(segue da qui)
LA VITA DI UN CAPO
Abbiamo raccontato come San Paolo passò nella comunità di Antiochia una gran parte dei quattordici anni che seguirono il suo primo viaggio a Gerusalemme, lasciandola per recarsi qua e là a esercitare il suo mestiere, ritornandovi non appena la cosa gli fosse possibile.
La profonda ragion d'essere delle comunità doveva essere di stabilire attraverso il mondo focolai di irradiazione da cui la nuova dottrina potesse propagarsi; ma il solo scopo di cui abbiano avuto coscienza era, non dimentichiamolo, prepararsi al grande evento della morte e della resurrezione. Non più che a San Pietro o a San Giovanni o a San Giacomo, l'idea non poteva venire a San Paolo di «fare della propaganda»; tutt'al più nutri in fondo al suo cuore il chimerico desiderio di far partecipare i suoi fratelli d'Israele alla grazia che ha ricevuto. Ma ancora occorre che in queste comunità le cose si svolgano come debbano svolgersi per attendere, come debbono attenderlo, il grande evento, per prepararvisi come debbono prepararvisi, per prepararlo come debbono prepararlo. E questo è ciò che non aveva avuto luogo, a seconda quantomeno di alcuni.
Ricordiamo brevemente i fatti. Una disputa si è sollevata tra i cristiani di Antiochia; certi hanno preteso che tali osservanze dovevano essere imposte ai pagani venuti al Signore, che non dovevano esserlo secondo gli altri... San Paolo e San Barnaba sono andati a discutere con i capi del gruppo galileo, e ci si è messi d'accordo. Ma ecco che, di nuovo, le cose si svolgono come non dovevano svolgersi; e quella volta chi dà il cattivo esempio? San Pietro stesso, il capo venerato dei Galilei, l'uomo che per primo ha visto il Signore risorto! Abbiamo detto come San Paolo non esitò a sfidarlo pubblicamente; come, benché avendo probabilmente ragione, si mise nel torto e coalizzò tutti contro di lui e come, la situazione essendo divenuta impossibile, partì. Ma se partì, l'abbiamo spiegato, non fu solo perché non poteva più restare; fu per andare a cercare altrove il rifugio dove le cose sarebbero accadute come dovevano accadere, e, se questo asilo non esisteva, per crearlo, conformemente a ciò che lo Spirito gli ispirava.
In questo senso, la partenza da Antiochia (anno 45, molto probabilmente) è l'egira del paolinismo.
Ma quali tribolazioni! Non appena il successo comincia a venirgli, i tumulti lo costringono a fuggire e bisogna che ricominci altrove, — fino al giorno in cui a poco a poco un altro sogno prende nel suo cuore il posto di quello che non ha potuto realizzare.
Il suo cuore è ora tutt'intero per quelli iniziati che ha lasciato nelle città dove si è fermato, per quelli iniziati che sono per lui dei figli, come dice ai suoi Corinzi, che ha generato in Gesù portando loro la Buona Novella, [1] di cui è geloso di una gelosia divina e che ha promesso a Cristo. [2] Il suo scopo primario è dimenticato; diventa un fondatore di comunità professionista, se si intende l'espressione nel suo senso più puro e più realistico allo stesso tempo... Ed è difficile se una volta, in fondo ad una delle sue prigioni, una speranza gli tornerà di finire i suoi giorni in mezzo ai suoi, accanto alla «cara congiunta», nell'attesa del giorno del Signore.
Lo scopo di questo studio non è di raccontare la vita di San Paolo, e basterà rimandare i nostri lettori alle poche righe nelle quali abbiamo riassunto ciò che si sa della fine della sua carriera: il suo arresto a Gerusalemme, il viaggio a Roma dove deve comparire davanti al tribunale imperiale ed è probabilmente rilasciato e, per quanto si possa congetturarlo, la sua morte nel corso della repressione neroniana qualche anno più tardi.
