lunedì 16 settembre 2024

ECCE DEUS — PRELIMINARE

 (segue da qui)


PARTE II. 

TESTIMONIANZA DEL NUOVO TESTAMENTO 

ἅτινά ἐστιν ἀλληγορούμενα. — Galati 4:24. 

PRELIMINARE 

1. Recentemente è giunto a chi scrive l'accorato suggerimento, proveniente da fonti altolocate, di rendere accessibili al pubblico alcune delle porzioni più facilmente intuibili delle prove, da tempo accumulate e ancora da accumulare, della pura divinità e della non-umanità originaria del Fondatore del Cristianesimo. La saggezza di un tale suggerimento sembra indiscutibile se si pensa che nessuno sa quanto Azrael sia vicino, e sarebbe certamente meglio lasciare in stampa alcune indicazioni, per quanto inadeguate, della linea di argomentazione che non lasciarne praticamente nessuna. In Der vorchristliche Jesus, infatti, erano solo un po' di “asserzioni positive” ad essere state stabilite “irrefutabilmente”, solo alcuni indizi positivi di un Gesù e di un culto di Gesù precristiani a ricevere qualche attenzione. La “fase negativa” è stata accuratamente tenuta fuori dalla vista, o almeno il più possibile in secondo piano. Solo in un passo, nella “Vorrede”, questa “fase negativa”  giunge ad una dichiarazione semi-esplicita, e poi non come qualcosa la cui dimostrazione dovesse essere tentata nel libro in questione. Nella mente dell'autore, infatti, essa era assai meno immediata e importante delle “affermazioni positive”. Che il Gesù fosse divino nella concezione cristiana primitiva, che da questa idea centrale e originale della sua divinità dovesse essere studiato e compreso l'intero movimento cristiano: questo sembrava, e sembra tuttora, all'autore il fatto supremamente significativo e decisivo, in confronto al quale la “fase negativa”, il fatto che egli non fosse un uomo storico al pari di Napoleone o di Maometto, sprofonda in una posizione molto secondaria. Però non era innaturale, né invero inaspettato, che la maggioranza dei lettori invertisse esattamente questa relazione, che sorvolasse superficialmente l'elemento positivo e si soffermasse attentamente sull'elemento negativo. 

2. Stando così le cose, ciò non poteva ovviamente essere trascurato per sempre. Al contrario, richiedeva a gran voce la trattazione più minuziosa e più accurata, né avrebbe mai potuto balenare in mente all'autore l'idea di far attendere a lungo il lettore per una pubblicazione che toccasse questo aspetto più interessante della questione. Ma proprio perché si sentiva che questa “fase negativa” richiedesse una trattazione molto più approfondita di quanto fosse possibile in quel libro, la discussione su di essa fu rinviata e la considerazione fu limitata strettamente alle “asserzioni positive”. Questo programma è stato condotto in modo così coscienzioso che più di un critico illustre mancò del tutto di vedere la “fase negativa”: come ad esempio l'Abate Loisy nella Révue Critique e il Reverendo Newton Mann nell'edizione riveduta della sua Evolution of a Great Literature, per quanto entrambi siano stati colpiti dalle “asserzioni positive”. Nondimeno la maggioranza è sembrata indubbiamente percepire questa “fase negativa”, se non altro come un corollario implicito ed inespresso delle affermazioni; e alcuni hanno persino permesso a questa percezione di offuscare il loro giudizio, come Wernle, che critica il libro in cinque colonne della Theologische Literaturzeitung

3. Ma, per quanto questo corollario sia quasi implicito, hanno ragione coloro che ritengono che non sia contenuto immediatamente nelle posizioni stabilite nel libro. Indubbiamente miti e leggende [1] si addensano come nubi intorno alle maestose personalità della Storia. Ciò lo si può ammettere liberamente e pienamente, anche non tenendo conto dei miti di Napoleone, siano di Pérès o di Whately, che vanno considerati banalità del tutto indegne dei loro autori. Il fatto che un mito, o più miti, si possano ritrovare associati al nome di un individuo non relega affatto quest'ultimo nella classe delle figure non-storiche. Tanto meno, però, ciò pesa a favore della sua effettiva storicità. Se la cima della montagna c'è, le nuvole vi si addenseranno intorno: spesso possiamo spiegare le leggende con la presenza della personalità storica, conosciuta indipendentemente come storica. Ma la semplice esistenza delle nubi non può mai attestare la presenza della montagna, perché le nubi si addensano anche sulle pianure e sui mari. Così pure le leggende non possono di per sé testimoniare qualche fondamentale personalità storica soggiacente, perché spesso avvolgono un nome che è solo un nome, forse di una grande Idea, ma non di una personalità in carne e ossa. Le argomentazioni, tuttavia, che sembrano stabilire “la fase negativa” non sono ancora state messe in stampa — almeno a mia conoscenza — e sono di una natura, forse, ancora raramente congetturata. Solo alcune di esse, perché il loro nome è legione, è obiettivo di questo lavoro esporre.

