martedì 25 luglio 2023

I moti messianici del periodo romano ed il Messia «Galileo»

 (segue da qui)

§ 17) I moti messianici del periodo romano ed il Messia «Galileo». — In forza della profezia di Giacobbe, al momento in cui Erode, di nascita idumeo, e pertanto straniero ai discendenti di Giacobbe, assunse stabilmente lo scettro di Giuda, sopprimendo i discendenti dei Sommi Sacerdoti asmonei (cui di diritto sarebbe spettato il potere), il popolo ritenne che contemporaneamente era nato il Messia. Di qua il suo stato di ansia, d'irrequietezza e d'attesa, che soltanto un dispotismo illuminato, quale quello di Erode, poteva tenere per qualche tempo a freno. A questo punto però, un primo quesito deve risolvere lo storico. — Quando, precisamente, secondo la profezia di Giacobbe e secondo il succedersi dei «fatti di Erode», doveva ritenersi nato il nuovo «Unto»?

Il testo della profezia afferma che il Messia sarebbe venuto al mondo (e cioè sarebbe nato), quando i legittimi eredi di Giuda avessero perduto lo scettro ed il pontificato: avessero perduto cioè il potere politico ed il potere religioso, che implicava la facoltà di «legiferare». Ma questo evento quando, sotto Erode, ebbe a verificarsi?

Dalla Storia d'Israele, che a questa fase era anche Storia di Roma, sappiamo che Erode fu nominato re d'Israele dal Senato romano la prima volta nell'anno 40 av. E.V. A quel momento però la supremazia di Roma in Giudea, già instaurata da Pompeo, era cessata. Giacché il partito dei legittimisti Asmonei aveva colà chiamato i Parti ad occupare Gerusalemme, cosicché, coll'aiuto dei Parti, i Giudei avevano già soverchiato il piccolo presidio romano. D'altro canto la morte di Cesare (44 av. E.V.) aveva portato in Roma, insieme col disordine, preoccupazioni ben più gravi. Era stato quindi con un sospiro di sollievo che il Senato romano aveva visto comparire Erode — capo del partito filo-ellenico giudeo, continuatore del vecchio movimento tobiade — chiedente l'investitura della Giudea per ristabilirvi l'ordine.

Erode però doveva conquistarselo il regno, ed occorsero tre anni di dure lotte, prima che Gerusalemme — nella quale i legittimisti Asmonei si erano fortificati — fosse da lui espugnata. Ma anche dopo espugnata Gerusalemme, se poteva dirsi che Erode (il quale frattanto, per ingraziarsi il popolo, aveva sposato Mariamne Asmonea) aveva conquistato lo scettro di Giudea, non poteva dirsi che il Sommo Pontificato fosse uscito ancora dalle mani degli Asmonei. Giacché non solo viveva il vecchio Ircano III; ma era a cognizione del popolo che vivevano ancora — nascosti in luogo sicuro — altri eredi asmonei, ai quali di diritto sarebbe spettato il pontificato dopo la morte di Ircano. Costoro erano i figli di Baba, che Erode — come diremo appresso — avrebbe voluto sopprimere quando aveva espugnato Gerusalemme, appunto per restare senza rivali; ma che, quasi per virtù soprannaturale, avevano potuto sottrarsi alle sue ricerche, senza che nulla se ne sapesse.

Più tardi, avendo avuto luogo la battaglia di Azio (31 av. E.V.) con la vittoria di Ottaviano, i legittimisti giudei sperarono che Erode, già amico e fautore di Antonio, sarebbe stato spodestato dal vincitore Ottavio, colla conseguente restaurazione degli Asmonei sul trono di Davide. Ed appunto a questo scopo essi mandarono ambasciatori a Roma. Ma presso Ottavio riusciva Erode a giustificarsi, ottenendo la riconferma del regno. Rientrato egli pertanto trionfatore in Giudea, si vendicava dei suoi avversari, sopprimendo il vecchio Ircano. E venendo a conoscere il luogo dove i figli di Baba erano stati nel frattempo nascosti, ordinava l'arresto e la morte di essi, nonché di tutti i loro familiari, amici e partigiani.