Abbiamo tentato di rappresentarci l'aspetto fisico dell'apostolo e di penetrare il mistero della sua vita sensuale; daremmo di lui un'immagine di convenzione che non varrebbe meglio di quella che danno le opere di pietà, se lasciassimo credere che egli sia stato altresì il prototipo di tutte le virtù cosiddette cristiane. Un detto vuole che i più grandi tra i santi pecchino sette volte al giorno; ma se questi santi sono condottieri di uomini, è probabile che i loro peccati quotidiani superino la dozzina.
Noi ignoriamo, conoscendoli così poco, quali fossero i peccati familiari di un San Pietro e di un San Giovanni; sospettiamo quelli del rigorista che fu San Giacomo. La lettura delle epistole ci mostra in pieno quelli di San Paolo; non temiamo di fermarci qui, San Paolo non è affatto sminuito perché resta un uomo. Abbiamo già visto come, benché avendo ragione contro San Pietro ad Antiochia, si fosse messo nel torto e, con la sua violenza, avesse coalizzato tutti contro di lui. La sua irritabilità, le sue ire riempiono le epistole, come hanno riempito le comunità. I suoi balzi d'umore; va in tempesta, e bruscamente si fa tutto mite e tutto allegro. Le sue variazioni, nonché le sue contraddizioni, sono innumerevoli; sulle cose che non sono le cose essenziali nessuno meno di lui temeva di smentirsi; a tal punto che deve difendersi «che ci sia in lui il sì, sì e il no, no». [3]
È geloso, non solo della sua autorità, ma anche della sua posizione. Confessiamolo: le piccolezze di un grande uomo completano la sua grandezza; le epistole lo mostrano impaziente di rivendicare il posto che gli è dovuto. Geloso nei riguardi dei suoi rivali, non solo rivendica il suo rango, ma sminuisce quello dei compagni.
Si è da lungo tempo notato come, nell'esposizione che fa della sua carriera all'inizio dell'epistola ai Galati, egli metta in secondo piano e finisce per eliminare il suo collaboratore San Barnaba.
Certi giorni sa riconoscere ciò che ha ricevuto da coloro che lo hanno preceduto; altri giorni afferma che ha appreso tutto direttamente dal Signore e non deve nulla a nessuno.
— Non ho ricevuto da alcun uomo il mio vangelo, ma dalla rivelazione di Gesù. [4]
— Non ho consultato nessuno, nemmeno coloro che erano prima di me apostoli. [5]
Tutto ciò che si può dire di queste affermazioni è che l'alterazione della verità non vi è intenzionale.
Per poco, lui solo sarebbe un vero apostolo.
E il sarcasmo col quale, i giorni di cattivo umore, tratta i compagni!
— Ritengo che io non sono stato inferiore in nulla a questi «super-apostoli» (testuale in greco). [6]
E più oltre:
— Sono Giudei? Anch'io. Sono Israeliti? Anch'io. Sono della posterità di Abramo? Anch'io. Sono ministri del Cristo? IO LO SONO DI PIÙ. [7]
Arriva fino a proporsi come modello!
— Siate miei imitatori, scrive a due riprese ai suoi Corinzi. [8]
E lo ripete ai suoi Filippesi [9] e si congratula con i Tessalonicesi per esserlo stati. [10]
Poi, tutto di colpo, il crollo:
— Io sono il minimo degli apostoli... Non sono degno di essere chiamato apostolo. [11]
— E questo è perché, spiega, mi compiaccio nelle infermità, negli oltraggi, nelle persecuzioni, nelle angosce. [12]
Sfioriamo, ma senza cadervi, la pietosa confessione alla russa.
Altrove, si è visto che si dichiara debole, timido, umile d'apparenza, dalla parola mediocre, tutto ciò che doveva sintetizzare l'immagine magnificamente terribile dell'aborto.
