sabato 14 settembre 2024

ECCE DEUS — IL PRINCIPIO ATTIVO DEL CRISTIANESIMO

 (segue da qui)

IL PRINCIPIO ATTIVO DEL CRISTIANESIMO 

97. Vi chiedete quale fosse questo germe? La risposta deve essere quella già data: esso fu l'impulso monoteistico, l'istinto di unità che sta alla base di ogni grande filosofia e di ogni nobile religione. 

I padri cristiani non sbagliarono nel dedicare così tanto tempo e tanto pensiero alla dottrina della Monarchia, la sola sovranità di Dio; né fu in torto Schleiermacher nel dire del capo dei Monisti moderni che egli fu “pieno di religione e pieno di spirito santo”; né Novalis nel definirlo un “uomo inebriato da Dio”. Il cuore e l'anima del cristianesimo primitivo furono una protesta appassionata, sostenuta e ben ragionata contro l'idolatria dominante, in quanto degradante, immorale, irrazionale e del tutto indegna dell'uomo, che era la creatura più sublime dell'universo e doveva adorare solo l'unico Dio supremo, per sempre uno, sebbene rivelato all'uomo sotto una varietà di aspetti o persone; e fu proprio questo appello al monoteismo che valse alla nuova religione la sua vittoria improvvisa e sorprendente. 

98. Ma nessun germe può crescere, o persino vivere, a meno che l'ambiente non sia favorevole, e il grado di perfezione nello sviluppo dipenderà in larga misura dal grado di favore mostrato dall'ambiente. Se applichiamo questo truismo al caso in questione, ci accorgeremo subito che tutte le condizioni furono presenti all'inizio della nostra era, o anche prima, in misura e grado mai eguagliati, proprio per la germinazione e la crescita di un'idea come quella che abbiamo trovato incarnata nel cristianesimo. Infatti, è ben risaputo e liberamente riconosciuto che c'era tutt'attorno al Mediterraneo un immenso e intenso desiderio di un Salvatore. Le prove sono già stampate, accessibili e citate, cosicché non abbiamo bisogno di soffermarci più a lungo su questo punto. 

99. Molto più importante è il fatto che le condizioni esistenti erano tali da spingere l'istinto monoteistico ad un'attività quasi febbrile. Finché qualche sorta di indipendenza politica, o almeno di separazione, si legò all'isolamento o all'allontanamento geografico e alla distinzione razziale o linguistica, il dominio degli dèi locali o etnici non fu turbato profondamente dalle convulsioni della guerra e dalle rivoluzioni dell'impero. L'intuizione dell'Uno, di cui anche le divinità planetarie erano solo manifestazioni e incarnazioni parziali, si affermò qua e là (come ci ha insegnato Delitzsch) migliaia di anni prima tra gli eletti presso i fiumi di Babilonia. Ma solo ad ampi intervalli tali picchi di pensiero si innalzarono al di sopra del livello morto delle molte acque del politeismo. Anche in mezzo alle deportazioni distruttrici di razze che fecero parte della politica imperiale di Assur e di Babilonia, gli dèi locali tennero il loro posto inalterati; i nuovi venuti furono solo i loro nuovi sudditi, che adottarono il loro culto e si sottomisero alla loro signoria. Un esempio lampante è offerto in 2 Re 17:24-33, dove alle cinque nazioni deportate a Samaria si insegna “il culto del Dio” della loro nuova terra ed imparano a “temere Jahvé”, pur conservando i culti dei loro antichi dèi. Ci fu un'azione e reazione potente alla spinta di Giuda e Persia, ma il contatto fu breve e tutt'altro che mondiale. 