Fu quella una vera strage, che nella tradizione giudaica venne tramandata quale «strage degli innocenti». E proprio a questo momento (anno 28 o 27 av. E.V.) — distrutto ormai il ramo maschile del ceppo asmoneo — la parte legittimista d'Israele ritenne definitivamente perduti lo scettro e la tiara. Pertanto, proprio a questo momento si precisò dovesse essere nato il nuovo «Unto», in conformità colla profezia di Genesi.

Stante quanto sopra, non era possibile che, alla morte di Erode, le rivoluzioni non succedessero alle rivoluzioni, ed i Messia non si accavallassero ai Messia. Perché calcolandosi la vera presa di possesso del paese da parte di Erode all'anno 28-27 av. E.V, ed essendo Erode morto l'anno 4 av. E.V., il «Messia» doveva avere allora 24 anni circa, e ben poteva esso manifestarsi da un momento all'altro in mezzo al popolo.

I principali «messia», affermatisi in Giudea subito dopo la morte di Erode, in conseguenza della profezia di Genesi, furono, secondo Giuseppe Flavio, Giuda figlio di Ezechia, Simone servo di Erode, Atronge pastore. Questi tre sedicenti messia, ciascuno in località diversa, cinsero la corona di re, dovunque saccheggiando, e promettendo ai loro fautori vittoria e potenza. Uguali gesta compirono altrove altri sedicenti messia, postisi a capo di altre bande. Ma contro tutti — chiamato dal procuratore romano, che non aveva forze sufficienti in Giudea per ristabilire da solo l'ordine — accorse dalla Siria Varo (lo stesso che sarà poi sconfitto in Germania), con tre legioni. E per la solerzia di Varo tutti i focolai messianici, accesisi qua e là, vennero prontamente soffocati.

Malgrado tante sconfitte sanguinose, la fazione che chiamava sé stessa «degli zelanti» (zeloti) non si ricredeva. Perché se i primi moti messianici — predicava quella — non avevano sortito effetto, ciò non doveva attribuirsi a mancata efficienza della profezia: ma ad errore del popolo, il quale aveva ritenuto «ispirato di Dio», un «falso messia». Il vero Messia invece, il vero Ispirato di Dio, sarebbe infallibilmente comparso al momento giusto, ed avrebbe guidato il popolo alla vittoria, portando Israele alla supremazia sul restante mondo.

Era naturale, ciò stante, che anche quando la tranquillità appariva ristabilita, il fuoco covasse sotto le ceneri, e che alla prima occasione il moto scoppiasse nuovamente. Questa occasione fu offerta agli Zelanti dal censimento, ordinato dal governo di Roma, per la Giudea, dopo nove anni dalla morte di Erode (6 E.V.): allorquando cioè, destituito da Ottaviano Archelao, la Giudea venne ridotta a vera e propria provincia dell'Impero.

Questa volta, all'idea messianica incombente sulle masse, facilmente influenzabili dall'elemento zelota, si aggiungeva l'inveterata avversione d'Israele per ogni forma di censimento. È noto infatti che il Dio di Israele aveva sempre condannato il censimento eseguito senza suo ordine dagli autocrati, come l'atto che sottraeva a lui il potere sul proprio popolo. Appunto per questo le poche volte che in precedenza un Capo di Israele aveva voluto procedere a un censimento senza l'ordine di Jahvè, il Dio aveva manifestato la propria collera, inviando cataclismi e pestilenze (cfr. II Samuele, XXIV; I Cronache, XXI). In conseguenza, al fanatismo per l'idea messianica, si aggiungeva — e veniva alimentata nel popolo dai molti agitatori — l'irritazione per il nuovo censimento. E proprio in conseguenza di ciò, quando il moto rivoluzionario esplose, apparentemente contro il censo, ma sostanzialmente a carattere messianico, essendosi posto a capo di esso il filosofo Giuda, conosciuto comunemente con l'attributo di «Galileo», le masse lo acclamarono subito come il «Messia» vaticinato, accorrendo numerosi sotto le sue bandiere.

