lunedì 9 settembre 2024

ECCE DEUS — ARGOMENTAZIONE DELLA PERSONALITÀ

 (segue da qui)

ARGOMENTAZIONE DELLA PERSONALITÀ 

14. Un'importanza fondamentale si associa nel pensiero dei più all'argomentazione della Personalità Evangelica. È questa che Von Soden ha accentuato con tanta forza. È a questa a cui Harnack fa il proprio appello. Strettamente legato a questa è il pensiero che i grandi eventi della Storia presuppongano e implichino grandi personalità storiche; quindi sembra dedursi che l'origine del cristianesimo come il più grande degli eventi storici implichi la più grande delle personalità. Uno strano paralogismo! Anche se accettassimo la conclusione, rimarrebbe la domanda: “Ma chi fu quella personalità? Fu Paolo, o Pietro, o Giovanni, o Marco, o qualche Grande Ignoto, come il Quarto Evangelista? O forse erano tutte queste notevoli personalità che lavoravano in accordo più o meno perfetto, producendo un risultato totale di cui nessuno, né due, né tre potevano essere capaci? Non sembra esserci la minima ragione per dubitare che il periodo protocristiano fosse stato ricco di personalità, e di personalità di una varietà pronunciatissima. Ma non è stato ancora presentato uno iota di dimostrazione del fatto che Gesù fosse una di quelle persone. Anzi, egli non si colloca affatto in linea con nessuna di loro. Tra Gesù e Paolo o Pietro o Giovanni anche il più lontano parallelo è assolutamente ingiustificato. Tanto varrebbe allineare Giove Stator con Fabio Cunctator. Chi si è mai sognato di venerare Giacomo o Giovanni, di pregare Pietro come Signore, di scacciare demoni nel nome di Luca il diletto medico, o di predicare che Paolo fosse morto per gli uomini, oppure che Stefano fosse risorto dai morti, o che Apollo fosse asceso in gloria? Sembra superfluo sottolineare che tutte queste distinte personalità, la cui rilevanza a questa distanza possiamo percepire solo vagamente, non sono del tutto in linea con Gesù, paragonarli al quale sarebbe come paragonare un pianeta con la legge di gravitazione newtoniana. 

15. Questi uomini, lo si ripeta, furono con ogni probabilità personaggi capacissimi ed eccezionali. Se li giudichiamo in base all'opera che realizzarono, dobbiamo sicuramente ammettere che furono importantissimi. Generalmente si concede questa importanza abbastanza volentieri a Paolo, ma piuttosto a malincuore a Pietro, a Giacomo, a Giovanni [1] e agli altri, ma senza alcuna buona ragione. L'idea che questi ultimi fossero solo ignoranti pescatori galilei, che avessero semplicemente frainteso gli insegnamenti di Gesù e li avessero riprodotti molto inadeguatamente: quest'idea è essa stessa il più grave fraintendimento, per il quale non c'è la più pallida ombra di giustificazione. L'epistola che va sotto il nome di Giacomo è una disquisizione ben scritta, anzi, quasi dotta. Contiene allusioni a questioni astronomiche e altre (come in 1:17, 3:6 — ruota della nascita — e altrove) che rivelano chiaramente un'intelligenza colta. La lettera agli Ebrei è chiaramente l'opera di un intelletto altamente qualificato, non esente dalle grazie dell'espressione letteraria. Le lettere giovannee provengono manifestamente da una cerchia abituata a profonde riflessioni su temi filosofici e teosofici. I Petrini non ignorano la dottrina stoica. Tra gli evangelisti, Luca ha ricevuto un riconoscimento persino esagerato per mano di critici eminenti; ma come declamatore e retore fervido e appassionato egli è ancora notevolmente inferiore a Matteo, mentre Marco supera tutti per la forza aspra del suo pensiero e la profondità del suo simbolismo. Il fatto è che il Nuovo Testamento è un meraviglioso corpus letterario e attesta inequivocabilmente un livello elevato di potenza mentale e di senso artistico nei suoi autori. Il fatto che il greco sia tutt'altro che classico non significa nulla, se non che l'ambiente della composizione era per metà ebraico e per metà greco; che gran parte di esso fu almeno pensato, se non originariamente scritto, in aramaico; e che le forme del discorso furono spesso ricolme di idee al di là di quanto fossero in grado di recare. 