100. Molto più significative ad ogni modo furono le conquiste planetarie di Alessandro. Il rovesciamento dell'impero e della civiltà asiatica da parte dell'Europa, la veemente influenza verso est dell'ondata di conquiste che per tanti secoli era fluita verso ovest, la sconfitta e la rovina dei mostruosi dèi dell'Oriente di fronte alle splendide divinità della mitologia greca: tutto ciò produsse un fermento religioso più profondo e più importante di ogni rivoluzione politica. Ma la potente opera del bellicoso figlio di Filippo fu arrestata prematuramente e il suo colossale impero cadde istantaneamente a pezzi tra le lotte dei suoi successori. [1] Nondimeno, la diffusione del pensiero, della cultura e della parola greca su tutto l'Oriente fu un'azione unificatrice di importanza incalcolabile. Ad essere sicuri, ci fu una reazione oltre che azione: la cultura greca fu svilita, la parola greca si snaturò, l'etica e la religione greca si corruppero a causa dell'amalgama. 

101. Ma ancora più importanti — anzi, di influenza decisiva — furono le armi soggioganti e la legge ordinatrice di Roma. Le conquiste romane e, soprattutto, la pace romana comportarono la confutazione e condanna finale del politeismo. Infatti sebbene si potesse ammettere, con qualche accenno di ragione, che i gloriosi dèi della Grecia avessero trionfato sui culti più grossolani dell'Asia, tuttavia nessuno poteva spiegare perché essi stessi, incomparabili per bellezza e insuperabili per potenza, dovessero soccombere di fronte alle forme attinte e alle astrazioni incolori dell'Italia. Inoltre, l'impero universale di Roma e l'universale mescolanza dei popoli, congiunti all'universale tolleranza, su condizioni eguali, di tutte le forme di fede e di culto, non solo resero tutte le religioni note a tutti gli uomini, ma allo stesso tempo le resero tutte quante loro quasi ugualmente ridicole. Fu una generale reductio ad absurdum. Come potevano due sacerdoti, di Iside e di Artemide, scambiarsi cortesie nel Foro senza un sorriso? 

102. Molto tempo prima, tuttavia, le filosofie ampiamente diffuse dei presocratici, di Platone, di Aristotele, degli Stoici e degli Epicurei, e della successiva Accademia, avevano completamente sminuito, e persino rovesciato, le fedi nazionali nella mente dei colti, e avevano persino suscitato uno spirito di ribellione indignata contro la schiavitù degradante imposta loro dall'idra a più teste della superstizione, un sentimento espresso in versi di immortale bellezza da Lucrezio, che celebrò Epicuro come il liberatore degli uomini. [2] Ma il contributo della filosofia alla liberazione della mente umana, per quanto fosse grande, in alcun modo bastò: infatti non liberò le masse schiavizzate, per le quali Protagora, Democrito e Carneade non furono che ombre di nomi potenti. Il vero Liberatore doveva ancora venire. 

103. Quanto profondamente questa servitù umiliante ai demoni fosse sentita dal pensiero antico è ampiamente attestato dagli scrittori cristiani come pure da quelli profani. In tutte le Apologie risuona forte e chiara la chiamata alla libertà. La stessa nota di richiamo è udita nel Nuovo Testamento. In Romani 8:19-21 abbiamo una descrizione lampante dello stato del paganesimo (ἡ κτίσις, la creatura, qui significa evidentemente il mondo gentile, come in Marco 16:15, “Predicate il Vangelo a tutta la creatura”; che equivale a Matteo 28:19, “Discepolate tutti i gentili”): [3] “Poiché la creatura attende con ansia la rivelazione dei figli di Dio. Poiché la creatura è stata sottomessa alla vanità, non per sua volontà, ma per mezzo di colui che l'ha sottomessa, nella speranza che la creatura stessa sia liberata dalla schiavitù della corruzione verso la libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta la creatura geme e si affanna nel dolore fino ad oggi”. “Vanità” e “schiavitù della corruzione” significano qui idolatria e politeismo, così ferocemente attaccati nel primo capitolo, versetti 18-32. “Vanità”, sotto diverse forme in ebraico, è un termine abituale per idoli e culto degli idoli, ed è usato similmente anche in Atti 14:15; Efesini 4:17. “Schiavitù della corruzione” significa chiaramente servitù alle immagini, a ceppi e pietre corruttibili, la stessa schiavitù contro cui troviamo una protesta così forte in Galati 4:8, 9 e altrove. La “gloriosa libertà” non è altro che il monoteismo, il servizio dell'unico vero Dio, chiamato la Verità nelle epistole giovannee, come nel famoso oracolo (8:32): “Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi”. “Cosa?”, dice un obiettore, “gli Ebrei non erano già i più rigorosi monoteisti?” Certo, lo pensavano; ma alcuni cristiani entusiasti non lo avrebbero ammesso, come abbiamo già appreso dall'Apologia di Aristide. [4] Neppure lo ammetterà il Quarto Evangelista; lo nega al capitolo 8, versetto 42, e al versetto 54 dichiara: “Del quale dite che è il vostro Dio, ma non l'avete conosciuto”. In Galati 4:8, 9 il cristianesimo e il paganesimo sono direttamente contrapposti come “conoscenza di Dio” e “ignoranza di Dio”

