lunedì 23 settembre 2024

ECCE DEUS — IL QUADRILATERO PAOLINO

 (segue da qui)


IL QUADRILATERO PAOLINO

79. Siamo così giunti alle epistole “paoline”, e in particolare alle prime quattro “riconosciute”: la cittadella più interna della critica liberale. Quando scacciato da ogni altra roccaforte, il critico superiore si rifugerà certamente in questo quadrilatero di grande valore. Nessun tentativo elaborato si può fare in questo lavoro per sloggiarlo da lì. Solo un po' di osservazioni, però, sono sufficienti per mostrare che nemmeno esso è inespugnabile. 

80. In primo luogo, era proprio lo studio prolungato di queste epistole a spingere questo scrittore alla sua posizione attuale. In effetti, la scarsissima dipendenza di queste quattro da qualsiasi tesi biografica del Gesù è, in relazione alla presente discussione, il loro aspetto più impressionante. Sentiamo invero parlare della morte e della resurrezione; ma nell'unica allusione in Romani (ad esempio) alla crocifissione è dichiarato (6:6): “sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui” (con il Cristo?); e ancora: “noi dunque siamo stati sepolti con lui” (6:4); così pure in Galati 2:20: “Sono stato crocifisso con Cristo”. Naturalmente è facile dire che queste espressioni siano semplici metafore; ma se ci fosse stata una sepoltura simbolica (nel battesimo, come ammettono tutti), perché non ci sarebbe stata pure una crocifissione simbolica? 

81. Considera, ancora, la frase in Galati 3:1: “O stolti Galati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo fu rappresentato crocifisso?”. La parola προεγράφη (rappresentato) a malapena ammette una traduzione soddisfacente, ma indica certamente una descrizione molto vivida, e apparentemente una rappresentazione fisica, e molto più di un insegnamento “molto preciso e chiaro relativo all'efficacia meritoria della morte di Cristo”: una cosa che Pietro e Paolo non fanno in nessun caso negli Atti. 

82. Considera, ancora, il vanto paolino di “portare sempre nel corpo la morte del Gesù” (2 Corinzi 4:10), e quell'altro: “Perché io porto nel mio corpo le stimmate [1] (στίγματα) del Gesù” (Galati 6:17); e sembrerà difficile resistere al suggerimento che nelle primissime iniziazioni ci fosse, come parte del “mistero della pietà”, una qualche rappresentazione fisica del Dio sofferente, in cui gli iniziati avrebbero condiviso una storia di vita e di morte simboliche, forse non del tutto diversa da quella che veniva messa in scena nei misteri greci. Non è il caso di azzardare altre ipotesi a questo punto, ma si può fare riferimento a 1 Timoteo 3:16 per dare colore a quanto detto sopra. 

83. Un obiettore citerà certamente l'Ultima Cena come testimoniata in 1 Corinzi 11:23 e seguenti. Ma il fatto sorprendente è che l'apostolo non professa di sapere circa questo tema (a sua volta un simbolismo, come abbiamo appena visto) da una testimonianza storica umana (come quel grecista esperto, Georg Heinrici, intuisce chiaramente, ed espone nel Commentario di Meyer), ma per rivelazione divina: “Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso, cioè, che il Signore Gesù”, ecc.    Non possiamo essere sicuri di cosa intenda l'apostolo, ma sicuramente non si tratta di alcuna testimonianza che egli renda al presunto fatto storico. (Vedi Addendum, infra).

84. Ancora una volta, il fatto che queste epistole siano sature di gnosticismo viene alla luce in vari modi. Una sola illustrazione deve bastare. In 1 Corinzi 15:8, leggiamo: “E, ultimo di tutti, come all'Ektroma, apparve anche a me”. I nostri traduttori hanno reso ὡσπερεὶ τῷ ἐκτρώματι con “come a uno nato nel tempo sbagliato”; ma così facendo omettono una parola importante, l'articolo determinativo τῷ (al). La parola uno esclude l'articolo greco. Questa traduzione non può quindi essere corretta; non dà il senso dell'originale. Lo spirito più sottile dell'esegesi protestante, Carl Holsten, dedica mezza pagina di caratteri sottili alla spiegazione di questa “espressione oscura”; ma alla fine non ne ricava nulla di meno oscuro, pur confidando che la sua “sola” “sia la spiegazione dell'intero passo”. Questa stessa egli l'ha ricavata dalla sua coscienza interiore, in apparente disprezzo o ignoranza del fatto che l'Ektroma è un termine costantemente ricorrente nella dottrina gnostica di Sophia e degli Eoni, dove è del tutto pertinente e abbastanza comprensibile, per quanto visionario. Che una tale dottrina e applicazione del termine potessero essere derivate da questo passo, al quale sono del tutto scorrelate, è in ultima istanza inverosimile; che il termine sia stato importato nel nostro brano e utilizzato lì in quanto sufficientemente definito e ben conosciuto da non richiedere alcun commento è un fenomeno letterario semplice e naturale. (Vedi Addendum, infra).