16. Quando, ora, passiamo al di là della cerchia apostolica, troviamo ancora uomini che dovettero aver posseduto personalità impressionanti. Considera Simon Mago. È un clamoroso errore considerarlo un semplice ciarlatano. Harnack parla (D. G., I. 233, nota 1) con apprezzamento del suo “tentativo di creare una religione universale del Dio Altissimo”. Che egli appartenesse alle influenze cristiane primitive sembra certo. È caratteristico della disperazione della più abile critica liberale che Harnack si senta indotto a riconoscere un'influenza di Gesù (e di Paolo) su Simon Mago: “Egli è davvero una controparte di Gesù, la cui attività non può essergli stata sconosciuta più di quanto lo fosse quella di Paolo”. “Sappiamo che nell'età apostolica in Samaria emersero vere e proprie nuove organizzazioni religiose, nella cui produzione, con ogni probabilità, la tradizione e la proclamazione di Gesù avevano già esercitato un'influenza” (pag. 233). Uno strano esempio di prolessi. Secondo gli Atti 8:5-13, Simone fu uno dei primissimi convertiti fuori Gerusalemme, nel primo anno dopo la resurrezione, e già da “molto tempo” aveva esercitato la sua influenza in Samaria. Fu anche considerato il padre dell'eresia; e siccome era abitudine e interesse dei cristiani non anticipare mai, ma piuttosto posticipare, tutte le eresie, possiamo essere certi che la data riportata negli Atti sia almeno non troppo prematura e che l'insegnamento di Simone fosse notevolmente precristiano. Nota ora che egli è rappresentato convertito alla prima predicazione di Filippo in Samaria e legatosi devotamente a Filippo. La storia della sua simonia è, a prima vista, una mera invenzione, come altre storie degli eresiografi. I frammenti preservati dell'Apophasis che va sotto il suo nome indicano un pensatore profondo, una sorta di Hegel pre-hegeliano, e ci inducono a credere di vedere in essi le rovine di una cosmogonia religiosa audace e ambiziosa. Parimenti i sentimenti attribuiti ai più antichi Naasseni testimoniano indubbiamente una speculazione teosofica audace e completa. Se i sistemi di questi Gnostici primitivi fossero giunti a noi nella loro interezza, e non solo in frammenti isolati trasmessi e forse spesso sfigurati da mani ostili, sembra in ultima istanza probabile che saremmo costretti a dare loro un grande tributo di rispetto come religiosi sinceri e pensatori non da poco. 

17. Quando, ora, scendiamo alla prima metà del secondo secolo, ci troviamo di fronte a tre nomi di autentici eroi della speculazione filosofico-religiosa: Basilide, Valentino, Marcione. Non significa nulla che fossero tutti eretici. Tali furono pure Bruno e Huss e Lutero e Melantone e Zwingli e Calvino e Knox, e chi sa quanti altri? Così fu pure, almeno in parte, l'oceanico Origene. Sulla preminenza di questi tre, per non parlare di molti altri che conosciamo, non ci può essere questione. Riguardo al secondo, basta leggere la testimonianza dei Padri della Chiesa e il giudizioso apprezzamento di Harnack. La preminenza fondamentale di Marcione è ancora più incontestabile. Nel complesso, egli sembra essere stato la più grande figura religiosa di quell'era. Apparentemente, però, sia lui che Valentino furono superati in profondità di pensiero da Basilide, di cui a malapena sentiamo parlare così tanto, probabilmente perché le profondità del suo pensiero furono meno accessibili alla ricerca dei cacciatori di eresie e perché faceva meno appello all'intelligenza comune. Ma sembra impossibile leggere con attenzione i pochi frammenti che restano delle sue numerose opere senza sentirsi in presenza di qualcosa di molto simile al genio filosofico-religioso. È un ben noto merito della Dogmengeschichte di Harnack quello di riconoscere inequivocabilmente la superiorità intellettuale degli Gnostici e la loro importanza decisiva per la teologia scientifica: “È indubbio che la letteratura teologica ebbe la propria origine tra gli Gnostici” (o.c. pag. 230, nota 1). Il risultato generale, quindi, è che, nonostante lo stato deplorevolmente frammentario delle testimonianze sopravvissute e nonostante i dolorosi travisamenti che ci vengono incontro ad ogni angolo, è impossibile non riconoscere i due secoli 50 A.E.C.—150 E.C. come straordinariamente prolifici di personalità religiose carismatiche. Sembra invero che ci sia stata quasi una pletora di geni teosofici. Non c'è nemmeno una ragione convincente per cui dovremmo fissare l'anno 50 A.E.C. come limite superiore. Potremmo benissimo spostare questo limite indietro di cento anni o più, al periodo maccabeo. Le informazioni sono invero carenti, ma non c'è alcuna improbabilità in questa datazione. Inoltre, non c'è motivo di supporre che quei primi pensatori — i Proto-Naasseni, per esempio — fossero in qualche modo inferiori ai loro successori ed interpreti, come Paolo, Pietro e Giovanni, Simone, Menandro, Basilide, Valentino, Marcione e gli altri. Anzi, le analogie della storia potrebbero indurci a credere che essi superassero tutti i loro seguaci, se non nell'elaborazione dei dettagli, almeno nella forza fondamentale e nell'audacia di prospettiva. Potrebbe benissimo esserci stata una successione come quella di Eschilo, Sofocle, Euripide, o di Socrate, Platone, Aristotele. Ad avviso dello scrittore, l'antica letteratura cristiana, in particolare il Nuovo Testamento, suggerisce irresistibilmente vasti continenti di pensiero sommersi, sui quali si infrangono le onde di duemila anni di oblio, con qua e là cime di isole grigie o verdi che emergono, un arcipelago meraviglioso. 