104. O Libertade, il tuo vessil. Sebbene lacerato si svolge; 

e contra vento come folgor procede. 

È la libertà politica di cui parla il poeta-titano, alla vista del cui vessillo “gli uomini hanno affollato la strada verso la morte come per una festa”. Era una ben più “gloriosa libertà dei figli di Dio” che gli antichi cristiani proclamarono; fu redenzione da una ben più terribile “tirannia di demoni”, che aveva calpestato l'umanità nella polvere e nel fango fin dalla prima sillaba del tempo ricordato. Sarebbe stato strano se un tale vessillo non fosse stato dispiegato proprio in questa crisi nella storia della nostra razza; sarebbe stato strano se non avesse suscitato immenso entusiasmo in tutti i ranghi della società; se non avesse ispirato i suoi seguaci con un nuovo senso della dignità dell'uomo e dell'infinito valore della personalità e dell'anima umana, nonché dell'universale Paternità di Dio e fratellanza dell'uomo, idee che i critici più abili hanno considerato le più vicine ad esprimere l'essenza del cristianesimo. Ma questi critici non hanno mai collegato logicamente queste idee alla antica propaganda, perché non hanno mai ritenuto questa propaganda una crociata prudentemente velata e cautamente custodita, ma non meno intensa e determinata, contro l'idolatria. 

105. Se una tale ribellione contro il politeismo era naturale, e persino inevitabile, sotto le condizioni date, non era meno certo che dovesse trovare il suo fulcro nella Diaspora, tra gli ebrei proselitisti e i loro proseliti gentili, in quella regione di confine dove l'ebreo e il greco si incontravano. L'ebreo, infatti, era indubbiamente l'unico rappresentante di spicco della teoria e della pratica monoteistiche e i suoi libri sacri offrivano il più ampio arsenale di argomenti nella lunga polemica con il paganesimo. Gli scritti dei filosofi, dei moralisti e dei poeti greci non erano affatto da disprezzare. Al contrario, il Nuovo Testamento risuona di echi della letteratura greca; mentre negli apologeti, come Clemente, sentiamo il coro a piena voce della Grecia. Nondimeno, persino Socrate offrì un gallo ad Asclepio, e persino Eschilo e Sofocle riconobbero, anche se avrebbero potuto nasconderla, una molteplicità infinita di divinità. Fu solo nelle Scritture ebraiche che l'unicità assoluta della Divinità venne enunciata e mantenuta chiaramente, coerentemente e inequivocabilmente. Quindi, queste stesse Sacre Scritture costituirono l'indispensabile point d'appui, la base delle operazioni, nella sacra campagna contro Tutto ciò che cadde per opera di Colui che resuscitò.  

