martedì 24 settembre 2024

ECCE DEUS — GESÙ IL SIGNORE

 (segue da qui)


ADDENDA 

I. — GESÙ IL SIGNORE 

89. Un'indicazione chiarissima (che, come altre questioni discusse in questi Addenda, non poteva trovare un posto naturale per la trattazione nel contesto del discorso precedente, ma è troppo importante per passare inosservata) dell'antichissima identificazione di Gesù con Jahvé si trova nell'attribuzione regolare a lui del termine Kyrios (Signore), che è la traduzione comune del nome divino, il tetragramma JHVH, nell'Antico Testamento. È vero che questa parola Kyrios è impiegata anche nel Nuovo Testamento proprio come lo è il termine lord in inglese, o seigneur in francese, o Herr in tedesco. Nondimeno, a dispetto di questo uso come nome di classe, quando è usato con l'articolo e senza specificazioni, come in the lord e in der Herr, e in le seigneur, è perfettamente inequivocabile e significa Jahvé, Dio. Così pure nel Nuovo Testamento: Signore, il Signore, il Signore Gesù, il Signore Cristo, significano tutti una cosa, e solo un'unica cosa: ossia l'Essere Supremo, lo Jahvé dell'ebreo, il Dio del greco.

90. Nel caso di questo uso, molto dipende dalla coscienza su cui si basa. Se un indoeuropeo occidentale profondamente religioso in quest'epoca parla del Signore, del Salvatore, del Redentore, del Messia, nessuno si sogna mai un altro riferimento rispetto a quello necessario. Chi parla sarebbe inorridito se qualcuno lo fraintendesse. Ma la coscienza che ci parla in tutto il Nuovo Testamento era più intensamente religiosa di quella attuale; era satura della versione della Septuaginta e delle versioni affini dell'Antico Testamento. L'uso del termine Kyrios per indicare Dio e per tradurre Jahvé (Adonai) le era tanto familiare quanto lo poteva essere qualsiasi uso. Quando, allora, una tale coscienza attribuise regolarmente il termine a Gesù, la conclusione è del tutto ineluttabile: che in tal modo essa identifica Gesù con la Divinità. 

91. Si noti attentamente che questa attribuzione del nome divino non è un fenomeno tardivo. Non fece la sua comparsa gradualmente; non c'è traccia di un'introduzione lenta e prudente. Per nulla affatto! I primissimi strati del deposito neotestamentario, se possiamo fidarci dei risultati dell'indagine critica, mostrano questo uso in modo altrettanto chiaro degli ultimi. Lasciando da parte tutti i casi dubbi, troviamo il Gesù chiamato il Signore in Matteo 21:3; 28:6 (per non parlare di 3:3); Marco 11:3 (16:19); Luca 2:11, 26; 7:13, 19; 10:1, 39, 41; xi, 39; 12:42; 13:15; 17:5, 6; 18:6; 19:8; 19:31, 34; 22:61; 24:3, 34; Atti 1:21; 4:33; 5:14; 8:16; 9:1, et passim. Nelle Epistole, anche le (presumibilmente) più antiche, come Galati e 1 Tessalonicesi, l'uso in questione è così ben noto e normale da rendere superflue le citazioni, se non impertinenti. Similmente nell'Apocalisse, come abbiamo già visto. 

92. In effetti, il termine è attribuito così indiscriminatamente che è difficile e spesso impossibile decidere se il riferimento sia al Signore Dio, Jahvé dell'Antico Testamento, o al Signore Gesù, Jahvé del Nuovo Testamento. Questo fenomeno notevole e indiscutibile sembra escludere definitivamente ogni tesi di una divinizzazione graduale di Gesù. Se un tale processo avesse avuto luogo, parrebbe a malapena possibile che non ne sia sopravvissuta alcuna traccia e che la più antica letteratura esistente abbia attribuito senza esitazione e senza spiegazioni al Gesù un termine che, a prima vista, lo identificava con la Divinità Suprema. 