85. Meyer e Heinrici intendono l'articolo τῷ a designare per Paolo “preminentemente la nascita prematura (Fehlgeburt) tra gli apostoli”! Paolo, la cui nascita nei loro ranghi non fu prematura, ma postmatura! Né essi, più di Holsten, si sognano l'uso gnostico del termine. Ma quando ci dicono di “quale peso Paolo attribuisca qui e in 9:1 all'apparizione reale ed effettiva del Signore”, noi dobbiamo replicare che in effetti egli mette le proprie esperienze sullo stesso livello di quelle degli altri. Quindi possiamo giudicare le loro in base alle sue; ma le sue sembrano essere state puramente intellettuali, o almeno solo mentali: “Ma quando piacque (a Dio)......di rivelare Suo Figlio in (o tramite) me, affinché lo predicassi fra i gentili, io non mi consultai subito con carne e sangue, ecc.” (Galati 1:15-17). Meyer e Heinrici hanno importato le parole “effettive e reali” dalla loro teoria personale nella dichiarazione dell'Apostolo, a cui queste apparizioni non furono visioni, ma intuizioni spirituali dei dogmi fondamentali della sua propaganda. 

86. Comunque la si guardi, diventa sempre più chiaro che l'esegesi e il commentario si sono finora rovellati sulla superficie di queste scritture stupefacenti, che c'è ovunque un senso primitivo molto più profondo di quanto perfino i critici abbiano sospettato, che ci siamo nutriti della buccia e non del nocciolo, che abbiamo cercato di sondare le profondità dell'oceano con ami da pesca. 

87. Questa osservazione porta all'ulteriore constatazione che lo schema interpretativo qui sporadicamente esemplificato — un'interpretazione così strenuamente suggerita e raccomandata dalla prevalenza della parabola nei Vangeli — difficilmente potrebbe essere frainteso più completamente se si supponesse diretto contro il Nuovo Testamento, o addirittura contro il cristianesimo nella sua sublime concezione originale. L'interpretazione, infatti, non ha assolutamente nulla da dire né a favore né contro; non solleva alcuna questione di vero o falso; il suo unico scopo è capire, rivelare il pensiero dell'autore, scoprire proprio ciò che intendeva, ciò che intendeva dire. La fede e la non-fede non hanno nulla a che fare con questo caso. 

88. Tuttavia, è possibile e persino doveroso confrontare due interpretazioni e chiedersi quale sia la più nobile, la più degna, la più ispirata, la più edificante, la più soddisfacente per l'anima. Questa verifica non deve influenzare minimamente il nostro giudizio critico, perché la nostra fedeltà è dovuta, prima e ultima e sempre, alla verità, al Dio delle cose come esse sono; però non dobbiamo disdegnare né la preferenza né l'aspirazione. Di conseguenza, si invita fortemente ad un confronto, un confronto tra l'interpretazione simbolica e quella liberale attuale o quella conservatrice tradizionale, nella fiduciosa aspettativa che ogni intelletto imparziale percepisca che l'interpretazione qui illustrata non solo è storicamente, filologicamente e teologicamente giustificata e richiesta, ma che rende onore e maestà, potenza, bellezza e sublimità di gran lunga superiori agli Apostoli e al Nuovo Testamento, alla religione cristiana e a Gesù il Cristo.

NOTE

[1] Allo stesso modo avrebbe parlato il seguace di Mitra, perché egli veniva marchiato indelebilmente con un ferro rovente (Cumont, Les Religions orientales, pag. 14). 

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