sabato 29 luglio 2023

Fine della nazione giudaica

 (segue da qui)

§ 21) Fine della nazione giudaica. — La fine rovinosa della guerra, iniziata e portata avanti con tanto zelo, causava nei Giudei sopravvissuti un avvilimento profondo, che mentre da un lato estingueva in Palestina il nazional-messianismo di Giuda Galileo, produceva dall'altro una ulteriore trasformazione della originaria concezione messianica. Ed infatti, poiché la lotta richiamantesi a Giuda — ch'era perdurata così a lungo, per la fiducia che il popolo aveva posto nella messianità di quello, affermato dalla propaganda «vero figlio di Dio» — era fallita tragicamente, come altre volte erano falliti altri moti, facenti capo a più oscuri «messia», anche Giuda Galileo fu considerato, dalla massima parte dei Giudei, un falso messia. I più fedeli suoi adoratori però (come fu visto dal discorso di Eleazaro) attribuirono il mancato evento non già alla sua non-messianità, bensì ai molti peccati, che tutto il popolo aveva commesso, durante il periodo preparatorio dell'evento stesso.

Con ciò il noto principio biblico, e ad un tempo autocratico, per il quale ogni sciagura viene attribuita ai peccati del popolo piuttosto che agli errori dei capi, salvava quest'ultima forma di «messianismo». E non deve meravigliare che gli avanzi dei fautori di Giuda, sfuggiti alla cattura dei soldati romani, emigrassero anche questa volta nelle comunità galilee della diaspora greca, ed ivi, insieme cogli altri più vecchi aderenti all'ideologia galilea, profughi delle precedenti reazioni, rielaborassero e trasformassero, in aderenza coi nuovi fatti, la tradizione galilea ancora incerta.

Le masse di Palestina, però, riprendevano in Galilea la loro esistenza triste, dimenticando bensì Giuda Galileo; ma lentamente, per quella sete di giustizia soggettiva che mai i giudei cesseranno di nutrire, ricominciando, come già i loro padri, a coltivare le speranze messianiche. Giacché era bensì cessata la fiducia in quella personalità messianica determinata, ma non era cessata la speranza nell'idea messianica oggettivamente considerata. Col formarsi pertanto delle nuove generazioni, nuovamente il popolo, che si veniva riprendendo, cominciò ad attendere che Jahvè mandasse il suo «Unto».

Ed invero, fino ad allora si era sempre confidato nella profezia di Genesi. E poiché, nella prima sua interpretazione, la stessa non si era rivelata efficiente (perché il Rabbi Galileo era stato soppresso prima che il suo movimento si fosse affermato), la si era poi interpretata al lume degli elementi apocalittici d'origine non giudea. Da ciò era derivata l'aspettativa di una seconda parusia del «Galileo» a distanza di 57 anni dalla prima, per l'attuazione del regno messianico. I fatti però avevano ormai dimostrato infondata anche questa seconda interpretazione. Si pensò quindi da ultimo che non dovesse la formula contenuta in Genesi avere valore di profezia, non risultando dal testo che Giacobbe avesse parlato in istato di «ispirazione».

Abbandonatasi pertanto la profezia di Genesi, i dottori della legge, per coltivare nel popolo la fiducia e la speranza, a conforto delle molte miserie presenti, chiamarono in onore la profezia di Balaam, contenuta in Numeri (XXIV, 17). È noto infatti ai lettori della Bibbia, che nei primi anni successivi all'esodo, i primi Israeliti si sarebbero un giorno accampati oltre il Giordano. Accortesi di ciò le vicine tribù dei Moabiti, per tema di riceverne danno, avrebbero sollecitato il proprio profeta Balaam, di presentarsi sul luogo e maledire Israele; dopo di che facilmente quelle schiere sarebbero state distrutte. Balaam però, invasato dallo spirito del Signore, avrebbe benedetto, invece di maledire, Israele, e nello stato di ispirazione nel quale si trovava, così avrebbe affermato: «Io vedo, ma non al presente; io scorgo, ma non da presso. Una stella procederà da Giacobbe, ed uno scettro sorgerà in Israele, il quale trafiggerà i prìncipi di Moab, e distruggerà tutti i figliuoli di Set ... Da Giacobbe uscirà il dominatore che sperderà gli avanzi delle città».

In virtù di quest'altra profezia, le ricostituite comunità giudaiche, dopo la guerra del 70, riprendevano ad aspettare il «figlio della stella». E quando, nel 130 E.V., l'Imperatore Adriano vietò in tutto l'Impero la circoncisione, il popolo, persuaso dalla predicazione avvincente del Rabbi Aqiba che l'ora della rivincita fosse scoccata, nuovamente si rivoltò contro Roma, e nuovamente imbracciò le armi. E poiché un Simone, messosi a capo delle prime bande, si affermava «messia» e «figlio della stella», le masse gli corsero dietro, acclamandolo entusiasticamente «Bar Kokhebhah», che vuol dire appunto «figlio della stella». La guerra così ripigliava in Israele più cruenta che mai, ed anche questa volta il fanatismo dei messianici non cedeva.

Anche quella volta però, dopo una parvenza di vittoria, che aveva offerto dapprincipio a Bar-Kokhebhah (come già a Manaemo) un effimero regno in Gerusalemme, sopravvenivano le truppe romane. Ad uno ad uno allora gli innumeri fortini venivano sopraffatti, ed il sangue, da una parte e dall'altra, correva senza fine. Da ultimo, soppressi i capi, e ridotta — come scrive Dione Cassio — tutta la Giudea ad un deserto, pensando Adriano di potere estirpare finalmente colà ogni tentativo di ripresa messianica, edificava, sul posto dove già era sorta Gerusalemme, una città completamente ellenica, che veniva chiamata Elia Capitolina. I giudei pertanto, a cui era fatto divieto di abitare la nuova città, riservata ai coloni romani, rimasti senza patria, iniziavano da allora le loro peregrinazioni, errando per il vasto mondo, ed invadendo soprattutto l'oriente greco.   

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