«Dappertutto, aspetti che si scontrano; in un solo uomo», ha scritto il signor Han Ryner, «una moltitudine di piccoli uomini; ciascuno era come un torrente traboccante di collera; essi si mescolavano senza che si sapesse perché, e si agitavano nella più confusa delle dispute...». [13]
Spontaneità, tutto ciò? Ed ecco tutto di colpo che in questo caos, si scopre una politica che sa benissimo ciò che fa. Testimone il ritratto che ha tracciato di sé [14] e di cui noi abbiamo segnalato altrove la barbara bellezza... Ebreo con gli ebrei (riassumiamo questa volta), osservante della Legge con coloro che la osservano, non osservante con coloro che non la osservano... Bianco con i bianchi, rosso con i rossi, diremmo oggi... al fine di guardagnarli tutti.
Si concepisce il sentimento che in presenza di tali personalità dovettero provare gli aristocratici allevati alla romana. Il loro errore fu di non domandarsi ciò che si nascondeva sotto quelle sgradevoli apparenze di Orientale trepidante e proteiforme.
La verità è che sotto queste apparenze si ritrova in San Paolo un'anima di maestro.
Umile e orgoglioso di volta in volta, San Paolo non si lascia mai abbattere.
Afflitti ma non schiacciati,
Imbarazzati ma non disperati,
Perseguitati ma non abbandonati,
Abbattuti ma non perduti...
Così parla (2 Corinzi 4:8-9). E non più di quanto si lascia scoraggiare, non si lascia distogliere dal suo cammino; egli cambia, ma seguendo una linea di necessità che gli altri non vedono sempre, ma che lui vede, invece, nel profondo di sé.
In realtà, è un capo. È un organizzatore. Si è visto come, essendo partito, intorno alla quarantina, per cercare o, se non lo trovava, per creare il rifugio del suo cuore, fosse diventato, per la forza delle cose, un fondatore professionista di comunità, nel senso più nobile ma più realistico del termine. È, e sempre nell'accezione più ottimista dell'espressione, un uomo pratico. Vuole ben correre per il mondo e rischiare le peggiori avventure, ma non vuole «correre invano». [15] Che parola rivelatrice! Se lo abbiamo appena visto farsi il servo di tutti, è perché sente che la sua opera lo esige.
Questo turbolento appassionato è, in realtà, un volontario, tanto quanto Lenin. Come Lenin, in tutte le cose vede solo l'opera alla quale si è dedicato.
Ascoltiamolo ancora:
... Travagli, prigioni, pericoli di morte...
Cinque volte ho ricevuto dai Giudei i trentanove colpi di verghe,
Tre volte sono stato flagellato, una volta sono stato lapidato,
Tre volte ho fatto naufragio,
Un giorno e una notte nell'abisso,
Viaggi, pericoli di fiumi, pericoli di briganti,
Pericoli tra i Giudei, pericoli tra i pagani,
Pericoli nelle città, pericoli nel deserto,
Pericoli sul mare, pericoli tra i falsi fratelli,
Travagli, fatiche, veglie,
Fame e sete, digiuni,
Freddo, nudità,
E l'assalto di ogni giorno,
E la preoccupazione delle comunità... [16]
Quale pagina!... ma tutte queste prove, ascoltate il grande realizzatore, le accetta, posto che questo sia utile. Si vede quanto siamo lontani dai maniaci del martirio per il martirio e dagli isterici del cilicio, nonché dei capelli incolti e della disciplina. Non più dei Galilei, non gli viene in mente che le sevizie contro di sé siano gradite al suo dio; tutti sanno che il loro dio, ha consentito, prima di essere crocifisso, a essere flagellato, ma non sanno che lui stesso, come il personaggio del signor Bernanos, ha brandito le verghe. Lo stesso quanto alla persecuzione. Un vero rivoluzionario affronta la persecuzione; la evita, quando può (i Galilei ne hanno dato l'esempio all'epoca di Santo Stefano); mai la rincorre. E mai nessuno di loro si abbandonerà a dimostrazioni tipo Polieucte... Polieucte? San Paolo lo avrebbe rinnegato davanti al Cristo.
