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LO SCRITTORE
Tanto quanto San Paolo, benché differentemente, San Pietro, San Giovanni, San Giacomo (e i compagni, non meno) hanno ricevuto i doni della spiritualità.
Tanto quanto lui, hanno ricevuto il dono della dedizione magnifica di sé a una causa, tanto quanto lui avranno penato.
Tanto quanto lui, sono stati rappresentativi dell'anima nuova che era in procinto di delinearsi.
Parecchi tra loro senza dubbio hanno avuto, come lui, quantunque in misura minore, le qualità del capo.
Ma è un dono che nel mezzo degli altri sarà stato il solo a ricevere, — un dono nuovo, che si aggiunge ai primi, e che li completa, come il suo profumo completa un fiore, come il bacio completa l'amore...
Cos'è la prima generazione cristiana? Poche anime incommensurabilmente ricche di elementi collettivi; incommensurabilmente ricche, perché sovrabbondano di atavismi millenari nello stesso tempo in cui sono rappresentative di un mondo che vuole nascere; ma tra queste quattro anime, una ha ricevuto per grazia un dono che le è particolare. E questo fu trovare la formula verbale delle cose che sorgevano da questo immenso inconscio collettivo.
Sappiamo che non bisogna considerare i Galilei degli incolti; sappiamo che si deve riconoscere in San Paolo una cultura un po' più sviluppata; ma questo poco o molto di cultura supplementare in più gli apporta solo un infimo vantaggio. Il dono che loro non hanno e che lui ha è che è uno scrittore nato.
Lo scrittore nato, quando si realizza al massimo, è colui che esprime con potenza un pensiero possente, la forma essendo adeguata alla sostanza, entrambi figli gemelli e inseparabili del genio. [1] Come minimo, questi sarà uno di quegli illetterati, un uomo del popolo, una piccola serva, che in una lettera brulicante di errori di ortografia riescono a dire perfettamente tutto quello che hanno da dire, mentre accanto a loro persone munite di diplomi non pervengono mai che a espressioni irrimediabilmente indigeste o approssimative del loro pensiero. Come questo uomo del popolo, come quella piccola serva, come i grandi scrittori, San Paolo ha ricevuto dagli dèi la facoltà di raccontare, ma col vocabolario più ridotto e una sintassi inesistente, ma servendosi di luoghi comuni che giravano per il mondo, ma in mezzo talvolta a intrecci che rasentano i guazzabugli, le avventure vertiginose della sua anima.
Uno scrittore? Con tali inadeguatezze? Sì, uno scrittore, perché con inadeguatezze che oltrepassano quanto si crederebbe di poter tollerare da un uomo che prende in mano la penna, trova tutto di colpo l'espressione giusta, l'espressione possente, l'espressione evocativa.
Per tutto il resto, San Pietro, San Giovanni e San Giacomo non gli sono in nulla inferiori, e senza dubbio gli sono, nel profondo intimo di sé, superiori. San Paolo è un visionario e anche lui ha visto il suo dio; ma San Pietro lo ha visto per primo. San Paolo ha conosciuto i trasporti del divino amore; ma San Giovanni resta per i secoli dei secoli l'uomo che ha amato ed è stato amato. San Paolo vive una vita d'apostolo, ma San Giacomo è la giustizia nello Spirito. Nessuno di loro tre ha avuto bisogno di impegnarsi nelle cose temporali; sono restati gli uomini della preghiera e del carisma. Solo che né San Pietro, né San Giovanni, né San Giacomo hanno trovato (perché se l'avessero trovato, lo si sarebbe ripetuto) la breve combinazione di parole aramaiche o greche capaci di configurare qualcosa della triplice forma della loro preghiera.
Ho detto altrove quale colpo di genio doveva essere più tardi la stesura del più antico vangelo; ho detto anche quale non meno geniale scrittore si deve riconoscere in San Paolo, e cosa bisogna pensare di una critica che vede in tali risultati solo un ammasso di frammenti accumulati nel corso di quattro generazioni.
Uno scrittore, San Paolo? Certo; un apostolo, un fondatore di chiese, un operaio che visse di giorno in giorno del suo mestiere, ma che è nato scrittore.
L'uomo capace di formulare una dottrina così straordinariamente nuova per la gente del primo secolo, e tanto più nuova quanto più essendo vecchia di parecchi millenni essa era stata si può dire dimenticata da diversi millenni, il sacrificio del dio e le sue virtù (cosa ne avrebbe pensato Seneca?), la comunione teofagica (si immagina lo stupore di Cicerone?) e capace di spiegare in poche brevi frasi come vi fosse il pegno e il simbolo della rigenerazione umana, l'uomo capace di mettere a punto un mito rivoluzionario di quella originalità e di quella portata non poteva essere che uno dei più grandi scrittori che gli dèi abbiano concesso all'umanità, e il suo esempio fornisce una delle poche immagini che si ama farsi dello scrittore di genio.