Ecco allora che la tesi di Haupt e Harnack e dei loro colleghi, secondo cui la nuova scuola trascura il grande fattore storico della personalità, sembra essere completamente confutata. Noi non trascuriamo né omettiamo questo fattore; al contrario, lo inseriamo con una potenza di gran lunga superiore a quella dei nostri avversari. 

18. Ma qualcuno dirà che noi impieghiamo molte personalità, mentre c'è bisogno di un'unica personalità determinante. Quest'ultima proposizione la neghiamo in toto e con ogni enfasi; e per varie ragioni, ciascuna sufficiente di per sé. Non è vero che i grandi eventi e movimenti critici della Storia siano stati sempre o persino generalmente determinati da singole personalità; spesso è accaduto che non ci sia stata un'unica individualità carismatica, ma che diverse o persino molte abbiano cospirato nell'espressione di un unico ideale dominante. Prendi il caso della Rivoluzione francese. Quanti protagonisti, tutti più o meno della stessa altezza, nessuno elevatosi in modo significativo, né assolutamente né relativamente! Solo quando la Rivoluzione era ormai compiuta e aveva smesso del tutto di avanzare, apparve il meraviglioso còrso e cominciò a farla arretrare. 

19. Qui nel Nuovo Mondo celebriamo due eventi di importanza storica mondiale: la Rivoluzione del 1776 e la Guerra Civile del 1861-64. In nessuno di questi due eventi una singola personalità si erge in proporzioni prominenti. Washington e Lincoln furono ufficialmente i più appariscenti, e da alcuni sono considerati prominenti; ma al massimo furono solo leggermente più rilevanti di molti loro pari. Considera il Rinascimento. Che lunga schiera di giganti marciano in prima fila! Forse Leonardo è il più perfetto nelle sue proporzioni, ma nessuno può affermare che fosse il protagonista. Considera anche il caso della grande Riforma. Lutero troneggia qui in modo evidente; ma non fu affatto privo di precursori, affatto privo di pari. Anzi, la sua personalità sembrerebbe essere stata per molti versi sopravvalutata. Questo pensiero non ha bisogno di essere approfondito.

20. Naturalmente non si nega neppure per un istante che grandi singole personalità possano risiedere dietro e iniziare grandi movimenti storici mondiali, sebbene non possano mai farlo se non dove le molle sono già impostate, il treno è già posto e tutte le precondizioni necessarie sono già predisposte nelle precedenti circostanze storiche realmente esistenti del caso; ma dove tale predisposizione è già compiuta, allora non è vero che generalmente un'unica determinata personalità sia o sempre necessaria o addirittura veramente presente. L'iniziativa può, e spesso effettivamente procede, non da una, ma da molte personalità quasi eguali. 

21. Ma questo non è quasi tutto. Nel caso veramente in esame c'è un'elevata probabilità a priori che esso debba essere proceduto non da uno, ma da molti. Infatti, se fosse proceduto da un'unica personalità, anche solo per metà così decisiva, come la tesi prevalente suppone che fosse stato Gesù, allora il movimento avrebbe avuto un'unità precisissima e inconfondibile, un'impronta del tutto inequivocabile di quest'unica personalità. Naturalmente è vero che i grandi maestri sono stati fraintesi in molti dettagli minori. Ci sono ancora oggi diverse teorie sullo scopo centrale della Critica della Ragion Pura. Gli uomini forse discuteranno all'infinito sull'interpretazione di Platone o di Spinoza. Ma questi casi non sono affatto paralleli a quello in questione. Queste dispute riguardano questioni di dettaglio o anche di estrema sottigliezza di pensiero, dove o il linguaggio era inadeguato per un'esatta espressione, oppure il pensatore stesso non era venuto chiaramente a capo, o forse nel corso della propria evoluzione intellettuale era caduto in qualche incoerenza del tipo di quelle che naturalmente accompagnano la crescita. Nessuna di queste spiegazioni si adatta al caso in questione. In un ministero che dovette esser durato al più due o tre anni non potevano esserci state incongruenze degne di nota dovute a un'evoluzione graduale. Non si trattava di sottigliezze metafisiche difficili da pensare, più difficili da esprimere, facili da sbagliare e da fraintendere. Nondimeno, il grande fatto evidente è che, per supposizione, alla predicazione di questa singola personalità seguirono almeno 150 anni di lotte ininterrotte. Fin dall'inizio sembrerebbe che egli sia stato compreso o frainteso in una varietà infinita di modi. Né è possibile individuare nel suo presunto insegnamento alcun elemento di personalità, alcuna impronta di un'unica incomparabile personalità. Il fatto impressionante, ammesso anche dagli stessi critici liberali, è che il cristianesimo non è in primo luogo monolitico, ma è soprattutto sincretico. C'è, infatti, un filo chiaro e inconfondibile di unità che attraversa l'intera dottrina, l'intera propaganda, che ha di fatto tenuto assieme la cristianità in una sorta di unità da quel giorno a oggi: ossia il culto di Gesù come Dio, la dottrina che Gesù era il Signore, in qualche modo un tutt'uno con la Divinità. Taglia questa corda di unione, e l'intero corpo dottrinale si disfa e cade a pezzi, l'intera struttura distintiva della nostra religione sfuma e svanisce. Se Gesù è un semplice uomo, allora è solo uno dei tanti; egli prende posto accanto a Socrate, a Maometto e ad altri, e può darsi che l'unica ragione per cui sembra così grandioso e così bello sia perché incombe su di noi dall'orizzonte della Storia: la sua forma può essere ingrandita e i suoi tratti indeboliti dalla nebbia e dalla distanza. Che un sistema di religione mondiale debba avere come proprio segno distintivo permanente la preminenza accordata a un semplice uomo sembra infinitamente assurdo. 