106. Nondimeno, fu soprattutto una coscienza greca e non una ebraica a condurre la tremenda battaglia. Le braccia furono le braccia di Giacobbe, ma i muscoli furono i muscoli di Iafet. Era naturale che gli ebrei in generale non dovessero mai aver sentito questa guerra come propria. Ad esser sicuri, essa sostenne il loro dogma centrale, ma solo in un senso diverso da quello originale, un senso che la grande maggioranza di loro non aveva mai raggiunto e che comportava concessioni e rinunce che furono naturalmente molto riluttanti a fare. Questo atteggiamento di riserbo da parte dell'ebreo ha trovato frequenti espressioni nel Nuovo Testamento, su cui si richiama esplicita attenzione nelle pagine seguenti. Egli è, ad esempio, il Ricco di Marco 10:17-31; il Ricco Epulone di Luca 16:19-31. Fu davvero difficile per lui entrare nel Regno in cui i Gentili furono ammessi a pari condizioni. Non ci è mai riuscito. Neppure la chiamata alla Libertà avrebbe potuto risvegliare nella sua anima la stessa eco come in quella del Gentile, perché non risuonò sulla stessa coscienza riverberante di servitù ai demoni. Il messaggio evangelico non poteva essere stato carico di tutta la sua reale importanza per gli ebrei che furono giustamente orgogliosi del loro immemorabile enoteismo. 

107. Questo fatto e questo sentimento sono messi in rilievo netto e lampante dal quarto Evangelista (8:32-33): “E conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi. Gli risposero: Noi siamo la discendenza di Abramo e non siamo mai stati in schiavitù con nessuno”. Quale schiavitù si intende? Sicuramente non politica, perché la razza aveva trascorso molto della sua storia, e lo fu anche allora, in schiavitù politica. E neppure morale, a dispetto dell'allusione al peccato nel versetto 34. La schiavitù è religiosa. La schiavitù è religiosa. Gli ebrei si vantavano del loro monoteismo, della loro conoscenza del vero Dio, derivata da Abramo. Non avevano mai servito alcun falso dio. È questo che l'Evangelista nega, come fece Aristide. Non ammetterà che essi siano veri monoteisti, veri adoratori di Dio (8:39, 40). Anzi, non sono figli di Dio, cioè adoratori di Dio. [5] Sono i figli del diavolo, adoratori (in qualche modo) del diavolo, di cui fanno le opere (8:41). Indubbiamente gli ebrei subiscono qui una grave ingiustizia, ma non se la passano mai bene in mano giovannea. Questo lungo passo, tuttavia, elabora semplicemente un'idea sinottica espressa molto brevemente (Matteo 3:9; Luca 3:8): “E non pensate di dire tra di voi: Abbiamo Abramo per padre, perché io vi dico che Dio è in grado di far nascere da queste pietre dei figli ad Abramo”. Ancora il vanto monoteistico; ma un vanto vano! Perché Dio poteva fare delle pietre dei figli di Abramo. Ciò non può significare altro (come percepisce Zahn, che ha spesso ragione, pag. 135) che la conversione dei pagani. [6] Proprio lo stesso significato si trova in Luca 19:40: “Le pietre grideranno”: ovvero i pagani accetteranno il culto di Gesù con acclamazione. 

108. All'ebreo la dottrina gloriosa del monoteismo apparteneva di diritto per eredità da Abramo, che per primo tra gli uomini (nella storia ebraica) ebbe fede nel Dio unico e uscì da vero monoteista dalla terra dell'idolatria. Ma il nuovo monoteismo non lo accettarono; furono esclusi dal Regno, pur essendone figli; e i Gentili da ogni angolo della terra, portati dagli angeli nel seno di Abramo, vi entrarono e lo condivisero con gli antichi Fedeli. Questo “grande rifiuto” degli ebrei è rappresentato ancora in tinte più fosche come una “Consegna” (non un Tradimento) del Gesù da parte di Giuda (ossia: Judaeus) (I)Scariota (ossia: Consegnatore, ὁ παραδούς, come è provato nella sede appropriata). È invero la più grande di tutte le tragedie nazionali, che si estende per tutta la sua tremenda lunghezza attraverso tutti i secoli successivi. 