Quanto a essere disinteressato, lo è in tutta la pienezza del suo essere; e se ne vanta; e ha torto a vantarsene, perché il disinteresse è la conditio sine qua non senza cui, quali che siano le sue altre virtù, un rivoluzionario non sarà mai altro che un rivoluzionario di carta.
Non più dei compagni è stato un asceta, ci siamo sufficientemente spiegati su questo. Non solo ebbe una moglie e l'amò con passione, ma nulla nelle epistole rivela un rigorista e, lungi dal prenderne le morigerate attitudini, lo vediamo una volta unirsi alla serena filosofia del Sapiente antico o, se si preferisce, del soldato nelle trincee che sa altrettanto bene (quale colpo il cristianesimo primitivo dà qui all'ascetismo!) fare a meno dei beni quando mancano e goderne quando sono là.
«Ho appreso», scrive, «a soddisfarmi dello stato in cui sono;
So accontentarmi e so come essere ricolmo;
Mi sono istruito in tutte le cose ad essere sazio e ad essere affamato, ad essere nell'abbondanza e ad essere nell'indigenza». [17]
Ma facciamo attenzione! I beni di cui sa godere, quando gli capitano, non sono mai più di quelli, ben modesti, di quella frugale semplicità che si chiama povertà nel senso antico del termine e che fu quella dei più grandi. Povertà è altra cosa rispetto ad indigenza; i poveri che onorò il cristianesimo del medioevo erano il più sovente mendicanti e straccioni; la povertà di San Paolo è quella di uomini che, mentre preparano la rivoluzione, si guadagnano da vivere e pagano il fornaio, e che, arrivati al potere e disponendo delle risorse di un impero, continuano a ritenersi «ricolmi» e «nell'abbondanza» con trecento rubli al mese... Ricevi qui il mio nostalgico omaggio, povertà liberamente accettata, povertà amata per te stessa, povertà dal volto fiero!
Se San Paolo è stato un povero nel senso in cui lo sono stati tutti i grandi rivoluzionari, altrettanto come loro è restato estraneo a quella dottrina della non-resistenza al male che si è voluta attribuire ai primi cristiani. Abbiamo spiegato che quest'ultima appare solo nel secondo secolo nei vangeli e che non ve n'è traccia nelle epistole né in ciò che sappiamo della vita dei santi della prima generazione cristiana. Quando San Paolo china il capo, è per meglio rialzarlo in seguito. Uno spirito di resistenza e persino di lotta contro i nemici del Signore, ma anche contro i suoi nemici personali, anima le sue epistole; le armi non sono evidentemente la spada, la lancia o il pugnale; sono nondimeno strumenti di difesa e strumenti di attacco. Le metafore prese dalle cose militari e persino dalle cose dell'atletica, che mancheranno quasi assolutamente nei vangeli, sono frequenti nelle epistole. [18] San Paolo è un soldato della fede, un soldato di Gesù Cristo, diranno i suoi discepoli; [19] è ciò che oggi i giornali chiamerebbero «un combattente».
Questi doni del realizzatore (preferisco questo termine) non sono molto compatibili con la nozione corrente della bontà. San Paolo non era buono, nel senso attuale del termine. Se considera i suoi discepoli come figli di cui è «geloso di una gelosia divina», non è tenerezza di cuore; li ama, ma nel Signore, e non nelle loro persone individuali. Non una parola delle epistole ce lo mostra partecipe delle sofferenze di coloro che lo circondano; non una parola lo mostra chino sulla miseria degli uomini; come Lenin, li ama di un amore astratto e nella loro massa. Il celebre poema sulla carità (capitolo 13 della prima epistola ai Corinzi) non dà minimamente l'impressione di un poema vissuto, eppure è di San Paolo? San Paolo è eminentemente di quelli che abbiamo visto amare con tutto il loro cuore, con tutta la loro intelligenza, con tutto il loro respiro e con tutta la loro forza — cosa? Dio, evidentemente; il proprio prossimo, evidentemente; ma nella misura in cui rappresentano, nella misura in cui costituiscono quella società nuova che la morale eroica del cristianesimo primitivo comanda a tutti i rivoluzionari di mettere al di sopra di tutto. E questo è ciò che noi abbiamo sufficientemente spiegato.