22. Questo, però, non è il punto principale in mente, cioè che questo dogma, che da solo conferisce un'unità essenziale ed eterna all'insegnamento cristiano, è proprio il dogma che gli stessi critici non possono attribuire a questo unico maestro. Se Gesù fosse un semplice uomo, non potremmo pensare che egli stesso credesse di essere Dio o Signore, né che lo insegnasse ai suoi discepoli. Questo dogma, allora, deve essere stato un accrescimento successivo alla sua dottrina originale. Ma questa dottrina, questo culto di Gesù come divino, è l'unico legame infrangibile di unità nell'innumerevole varietà di credi della cristianità. E questo, lo ripetiamo, è proprio ciò che non poteva derivare da quest'unica Personalità! 

23. Qui, allora, si presenta a noi un duplice interrogativo: come spiegheremo questo filo d'oro di unione che ha tenuto assieme per così tanti secoli la complessa trama della cristianità? Come spiegheremo l'infinita e immediata mancanza di unità (eccettuato questo filo) se l'insegnamento provenisse da un unico incomparabile maestro? 

24. Qui le risposte date dalla nuova teoria sono estremamente semplici e del tutto soddisfacenti, mentre nessuna risposta è mai stata data, e apparentemente nessuna potrà mai essere data, dalla tesi più vecchia, che qui respingiamo. Affermiamo, cioè, che l'adorazione dell'Unico Dio sotto il nome, l'aspetto o la persona del Gesù, il Salvatore, fosse l'essenza primitiva e indefettibile della predicazione e della propaganda primitive. Per quanto possano essere variate da un luogo all'altro e da un periodo all'altro in vari particolari, le società segrete originarie furono unite in un unico punto: ossia l'adorazione dell'Unico Dio sotto questo nome o qualche nome e aspetto quasi equivalente. In effetti, i termini “Il Nasareo” e “Il Salvatore” [2] sembrano aver rivaleggiato all'inizio con “Gesù”; e ci possono benissimo essere stati — e si ammette che ci siano stati — altri termini, come “Barnasha”, “Baradam”, “Figlio dell'Uomo”, “Uomo Potente”, “Uomo dal Cielo”, “Secondo Adamo” e simili, che erano preferiti qua e là. Questa antica molteplicità di designazioni testimonia eloquentemente l'ampio radicamento primitivo del culto ed è difficilmente spiegabile nei termini dell'ipotesi prevalente. Ma c'erano abbondanti ragioni per cui il nome di Gesù doveva essere la verga di Aronne che avrebbe dovuto inghiottire tutte le altre designazioni. Il suo significato, che era sentito nel senso di Salvatore, era grandioso, confortante, edificante. L'idea del Salvatore del Mondo affondava le sue radici nel suolo dell'antichità più remota; essa faceva un potente appello alla coscienza universale. Un Salvatore era allora e là, tutt'attorno al Mediterraneo, 

Il pilastro della speranza di un popolo, 

Il centro del desiderio di un mondo. 

Non c'è bisogno di soffermarsi su questo punto, poiché si suppone che il lettore conosca i relativi scritti di Soltau e di altri, e soprattutto la trattazione esaustiva di Lietzmann nel suo Der Weltheiland e di Hoyer nella sua Heilslehre