4. Si ammetterà che se il Gesù fosse stato un uomo storico in carne e ossa, allora avrebbe dovuto essere una personalità davvero straordinaria. Eucken sarebbe certamente giustificato nel parlare della “personalità suprema e della costruttiva opera esistenziale di Gesù” e della sua “incomparabile personalità spirituale”. Forse non siamo in grado di dire in cosa consistesse la sua particolarità, ma non c'è dubbio che dovette essere reale e priva di alcun parallelo storico. Infatti, tali presunti miti e leggende di miracoli, di nascita soprannaturale, di morte sacrificale, di resurrezione, di ascensione, di potere divino e simili, non potevano certo attaccarsi rapidamente, in quell'epoca e in quel contesto, a un uomo anche solo di natura straordinaria, a meno che egli non fosse oltremodo noto e distinto da tutti gli altri uomini. Pietro, Paolo, Giovanni il Battista, Giovanni l'Evangelista e i loro simili erano uomini straordinari, personalità prominenti. Eppure non udiamo molto presto di imprese soprannaturali indipendenti di questi uomini; i miracoli a loro attribuiti furono relativamente insignificanti, e compiuti da loro nel Nome di Gesù, oppure da suoi rappresentanti. Deve essere chiaro come il sole ad ogni occhio non prevenuto che Gesù si erge completamente solo nella storia cristiana antica. [2

5. Anche un personaggio come Paolo, che alcuni considerano il vero fondatore del cristianesimo e che tutti ammettono essere stato un personaggio molto degno di nota, anche lui e il Battista, che era abbastanza importante da ricevere attenzione da Giuseppe e da tenere insieme per un certo tempo un gruppo di discepoli, anche loro e Pietro, che raggiunsero una posizione così cospicua tra i discepoli e un'autorità senza pari nelle tradizioni della Chiesa, anche costoro non possono essere nominati per un istante nella stessa categoria di Gesù, né nella seconda né nella terza categoria dopo di lui. Tutti devono percepire che non appartengono alla stessa categoria: il Gesù è del tutto sui generis, del tutto unico e incomparabile. 

6. Ora, se la posizione ortodossa è corretta, ciò è perfettamente comprensibile, ed esattamente come dovrebbe essere; non stiamo però contestando l'ortodossia, né ce ne occupiamo ora e qui. Ma se la posizione critica o unitariana è corretta, allora questa unicità nella raffigurazione del Gesù nelle prime fonti deve essere spiegata, deve essere resa comprensibile. L'unico modo per spiegare l'assoluta singolarità di questa concezione e raffigurazione antica è supporre che il Gesù fosse, se non una personalità del tutto unica (che a stento differirebbe da una divinità), almeno una personalità in tutto e per tutto meravigliosa, di tipo e grado di gran lunga superiore a qualsiasi altra di cui abbiamo notizia. 

7. Questa è invero la tesi della moderna critica liberale, [3] la quale non riesce a trovare termini abbastanza forti per esprimere la propria concezione di questa personalità impressionante, la quale era invero (ex hypothesi) solo un uomo, eppure in qualche maniera misteriosa superava tutti gli altri uomini, tanto da essere divinizzato poco dopo la sua morte umiliante, e tanto da ispirare ai suoi discepoli più intimi una fede incrollabile nella sua Resurrezione dalla tomba, nella sua ascensione al cielo e nella sua co-eguaglianza con Dio stesso nel governo dell'universo. Da qui la cura infinitamente minuziosa e amorevole con cui è stata studiata l'immagine del Gesù, come si presume data nel Nuovo Testamento, per discernere e mettere a nudo ed esibire e mostrare quale fosse la particolare peculiarità di quest'uomo meraviglioso, che lo rendesse così ineguagliabile nella sua influenza sugli uomini e, se non proprio divino, tuttavia così esageratamente grande, bello, sublime, attraente, affascinante — bando alle ciance! — così infinitamente superiore a tutti gli altri uomini che persino i suoi discepoli, che non lo capirono e non lo apprezzarono affatto, non poterono però trattenersi dall'adorarlo come Dio.