San Paolo è uno di quegli uomini di cui si direbbe oggi che essi sono «poco sentimentali»; in realtà è al di sopra dei sentimenti. Non dobbiamo attribuire troppa importanza al testo dove dichiara che Dio non presta interesse alla sorte dei buoi; [20] ma si immaginano tali parole nella bocca di un essere sensibile? Nel segreto del cuore di chiunque faccia grandi cose, crediamo in Nietzsche, vi è sempre la durezza.
San Paolo non è di quelli per cui il Gesù del vangelo ha detto: Beati coloro che sono miti!
Ed è a volte implacabile.
Verso sé stesso, dapprima, come conviene; perché mai capo si è meno risparmiato.
Verso i suoi, in seguito. Un esempio. Quando apprende che un fatto che giudica grave è stato commesso tra quelli di Corinto, tenterà mezzi di gentilezza per recuperare il colpevole? Pronuncia l'anatema, e in che termini! [21]
Quanto ai pagani e ai Giudei che non saranno venuti al Signore, sono votati alla morte...
Alla morte, ma non alla tortura. Ho insistito su questo articolo fondamentale della morale dell'eroismo. Respingendo del tutto l'immagine dell'inferno che imperversava allora per il mondo (e da cui i vangeli non dovevano guardarsi), San Paolo si elevò alle cime di serenità della grandezza.
La stessa cosa, quanto all'elemosina, vergogna delle religioni in decadenza. San Paolo, come sappiamo, non considera il Signore come un dispensatore del bere, del mangiare e delle comodità della vita. Per lui, come per i compagni galilei, pregare è volere che ciò che deve essere sia.
La stessa cosa ancora, quanto all'indifferenza, stupefacente per i nostri moderni cristiani, che egli mostra nelle epistole in merito alla sua propria salvezza. Solo gli interessa la salvezza sociale, che si chiama l'instaurazione del regno di Dio, e da cui abbiamo visto che accetta di essere escluso purché si compia. Dappertutto ritroviamo quella consacrazione di sé alla Causa, che è il segno supremo dei grandi rivoluzionari come dei grandi riformatori.
E, come coronamento della vita, il genere di morte che attende i grandi riformatori come pure i grandi rivoluzionari, la morte per mano del boia, a cui non sfuggirà più del compagno San Pietro.
NOTE
[1] 1 Corinzi 4:15.
[2] 2 Corinzi 11:2.
[3] 2 Corinzi 1:17.
[4] Galati 1:12.
[5] Ibidem, 16-17.
[6] 2 Corinzi 11:5.
[7] Ibidem, 22-23.
[8] 1 Corinzi 4:16 e 11:1.
[9] Filippesi 3:17.
[10] 1 Tessalonicesi 1:6.
[11] 1 Corinzi 15:9.
[12] 2 Corinzi 12:10.
[13] Songes perdus, pagina 86.
[14] 1 Corinzi 9:20-22.
[15] Galati 2:2.
[16] 2 Corinzi 11:24-28.
[17] Filippesi 4:11-12.
[18] Ad esempio, per le cose militari, 2 Corinzi 10:4-5; e, per le cose dell'atletica, 1 Corinzi 9:24-27. Abbiamo segnalato la metafora di origine professionale di 2 Corinzi 5:1-4. Si troverà, per contro, un argomento in più contro l'ipotesi marcionita nell'assenza di qualsiasi metafora nautica o semplicemente marittima nelle epistole.
[19] 2 Timoteo 2:3.
[20] 1 Corinzi 9:9.
[21] 1 Corinzi 5:5.
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