25. La stessa parola Gesù esercitava pure un'attrazione particolare sulla coscienza ebraica; era infatti praticamente identica al loro Giosuè, oggi inteso dai più a significare in senso stretto Jah-aiuta, ma facilmente confondibile con una forma simile J'shu'ah, che significa Liberazione, Salvatore. Lo testimonia Matteo 1:21. Inoltre, la lettera iniziale J, che così spesso rappresenta Jah nelle parole ebraiche, deve aver suggerito con forza Jahvé alla coscienza ebraica. Non meno diretto era l'appello alla coscienza greca. La parola Ἰάομαι significa io guarisco; le forme future (ioniche ed epiche) sono Ἰήσ-ομαι, ἰήσ-ῃ, ecc. La parola Ἴησ-ις (genitivo Ἰήσ-εως) significa guarigione, e Ἰασ-ώ (genitivo Ἰασ-οῦς) era dèa della salute e della guarigione. Il nome Gesù (Ἰησ-οῦς) dovette quindi aver suggerito guarigione alla mente greca con la stessa forza con cui Salvatore suggerisce salvezza alla mente inglese. Tuttavia, anche questo non era tutto. Il nome era strettamente connesso nella forma e nel suono con il nome divino lAO, considerato nei primi circoli gnostici con particolare riverenza. Non è necessario decidere se quest'ultimo nome debba essere considerato l'equivalente del tetragramma JHVH, o se debba significare Jah-Alfa-Omega (Apocalisse 1:8; 21:6; 22:13; cfr. Isaia 44:6). È sufficiente che nei circoli teosofici ellenistici primitivi il nome fosse, nell'uso approvato, una designazione preferita della divinità. Alla luce di tutti questi fatti, il trionfo del nome Gesù sembra del tutto naturale. 

26. D'altra parte, la notevole, e persino impareggiabile, diversità della dottrina cristiana primitiva sembra altrettanto naturale e, di fatto, quasi inevitabile, in accordo con la nuova tesi che è qui sostenuta. Se chiedi perché ci fossero così tante sfumature e tipi di insegnamento, la risposta è che c'erano così tanti tipi di pensiero attivi su una regione così vasta. La “nuova dottrina” era necessariamente vaga nei suoi aspetti, proprio come è vaga la predicazione negli Atti. Come vedremo, si trattava essenzialmente di una protesta e di un'insurrezione della coscienza monoteistica contro la coscienza politeistica; ma questa protesta e questa insurrezione potevano assumere, e assunsero, molte forme, pur sostituendo sempre alla molteplicità degli dèi pagani l'unico Dio guaritore, salvatore e protettore, il Gesù.

27. Questa diversità di dettagli, tenuti assieme nell'unità dall'unico dogma dominante della nuova divinità, il Gesù, il Cristo, è e deve essere spiegata in modo simile anche dagli aderenti della vecchia ipotesi; l'unica differenza è che la loro spiegazione è altrettanto forzata e artificiale quanto la nostra è immediata e naturale. Infatti, nessuno può mancare di riconoscere l'ampio intervallo tra Marco e Giovanni, tra Giacomo ed Ebrei, tra Paolo e l'autore dell'Apocalisse. Come li spiegheremo? La risposta va cercata nelle diverse personalità degli uomini coinvolti. È proprio lì che la cerchiamo e la troviamo, e non c'è nulla che renda questa risposta in qualche modo difficile da capire; al contrario, l'intero fenomeno appare naturale e inevitabile alla luce di quell'altro fatto importante: la propaganda non si sprigionò esclusivamente da Gerusalemme, ma quasi simultaneamente da una serie di focolai, sia geograficamente che culturalmente distinti, e che impressero ciascuno il proprio peculiare colore locale. Qui, allora, non sembra esserci nulla da desiderare in semplicità e naturalezza. 

28. Del tutto diverso è il caso della vecchia tesi dell'unica Personalità decisiva e originatrice di tutto. Anche in questo caso, va ritenuto che le discrepanze e le contraddizioni degli scritti neotestamentari siano dovute alle diverse personalità degli autori; ma allora dove troviamo posto per l'unico personaggio decisivo? È assolutamente impossibile per i critici rispondere a questa domanda; questo ostacolo non può essere mai superato. Con nessun artificio potranno mai chiarire come la stessa personalità potesse essersi riflessa in modo così notevolmente diverso come, ad esempio, in Marco e in Giovanni; queste due visioni stereoscopiche non si fonderanno mai in una sola. Per cui, da tempo è diventato di moda respingere completamente quest'ultima immagine e dipendere unicamente dalla prima; e di questa, attingere alcuni tratti, rifiutare tutto il resto, e poi riempire secondo il capriccio del critico stesso. Un tale metodo si condanna sin dall'inizio: è irrimediabilmente arbitrario e capriccioso. Ma anche se potesse avere successo nel trattare i Vangeli, si troverebbe di fronte a difficoltà ancora più gravi e complesse nel trascinare le altre Scritture nell'ambito della valutazione. Il problema di ridurre gli Atti, le lettere paoline, l'Apocalisse, le Epistole cattoliche ed Ebrei alla misura dei Vangeli rimarrebbe, come rimane ora, del tutto insolubile. Tutti questi testi costituiscono un'unità nell'insegnamento della divinità di Gesù, ma in nient'altro. Sono praticamente privi di qualsiasi riferimento a una qualunque personalità umana che porti quel nome. Con nessun sforzo di immaginazione scientifica o critica possiamo scoprire nella mente di ognuno di questi autori una conoscenza o una memoria decisiva della vita, dell'insegnamento, dell'esempio o dell'influenza, in qualsiasi maniera o misura, di un'unica personalità umana, il Gesù. 

