; in ogni caso e al massimo, al pari della citazione precedente, essa si limita a dimostrare un dato indiscusso, ma non tocca la questione della cacciata dei demoni nel Nuovo Testamento. 

Nell'ultima citazione (Contro Apione 1:31) Giuseppe sta difendendo Mosè contro Manetone e non sembra fare nessuna menzione di demoni.  

Semplicemente per rendere la storia più completa, procediamo a considerare gli altri riferimenti. In Plinio (Nat. Hist., 30:2) troviamo la semplicissima menzione di “un'altra setta (factio) magica che deriva da Mosè, da Ianne, da Iotape e dagli Ebrei, ma molte migliaia di anni dopo Zoroastro”. In Tacito (Hist., 4:81) troviamo la storia inverosimile di come Vespasiano ad Alessandria, dopo una consultazione coi dottori che gli assicurarono che valesse la pena provare, restituisse la vista a un cieco mediante la sua stessa saliva imperiale, applicata come unguento sugli occhi, e di come restituisse la salute a una mano storpia (aeger) calpestandola col suo piede cesareo. Tacito aggiunge sprezzantemente: “Persone che assistettero ai due prodigi li ricordano ancora oggi, quando non ci sarebbe nessun vantaggio a mentire”. Il commento sembra superfluo. 

Infine, siamo rimandati a Luciano (Philopseudes, 16). In questo delizioso pezzo di satira sulla creduloneria, Luciano fa raccontare a Ione, tra gli altri, menzogne su menzogne delle proporzioni di Münchhausen riguardanti le prodezze dei maghi; una di queste è circa “il Siro di Palestina”, che, per un compenso adeguato, in circostanze impressionanti, alla luna piena, farà uscire da un epilettico un demone che parla greco o barbaro, a seconda del caso. Lo stesso Ione aveva visto spuntare un simile demone, nero e scuro di carnagione. Tichiade prende la storia con le molle, ricordando che, secondo Platone, i sensi sono ingannevoli. Come già detto, questa menzogna è tratta da una rete di bugie, le più assurde che Luciano potesse inventare. Sembra attestare che Luciano giudicasse i racconti di possessione demoniaca e di esorcismo atroci falsità. Eppure, direte voi, ci furono tali racconti. Certo; ciò è già stato ammesso. Ma i racconti sono sempre detti come rari prodigi e sono ridicolizzati dagli intelligenti. In tutto questo non c'è alcuna prova che i primi cristiani intendessero una simile ciarlataneria con la loro espulsione dei demoni, che tutti gli indizi mostrano che fosse un'espressione simbolica del rovesciamento del paganesimo, della conversione al culto di Gesù. Sebbene possa essere altamente probabile che alcuni propensi alla magia avessero usato il nome di Gesù per esorcizzare i demoni in senso materiale e medico, tuttavia questo non fu il senso principale o prevalente tra i primi cristiani, che dovettero aver pensato principalmente a malanni e impotenze spirituali e non fisiche. Ad essere sicuri, come già detto, l'immaginario descrittivo e la caratterizzazione drammatica possono essere stati attinti da questi casi clinici di epilessia e follia; ma resta nondimeno certo che gli Evangelisti, nel rappresentare la Galilea dei Gentili affollata di demoni, mentre in Giudea non ce n'erano nessuno, stavano pensando non alle condizioni di Galilea come insalubri paragonate a quelle di Giudea, ma al multiforme culto pagano che vi prevaleva in contrapposizione al monoteismo di Giudea. 

Finora è stato tacitamente assunto, come universalmente ammesso, che la Galilea fosse, almeno in gran parte, pagana. Né sembra che ci sia bisogno ora di alcuna argomentazione. Dice il rabbino Hirsch, nella Jewish Encyclopaedia, v, 554: “Già ai tempi dell'Antico Testamento la popolazione di questa regione era ampiamente mista; e lo divenne ancora di più dopo la caduta del regno efraimita....... Indubbiamente molti ebrei emigrarono successivamente in quella terra benedetta, cosicché la popolazione divenne prevalentemente ebraica, come è descritto nel Nuovo Testamento e da Giuseppe”. La parola “prevalentemente” potrebbe forse far riflettere, ma possiamo lasciarla stare: i rapporti non sono esattamente determinabili. È sufficiente citare un'altra frase del dotto rabbino: “Gli abitanti, in parte pagani e in parte ebrei, sono detti litigiosi e di indole disobbediente (Ned., 48a; Tosef., Git. 6)”. Nel Talmud (Shab., 14b, 15a) è dichiarato che la “Terra delle Nazioni” (Erez ha-Ammim), che difficilmente può essere altro che il biblico “Cerchio delle Nazioni” (Gelil ha-Goyim), è impura. Questo punto può quindi essere considerato risolto. 