109. Ecco che il percorso di pensiero tracciato per questa Introduzione è quasi completato. Si vede ora che il titolo Der vorchristliche Jesus dato al lavoro precedente è in ogni modo più che giustificato. Il fatto centrale che esige una spiegazione è l'adorazione del Gesù, un'adorazione che non crebbe gradualmente, ma è pienamente matura fin dai primissimi tempi del Nuovo Testamento. A meno che non si spieghi ciò, tutte le altre spiegazioni, per quanto interessanti, perdono la loro importanza, perché non possiamo essere sicuri della correttezza di nessun dettaglio finché questo fatto centrale onnicomprensivo non sia pienamente giustificato. Ora, siccome questo fatto ci viene incontro proprio alle soglie del cristianesimo, deve trovare la sua spiegazione in qualcosa di pre-cristiano. Anche se non avessimo alcuna prova di un culto di Gesù pre-cristiano, saremmo costretti ad affermarne l'esistenza con immutata decisione. Un culto di una divinità non può essere spuntato in un giorno o in un anno. Nessuna serie concepibile di eventi, neppure se fossero miracoli, in una vita umana breve o anche lunga, avrebbe potuto spiegare l'adorazione da parte dei suoi discepoli di un semplice uomo Gesù, come il Dio supremo, immediatamente successiva alla sua esecuzione e sepoltura, e ancor meno la sua adorazione come tale ed esaltazione al trono dell'universo, come Dio eternamente preesistente, da parte del persecutore Saulo. Ci dovette essere stato un culto precristiano di una divinità precristiana. Questa ipotesi è assolutamente inevitabile. Essa vi si presenta dinanzi agli occhi da qualunque parte la si guardi. Inoltre, è attestata in modo schiacciante dallo stesso Nuovo Testamento, che mostra chiaramente che il culto fu esoterico molto prima di diventare exoterico, che ciò che comunemente si suppone essere stato l'inizio del culto fu solo la sua irruzione in piena e perfetta fioritura. “Prima il germoglio, poi la spiga, poi il grano pieno nella spiga” (Marco 4:28). È del tutto inammissibile omettere o ridurre le fasi preliminari. 

110. Infine, la proclamazione del monoteismo è l'unica essenza adeguata che può essere attribuita al cristianesimo. La nozione che questa essenza consista in qualsiasi tipo di insegnamento morale è assolutamente impossibile. L'istinto dell'uomo ha sempre rifiutato, e sempre rifiuterà, qualsivoglia minimizzazione e degradazione del messaggio evangelico. Le vette andine o himalayane dell'etica non sono raggiunte nel Nuovo Testamento. Non si raggiungono altitudini così vertiginose di moralità indiscussa come nel secondo libro della Repubblica di Platone. No! L'errore della critica su questo punto è fatale; la sua malattia è immedicabile. Contro i critici, la Chiesa a questo proposito ha eternamente ragione. Il cristianesimo non è moralità; è religione, è teosebia: il culto del Dio Unico. [7] “Se uno è theosebes e fa la sua volontà, egli lo ascolta” (Giovanni 9:31). 

111. Inoltre, è questo contenuto, e solo questo, che può spiegare il rapido e straordinario trionfo del Vangelo intramontabile. Che cos'era quel “Vangelo intramontabile” recato su ali angeliche attraverso il cielo e proclamato da voce angelica a tutti gli abitanti della terra? Era esattamente ciò che abbiamo scoperto essere in ogni occasione l'unico e originale contenuto del cristianesimo: “Temete Dio e dategli gloria” (Apocalisse 14:7). Ecco la Summa Evangelii! 

112. Nessuna meraviglia che un tale vangelo, in un tale momento, abbia rotto il sonno profondo dell'idolatria come uno squarcio di tuono dantesco. E quale altra proclamazione avrebbe potuto risvegliare così un mondo, sciogliere le catene dei demoni tiranni, liberare i prigionieri della superstizione, illuminare gli occhi dei ciechi e richiamare alla vita un universo? Potevano dei precetti morali o l'esempio etico aver sviluppato tali poteri miracolosi? Sicuramente no! Anzi, anche se fosse stata proclamata una nuova e superiore regola di vita e un sistema sociologico, avrebbe potuto offrire temi per discussioni dotte e acute, o persino fornire una base per una saggia legislazione e un giusto giudizio, ma niente più. Non avrebbe mai potuto rinnovare il volto della creazione, non avrebbe mai ispirato interi eserciti di martiri, non avrebbe mai cacciato i demoni nel mare. Chi è mai stato entusiasmato da una dottrina etica — non importa quanto severa e terribile, al pari dell'imperativo categorico di Kant; non importa quanto persuasiva e vincente, al pari del sentimentalismo di Shaftesbury? 