29. Qui, allora, la tesi prevalente è costretta ad affrontare una contraddizione che deve annullarla nella mente di ragionatori imparziali. Da un lato essa assume una personalità così travolgente, così ineguagliabile, così inconcepibilmente grandiosa, splendida, bella, attraente e ineffabilmente impressionante che, di comune accordo, un gruppo di discepoli, dopo una breve stagione di compagnia seguita da una morte tra malfattori sulla croce, sono talmente posseduti dai ricordi di questo amico e maestro da aver moltiplicato le visioni di lui come risorto dai morti, asceso alla gloria e assiso alla destra della Maestà altissima. Queste visioni essi le accettano come fatti evidenti e persino tangibili; ne traggono l'immediata deduzione che l'uomo che conobbero così bene in tutti gli aspetti dell'umanità meno di due mesi prima, e che deposero con amore nella tomba, fosse davvero risorto, avesse davvero vinto tutte le potenze della morte e della tomba, stesse davvero regnando in alto nei cieli, fosse davvero Dio e Signore, d'ora in poi da adorare come il Sovrano dell'universo. 

30. Ora, di per sé, tutto questo è assolutamente senza precedenti. Non si può trovare alcun parallelo in tutti i logori registri del tempo. Che uomini razionali facessero questo o qualcosa di simile a questo, e che con la loro predicazione convertissero un intero Impero Romano altamente civilizzato all'accettazione di una tale accozzaglia di stravaganze, sarebbe di per sé un miracolo al di là di ogni paragone; né chi accetta questa tesi deve indugiare un istante su qualsiasi meraviglia del Nuovo Testamento: non ha bisogno di filtrare il moscerino dopo aver ingoiato il cammello. Da parte sua, lo scrittore tentò per molti anni, per almeno una ventina, con tutto l'aiuto che si potesse trovare nelle pagine dei critici più consumati, da Baur a Wrede, da Ewald a Wellhausen, da Renan a Schmiedel, di rendere questa tesi in qualche modo o grado accettabile per la comprensione, ma solo con il risultato di un totale fallimento. Aveva infatti scritto molte centinaia di pagine di interpretazione paolina, sforzandosi con tutte le forze dell'esegesi di rendere comprensibile questa tesi; ma, a dispetto di tutti gli sforzi, l'assurdità inespugnabile rimaneva e scherniva con una derisione sempre più inequivocabile. Solo allora accadde che egli rinunciò definitivamente al compito follemente iniziato, visto che aveva già sfidato con tanto successo le insuperabili energie logiche di Holsten. 

31. Anche questo, però, non rende l'idea del caso nella sua interezza. Non solo questa personalità dovette aver prodotto sui discepoli un'impressione del tutto senza paragoni per intensità, profondità ed energia carismatica; non solo dovette, mirabile dictu, averli allucinati, trasformati tutti quanti in missionari e ossessionati per tutta la loro esistenza successiva con le credenze più assurde immaginabili; non solo dovette aver prodotto questi effetti incredibili e impossibili sui seguaci di un anno; ma, mirabilius dictu, dovette aver agito in modo ancora più stupefacente su un intelletto e un carattere di altissimo profilo, con cui non venne mai in contatto del tutto: e che, anzi, sembra non averne saputo nulla se non per qualche casuale sentito dire. Paolo, infatti, fu una figura e un intelletto di questo tipo, e il fatto accettato è che egli predicò il Gesù con energia, con entusiasmo, con dedizione, con un successo ineguagliato da ognuno dei presunti discepoli personali. Eppure certamente non fu un discepolo personale: si suppone che fosse stato un persecutore. Ecco, dunque, una actio in distans, e del terzo grado, più intensa di qualsiasi azione immediata. Qui non c'è il minimo appiglio a cui appendere uno straccio di influenza personale. Non devo ad alcuno l'ammirazione che nutro per il perspicace acume di Holsten: egli possedeva una straordinaria facoltà logica, la cui decima parte, impartita a molti, di uno studioso avrebbe potuto farne un pensatore; eppure non si può nascondere a sé stessi il fatto evidente che tutte le sue sottigliezze sono vane dinanzi all'assurdità intrinseca ed eterna della sua tesi centrale. Ha fallito, e dove ha fallito lui non è probabile che qualcuno ci riesca mai. Ritengo, quindi, che il fatto del paolinismo e il fatto di Paolo debbano rimanere per sempre un enigma insolubile secondo la tesi prevalente. È impossibile comprendere la conversione, l'attività e la dottrina di Paolo nei termini della personalità umana del Gesù. 

