domenica 8 settembre 2024

ECCE DEUS — IL DILEMMA

 (segue da qui)

IL DILEMMA 

9. Infatti c'è un certo corpo sufficientemente ben accertato di fatti storico-letterari protocristiani, e questi vanno ridotti a unità. Il principale e supremo di essi è il fatto dell'adorazione, del culto, del Gesù. Questo fatto è del tutto dominante nel Nuovo Testamento; sembra impossibile esagerare la sua egemonia. Il concetto del Gesù, se lo valutiamo solo statisticamente, supera di gran lunga ogni altro. Il suo unico rivale, il Cristo, è lasciato molto sbilanciato e nei Vangeli non è paragonabile, apparendo quasi solo come un intruso successivo. L'adorazione di questa Entità è l'essenza stessa della Nuova Religione. Elimina questa essenza, e vi è lasciato ben poco — anzi, quasi nulla — per cui valga la pena lottare. Elimina la dottrina del Gesù, e cosa ne sarebbe dell'Epistola ai Romani? Si ridurrebbe a una serie più o meno scollegata di saggi morali, filosofici e teologici, come potrebbero aver composto due o più Stoici greco-romano-giudei. Il filo d'oro che li tiene assieme in unità è la Dottrina del Gesù. Sembra inutile dilungarsi su ciò che forse nessuno negherebbe: il ruolo determinante del Gesù e del culto del Gesù per tutto il Nuovo Testamento e per tutto il proto-cristianesimo. 

10. Che questa Entità, questo Gesù, sia presentato nel Nuovo Testamento, e accettato in tutta la storia cristiana successiva, come un Dio è evidente al di là di ogni argomentazione. Lo si chiarisce in quasi ogni pagina del Nuovo Testamento con tutta la chiarezza che possa appartenere al discorso umano. Non c'è nessun dibattito con chi lo nega. Ma è altrettanto chiaro che Egli è presentato pure come uomo, concepito, nato, allevato, affamato, assetato, che parla, che agisce, che soffre, che muore, che è  sepolto — e poi resuscitato. Come dobbiamo concepire allora questa Entità? La risposta della Chiesa attuale, dell'Ortodossia, è inequivocabile. Noi dobbiamo concepirlo proprio come è rappresentato, sia come Dio che come Uomo. Ma supponi che ciò sia impossibile, nonostante tutte le dotte sottigliezze intorno alla divinità essenziale dell'Umanità (che, naturalmente, in un certo senso, può e dev'essere accettata)?   Anche in questo caso la risposta dell'Ortodossia è inequivocabile: anche se non possiamo pensarlo, né capirlo, dobbiamo nondimeno crederlo; e questa, è detto, è la vittoria della fede. Con questa posizione, così sommamente rispettabile e venerabile, e in un certo senso così logica e coerente, al presente non abbiamo nulla a che fare. Giusto o sbagliato, nel bene o nel male, lo spirito umano l'ha superata definitivamente e finalmente e non c'è speranza che tornerà mai sui suoi passi. In effetti, non potrebbe nemmeno volerlo. La ragione del perché questo e i prossimi secoli non possono credere più nell'uomo-Dio (nel senso ortodosso) più di quanto possano credere nella teoria geocentrica di Tolomeo o nelle creazioni speciali di Linneo. Per la ragione, costituita com'è ora, il Dio-uomo è una contraddizione in termini, un'incongruenza con cui non può avere pace, con cui non potrà mai venir riconciliata. L'ultramontanista ha ragione: accettare questa nozione fondamentale equivale ad abiurare la ragione. Alcuni intelletti sembrano in grado di farlo: intelletti in cui c'è una frattura che attraversa tutto, una dualità fondamentale, intelletti costruite come transatlantici, a livello compartimentale, senza alcuna intercomunicazione tra compartimenti. Questi intelletti obbediscono alle leggi della ragione universale in tutte le questioni, tranne la più importante. Quando aprono il loro oratorio, chiudono il loro laboratorio. [1] Con intelletti così costituiti non abbiamo alcuna controversia in queste pagine. 