8. Sappiamo tutti quali sforzi disperati e devoti siano stati compiuti in questo senso, come uomini come Harnack abbiano lottato per scoprire ed esprimere l'essenza del cristianesimo, come Chamberlain abbia tentato di immaginare il segreto [4] del Christus, e Keim, e Volkmar, e Renan, e Bousset, e Schmiedel, e von Soden, e cento altri. È impossibile non ammirare l'erudizione e la devozione, lo zelo e l'acume di cui hanno dato prova in questi sforzi; è altrettanto impossibile negare o nascondere il fatto che, tutti quanti, sono stati fallimenti assoluti; i risultati sono stati assurdamente e ridicolmente sproporzionati rispetto alle immense forze impiegate nei tentativi. Parturiunt montes, nascetur ridiculus mus. Mai questa frase trovò un'illustrazione più perfetta. 

9. È sempre impossibile trovare nella narrazione evangelica — se eliminiamo l'elemento soprannaturale, come fanno all'unanimità questi critici — più di (al massimo) un Rabbino ebreo molto saggio, amabile, ammirevole, spirituale, di buon cuore, dal pensiero profondo, orientato al cielo, alquanto mistico ed ebbro di Dio. [5] Questi uomini, come Gautama, sono vissuti e morti, hanno raccolto discepoli intorno a sé e sono stati venerati da questi discepoli per molti anni; alla morte sono stati pianti per molti giorni e mesi, la loro memoria è stata custodita, il loro ipse dixit è diventato autorevole, e forse storie esagerate, o persino leggende miracolose, si sono gradualmente accumulate attorno ai loro nomi. Se i discepoli di Gesù avessero fatto una o tutte queste cose, o anche solo qualcosa di simile, allora la tesi del nobile e amabile Rabbino potrebbe essere prontamente accettata. 

10. Ma il fatto è che non fecero (per quanto possiamo accertare) nulla del genere. La critica che stiamo facendo rivela nella condotta dei discepoli nessuno degli aspetti che sarebbero state naturali e inevitabili nella condotta dei discepoli ebrei di un amato Rabbino. Né la testimonianza come sta, né la testimonianza epurata, purificata e ricreata dai critici possono mostrare un'azione naturale da parte di questi presunti discepoli amorevoli di un Rabbino amorevole. 

11. Cosa fanno (secondo i critici)? Hanno visioni del loro maestro; credono che sia risorto dai morti e asceso al cielo; cominciano a predicare un elaborato sistema di salvezza e a operare miracoli in suo nome! Tutti i tentativi di comprendere un'azione simile come il risultato delle impressioni suscitate nella mente dei discepoli da una conversazione di qualche mese con un Rabbino ebreo sono peggio che inutili. Potremmo altrettanto bene supporre che, nel delirio dei loro ricordi, avessero tentato di saltare sulla luna! 

12. Ma questo non è tutto. Si dà il caso che abbiamo la prova positiva che questa associazione. e l'impressione che ne deriva. non ebbero assolutamente nulla a che fare col discepolato personale, con la devozione alla propaganda cristiana e con la dedizione alla causa e al culto di Gesù. Infatti, il più grande di tutti gli Apostoli, che per zelo e abnegazione, oltre che per successo, superò di gran lunga tutti gli altri, l'Apostolo dei Gentili, non fu un discepolo personale del Gesù, che apparentemente non incontrò mai nella carne, contro i cui presunti seguaci personali lo si raffigura violentemente infuriato. Ecco, allora, la dimostrazione che il più forte attaccamento personale al Gesù, il più vivo affetto per il Gesù, non comportò alcuna conoscenza di sorta di lui come un uomo. Ora, ci chiediamo, se dobbiamo spiegare l'entusiasmo senza pari di Paolo per il Gesù come entusiasmo per un'Entità celeste, che non aveva mai conosciuto come un uomo terreno, perché non possiamo spiegare similmente l'entusiasmo più mitigato di Pietro e di Giovanni? Che cosa guadagniamo immaginando una meravigliosa personalità umana per spiegare la loro devozione, quando dobbiamo spiegare una devozione più elevata senza tener conto di alcuna personalità del genere? Questa considerazione sembra perfettamente decisiva contro la presunta necessità di una meravigliosa personalità umana per spiegare il comportamento dei discepoli.