113. E considerate soltanto quanto sarebbe stata assurda e inutile qualsiasi altra proclamazione di una religione mondiale! Ci si immagini gli Apostoli, al pari degli Apologeti, rivendicare il Dio Unico contro i molti idoli, sotto il nome e gli attributi del Gesù guaritore di tutti, salvatore di tutti ed espulsore di demoni. Di colpo vediamo che argomentazioni dovettero essersi riversate su di loro da ogni parte; le frecce del pensiero dovettero essere scoccate in una tempesta impetuosa dalle loro menti. Ma ora raffiguriamoli mentre espongono la vita e il carattere di un bifolco galileo, non importa quanto bello e attraente; immaginiamoli predicare di aver avuto visioni di lui dopo la sua morte sulla croce;  supponiamo che invitassero i loro uditori a credere a queste visioni e a venerare questo bifolco come Dio stesso, in trono nei cieli più alti; e immaginiamoli intenti a operare ogni sorta di miracolo in suo nome. Sarebbe stato possibile per un uomo di intelligenza anche solo comune non considerare dei pazzi tali predicatori? Non avrebbe almeno chiesto loro una qualche minima parvenza di prova di queste incredibili pretese? E quali prove avrebbero potuto produrre? Oltre alle loro stesse dichiarazioni, assolutamente nulla di nulla! Perché un tale vangelo abbia attraversato tutto il coltissimo  Impero romano, resistente come “una fiamma attraverso campi di grano maturo”, sarebbe stato un miracolo, al cui confronto la resurrezione di Lazzaro sarebbe svanita nel nulla. No! L'intramontabile Vangelo originario fu la proclamazione (velata all'inizio, ma dopo aperta) di una fede e di un culto sublimi e ispiranti, il culto del Dio Unico, Gesù, il Cristo, il Salvatore, il Guardiano, il Signore del cielo e della terra, il cui nome è Intramontabile.

NOTE 

[1] Quanto fosse potente la reazione successiva delle religioni d'Oriente, Cumont lo ha recentemente chiarito nel suo Les Religions orientales dans le Paganisme romain

[2] Mallock, nella sua parafrasi, avrebbe quasi superato l'Aquila romana:

 “Him not the splintered lightnings, nor the roll 

Of thunders daunted. Undismayed, his soul 

Rose, and outsoared the thunder, plumbed the abyss, 

And scanned the wheeling worlds from pole to pole”.

[In italiano: “Né i fulmini schiantati, né il rullo dei tuoni lo scoraggiò. Imperterrito, il suo animo si levò e superò il tuono, scandagliò l'abisso e scrutò i mondi rotanti da  polo a polo”. (NdT)]

[3] “Nel mio nome”, come Conybeare sembra brillantemente provare da Eusebio che il  testo ante-Niceno precedente recitava (cfr.  Zeitschrift di Preuschen, 1901, 275-28; anche Usener, Rhn. Mus., 1902, 39 ss. Contra, Riggenbach, Der trin. Tauf befehl, 1903).

[4 E da Lattanzio. Si veda nota, pag. 38. 

[5] Se vi sia nascosto un contrasto marcionita tra il Dio ebraico e il vero Dio Buono è una questione sottile che non c'è bisogno di affrontare ora. 

[6] Nella mitologia greca e in altre mitologie le pietre furono trasformate in uomini, e pietra non fu una parola rara per indicare uno stupido; avrebbe potuto essere usata proprio per indicare coloro che effettivamente adoravano ceppi e pietre. In questo caso, comunque, sembra essere usato in un gioco di parole: Infatti figli sarebbero b'nayya', e pietre sarebbero 'ab'nayya' — la differenza di pronuncia è appena più che percettibile.

[7] Per il contrasto tra il punto di vista religioso e quello etico si confronti la dottrina evangelica del primo comandamento (Marco 12:29, 30) con il potente verso di Lucano (Pharsalia 1:128): Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni. 

Nessun commento:

Posta un commento