11. Siamo interessati qui solo all'intelligenza che opera normalmente. Tale intelligenza deve risolvere la contraddizione Dio-uomo nelle sue costituenti; deve affermare l'una e con ciò negare l'altra. Alla luce allora di tutti i fatti indiscussi e incontestabili, deve affermare una delle due tesi opposte: Gesù era un uomo divinizzato oppure Il Gesù era un Dio umanizzato. Non c'è un tertium quid. Una di queste alternative è necessaria, l'altra impossibile; una è vera, l'altra è falsa. Finora la critica ha assunto di fatto all'unanimità la prima alternativa e ha profuso le sue splendide risorse di erudizione e di acume nel tentativo secolare di comprendere il Nuovo Testamento e il cristianesimo primitivo dal punto di vista di questo assunto. Non è l'intenzione dello scrittore recensire, confutare o criticare in alcun modo nei dettagli nessuno di questi saggi elaborati e ingegnosi. Il fatto notevole è che, a dispetto di tutto il sapere e il talento costruttivo messi in gioco, nessuno di questi sforzi è stato coronato dal successo, nessuno ha riscosso un consenso generale, nessuno si è affermato per più di un breve periodo o più che in una cerchia ristretta. A questo proposito,  si può permette allo scrittore di citare dal suo articolo sulla critica neotestamentaria, scritto nel 1904 e pubblicato in The Americana (Encyclopaedia), 1905:

Quando così tanti segugi alati di Zeus scoprono che la loro preda sfugge loro per sempre, è inevitabile il pensiero che ci sia qualcosa di radicalmente sbagliato nel loro metodo di ricerca, che in qualche modo il loro senso migliore li abbia traditi. Riteniamo che la natura del loro errore sia ormai un segreto di Pulcinella. Hanno cercato di spiegare il cristianesimo come un'emanazione da un unico fulcro umano individuale, come la reazione alla storia e all'ambiente di un'unica personalità umana; hanno cercato di “comprendere Gesù come la fonte originaria del cristianesimo”. Hanno fallito e devono fallire per sempre; infatti nessuna spiegazione del genere è possibile, perché nessuna origine del genere fu reale. A tutti questi tentativi opponiamo il fatto che ogni giorno viene alla luce in modo sempre più chiaro, che ora balza continuamente all'evidenza in tutto l'orizzonte di indagine; il fatto che fu percepito quasi un decennio fa, ma la cui effettiva proclamazione esigeva la pubblicazione di una serie di indagini preparatorie; il fatto che la genesi del cristianesimo vada ricercata nella coscienza collettiva dei primi secoli cristiani e di quelli immediatamente precristiani; che nel Sincretismo di quell'epoca di amalgama delle fedi, quando tutte le correnti di pensiero filosofico e teosofico riversarono assieme le loro acque nel vasto bacino dell'impero romano-mediterraneo, si cercò e si trovò la possibilità e l'attualità di una nuova fede dell'Umanità Universale che doveva contenere qualcosa di attraente per la testa e il cuore di tutti gli uomini, dallo schiavo all'imperatore, una fede in cui non dovevano più esserci maschio e femmina, ebreo e greco, schiavo e libero, ma tutti dovevano essere uno in virtù di una comune Umanità, del Figlio dell'Uomo intramontabile, atemporale, a-spaziale. È in quanto risultato di questo Sincretismo, in quanto fioritura finale dello spirito giudeo-greco-romano, dell'anima asiatico-europea, che il cristianesimo è del tutto comprensibile e infinitamente significativo; l'idea che sia un prodotto individuale palestinese è la Carthago delenda della critica neotestamentaria. 