93. A ciò dobbiamo aggiungere l'ulteriore considerazione che i dubbi e i quesiti relativi al carattere umano del Gesù si fanno sentire sia nel Nuovo Testamento che al di fuori di esso proprio come ci potremmo aspettare, se l'idea non fosse primitiva. Così, nessuna traccia di tale scrupolo va trovata nella grande massa delle scritture neotestamentarie. Se la propaganda più antica proclamò un Dio, un'entità ultraterrena a cui fu attribuita una certa carriera terrena solo simbolicamente e allo scopo di insegnare certe verità profonde, importanti e rivoluzionarie — se all'inizio nessuno prese alla lettera quest'attribuzione, ma la comprese correttamente in armonia con le concezioni religiose generali dell'epoca e dell'ambiente — allora non c'è nulla da stupirsi: le presentazioni più antiche non contengono alcuna controversia su questo punto, perché questo punto non fu in discussione: esso fu equamente e generalmente compreso. 

94. Se, col passare dei giorni, il simbolismo cominciò a cristallizzarsi e a essere preso alla lettera, se si pose sempre più l'accento sull'aspetto umano, sulla rappresentazione storica, sull'incarnazione o sulla venuta nella carne, allora i campioni di questo materialismo avrebbero naturalmente cominciato a raccomandarlo per iscritto; avrebbero dichiarato che fosse la verità, e l'unica verità, e avrebbero proceduto a denunciare i seguaci non progressisti della concezione più antica come vecchi rimbambiti, come eretici e come scismatici. 

95. Esattamente questa denuncia troviamo nella Prima e nella Seconda Lettera di Giovanni, riconosciute tardive. In 2 Giovanni 4:2, è dichiarata la verifica: “Da questo conoscete lo Spirito di Dio: Ogni spirito che confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio: e ogni spirito che non confessa (o nega) Gesù, non è da Dio: ma è lo spirito dell'anticristo. Voi avete sentito che deve venire; e ora è già nel mondo”. Similmente 2 Giovanni 7: “Poiché molti seduttori sono usciti per il mondo, i quali non confessano che Gesù Cristo viene nella carne. Quello è il seduttore e l'anticristo”. Ecco, allora, in quella data relativamente antica, nel seno della Chiesa, questi anticristi, la cui colpa non fu che negassero il Cristo, ma che respingessero la sua venuta nella carne come fatto storico.

96. Naturalmente, ci viene detto universalmente che questo rifiuto fu un nuovo errore appena introdotto nella Chiesa. Certamente, in tutti questi casi, ogni parte deve rappresentare il proprio punto di vista come la verità antica e buona, l'altro come una novità e una falsità. Gli “anticristi” che Giovanni denuncia avrebbero replicato quasi sicuramente che la propria fosse l'antica verità e la sua il nuovo errore. Chi aveva ragione? Dobbiamo valutare le probabilità del caso. Osserva che Giovanni rappresenta una visione del Gesù Cristo piuttosto bassa rispetto a quella che ci è nota dalle prime scritture. Il Gesù è presentato quasi esclusivamente come il Figlio, in distinzione dal Padre. Tale Figlio, ovviamente, è divino, ma non si trova la rozza e indiscussa identificazione del Gesù con Dio. Queste epistole giovannee non utilizzano da nessuna parte il termine Signore

97. Sembra impossibile leggere queste epistole senza intuire che la posizione assegnata al Figlio è nettamente subordinata a quella del Padre. Diversissimo è il linguaggio precedente degli Atti, delle epistole paoline, dell'Apocalisse, dei Sinottici, dove la relazione Figlio-Padre è sì espressa, ma non così enfatizzata, e dove il Gesù è continuamente chiamato con l'appellativo più elevato di Signore. 