32. Ma c'è ancora dell'altro. Non solo questa presunta personalità dovette essere stata allucinante nella sua azione immediata, e ancora più allucinante nella sua azione remota per coloro che non vennero mai sotto la sua influenza; ma, mirabilissimum dictu, non dovette aver lasciato mai praticamente nessuna impressione proprio dove la sua impressione fu lasciata più profondamente. Ecco la perenne contraddizione già menzionata o suggerita. Infatti, il fatto sconcertante è che gli stessi uomini che questa Personalità è ritenuta aver infatuato al di là di ogni esempio e di ogni credenza, non hanno, nella loro predicazione e nei loro scritti, fintantoché questi ci sono tramandati e sono a noi noti, praticamente nulla da raccontarci della personalità da cui essi sono ossessionati ex hypothesi. Non che non facciano alcun riferimento a Gesù. Al contrario, il loro discorso è imperniato su questo potente concetto. Ma non sanno praticamente nulla della sua presunta natura umana. Uniformemente ci presentano in questo Gesù una divinità, un dogma, mai una vita. Dove negli Atti, o nelle Epistole o nell'Apocalisse ci è permesso di intravedere anche solo vagamente in Gesù un uomo?  Per supposizione, i pensieri degli oratori e degli scrittori dovettero essere stati affollati fino all'eccesso di aneddoti, di episodi e di detti di colui che aveva posseduto le loro mente come mai le menti erano state possedute prima o dopo. Gesù dovette essere stato per loro un'idea fissa, un'autentica monomania. E né altrimenti possiamo capire la loro istantanea divinizzazione ed esaltazione di lui al trono dell'universo. Sicuramente, allora, i loro pensieri sarebbero fluiti nel canale scavato dal loro contatto con lui; i loro ricordi sarebbero stati ricolmi delle inestimabili esperienze in Galilea e a Gerusalemme. Ricordi su ricordi sarebbero affiorati incessantemente e avrebbero costituito la sostanza del loro discorso. Non c'è scampo a questa conclusione, a meno di non invertire tutte le leggi conosciute della psicologia. 

33. Ma quali sono i fatti del caso? Che cosa riscontriamo nella lettura di queste scritture meta-evangeliche? Una mancanza praticamente assoluta di tutto ciò che ci aspetteremmo essere presente in sovrabbondanza! A stento un solo episodio o un solo detto, e non c'è assolutamente il più pallido indizio di una natura umana di sorta! [3] Siamo invero assicurati sul fatto che Dio inviò suo Figlio nel mondo, che nacque da donna, nacque sotto la legge, dal seme di Davide secondo la carne, che fu dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santità dalla resurrezione dei morti (qualunque cosa possano significare queste parole); che fu crocifisso, morì, fu sepolto, resuscitò, fu accolto in cielo. O, come dice la formula più antica (1 Timoteo 3:16): 

Senza dubbio, grande è il mistero della pietà:

colui che si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito,

apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani,

fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria.

34. Sottoponiamola a qualsiasi persona di buon senso: è questo il modo con cui uno parla di un amico intimo personale, di un carattere dolce, nobile, incomparabile, di un maestro saggio, amorevole e benevolo, di una vita piena di atti di gentilezza, mitezza, abnegazione? Oppure ciò è detto naturalmente e inevitabilmente di un Essere ultraterreno, di una Divinità, di un oggetto di culto e di adorazione, ma non di memoria, non di conoscenza personale, né di affetto umano? 

35. Certo, leggiamo che “egli di Nazaret passò beneficando e risanando tutti coloro oppressi dai demoni”; e leggiamo anche dell'istituzione della Cena del Signore, e questi passi sono discussi minuziosamente nella loro sede appropriata in questo volume. Entrambi sono aggiunte tardive al testo e sembrano solo confermare, e non intaccare, il tenore generale della testimonianza di queste Scritture. Ma anche se così non fosse, anche se non trovassimo alcuna ragione per interpretare diversamente questi frammenti isolati di evidenza, ciò non influirebbe comunque sulla situazione logica generale. Infatti, ciò che l'ipotesi prevalente deve esigere imperativamente non è che ci siano qua e là ad ampi intervalli, come oasi in un deserto, due o tre, o mezza dozzina, di riferimenti più o meno oscuri ad una esistenza storica di Gesù, bensì che la letteratura apostolica e immediatamente post-apostolica fiorisca ovunque come la rosa con questa esistenza e questa natura umana. Se così fosse, allora potremmo affermare con una certa fiducia che la natura in questione dovette essere stata storica, così da fornire la base di tali allusioni e reminiscenze. Ma questo è quanto di più lontano dall'essere il caso. È il tenore generale di queste scritture che deve decidere, e quanto a questo non può esserci il minimo dubbio nella mente degli imparziali. Questo tenore generale dà un grande valore dogmatico alla Morte di Gesù come un Dio, ma non riconosce affatto la Vita di Gesù come un Uomo. Le pochissime eccezioni sono insignificanti e solo apparenti; ma persino se non fossero insignificanti, e non semplicemente apparenti, ciò comunque non conterebbe: non potrebbero pesare contro il tenore generale assolutamente inequivocabile. Molte altre dichiarazioni isolate e importanti possono essere state e, confessatamente, sono state davvero interpolate nel testo, nessuno sa quando e come, ma il tenore generale è inequivocabile e determinante. Il tenore generale non può essere stato interpolato o corrotto.  [4