12. In queste condizioni, in vista del famigerato fallimento dell'ipotesi accuratamente testata di un Gesù meramente umano, di un uomo divinizzato, diventa dovere ineludibile della critica testare con altrettanta cura e accuratezza l'unica ed esclusiva alternativa, la contro-ipotesi di un Gesù divino, di un Dio umanizzato. Non si deve introdurre in questo processo alcun sentimento religioso o pregiudizio dogmatico; e soprattutto non lo si deve macchiare di alcun odium theologicumL'indagine va perseguita con calma, spassionatamente, con cautela e accuratezza scientifica, senza appellarsi alla passione, senza ricorrere alla retorica, secondo le regole del sillogismo e le formule della Probabilità Inversa, con la ferma risoluzione di accettare qualsiasi conclusione venga infine raccomandata, e con l'assoluta fiducia non solo che la verità in ultima istanza prevarrà, ma che è anche per i più alti e santi interessi dell'umanità che essa debba prevalere, qualunque essa sia. Dobbiamo ricordare infatti le nobili parole di Milton:

E ora in special modo, per privilegio, è il momento di scrivere e dire ciò che può giovare all'ulteriore approfondimento degli argomenti in esame. Non a caso il tempio di Giano con le due opposte facce potrebbe ora essere aperto. E anche se tutti i venti di dottrina fossero stati lasciati liberi di scorrazzare sulla terra, dal momento che la Verità è in campo noi le faremmo torto a dubitare della sua forza con censura e divieti. Lasciate che lei e la menzogna vengano alle prese: chi ha mai visto la Verità avere la peggio in uno scontro libero e aperto? 

Naturalmente è superfluo argomentare tali fatti auto-evidenti; e sembrerebbe anzi quasi altrettanto superfluo perfino enunciarli, se l'esempio recente degli attacchi al professor Drews, e in misura minore al presente scrittore, non avesse chiarito che c'è davvero gran bisogno di sottolineare tali sentimenti con particolare enfasi. Su questo punto non c'è bisogno di soffermarsi. L'animosità degli opuscoli polemici in questione è abbastanza chiara a chi li ha letti, e ad altri sarebbe forse meglio non rivelarlo. 

13. Alla sostanza di questi opuscoli il presente scrittore non è direttamente coinvolto in gran misura. Il grosso della confutazione va contro le tesi di Robertson, di Kalthoff e di Jensen, coi quali lo scrittore non ha mai unito le forze e da cui ha sempre mantenuto indipendente e distinto il proprio pensiero. Non che non abbia potuto apprendere molto da tali studiosi e pensatori, ma ha preferito non frequentare i loro ambiti; piuttosto ha seguito i propri percorsi alla propria andatura e alla propria maniera. Spartam tuam exorna è stato il suo motto. Perché i critici in questione abbiano preferito occuparsi di altre opere piuttosto che di Der vorchristliche Jesus è una domanda non priva di interesse, ma alla quale egli non intende rispondere. C'è però un certo spazio di terreno comune che quasi tutti i partecipanti a questa controversia devono percorrere. È difficile evitare di parlare della Personalità rivelata nei Vangeli, della presunta testimonianza delle Epistole Paoline, e delle testimonianze degli scrittori profani. A queste va aggiunta l'acuta argomentazione di Schmiedel relativa ai Nove Pilastri, che molti anni fa, alla sua prima apparizione nell'Encyclopaedia Biblica, apparve allo scrittore, come appare tuttora, la difesa incomparabilmente più plausibile mai avanzata a favore della tesi liberale. Sembra che essa sia figurata fin troppo poco nella presente controversia e, di conseguenza, una parte non piccola di questo volume è dedicata alla sua considerazione.

NOTE

[1] Una lettera di uno dei più brillanti ornamenti dell'attuale filosofia britannica indicherebbe che quanto detto sopra è affermato con troppa enfasi. Questo studioso considera completa la distruzione del liberale Jesusbild, dicendo: “Sul lato negativo sono completamente d'accordo con lei, ma sento attraverso tutta la sua polemica la presenza di una 'trascurata alternativa'”. Quest'ultima è la formula di Calcedonia: “vero uomo e vero Dio”. Contro questa opinione non ci batteremo né grideremo, né faremo sentire la nostra voce in questo libro. In un altro volume potrebbe essere altrimenti. Secondo B. Russell, “imparare a credere che la legge di contraddizione sia falsa” è “un'impresa che non è affatto così difficile come spesso si crede”.

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