Ma non va supposto che i Vangeli, nel descrivere la marcia vittoriosa del (culto di) Gesù di villaggio in villaggio, di città in città, stessero pensando solo alla regione attorno al Mare di Galilea. In nessun modo! Essi avevano in mente il progresso trionfale della nuova religione attraverso l'intero impero circummediterraneo; ma con vero istinto drammatico per l'unità di luogo, simboleggiarono questo mondo pagano con la regione a loro meglio nota, dove tutte le fedi e tutte le stirpi si erano mescolate da tempo immemorabile, con la “Galilea dei Gentili”.


NOTE

[1] È gratificante osservare che alle pagine 180 e seguenti della sua acuta e dotta opera, De groote Vraag (1911), il professor Bolland  si è espresso in pieno accordo con le opinioni qui esposte, nonché con l'interpretazione del Ricco come simbolo del giudaismo. Se il filosofo di Leida ha raggiunto siffatti risultati indipendentemente da questo libro, che ha letto attentamente e altrove cita ripetutamente nella sua forma tedesca, ma non alle pagine 180 e seguenti, allora questa coincidenza offre una conferma fortissima della correttezza delle opinioni in questione. 

[2] Secondo Keim (3:53; si veda pagina infra), a Gerico l'energia curativa di Gesù fu al suo apice, “potente come una fiamma di fuoco”; ma Bacon (The Beginnings of Gospel Story, pag. 146) ritiene che questa fiamma si fosse abbassata, fino all'estinzione, quando il Gesù si diresse a sud dalla Galilea. “Il corso degli eventi, perciò, non richiede imperativamente il riaccendersi in questo caso sporadico della fiamma del potere curativo di Gesù, così lontano dalle scene della sua attività originaria”. Cioè l'abbassamento di un grado rispetto al fulcro annichilì la capacità miracolosa del Salvatore! E proprio dove Keim ha trovato al loro apice i poteri miracolosi del Gesù, proprio lì Bacon li trova spenti e inerti!

[3] Fintantoché l'idolatra adoratore di demoni fu concepito come posseduto in qualche senso — ossia sotto l'influenza del suo demone — era naturale per i cristiani, soprattutto per i più ignoranti (come testimonia Origene), attribuire le infermità fisiche degli idolatri a tale possessione; quindi divenne altrettanto naturale parlare di ogni tipo di malattia, soprattutto mentale, come guarita completamente da Gesù, all'invocazione del suo nome — ossia dal salvifico culto monoteistico di Gesù. Quindi tali forme di concezione ed espressione, per quanto frequenti, non stanno in disaccordo ma in accordo con la nostra comprensione degli esorcismi del Nuovo Testamento, la cui essenza è questa: l'espulsione dei demoni da parte di Gesù (e generalmente, più tardi, nel suo nome, da parte dei cristiani) va intesa solo nel senso religioso della conversione dal politeismo al culto di Gesù. Si confronti 1 Corinzi 12:2, 3, dove il “lasciarsi trascinare verso gli idoli muti” sta in netto contrasto col detto “Gesù è Signore”: ossia con la confessione, con la conversione. 

[4] O espulsione, ἐπὶ καταλύσει = ad eversionem — Otto.

[5] Per cui, invero, la testimonianza di tutti questi letteralisti, anche se assai più esplicita, non poteva veramente provare nulla contro la nostra tesi; perché al massimo attesterebbe solo la loro interpretazione del testo neotestamentario, ma non poteva mai provare che la loro interpretazione fosse corretta. Intendendo l'espulsione dei demoni letteralmente, al pari del resto dei Vangeli, e ricordando che i discepoli dovevano compiere atti ancora più grandi (Giovanni 14:12), era quasi certamente necessario per loro recare qualche testimonianza di siffatti esorcismi letterali. Che la loro testimonianza sia nondimeno così estremamente vaga sembra un chiaro indizio del fatto che non ci fosse in realtà nulla del genere da testimoniare. 

[6] Il corsivo è del sottoscritto.

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