domenica 6 agosto 2023

Sul «censimento» generale e sui Tre Magi

 (segue da qui)

§ 28) Sul «censimento» generale e sui Tre Magi. Per meglio precisare quale fosse da intendere, secondo il popolo che della tradizione era stato l'artefice, il «momento» nel quale, stando alla profezia di Genesi, lo scettro e la tiara di Giudea dovevano intendersi tolti di mano a Israele, è opportuno illustrare qui un determinato aspetto della forma mentis arcaica, la quale non era stata soltanto degli Israeliti; ma era stata di tutti i popoli più antichi, compresi i Cinesi. Ed anzitutto deve considerarsi che le masse di popolo sparse nelle campagne, in un'epoca nella quale, non esistendo la stampa, le notizie camminavano a rilento, non potessero avere cognizione immediata di un cambiamento di regime, quando questo aveva luogo. Il fatto saliente però, accertante senza possibilità di equivoco la perdita della libertà, od il cambiamento di padrone, era stato sempre il censimento. Questo infatti veniva ordinato dal nuovo autocrate, nel cui possesso il popolo era caduto, appunto al momento in cui, cessata ogni tergiversazione o guerriglia, l'autocrate riteneva di poter passare senz'altro a questo preliminare atto d'imperio.

Giacché alle origini della civiltà umana, la famiglia patriarcale, ch'era stata una piccola repubblica, aveva coltivato e mantenuto in vigore uno «status», i cui segreti erano esclusivi dei singoli pater familias. Il foedus, che legava insieme più famiglie in una stessa comunità politica, veniva governato dai padri di famiglia; ma senza che il primo tra i padri (patrum archè o patriarca) avesse potestà di sindacato o avesse ingerenza nelle singole famiglie. Ugualmente più tardi, quando dal foedus tra più famiglie, per il formarsi nel frattempo di collettività maggiori, si passò al foedus tra più tribù o tra più civitates, l'indipendenza delle collettività singole costituenti il foedus venne sempre rispettata. Ugualmente quando il concetto di foedus si venne allargando a più stati, ogni singolo stato mantenne una propria indipendenza, e non poteva esserci invadenza da parte del Capo Supremo, nei diritti delle singole collettività confederate.

Appunto in conseguenza di questi precedenti, allorquando ebbe a sorgere il concetto del divino, le collettività — riunite sotto il comando di un Capo ricevente ormai da Dio la propria investitura — collocarono sotto la tutela del Dio stesso l'indipendenza della collettività e degli individui. E proprio per questo (senza dover rilevare qui le molte sfumature, sottigliezze o ipocrisie del sistema), tanto in Cina quanto in Israele, tutte le volte che il Capo Supremo, senza esserne richiesto dal Dio, eseguiva un censimento, il Dio manifestava la propria collera, mandando castighi, o sommovendo il popolo contro quel Capo (cfr. II Samuele, XXIV, 1-5 per la tradizione israelitica; Granet, Civilisation Chinoise, Paris, 1948, p. 25 per la tradizione cinese, ecc.). 

In base a tali premesse, dobbiamo pensare che il popolo giudaico abbia ritenuto essere sfuggito ad Israele lo scettro e la tiara di Giuda — ed essere nato quindi il Messia — al momento in cui Erode, stabilizzatosi sul trono, fece eseguire in Giudea il censimento che Augusto aveva ordinato per tutto l'Impero (primo censimento generale di Augusto). Non solo quindi le circostanze relative alla morte di Mariamne ed alla «strage» dei figli di Baba, ma anche la circostanza del censimento deve persuaderci, nel ricercare la data di nascita del Gesù, a dar credito alla corrente più antica della tradizione corrente che nei Vangeli rimastici, raccolti tardivamente, non compare più; ma che in Eusebio si rivela inconfondibile. E poiché la data del primo censimento di Augusto corrisponde proprio agli anni 28-27 av. E.V., proprio in questa data dovremo registrare la nascita del Gesù.

Completiamo adesso questa parte, illustrando un altro aspetto della profezia di Genesi, mediante il quale, al momento in cui cessava il vecchio Capo di un popolo, nasceva il Messia, che a sua volta, diventato adulto, sarebbe stato Capo di quel popolo. Al proposito è risaputo che l'idea messianica, nel suo fondamento, è comune a tutte le religioni orientali. Essa però si conservò più caratterizzatrice nel Buddhismo, e specialmente — tra le sette Buddhiste — nel Lamaismo. 

Nel Lamaismo è cedenza che allorquando il Capo (Messia, Duce o Gran Lama) viene a cessare, lo spirito della divinità, uscendo dal corpo del Capo cessante, si incarna contemporaneamente in un fanciullo, nascente nello stesso istante. Ed appunto per ricercare il fanciullo, nel quale lo spirito della divinità si sia incarnato, al momento in cui il Gran Lama regnante sia spirato, tre monaci tra i Majores (Magi) si mettono in cammino attraverso il paese. Quando essi abbiano rintracciato il Fanciullo, che, nato in quel dato momento, attraverso segni particolari (ad esempio, delle stigmate, come nell'analoga tradizione egiziana del bue Api, ch'era in Egitto il «Messia» animale), rivelerà la propria natura divina, essi si inginocchieranno davanti a lui per adorarlo, offrendogli i tre simboli dell'obbedienza, della ricchezza e del potere. Dopo di che, intercorso un periodo di preparativi, il nuovo «ispirato» verrà solennemente accompagnato alla sede regale, per esservi allevato, ed istruito nella missione a lui affidata. 

Anche a questa credenza si era ispirata la profezia di Genesi. Giacché essendo stato il Pentateuco elaborato durante la cattività babilonese, gli scribi suoi elaboratori avevano attinto, oltre che ai vecchi midrash israeliti, anche alle tradizioni del lontano Oriente. Ed alla credenza medesima si ispirò poi la tradizione cristiana, in formazione nell'Oriente greco imbevuto di mithraismo, quando, nei suoi passaggi orali, fece proprio l'episodio dei Tre Magi (§ 110).

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