Al momento in cui lascia il gruppo di Antiochia per recarsi a tentare la sorte attraverso il mondo, diciassette o diciotto anni sono passati dalla sua conversione; se non ha raggiunto la quarantina, ci è vicino. Una decina d'anni passeranno ancora prima che scriva la prima delle sue epistole (l'epistola ai Tessalonicesi, molto inferiore a quelle che dovevano seguire), e vanno situate intorno alla cinquantina quelle che hanno fatto la sua gloria. Per uno scrittore nato, ecco uno scrittore tardivo! Precisamente, scrittore lo è stato per forza di cose, o, per meglio dire, sotto la costrizione di una necessità derivata dalla parte più essenziale di sé stesso.
In un certo senso, San Paolo è l'antenato di quelli che si chiamano oggi gli scrittori del secondo mestiere... Si ricorda l'oggetto di tante inchieste letterarie: uno scrittore deve avere un secondo mestiere, o semplicemente un mestiere che non sia quello di scrivere?
San Paolo ha due o piuttosto tre mestieri: è fabbricante di tende, è fondatore di comunità; è scrittore. Non più di Shakespeare, egli non si considera un uomo la cui funzione è di scrivere. Scrive perché le circostanze lo esigono, perché non può dire a viva voce ciò che ha da dire. L'attore Shakespeare è incidentalmente incaricato dal suo direttore di rattoppare antiche composizioni nonché di iniziarne di nuove. San Paolo si sente costretto a far sapere a quelli di Corinto se le donne devono portare un velo o restare a capo scoperto e se la resurrezione è per domani o solo per dopodomani. Ora, in questo momento, qualcosa accade sopra le teste di Shakespeare e di San Paolo. Qualcosa? Lo Spirito che soffia. Il che significa, non che l'ispirazione discende alla maniera romantica, ma che l'uomo che credeva di scrivere sotto il colpo di una circostanza fortuita, andrà a fissare in poche frasi decisive l'immagine di una società in procinto di nascere.
Questo equivale a dire che lo scrittore di genio ricaverà qualcosa dal nulla? Prima di lui, intorno a lui, ci sono gli uomini eminentemente rappresentativi dei bisogni profondi della loro epoca, che aspettano, che cercano, che preparano. Vi è innanzitutto un immenso inconscio collettivo in cui tutte le forme si generano. Poi c'è la lunga meditazione di questi uomini e i simboli originali che rimontano alla superficie. E a poco a poco emerge una figura che sarà quella del dio nuovo, rinnovata dai temi più lontani della preistoria; ma non vi è ancora in tutto questo che labbra che pregano, occhi visionari, cuori che si infiammano. Allora lo scrittore di genio fa il suo ingresso; ciò che era solo preghiera, estasi, amore e sogno inafferrabile prende una forma; non è il creatore che dà un'anima al terriccio della terra, è colui che riveste con un corpo un'anima informe.
Infatti, San Paolo è stato, tra i primi cristiani, l'uomo che ha formulato il pensiero che da un quarto di secolo si faceva luce oscuramente nelle comunità. Queste formule, settecento anni di commentari ce le hanno reso familiari; esse si rivelarono, all'epoca in cui San Paolo le istituì, novità prodigiose. E si rivelarono così magistralmente espresse che sono rimaste per questi settecento anni la base immutabile della dottrina cristiana.
Ma, per quanto potenti siano, le opere del grande scrittore non sono una semplice raccolta di formule teologiche. Mescolandosi in ogni pagina, come il sangue attraverso i muscoli, come la folla attraverso le strade della città, vediamo circolare, in piena vita, quel piccolo popolo sempre agitato, quel brulichio sempre in dispute delle prime comunità e, in primo piano, l'immagine terrificante dello scrittore stesso nella sua molteplicità proteiforme.
Se la caratteristica di un capolavoro è di dare la parola alle aspirazioni di un'epoca, nello stesso tempo in cui illumina l'anima dell'uomo che le incarna e le fantasie che lo circondano, le epistole, con la loro scrittura barbarica, meritavano di essere messe tra le grandi opere della letteratura umana. Perché non hanno preso quel posto? La povertà del lessico e della grammatica non è una ragione sufficiente. La vera ragione è che, così come ce li presenta il testo canonico, la mano degli interpolatori le ha ingombrate di frammenti così insipidi che soltanto, al di fuori degli specialisti, possono sopportarne la lettura le pie persone a cui non interessa il senso di ciò che leggono. Sarà mai possibile operare lo sgombero?... Non lo sarà, in tutti i casi, togliendo a San Paolo tutto ciò che è grande, profondo e vivo nelle epistole, per lasciargli il resto.
Del tutto altrettanto misconosciuto come il loro valore estetico, e per le stesse ragioni, il loro valore rivoluzionario. Come vedere un rivoluzionario nell'uomo a cui si fa dichiarare che disobbedire alle autorità imperiali è disobbedire a Dio? [2]
Ma più misconosciuta ancora del loro valore estetico e rivoluzionario è l'importanza dell'azione che hanno avuto le epistole nella storia del pensiero umano. San Paolo non è stato solo uno dei promotori della rivoluzione cristiana; non è stato solo un grande scrittore tra altri grandi scrittori; nel momento in cui il ciclo dell'antichità andava a chiudersi, ha portato al pensiero umano il rinnovamento dell'irrazionale.
NOTE
[1] Grandeur et décadence de la critique, pagine 116-117.
[2] Romani 13:1-7; si veda sopra, pagina 246 e, più avanti, Appendice 10.
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