martedì 3 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANABREVE INCURSIONE NELLA PSICOLOGIA BIOLOGICA

 (segue da qui)


BREVE INCURSIONE NELLA PSICOLOGIA BIOLOGICA

Un revival è, nel pieno senso della parola, un risveglio, un rinnovamento, una rinascita.

Immaginiamo attorno a noi una fede che si sarebbe a poco a poco assopita nell'indifferenza, nel materialismo, nell'osservanza inanimata, nel meccanismo, e che ridiventerebbe viva; un fuoco che si sarebbe creduto estinto, e che si riaccenderebbe; superstizioni che si rigenererebbero in religione; una notte polare, e il sole che si poteva credere morto, che sorge e risplende.

Niente in comune con quelle effervescenze religiose senza profondità e senza durata che possono per qualche anno agitare una regione, ma che sono evidentemente inadatte a turbare il corso di una civiltà.

Nulla in comune neppure con ciò che chiamiamo una riforma nel senso della Riforma, una riforma essendo qualcosa che si opera coscientemente, mentre ciò che chiamiamo un revival si elabora nell'inconscio delle profondità umane.

Ma se un revival è un rinnovamento, è anche una riascesa. Ricordiamoci le espressioni che il signor Louis Gernet applica al revival dionisiaco e che sono servite, mutatis mutandis, a caratterizzare il revival precristiano:

«La religione più antica che si perpetua... Un fondo religioso primitivo... Elementi antichissimi, a lungo contenuti o repressi, che, con una spinta irresistibile, affiorano in pieno giorno».

...Vale a dire, la riascesa di una religione primitiva; precisiamo, la riascesa del sacrificio primitivo.

Ma nessun equivoco, nessuna anfibologia deve essere tollerata, se si vuole tentare di vedere chiaro nelle tenebre di questo passato.

La sociologia dimostra che la maggior parte delle istituzioni moderne hanno la loro corrispondenza e la loro origine nelle pratiche religiose dei semi-civilizzati. Ma si tratta qui non tanto di pratiche che si sarebbero perpetuate modificandosi, quanto  di pratiche e di credenze che erano o sembravano scomparse, o, più esattamente, che si erano modificate al punto da non essere più riconoscibili, perché, pur perpetuandosi, avevano perso il loro significato.

I suoi riti, il cristianesimo non doveva dunque andare a cercarli nel passato; si erano trasmessi di età in età, dramma sacro in tre giorni, pasto di comunione; se le cose non si svolgevano nel primo secolo come nei tempi preistorici, l'essenziale si era conservato. Ma non si sapeva più quale fosse la virtù profonda del sacrificio che si praticava; prendendo il pasto sacro, si ignorava che si mangiava la carne del dio. È quel significato del sacrificio che si doveva andare a cercare nelle profondità del passato. Soltanto, il rito e il suo significato sono, nella religione, tanto inseparabili quanto, nella natura, il corpo e l'anima e quanto, in una frase, la forma e il contenuto. Mangiare un pezzo di pane equivale ad una comunione se non si sa che questo pane è la carne di un dio? Un rito il cui significato è scomparso è come un corpo svuotato di anima, come una frase vuota di significato. Ritrovare il significato del sacrificio primitivo equivaleva, in realtà, a ritrovare il sacrificio stesso.


Una domanda viene naturalmente in mente. Stabilire un fatto è una cosa; spiegare come si è prodotto è un'altra. Non basta constatare che il cristianesimo ha ritrovato il significato del sacrificio primitivo; si vorrebbe sapere per quali mezzi lo ha ritrovato. Dire, in effetti, che il cristianesimo è stato la riascesa di una religione preistorica e il rinnovamento delle nozioni primitive che sono all'origine delle religioni, ciò vuol dire, concretamente parlando, che degli uomini hanno recuperato, nel primo secolo della nostra era, delle nozioni perse da tempi incalcolabili... Come un tale fenomeno è possibile? A quali condizioni lo è?

Ma è un problema che i metodi storici possono risolvere?