36. In vista dell'estrema importanza di questa argomentazione, può essere opportuno esporla in modo compatto come un modus tollens: Se il Gesù del Nuovo Testamento fosse stato una personalità umana che aveva impressionato così profondamente i suoi compagni durante la sua vita da indurli ad avere allucinazioni immediatamente dopo la sua morte e a predicarlo con successo risorto dai morti e regnante come Dio supremo in cielo, allora tale stupefacente personalità avrebbe posseduto i pensieri e i cuori, l'immaginazione e la memoria di questi discepoli, e la loro predicazione e i loro scritti avrebbero abbondato di ricordi di quella vita e di quella natura meravigliose, di allusioni alle sue parole e alle sue azioni e di appelli alla sua autorità. Ma questa conclusione è assolutamente falsa nella maniera più ampia e nella misura più alta; al contrario, il suo completo contrario è vero. Perciò la premessa è falsa. Qui abbiamo reso più chiara possibile la questione, e invitiamo urgentemente i critici a cimentarsi su questo sillogismo. 

37. L'unica possibile via di fuga da questa conclusione, che sembrerebbe la fine della controversia, consisterebbe quindi nel negare il possesso di una predicazione o di uno scritto di questi amici e compagni del Gesù. Ma anche questa negazione non servirà a nulla. Indubbiamente possediamo alcune predicazioni riportate, e possediamo alcuni scritti. Non importa se questi derivassero direttamente dai primi discepoli o solo indirettamente tramite discepoli di discepoli. Se la predicazione, la scrittura e, soprattutto, la conversazione dei discepoli primitivi abbondassero di materiale tratto dalla vita del Gesù — come avrebbero fatto, secondo la tesi critica corrente; se la personalità umana di Gesù avesse dominato la prima generazione apostolica, allora questo stesso materiale avrebbe dovuto passare — forse in quantità aumentata — nella coscienza e nella dottrina della generazione successiva; questa stessa personalità umana avrebbe dovuto ergersi ancora più in alto nell'immaginazione dei discepoli dei primi discepoli. In effetti, è opinione condivisa che le storie di miracoli dei Vangeli fossero semplici esagerazioni, da parte della seconda o terza generazione, di episodi abbastanza naturali nelle narrazioni della prima generazione. Al presente scrittore questa opinione sembra del tutto errata, ma la sua semplice esistenza è sufficiente a mostrare che non c'è scampo al suddetto sillogismo condizionale nella negazione in questione e nella sostituzione dell'età post-apostolica con quella apostolica. Infatti, è un fatto profondamente significativo — con il quale dovremo spesso confrontarci — che, man mano che risaliamo a rappresentazioni sempre più antiche, troviamo che l'elemento umano nel Jesusbild svanisce visibilmente, mentre il divino viene sempre più vistosamente in primo piano, finché in proto-Marco non scorgiamo il Dio manifesto; mentre, al contrario, man mano che scorriamo nel flusso del tempo, questo stesso elemento umano viene alla luce sempre più vistosamente, mentre il divino a poco a poco si ritira relativamente, sebbene non assolutamente, sullo sfondo, finché alla fine, nelle moderne idealizzazioni, il Gesù divino, il vice-Jahvé degli ebrei, il Dio-Salvatore dei gentili, è ridotto ad un rabbino mite o a un derviscio benevolo. Che questo sia stato in realtà il corso dell'evoluzione del Vangelo sarà accuratamente dimostrato in questo volume.  

NOTE

[1] Naturalmente non attribuiamo alcun peso a questi o ad altri semplici nomi. È sufficiente che tra i protocristiani ci fossero molti uomini che nutrirono grandi pensieri, scrissero grandi scritti e fecero grandi azioni — chiamali come vuoi. 

[2] ὁ Ναζαραῖος, ὁ Σωτήρ.

[3] È con questo pensiero che lo scrittore aprì la campagna contro la teologia liberale in un articolo in The Outlook, New York, 17 novembre 1900.

[4] Recentemente un acuto avvocato, un maestro della teoria delle prove, parlando con lo scrittore su questo argomento generale, osservò con molta enfasi: “Un avvocato segue interamente lo spirito generale, la portata e l'intento di un documento; non gli importa nulla di frasi e sentenze particolari e isolate. Esse possono essere state inserite in cento modi, per negligenza di pensiero o di espressione. La legge trascura tutto ciò e va dritta al significato generale”. Questa dichiarazione può essere un po' troppo forte, ma in linea di massima sembra essere corretta. L'avvocato in questione non fece alcun riferimento alla questione qui dibattuta e non ha alcuna nota simpatia per le opinioni dello scrittore.

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