98. Ora, se l'umanità del Gesù fosse parte integrante della più antica coscienza cristiana, allora alla data e alla fase rappresentata dagli scritti giovannei questa coscienza sembrerebbe affievolirsi, se non addirittura estinguersi tra molti. A ciò si accompagnerebbe naturalmente una coscienza sempre più viva della divinità, un'esaltazione o addirittura una sovra-esaltazione della sua Divinità. Ciò, però, non lo riscontriamo; piuttosto il contrario, almeno negli scritti giovannei. Né possiamo chiarire in che modo sarebbe arrivata la negazione dell'umanità, se fin dall'inizio essa fosse stata predicata come parte essenziale della propaganda. Non è necessaria molta perspicacia per riconoscere che il desiderio naturale di rendere vivida la dottrina e i simboli in questione avrebbe fatto emergere di per sé una miriade di narrazioni che contribuirono tutte all'umanizzazione dell'Eroe. Nessuno che postuli i principi fondamentali della natura umana può non ammettere la necessità di un tale processo, che sembra essere attestato in innumerevoli punti dello stesso Nuovo Testamento e che, per ammissione universale, ha prodotto un'innumerevole quantità di storie apocrife ed extra-canoniche. 

99. L'impulso, in tutti questi scritti che conosciamo, tende inequivocabilmente e indiscutibilmente verso l'umanizzazione. Nondimeno gli scritti giovannei (e lo stesso si può dire con ancora maggiore enfasi delle epistole ignaziane) testimoniano inequivocabilmente l'esistenza di coloro che negarono l'umanità, che resistettero all'umanizzazione. O quest'ultima visione delle cose si originò vicino al tempo degli scritti giovannei e delle epistole ignaziane (diciamo vicino ma dopo il 100 E.C.), oppure fu essa stessa originaria, e la tendenza all'umanizzazione si manifestò in modo evidente intorno a quel tempo. Ricorda che la tendenza all'umanizzazione è un fatto; essa è attestata da tutta la Storia, e in questo caso particolare è oltremodo provata e inoppugnabile; laddove la tendenza opposta, quella alla de-umanizzazione, è del tutto ipotetica, non testimoniata da alcun fatto, ed escogitata solamente a spiegazione del fatto dell'esistenza di coloro che negarono l'umanità. Come ipotesi dobbiamo respingerla, a meno che non sia necessaria; essa viene scartata dal Rasoio di Occam. 

100. Ma essa non è affatto necessaria; anzi, non solo è superflua, ma è ingombrante e sconcertante. Supponiamo per un istante che la divinità del Gesù, e non l'umanità, fosse la dottrina primitiva; allora l'osservata umanizzazione segue naturalmente, quasi inevitabilmente, da leggi psicologiche precise; l'apologia di Giovanni e di Ignazio diventa così comprensibile da non richiedere alcuna spiegazione, e gli “anticristi” eretici appaiono come nient'altro che vecchi ciarlatani familiari lasciati indietro al punto di vista primitivo. 

101. D'altra parte, supponi che la concezione del Gesù come uomo fosse quella originaria; allora il corso dell'evoluzione diventa ambiguo e difficile o impossibile da capire. In seguito a questa presunta concezione più antica troviamo quella di Marco, in cui il concetto dell'umanità si perde, annegata nel concetto della divinità. Ma quest'ultimo comincia subito a diventare leggermente piatto, mentre il concetto dell'umanità  suona sempre più forte, fino a quando, improvvisamente, viene nuovamente soffocato quasi fino all'estinzione tra i Doceti, mentre risuona sempre più chiaro tra gli ortodossi. Queste ambiguità rimangono poco o per nulla comprensibili, dopo infiniti sforzi per spiegarle. Un'evoluzione strettamente lineare non possiamo ragionevolmente aspettarcela, ma ogni evoluzione immaginata a partire da una dottrina originale dell'umanità del Gesù sembra altamente innaturale e improbabile.

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