Uno dei più eminenti tra gli studiosi che hanno applicato allo studio dei fatti religiosi i dati della psicoanalisi, il signor Georges Berguer, benché non professi affatto le dottrine mitiche, ha esposto [1] in un modo impressionante come «la creazione di figure divine si fa attingendo da antichi culti figure che l'uomo trasforma a immagine dei desideri inconsci che porta nel profondo di sé, ciò secondo antichi modelli che gli servono da base e che riveste di caratteri che rispondono all'impulso intimo che lo anima».

Completerei le espressioni del signor Berguer precisando che non si tratta solo di immagini, ma di procedure capaci di dare soddisfazione a questi bisogni, vale a dire di riti.

L'interesse delle penetranti ricerche del signor Berguer è che esse entrano in gioco al momento in cui i metodi storici non funzionano più. E sembra proprio che questo sia qui il caso.

Quando si insegnava che il movimento dionisiaco era dovuto all'arrivo in Grecia di culti neolitici rimasti in uso in Tracia o in Frigia, tutto si spiegava senza difficoltà; quando si ammette al contrario, con il signor Gernet, che esso è nato da una riascesa di elementi pre-ellenici «contenuti o repressi», come i metodi storici tenterebbero di spiegare la riascesa di questi elementi? Il signor Gernet, in ogni caso, si è astenuto dal porre una domanda che lo avrebbe portato fuori dalla sua competenza; ma la sola espressione, impiegata da lui, di elementi «repressi» ci mette sulla via dove raggiungiamo il signor Berguer e, con lui, il «punto di vista psicologico e psicanalitico».

Se un dubbio è possibile quanto all'origine del revival dionisiaco, non si può parlare, per ciò che concerne il cristianesimo, di nozioni preistoriche portate dall'esterno; e siccome, d'altra parte, è innegabile che il significato primitivo del sacrificio d'Eliminazione e del sacrificio di Comunione era cosa perduta nel primo secolo, i documenti della storia sembrano incapaci, ancor più certamente che per il caso dionisiaco, di rendere conto del fenomeno. E questo è ciò che constatava il signor Isidore Lévy.

Abbiamo tentato di stabilire storicamente il fatto; sappiamo quindi riconoscere che la spiegazione di questo fatto non appartiene alla Storia e, nella carenza di quest'ultima, vediamo se la psicologia biologica non possa fornire una soluzione.

Non facciamo che indicare qui un problema il cui studio ci porterebbe, anche noi, al di fuori della nostra competenza, e, appellandoci ai lavori di specialisti giustamente considerati, tenteremo di mostrare che in effetti quella soluzione, la psicologia biologica la fornisce; non discuteremo la soluzione, poiché non è di nostra competenza; constateremo che esiste, — e quanto sia seducente.


Si conoscono i lavori del signor Jung sull'inconscio collettivo. [2] Questo termine solo indica che si tratta di qualcosa che, lungi dall'essere speciale a certi individui, sarebbe comune a tutti gli uomini, non solo a tutti gli uomini di una generazione, ma agli uomini di tutte le generazioni. L'inconscio collettivo consisterebbe in un insieme di complessi identici in tutti gli individui e che si trasmetterebbero ereditariamente. Quella ipotesi dell'ereditarietà dei complessi può peraltro intendersi come un modo nuovo di concepire quella delle associazioni di idee che era stata presentata da Darwin. Si troverebbero egualmente nei lavori del signor Pierre Janet le opinioni più penetranti su queste possibilità.

Secondo il signor Jung, l'inconscio deve essere considerato come la psicologia collettiva arcaica del primitivo, il che sarebbe sufficiente a spiegare gli aspetti religiosi, filosofici e mitologici inerenti al contenuto dell'inconscio.