Giuda Galileo possedeva tutti i requisiti per imporsi quale il vero Messia, e per acquistare proseliti numerosi. Giacché anzitutto egli era conosciuto ed ammirato quale «Maestro» (Rabbi), avendo egli già instaurato una propria scuola, ed avendo al suo seguito molti discepoli. Difatti, come rileviamo da Giuseppe Flavio (Guerra, II, VIII, 1): «Maestro egli era di una scuola tutta sua propria, e niente alle altre somigliante». Inoltre egli aveva nome Giuda, e questo nome era stato sempre fatidico in Israele, sia perché quello del casato cui spettava lo scettro sul popolo, sia perché portato da altro messia famoso: Giuda Maccabeo. Ma c'era ancora di più. Giuda Galileo, al momento in cui diede inizio alla sua predicazione pubblica, arringando le turbe contro il censo ed incitando: «non date il censo a Cesare», si trovava — come si arguisce da Giuseppe Flavio — nella piena maturità fisica. Egli quindi doveva essere nato all'incirca verso l'anno 28-27 av. E.V., quando appunto, in conformità colla più comune interpretazione della profezia di Giacobbe, si riteneva dovesse essere nato il Messia vaticinato. È anzi verosimile che questa circostanza sia stata decisiva per il riconoscimento della sua messianità. E non occorreva di più perché — agli incitamenti di lui — il partito degli zelanti si ricostituisse, e gli si raccogliesse attorno proclamandolo Messia.

Stante questi presupposti, il movimento, iniziato quale manifestazione di piazza con grida sediziose contro il censo, diventava questa volta — nel nome del «messia» Galileo — movimento messianico unico, generale per tutta la Palestina. Perché il «censo» toccava tutti i Giudei, tanto nella borsa quanto nella fede. In conseguenza era naturale che le schiere, dapprima sparute degli «zelanti», sapendo ormai giunto il vaticinato «messia» — donde la loro qualifica di «messianici» (cfr. § 22) — aumentassero ogni giorno di più, diventando sempre più minacciose.

Da ciò resa accorta, l'autorità romana ultimava in fretta — con l'aiuto del pontefice Gioazàro — le operazioni censuarie. Ma poiché le manifestazioni popolari persistevano adesso contro Gioazàro (colpevole di aver «collaborato» con lo straniero invasore), i romani ignari destituivano dalla somma carica il vecchio Gioazàro, e nominavano in suo luogo il giovane ed energico Anna, figliuolo di Seth (scorcio dell'anno 6 E.V.).

Anna iniziava il suo pontificato da reazionario; e per troncare il moto messianico incombente, ordinava, durante la Pasqua dell'anno 7, l'arresto del Rabbi Galileo, che si era recato a Gerusalemme coi suoi discepoli per il pellegrinaggio di rito (cfr. Ant. XVIII, I, 2; III, 1). All'arresto ordinato in concistoro succedeva affrettato il processo, e la condanna a morte, nonché l'esecuzione del Rabbi. Dopo di che sperava il partito sacerdotale di aver prevenuto l'esplosione del movimento popolare. Senonché la condanna del Rabbi non faceva che dar fuoco alle polveri. Inopinatamente infatti dall'un capo all'altro della Palestina scoppiavano numerosi i moti di ribellione, per cui il sangue non tardava a scorrere.

Giacché i «messianici» non solo attaccavano di sorpresa e sgozzavano le guarnigioni romane; non solo uccidevano gli aderenti al partito sacerdotale, colpevoli — a loro modo di vedere — di collaborare col romano invasore; ma assalivano i villaggi pacifici che incontravano sul loro passaggio, tutto distruggendo, e sopprimendo quei cittadini che rifiutavano di partecipare al loro movimento. Invasati dal fanatico motto «chi non è con noi è contro di noi» (cfr. Matteo, XII, 30), consideravano nemici tutti coloro i quali non figurassero nelle loro file. Da ciò il «gran sangue civile», lamentato da Giuseppe Flavio.

Come era da attendersi, l'autorità romana, passato il primo momento di sorpresa, rispondeva drasticamente alla ribellione messianica: ferro contro ferro e fuoco contro fuoco. Stroncati pertanto, dopo non poche difficoltà e non poco sangue, i vari focolai della rivolta, i superstiti, perseguitati in Giudea anche dopo che la calma era sopravvenuta, non trovavano di meglio che nascondersi, oppure cercare riparo oltre confine. Ed appunto allora le comunità della diaspora greca, specialmente le più vicine comunità di Antiochia, di Alessandria, di Corinto, ecc., si videro invase per la prima volta da gruppi di «messianici-galilei», che venivano ivi a costituire comunità nuove e separate, nell'ambito delle più vaste comunità sinagogali.   

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