13. Ma c'è una considerazione ancora più sostanziale da fare. I critici si superano l'un l'altro nelle concezioni esaltate di quest'uomo, il Gesù. Nessuno nega o negherà che la personalità umana, se tale fu, dovette essere stata in sommo grado straordinaria. Se i miracoli furono effettivamente compiuti, allora la fama dell'operatore di meraviglie dovette essere stata grandissima. Dovette essere giunta alle orecchie di entrambi ebrei e gentili in tutta la Palestina, come del resto è espressamente detto nei Vangeli. In questo caso sembrerebbe strano che un accenno a un tale prodigio non ci raggiunga da nessuna parte nei documenti contemporanei, soprattutto da nessuna parte in Giuseppe.  Qualche cristiano antico dovette aver sentito fortemente questa lacuna, perché l'ha colmata con la famigerata interpolazione (Antichità 18:3, 3), in cui si vede chiaramente la mano del cristiano. Giuseppe non ha mancato di parlarci di Giovanni il Battista, ed ecco che qui c'è un personaggio più grande del Battista. Perché, allora, egli non menzionò alcuni degli eventi stupefacenti che segnano la carriera del Gesù? L'unica risposta possibile è che egli fu ostile ai cristiani e non si curò di onorarli con una nota. Ma una risposta così inadeguata non sarebbe né suggerita né accettata, se non in caso di estrema necessità e in mancanza di altro. Simile e di analogo significato è il silenzio dello storico ebreo contemporaneo Giusto, come attestato da Fozio, e di Filone, il Platone ebreo. 

14. Ma i critici che abbiamo in mente replicheranno che le opere potenti del Vangelo furono realizzate solo nell'immaginazione degli scrittori, che Giuseppe e Giusto e Filone non allusero a loro, per l'ottima ragione che si trattarono di invenzioni successive della fantasia evangelica. Anche se si dovesse concedere ciò, rimarrebbe comunque vero che la personalità dovette essere stata tanto più straordinaria, dovette essere stata superumanamente meravigliosa, per aver raccolto intorno a sé così rapidamente un nimbo di miracoli senza precedenti. L'elisione dei molti miracoli non migliora affatto le cose, ma rende l'Unico Miracolo ancora più stupendo. Ebbene, un personaggio così meraviglioso dovette aver attirato un'ampia attenzione, e la sua crocifissione dovette essere stata un evento notevole: perché, allora, non ne parla Giuseppe, non ne parla Giusto, non ne parla nessuna autorità profana? [6]

NOTE

[1] Così non è implicito che il presente scrittore ritenga miti o leggende le narrazioni relative a Gesù; egli le considera simboli, scelti consapevolmente all'inizio e in alcuni casi elaborati e drammatizzati consapevolmente in seguito, sempre con finalità didattiche.

[2] Alcune delle presenti considerazioni sono già state avanzate sotto altra veste in questo volume; una breve ripetizione è necessaria qui per introdurre quanto più possibile l'argomento. 

[3] Ma nei suoi pronunciamenti più recenti, spaventata dalle ovvie conseguenze della propria concezione della suprema personalità di Gesù, essa comincia a mettere in dubbio, e seriamente, se egli fosse così meraviglioso dopo tutto! Se non fosse semplicemente un entusiasta apocalittico!

[4] Questo segreto lo scopre — mirabile dictu! — nell'oracolo: “Il Regno dei cieli è dentro di voi”, frainteso a significare “nei vostri cuori, nella vostra interiorità”. Che un tale significato sia impossibile è chiaro dal fatto che Gesù si rivolge qui (Luca 17:20, 21) non ai suoi discepoli, ma ai Farisei ostili. La parola ἐντὸς qui non significa dentro, ma tra, in mezzo a. Il Regno, all'inizio una società segreta, era infatti inosservato tra loro. L'idea che questo “Regno dei cieli” sia uno stato mentale (così Boston), su cui Chamberlain basa tutto il suo interessante capitolo sul “fenomeno incomparabile di Cristo”, è invero magnifica, ma contraddetta decine di volte nel Nuovo Testamento. 

[5] Neppure un siffatto personaggio è stato decifrato o restituito dai documenti del Nuovo Testamento con una chiarezza persuasiva, per non dire convincente. I geniali biografi e interpreti del Gesù, scrutando intensamente nel mare di cristallo dei Vangeli, hanno visto trasfigurata la propria immagine in quelle placide profondità. Non meraviglia, allora, che il loro Jesusbild vibri tra la “dolce ragionevolezza” di Arnold e la “follia dissimulata” di Binet-Sanglé.

[6] Altrove in questo libro il lettore troverà discusso a lungo il “Silenzio di Giuseppe”.

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