Il signor Charles Baudouin, portando a questi studi la competenza fin troppo rara ahimè che può avere uno studioso che è allo stesso tempo un poeta e un romanziere, scrive [3] che «i complessi e i simboli dell'inconscio collettivo si sono costituiti sotto l'influenza diretta delle istituzioni che reggevano le società primitive e ne conservano l'impronta indelebile... Altrettanto bene», aggiunge, «possiamo riservare loro l'appellativo di complessi primitivi... e bisogna considerarli come ereditari».

Si può, dice dal suo canto il signor Ferdinand Mirel, [4] paragonare la nostra psiche inconscia ad un patrimonio il cui primo fondo risalirebbe alla nostra più antica origine» e che continua ogni giorno ad «arricchirsi», ma senza perdere nulla dei suoi acquisti più primitivi, e il signor Ferdinand Mirel situa quella origine agli «inizi dell'organismo, quando era solo un embrione di un individuo quasi impersonale». Senza avventurarmi di più su un terreno che mi è sempre più estraneo, limito la mia audacia a ritenere da queste dottrine il fatto che questo patrimonio risalga alle origini dell'umanità, voglio dire al tempo in cui l'uomo ha cominciato ad essere un uomo.

Ora, il signor Jung ha da tempo provato che noi ritorniamo a questo inconscio collettivo e primitivo ogni volta che deviamo dal pensiero razionale, il che è esattamente la tesi fondamentale dei nostri lavori; ogni ritorno del misticismo è un ritorno alle forme del pensiero più primitive, essendo il misticismo per definizione la forma dell'irrazionale: un ritorno tanto più marcato quanto più il movimento del misticismo è profondo. 

L'errore considerevole degli studiosi che si lasciano assorbire dallo studio dei testi è di voler ritrovare per ogni cosa le origini nel senso quasi sempre scritturale che danno a questa parola. Non abbiamo alcun bisogno di indagare se San Paolo avesse posseduto (Dio sa come!) informazioni sui culti pre-ellenici di Dioniso-Zagreo. Nessun bisogno neppure che qualche studioso ci informi un bel giorno che un galileo viaggiatore in rotta verso le Indie, e che si sarebbe perso tra i semi-civilizzati delle isole australiane, ne abbia riportato dei chiarimenti sulla portata della teofagia. Egualmente inutile torturare i testi per trovare nella Bibbia ebraica l'idea di un dio che muore e risorge per la salvezza dei suoi. Le dottrine del signor Pierre Janet, del signor Jung, del signor Charles Baudouin ci offrono una spiegazione che il buon senso è sufficiente a riconoscere infinitamente verosimile.

Gli uomini che si chiamarono San Pietro, San Giovanni e San Giacomo e i loro compagni ritrovarono il significato del sacrificio di Eliminazione e del sacrificio di Comunione perché, avendoli praticati i loro antenati alcune migliaia di anni prima, era rimasto iscritto nel profondo del loro inconscio, diciamo, se si vuole, del loro organismo.

Il cristianesimo, se deve molto al giudaismo e all'ellenismo, non proviene né dall'uno né dall'altro, ma dalle religioni primitive dell'umanità, di cui è la risorgenza modernizzata e idealizzata; ed in questo senso esso è stato veramente il ringiovanimento, il rinnovamento dell'umanità. Perché tale è l'opera: non dare, ma rinnovare la vita, vale a dire risorgere. Un uomo che risorge non è un uomo che nasce; il dio del cristianesimo è un dio che risorge; il cristianesimo stesso è una religione che risorge.

La Comunione teofagica e il sacrificio di Eliminazione sono i due fondamenti del cristianesimo; hanno lo stesso scopo, che è la rigenerazione della società; hanno la stessa origine, che è quella stessa della società.

NOTE

[1] Quelques traits de la vie de Jésus au point de vue psychologique et psychanalytique, 1910, Introduzione, pagina 45 e seguenti.

[2] C. G. Jung: Wandlungen und Symbole der Libido, 1911.

[3] Psychanalyse de l'art, 1929, Introduzione, pagina 6. Si veda Freud: Das Ich und das Es, 1923.

[4] Essai sur l'Introversion mystique, 1918, pagina 328.   

Nessun commento:

Posta un commento